Changes.

Oleh Chloette_

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|Completa| A ventinove anni, Amanda stava riuscendo a costruirsi una vita lontana dal passato solitario della... Lebih Banyak

Una giornata insolita
L'Inizio
Mercoledì
Pace
Dubbi
Segreti Svelati
Di Male in Peggio
Il crollo
Conforto
Luke
Ritorno a casa
Il Confronto
Sorprese Inaspettate
"Cosa è successo?"
Tensioni
Il Ballo
Segni Indelebili
Nuove Esperienze
Una Serata Diversa
Caos
Qui per Te
Amicizia
Decisioni Fatali
Il Viaggio
Inghilterra
Scontro con il Passato
Dialoghi Inaspettati
Imbarazzo e Rivelazioni
Casa
Anniversario
Dicembre
Vigilia
Natale
Confessioni
Capodanno
Ospedale
Nuova Vita
Incomprensioni
Dettagli Importanti
Erba Cattiva
Impulsi
Famiglia
Sentimenti
Conferma
Appuntamento
Incertezze
Amore
La Proposta
Bisogno
Argomenti Delicati
Limite
Pasqua
Nuvole
Verdetto
Foto
Weekend
Visita
Piccole Verità
Arrivederci
Ringraziamenti e...
•SEQUEL•

(Non Più) Sola

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Oleh Chloette_

Dopo pranzo andai a trovare mia sorella.
Non capivo perché Luke si comportasse così, però non sarei andata a cercarlo; forse era anche meglio staccarmi, prima di tutto dovevo accertarmi della possibile presenza di un bambino nel mio grembo.
Rabbrividii al solo pensiero.
Non sarei mai stata in grado di essere madre; se a malapena riuscivo a star dietro ai miei problemi, come potevo credere di poter prendermi cura di una creatura così indifesa?
Arrivai da Jennifer con tutti quei pensieri nella testa; scesi dalla macchina lisciando la gonna a pieghe che indossavo. Ero nervosa, sapevo che se l'era presa per la storia di Pasqua, ma non potevo certo dirle di Luke.
Quando aprì la porta e mi vide, la sua espressione contenta cambiò radicalmente.
«Che ci fai qui?» Il suo tono fece trasparire tutto il suo disagio.
«Volevo vedere come stavate.» Le sorrisi, ma lei rimase seria.
«Non stavi male? A me sembra che tu stia benissimo...» Incrociò le braccia al petto, socchiudendo leggermente gli occhi e trafiggendomi con lo sguardo.
«Sì, ora sto meglio... non volevo contagiare la piccola Carly» provai a difendermi, iniziando a tormetarmi le mani. Era ancora più difficile mentirle davanti agli occhi.
«Beh, non vorrei mai che mia figlia stesse male, soprattutto a causa tua. Ti conviene riprenderti e tornare solo quando sarai davvero guarita.» Poi fece una cosa che non aveva mai fatto: mi chiuse la porta in faccia.
Avevo percepito benissimo il sarcasmo nelle sue parole, avevo capito che c'era rimasta ancora più male di quanto potevo immaginarmi, come avevo capito che non si era bevuta la storia della malattia; ma cos'altro potevo fare?
Possibile che nessuno riuscisse mai a capire le mie motivazioni?
Certo, Jennifer non sapeva cosa le stavo nascondendo e, nonostante fosse così arrabbiata, dirle di Luke non le avrebbe fatto di certo passare il nervoso. Era molto meglio se rimanesse dell'idea che le avessi mentito per niente, anche se probabilmente mi avrebbe portato ad un suo silenzio per parecchio tempo.
Tornai in macchina perdendomi un attimo nei miei pensieri: Luke, James, Jennifer, il bambino, il lavoro.
Tutto stava andando lentamente in frantumi ed ero rimasta sola.
Magari non completamente, ma Luke mi era parso arrabbiato e non sapevo quanto sarebbe durata.
Lacrime amare iniziarono a scivolarmi lungo le guance. Stavo crollando di nuovo, stavo scappando dai miei problemi, di nuovo; ma era ora di smetterla, di affrontare quello che il destino mi stava riservando e sapevo anche da dove avrei dovuto iniziare: la gravidanza.



Erano passati due giorni ed era mercoledì, i primi di aprile.
Come al solito avevo il pomeriggio libero; Luke non si era fatto vivo e io sicuramente non avevo intenzione di scrivergli.
Tra l'altro mi ero riempita di impegni per quel giorno: avevo deciso di prendere quel maledetto appuntamento dal ginecologo dell'ospedale e sarei andata anche a fare un po' di spesa, oltre che fare una scappata dall'estetista: mi sarebbe servito un bel massaggio.
La prima cosa che feci fu andare dritta al supermercato, approfittando che gli altri fossero ancora al lavoro e quindi non ci fosse troppo casino; sistemai le buste nel bagagliaio e salii in macchina diretta a casa.
Una volta riposto tutto il cibo, mi sedetti sul divano, cercando il numero del ginecologo; chiamai sentendo il cuore che pompava forte.
«Dottor Alec del reparto ginecologia, desidera?» Sembrava una voce giovanile. Il pensiero che fosse un maschio mi metteva di per sé in soggezione, ma se fosse stato anche più giovane mi avrebbe messa completamente a disagio.
«Buongiorno, vorrei prendere appuntamento per venerdì.» Sentivo la voce tremare, insieme alle mie mani.
«Certo... signorina... ?»
«Seyfried.» Deglutii, cercando di rimandare giù il nodo che mi si era formato in gola.
«Perfetto, venerdì pomeriggio per le cinque andrebbe bene?»
«Benissimo, grazie.»
«Bene, arrivederci.» Salutai, chiudendo la chiamata per poi trarre un respiro profondo: finalmente avrei saputo la verità.

Passare dall'estetista per eliminare altri peli superflui e farmi fare un massaggio fu un'idea magnifica. Mi sentivo molto più rilassata e la maschera al viso che mi aveva regalato vedendomi stressata mi aveva fatto solo bene; Hilary era la migliore nel rinvigorire la sua clientela: l'avevo scoperta tramite un annuncio, qualche anno prima, quando mi ero trasferita in quella casa e da allora non l'avevo più mollata.
Tornai a casa che erano pressapoco le cinque, stanca ma rilassata; mi buttai sul divano, decidendo che avrei passato quelle ore per guardare un film. Passai diverso tempo a scartare drammi, fantasy, horror e azione; finché me ne ritrovai uno che destò la mia curiosità.
"20 anni di meno" era il titolo e, leggendo la trama, rimasi stupita da come praticamente stesse descrivendo la mia situazione sentimentale, con la piccola differenza che loro avevano più anni di differenza.
Mi alzai solo per prendere delle patatine che giusto qualche ora prima avevo comprato, risistemandomi subito dopo a gustarmi quel film, cogliendone similitudini e differenze con me.
Quando il film terminò erano quasi le sette; mi si era chiuso lo stomaco e non solo perché avevo praticamente finito il pacchetto di patatine, ma soprattutto perché mi venne una strana nostalgia di Luke.
Vedere quella coppia che come me stava lottando contro la differenza d'età, mi fece uno stranissimo effetto. Desideravo solo vederlo, baciarlo e dirgli che l'unica cosa che volevo era stare con lui; non m'importava se avevamo dieci anni di differenza, se la gente diceva che non era normale, non m'importava di nulla.
Volevo averlo, averlo per davvero.
Presi il telefono senza neanche pensarci e gli inviai un messaggio.

- Ciclo finito, vieni e porta dei preservativi -

Salii di corsa in camera con una strana adrenalina addosso; mi infilai qualcosa di più comodo, lasciai il telefono sul comodino e mi precipitai in cucina, iniziando a preparare qualcosa da poter mettere sotto i denti. Lo feci soprattutto per lui, poiché io avevo ancora lo stomaco chiuso.
Finii di cucinare e notai che erano quasi le otto, ma di Luke non c'era traccia. Temetti che fosse ancora arrabbiato con me e avesse snobbato il mio messaggio.
Forse avevo sbagliato a scrivergli quelle parole, come se per me contasse solo il sesso, ma non era affatto così, però lo volevo vedere e credevo che in quel modo sarebbe corso da me.
Salii di nuovo in camera a prendere il telefono, notando che c'era un messaggio, ma era James.

- Amanda non ignornarmi ti prego, sto davvero male. Ho sbagliato lo so, ma ti amo. Ti prego fammi spiegare -

Sbuffai, riflettendo su cosa fare. Avrei dovuto almeno sentire cosa aveva da dirmi?
Il suono del campanello, però, mi fece subito dimenticare il telefono che abbandonai nuovamente, fiondandomi all'ingresso.
Aprendo, la prima cosa che vidi fu un enorme mazzo di rose bianche e dopo qualche secondo spuntò la testa di Luke, priva di barba.
«Per farmi perdonare.» Presi le rose e un sorriso a trentadue denti si fece spazio sul mio volto: era sempre dolcissimo e in quel momento mi ritenni molto fortunata ad avere un ragazzo come lui.
Perché sì... volevo che fosse il mio ragazzo.
«Grazie, amore.» Annusai le rose e lo feci entrare; chiuse la porta per poi seguirmi in salotto. «Le porto sopra, tu stai qui.» Salii di nuovo nella mia stanza, prendendo la rosa che mi aveva regalato quella sera quando mi aveva fatto la sorpresa e infilai nel vaso le altre.
Sorrisi guardando quei fiori per poi scendere in salotto, ma lui sembrava sparito; andai in cucina, ma anche lì non c'era.
«Cerchi me?» Mi voltai di scatto, portandomi una mano sul cuore dallo spavento.
«Sì, cercavo te.» Esibii una mezza risata, notando solo in quel momento che aveva indosso una camicia azzurra con una piccola macchiolina sulla parte sinistra.
«Beh, mi hai trovato!» Rise malizioso, ma io non riuscivo a staccare gli occhi dalla sua camicia; quella macchia sembrava strana.
«Perché sei macchiato?» chiesi e lui abbassò lo sguardo su di me; mi avvicinai di qualche passo, notando che fossero dei residui di trucco.
«Ah, questa...» Lo interruppi, non riuscendo a fermare la mia linguaccia.
«Perché c'è del trucco sulla tua camicia?!» Colta da un'improvvisa rabbia, mi ritrovai a stringere i pugni; non tanto per il fatto che poteva essere stato con un'altra, ma sapere che professava di volere me per poi scoprire che era l'ennesimo bugiardo della mia vita, poteva davvero essere la goccia che avrebbe fatto traboccare la mia pazienza.
In tutto quel casino c'era lui, l'unica gioia che riusciva ancora a tenermi a galla e sapere che non avrei potuto contare neanche su di lui mi avrebbe inevitabilmente portato alla deriva, ne ero certa.
«Hey, Amanda non te lo ricordi?» Mi prese le mani mentre sentivo gli occhi farsi umidi.
«Cosa?» sussurrai, cercando di ammutolire i pensieri.
«Quando stavi male per quel coglione e mi hai sporcato la camicia... è questa... hey, amore non fare così...» Le lacrime ormai avevano deciso di scivolare copiose lungo le mie gote e di fermarle non c'era verso. Provai a dirmi che andasse tutto bene, ma la verità era un'altra.
Non volevo crollare, ma come al solito, lo stavo facendo proprio nel momento sbagliato.
«Sto bene, Luke, scusami.» Cercai di allontanarmi da lui, ma mi prese per le braccia, stringendomi a sé.
«Mi dici cosa ti succede?» Mi lasciai andare a un sospiro e, dopo essermi calmata, mi allontanai dalle sue braccia.
«Niente, scusa, sono solo stressata, stanca e... scusami.» Mi riappoggiai a lui che mi accarezzò i capelli con dolcezza.


Dire che mi sentivo in colpa sarebbe stato un eufemismo: mi sentivo peggio che mai.
Essere crollata di nuovo così, con lui, non mi dava pace; non volevo addossargli le mie preoccupazioni, soprattutto se fossi stata incinta di lui.
Un brivido mi percorse il corpo.
Ogni volta che ci pensavo succedeva sempre la stessa cosa.
«Hai freddo?» chiese, mentre eravamo sul divano abbracciati a vedere un film.
«No no, sto bene.» Mi strinsi a lui, imponendomi di smettere di pensare.
«Perché nel messaggio mi hai chiesto dei preservativi? Credevo prendessi la pillola.» Deglutii, cercando una scusa il più in fretta possibile.
«Sì certo, ma sai... quando finisce il ciclo è meglio aver doppie protezioni.» Sorrisi, alzando il viso verso di lui che ricambiò, annuendo.
«Giusto... quindi hai... hai voglia di...» Spostò lo sguardo, imbarazzato; ormai nessuno dei due stava più seguendo la televisione, così mi alzai per spegnerla, rivolgendo poi uno sguardo eloquente a Luke.
Non servì altro che scattò come un fulmine, correndo su per le scale; quando varcai la soglia lo trovai intento a levarsi i pantaloni.
Gli andai accanto e lo fermai; inizialmente mi guardò confuso e lo feci girare verso di me, iniziando a slacciargli la camicia.
«Scusa per prima, non so cosa mi sia preso» dissi mentre gli toglievo l'indumento.
«Lo so io, sei gelosa, ma non lo ammetti.» Sorrise soddisfatto e io ricambiai, rasserenata dal fatto che non si fosse chiesto cosa ci potesse essere sotto.
Lo spinsi sul letto, togliendomi poi i vestiti e rimanendo in intimo; lui mi riservò uno sguardo colmo di desiderio, liberandosi dai pantaloni.
«Il preservativo» gli ricordai e lui subito ne tirò fuori uno, scartandolo per poi levarsi anche i boxer e infilarselo.
«Ora ci divertiamo...» Mi avvicinò a sé, abbassandomi gli slip e facendoli scivolare lungo le mie gambe.
«Eccome se ci divertiamo.» Ripensai al film che avevo visto quel pomeriggio e accantonai tutta la mia razionalità, posizionandomi sopra di lui e iniziando a muovermi sensualmente.
Mi strinse le cosce ansimando mentre acceleravo i movimenti, ansimando a mia volta; sentirlo di nuovo dentro di me era un piacere immenso, ma soprattutto sentire il mio nome urlato da lui in quel modo, in quel contesto, mi portò al piacere fisico più estremo.


~
*Revisionato*

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