Eternity - Un amore senza fin...

MichelaPoppi

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[DA REVISIONARE] «Dietro a ogni colore si nasconde un'emozione.» 1975 Contea di Madison, USA. In un pom... Еще

❀❀
PARTE PRIMA
1 ~ 1*
1 ~ 2*
Il primo incontro*
2*
L'invito ~ 1*
L'invito ~ 2
3
La prima uscita ~ 1*
La prima uscita ~ 2
La prima uscita ~ 3
La prima uscita ~ 4
4
Il bacio ~ 2
Il bacio ~ 3
Il bacio ~ 4
Il bacio ~ 5
5 ~ 1
5 ~ 2
5 ~ 3
5 ~ 4
PARTE SECONDA
6
Le crisi ~ 1
Le crisi ~ 2
Le crisi ~ 3
Le crisi ~ 4
7
Le crisi ~ 5
Le crisi ~ 6
8
Le crisi ~ 7
Le crisi ~ 8
Le crisi ~ 9
Le crisi ~ 10
9 ~ 1
9 ~ 2*
❀ Avviso importante
❀ Cast
❀ Art
❀ Novità
❀ Sequel
❀ Richiesta

Il bacio ~ 1

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MichelaPoppi

Nota dell'autrice
So che solitamente vengono poste al termine del capitolo, ma era necessario che io la inserissi all'inizio per spiegarvi alcune cose.
In questo capitolo citerò un albero e una pianta utilizzando nomi abbastanza tecnici. Perché questa scelta?
La nonna di Daisy, non so se ricordate, ne era appassionata tanto che le sue due figlie e la nipote hanno nomi che fanno riferimento a piante e fiori. Ci tengo a precisare che l'utilizzo dei termini non fa di me un'esperta, ma semplicemente una ragazza che si è informata, il che significa che potrebbero esserci degli errori.
Ho deciso di nominare piante che si trovano realmente nella Contea di Madison. Sono tipiche di quel posto ed estremamente diffuse. Vi dico ciò per il fatto che nelle mie ricerche, su siti americani, ho trovato solamente dati riferiti all'epoca attuale, quindi potrebbe essere che le piante siano state importate recentemente e che nel 1929 non fossero presenti.
Mi scuso per ciò e prometto che quando ultimerò il libro correggerò se avrò fatto errori!
Vi posto qui di seguito le foto così da evitarvi la ricerca.

Questa è la Robinia pseudoacacia, o semplicemente chiamata Robinia. Link: http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/mod_viewtopic.php?t=4968

Questa è la Nyssa aquatica, chiamata in italiano tupelo.
Link: https://en.wikipedia.org/wiki/Nyssa_aquatica

Perdonatemi per questa eterna nota autrice, spero che qualcuno di voi sia giunto a questo punto. Vi ringrazio e buona lettura. ❤

~


Luglio 1929

Con un tocco delicato del pennello, creavo con il marrone il tronco della robinia. Partendo dal basso, stendevo il colore senza prestare attenzione alla sua uniformità, cercando di ricreare così l'effetto della corteccia. Mi accingevo a giungere nel punto in cui si dipanavano i rami, colmi di foglie verdi e rigogliose, proprio come d'estate è di consuetudine. Una spruzzata di bianco sulla chioma avrebbe ultimato il tutto, rappresentando quei fiori che tanto mi piacevano.

Dipingevo seduta su uno sgabello, con una gamba che toccava terra e l'altra ripiegata e appoggiata sul cordone metallico a metà seggiola. La manica del vestito che indossavo cadeva giù dalla spalla, richiamando l'effetto trasandato che solo guardando i miei capelli, per modo di dire raccolti, chiunque avrebbe colto.

Mentre continuavo a raffigurare l'albero, cercando di riprodurlo il più possibile simile alla realtà, intravidi con la coda dell'occhio un'ombra. Nel momento in cui voltai lo sguardo, quella aveva svoltato l'angolo scomparendo del tutto dalla mia visuale. Si stava dirigendo verso l'ingresso del mio studio perciò mi alzai di scatto cercando di sistemarmi nei limiti del possibile.

L'ombra bussò e disse: «Daisy, sono Jay. Aprimi».

Appena sentii la sua voce, feci uno scatto e corsi ad aprirgli la porta. Era da giorni che non lo vedevo e, infatti, appena varcò la soglia un calore mi invase il petto, come se lui, quella metà mancante, fosse tornata nel luogo a lei destinato. Il mio cuore galoppava a un ritmo esageratamente forte, lui si avvicinò e un leggero bacio posato sulla guancia fu in grado di riportare battito e respiro alla normalità.

«Raggio di sole, come stai?» mi domandò prima di poggiare qualcosa sull'uscio ed entrare nello studio. Da qualche settimana aveva iniziato a usare quel soprannome, assieme a fiore, giusto per ricordarmi il significato del mio nome.

«Bene, stavo dipingendo la robinia che c'è in giardino. Vuoi venire a vederla?» risposi avanzando verso la tela, consapevole che avrebbe acconsentito. Nel momento in cui mi voltai, mi afferrò la mano e mi seguì.

«Che te ne pare?»

«Sai già cosa ne penso dei tuoi quadri. Sono stupendi, come la pittrice d'altronde. Oltretutto sei così buffa tutta sporca di pittura», asserì, sorridendo e mettendo in bella mostra una fila di bianchi denti.

«Come?» dissi sgranando gli occhi e subito dopo seguì un: «Dove?» mentre iniziavo a osservarmi.

Il mio sguardo ricadde sulle mani, sporche di pittura e cominciai a sorridere. Risi di gusto al pensiero che trovava bella una caratteristica che avrebbe dovuto farmi vergognare. Cominciarono a scendermi delle lacrime, per le risate, e con il dorso della mano mi affrettai ad asciugarle, peggiorando la situazione. In quel momento, oltre alle mani, avevo anche il volto sporco di pittura.

Jeremiah si aggiunse alla mia risata e dovemmo attendere qualche secondo prima che quelle si placassero.

«Come mai sei venuto qui oggi?» domandai.

«Perché mi mancavi, naturalmente. Poi perché ti ho preparato una sorpresa», disse sorridendo, prima di aggiungere: «Non hai niente in programma, vero?»

«No, niente da fare. Che sorpresa è?»

«Se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa», rise. «Coraggio, vai a sistemarti, ti aspetto all'inizio del viale d'accesso», asserì, indicando con il dito il punto a cui si riferiva.

«Dimenticavo! Andremo in bicicletta perché il posto non è molto vicino», aggiunse prima che le nostre strade si dividessero.

Corsi verso casa in tutta fretta per cercare di fare il più presto possibile. Ero curiosissima di scoprire cosa Jeremiah avesse in mente. Nel momento in cui stavo salendo le scale, sentii i leggeri passi di mia madre che dalla cucina si spostava verso l'ingresso.

«Daisy, sei tu?» domandò. Mi voltai e la vidi mentre si asciugava le mani con uno straccio. «Dove vai così di fretta?» aggiunse.

«Jeremiah mi ha inviato ad andare con lui e stavo andando a sistemarmi» le risposi alzando le mani e ruotandole per mostrarle il fatto che erano sporche di colore.

«Dove?»

«Non lo so, mi ha detto che è una sorpresa», le dissi, abbassando la testa e sperando dentro di me che non contestasse quell'uscita, o che non avesse organizzato nessuna attività per cui era prevista la mia partecipazione.

«Quando hai intenzione di dire a tuo padre di Jeremiah? E, soprattutto, quand'è che si presenterà a casa?» domandò mia madre, con un tono di voce molto tranquillo. Non riuscivo a cogliere nessuna sfumatura che mi permettesse di comprendere cosa le stesse passando per la mente, nulla trapelava.

«Mamma...» dissi prima di emettere un sospiro e aggiungere: «Tra me e Jeremiah al momento non c'è nulla e poi lo sai che papà non lo approverebbe». Nel dire quelle parole cominciai nervosamente a muovere il piede a terra, con la punta poggiata lo spostavo verso destra e poi verso sinistra, concentrando il mio sguardo su quel semplice movimento e non sul volto di mia madre.

«Tesoro, non puoi continuare a uscire con lui e tenerglielo nascosto. Non funziona così; soprattutto, da come vi guardate, è chiaro che c'è qualcosa tra di voi. Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene», rispose, avvicinandosi a me e scostandomi una ciocca di capelli dal volto per sistemarla dietro l'orecchio. Con quel semplice gesto, da piccola, era in grado di alleviare ogni mia preoccupazione. Bastava un tocco, o un bacio, e tutto passava.

«Lo sai che non potrai celare a tuo padre la relazione con Jeremiah. Lui deve sapere con chi si vede sua figlia e dovrà darti la sua approvazione», disse mia madre, sempre con tono pacato, replicando quanto aveva detto prima, come se volesse rafforzare il concetto.

«Papà non accetterà mai Jeremiah. Lo sai benissimo anche tu cosa ne pensa delle persone come lui...», risposi prima di aggiungere: «delle persone diverse da ciò che lui crede che siamo».

Mia mamma mi posò la mano sulla spalla e non fu in grado di replicare. Chinammo entrambe la testa, immerse nei nostri pensieri. «Andrà bene, tesoro», alla fine disse, sicuramente non convinta di quanto aveva appena affermato.

«Vai a prepararti, ma ricordati quello che ti ho detto.» Nel momento in cui mi voltai per continuare a salire i gradini che mi avrebbero portato nella mia camera, lei aggiunse: «Daisy, parlane con Jeremiah oggi».

Annuii e le promisi che lo avrei fatto. Non riuscivo più a essere elettrizzata come prima, in quel momento il mio passo era rallentato e la mia energia era diminuita. Giunta in camera, aprii l'anta dell'armadio e afferrai un vestitino leggero arancione, della lunghezza adeguata a un giro in bicicletta.

Mentre lo indossavo, la mente correva verso i ricordi della mia infanzia. Riflettei su come la mia vita fosse cambiata, ripensai a tutte quelle volte che mi ero sentita in imbarazzo quando mio padre non rispondeva, in mia presenza, al saluto dei suoi amici di vecchia data, quelli rimasti poveri, che non avevano mai voluto investire come lui per cercare di crearsi un futuro migliore. Ricordai anche quelle volte nelle quali si arrabbiava perché non veniva accolto bene nei circoli dei più ricchi. Se la prendeva con noi rispondendoci male, o con gli oggetti nella casa che a ogni sfuriata venivano lanciati a terra, frantumandosi in mille pezzi.

Viveva, anche se forse sarebbe più corretto dire vivevamo, in una sorta di limbo: a metà strada tra coloro che lui denigrava perché gli ricordavano ciò che era stato e coloro che non lo accoglievano, ma che lui idolatrava. I nuovi ricchi venivano sempre visti così: come persone nate povere e divenute benestanti grazie a una buona dose di fortuna. Nel parlare male, non venivano mai menzionati l'impegno e gli sforzi che colui che aveva raggiunto quel nuovo status ci aveva messo.

Papà, nel giro di poco tempo, era passato dall'essere il mio eroe a divenire ai miei occhi una persona avida. Ostentava la sua nuova ricchezza e tentava di emulare coloro ai quali aspirava, ottenendo pessimi risultati, ai limiti dell'esagerazione.

Condivideva quella zona intermedia con due uomini che come lui avevano fatto un ottimo investimento con i campi di cotone, ma tali scelte li avevano portati a vedere il mondo sotto un'altra prospettiva. Desideravano sempre di più e ricercavano, di volta in volta, la via più semplice per guadagnare: dagli investimenti in borsa, ai bassi stipendi dei lavoratori pagati una miseria.

La cosa che mi faceva più star male era il pensiero che, in passato, i Wilson e la mia famiglia, quando mio padre ancora faceva l'operaio, erano molto unite. Passavamo molto tempo assieme, soprattutto per la forte sintonia che si era creata tra me ed Ellen, che fortunatamente siamo riuscite a mantenere nonostante l'allontanamento delle nostre famiglie. Pian piano, infatti, più la ricchezza di mio padre aumentava, più gli incontri cominciavano a farsi radi. Arrivò, dopo non molto tempo, il giorno in cui mio padre decise di non salutarli più quando li incontrava.

La sua ricchezza materiale era aumentata, ma quella del suo animo era decisamente scomparsa. Non riuscivo più a riconoscere quell'uomo che mi aveva cresciuta, quello amorevole con il quale adoravo trascorrere le mie giornate giocando, parlando e ridendo. Di lui non c'era più traccia, ciò che rimaneva era solo il nulla, che se io avessi dovuto raffigurare, sarebbe stata una tela dipinta di nero.

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