Together

Von anima_timida

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Il destino di Hermione è segnato. Dovrà fare conti con la sua natura di strega "speciale" e con quella pietra... Mehr

Prologo.
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50.
Epilogo.
•AVVISO•

27.

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Von anima_timida

"Sei tanto sicuro che io sia il tuo inferno. O è quello che ti crei dentro che ti fa bruciare?"
-Cit.

Davanti alla porta spalancata c'erano due persone che fissavano la classe, dove i ragazzi del settimo anno stavano studiando pozioni, scrutando attentamente ogni volto, fino a fermarsi su quello del professore, che parecchio indignato si avvicinò loro.
«Si?» con il suo solito tono tenebroso aveva allungato a dismisura quelle 'i', senza provare a nascondere la sua disapprovazione su quel modo di entrare.
L'uomo dagli occhi rossi lo ignorò completamente e rivolgendosi alla classe disse: «Hermione Granger?»
Si alzò un chiacchiericcio di voci femminili alquanto seccate che l'attenzione del bel tizio non fosse per loro.
Harry si voltò di scatto verso la sua compagna di banco, più o meno come avevano fatto tutti gli studenti, e le lanciò un occhiata interrogativa e allo stesso tempo accusatoria a cui lei rispose con una semplice scrollata di spalle, ignorando anche uno sguardo che le stava perforando la schiena.
I due dovettero aver intuito dai movimenti comuni che si trattava di quella ragazza seduta al primo banco con una cascata di boccoli marroni a incorniciarle il viso, perché si avvicinarono pericolosamente a lei.
Draco stava per sfoderare la bacchetta per puntarla contro quell'essere che stava troppo vicino alla sua Hermione, ma non ce ne fu nemmeno bisogno perché Piton si era piazzato davanti alla giovane e li guardava con superiorità.
«Non accetto che si entri nella mia aula mentre faccio lezione, tantomeno in questo modo. Quindi siete pregati di uscire subito.»
«Non senza la ragazza.» fu la risposta secca che ricevette.
«Chi siete voi per comportarvi in questo modo e pretendere che io faccia uscire una mia alunna senza permesso?»
«Hermione, cara. Andiamo.» questa volta era stata la donna a parlare, sfoderando un sorriso a trentadue denti. Mentre Piton e il suo compagno discutevano lei le si era avvicinata per tranquillizzarla, anche se data la sua bellezza inquietante non era stato molto d'aiuto.
Hermione dovette aver intuito chi fossero quelle persone perché a testa bassa si alzò dal suo posto per avvicinarsi loro, ma qualcuno da dietro l'afferrò per un braccio costringendola a fermarsi.
«Cosa caxxo fai, Granger?» le sibilò all'orecchio Draco, era furioso e faceva di tutto per dimostrarlo.
«Scusami» Hermione scostò il suo braccio lanciandogli un'occhiata dispiaciuta e si avvicinò a Evangeline che dolcemente le avvolse un braccio attorno alle spalle.
L'uomo dagli occhi rossi la scrutò un momento e poi le sorrise in un modo estremamente sexy e agghiacciante. «Miss Granger, che piacere.»
Senza nemmeno darle il tempo di rispondere al suo saluto, si era esibito in un perfetto baciamano che aveva fatto quasi perdere i sensi a Harry e i capelli a Draco. (Oltre che a tutta la fauna femminile che desiderava stare al suo posto).
Piton in un momento, stanco di quei convenevoli, aveva sfoderato la bacchetta e la stava puntando contro quelle persone tanto gradite, che vedendolo in procinto di attaccare iniziarono a ridere, uno schiocco di dita e la bacchetta del professore era volata dall'altra parte della stanza.
Solo allora Harry decise che ne aveva avuto abbastanza ed a sua volta gli puntò la bacchetta contro, esattamente come avevano appena fatto Draco e Blaise.
«Ragazzini, non mettetevi contro di me. Potrebbe essere l'ultima cosa che fate.» spiegò con un tono mieloso l'uomo, un tono che per niente si addiceva alla sua immagine da vampiro, perché dai, dovevate ammetterlo, era uguale e anche più bello di un vampiro.
Nessuno dei tre fu toccato da quella minaccia, anzi in un secondo Harry aveva lanciato già tre Stupeficium contro il quasi-vampiro, i quali erano stati prontamente parati con un gesto della mano.
«Potter, Malfoy, Zabini. Giù le bacchette.» ordinò il loro professore. «In quanto a voi, per una volta farò un eccezione e non vi denuncerò al ministero, ma uscite da quest'aula.» continuò. «E anche lei, Signorina Granger.»
I tre ragazzi erano sgomentati e inutilmente provavano a incontrare lo sguardo di Hermione, poiché lei si stava guardando la punta delle scarpe stretta ancora alla donna dagli occhi neri.
«E bravo il nostro Severus.» ghignò l'uomo e con un ultimo — perfido — sorriso rivolto questa volta a Draco, afferò Hermione per un braccio e nel giro di un secondo si smaterializzarono.

«COSA VUOL DIRE SI È SMATERIALIZZATO CON LEI?»
«Vuole dire quello che ti ho detto Ron! L'ha afferrata per un braccio e sono scomparsi.»
«Non.. Come è possibile? Non.. Non avete fatto niente per fermarla?»
«Cosa dovevamo fare secondo te? Quel tizio ha poteri che neanche puoi immaginare.»
Queste voci appartenevano per precisione a Ronald Weasley e Harry Potter, il quale stava raccontando al suo amico cosa fosse successo quasi cinque ore prima nell'aula di pozioni. Ron non riusciva a capacitarsene, faceva su e giù per la stanza come impazzito, sparando domande a raffica al povero ragazzo-sopravvissuto-non-ancora-per-molto-se-Ron-continuava-così, che non sapeva come rispondervi. Erano entrambi un fascio di nervi e se non vi fosse stata Ginny a calmarli, probabilmente avrebbero setacciato già tutto il castello e dintorni.
«Ragazzi, ve l'ho già detto. Hermione non è stupida, non sarebbe andata con loro se sapesse che erano un pericolo.» si ripeté per la millesima volta la ragazza, mente si legava i lunghi capelli rossi in una crocchia disordinata. Harry scosse la testa ripetutamente, come in preda a un tic nervoso. «E se l'avessero ricattata? Sapete com'è Hermione, si sarà sacrificata per noi. Magari quei loschi individui le avevano detto che ci avrebbero fatto del male o non so.»
«Harry, il mondo non gira tutto in torno a noi.» rispose Ginny, pacata. Anche se avrebbe voluto spaccargli la testa a forza di sassate. A lui e a quel criceto da giardino di suo fratello, che si era ingozzato fino a sentirsi male.
«Ormai sono cinque ore che non si fa vedere. Dobbiamo andare a cercarla.» disse Ron dal bagno. Era la loro migliore amica, dovevano trovarla e verificare che stesse bene.
Ginny però non era dello stesso parere perché scattò in piedi come un'indemoniata e si portò le mani ai fianchi, stile Molly Weasley.
«ORA SE NON LA PIANTATE TUTTI E DUE, VI RINCHIUDO IN BAGNO E VI FARÒ RIMPIANGERE LA MORTE DI VOLDEMORT. SONO STATA CHIARA?»
Ron era paonazzo. In quel terribile attimo, Ginny non era più solo Ginny. Era diventata la fotocopia spiccicata di sua madre. Gli sembrò di farsi piccolo piccolo di fronte a lei e si nascose dietro ad Harry sussurrando: «È lei, Harry. È qui. Lei è ovunque.»
Anche il ragazzo con gli occhiali pareva piuttosto intimorito da quell'uragano che sapeva scatenare quella ragazza dagli occhi blu.
Poi la porta che si apriva attirò l'attenzione dei tre e la figura che vi comparve fece dimenticare il terribile momento "Molly Wealsey". Hermione era appena entrata nella camera dei suoi amici, aveva un aspetto orribile è vero, i capelli più crespi del solito, la pelle biancastra e gli occhi stanchi, ma era viva e questo era un motivo per festeggiare.
Nemmeno aveva varcato la soglia che si era ritrovata stretta tra le braccia di Harry, poi tra quelle di Ron e infine tra quelle di Ginny, però troppo stanca si era buttata sulla poltrona più vicina chiudendo gli occhi. Sentendosi osservata, si guardò un'attimo intorno e in effetti tre paia d'occhi la stavano fissando.
«Presumo di dovervi qualche spiegazione.» disse.
Si portò le mani ai capelli cercando di ravvivarli un po', ma ottenne l'effetto contrario e così lasciò incompiuta la sua impresa, iniziando il racconto.
«Allora...»

«E così tu sei Hermione?»
La ragazza annuì silenziosamente, seguendo lungo i grande corridoio di Hogwarts i due signori.
«Io sono Evangeline Acrux e sono una Dianica, proprio come te.» spiegò dolcemente la donna, anzi vista da vicino Hermione non era più sicura della sua età, in effetti sembrava solo poco più grande di lei, stessa cosa per l'uomo che camminava spedito davanti a loro. «Mi ha chiamata la professoressa McGranitt e io e mio fratello siamo venuti il prima possibile.» continuò gioiosa facendo un segno col capo per indicare che quello era suo fratello. «Oh, non vedo l'ora che tu venga con noi! Non puoi immaginare da quanto tempo non si vede una nuova Dianica, esclusa me ovviamente. Da dove vengo io, son quasi tutti vecchi. Sarà bello poter avere un'amica.»
Hermione poté notare l'evidente eccitazione nei suoi meravigliosi occhi neri, la quale la faceva sembrare ancora più piccola di quanto già non sembrasse nell'aspetto. Evidentemente doveva averla notata anche suo fratello, perché si voltò trucidandola con lo sguardo. «Evangeline, dacci un taglio.»
La giovane subito si ricompose assumendo una facciata di neutralità, ma appena lui si rigirò, Evangeline fece un occhiolino alla 'sua nuova amica'.
Tanto era presa dall'agitazione che Hermione non si era nemmeno accorta di essere arrivata davanti alla porta della McGranitt. Il fratello di Evangeline, che Hermione aveva appena soprannominato Mister Simpatia, aprì con uno scatto la porta, senza aspettare il consenso della vice preside. Quando furono entrati, la stanza era vuota.
«Ev, va a cercare quella dannata donna.» ordinò sedendosi su una delle poltrone rosse e invitando la giovane grifondoro a fare altrettanto.
«Okay, vado subito.»
Hermione sperò con tutto il suo cuore che non la lasciasse sola con Mister Simpatia, la quale sola presenza le metteva ansia, ma ovviamente le sue preghiere furono vane. Evangeline uscì dalla stanza, affidandola solo al suo orgoglio che le impediva di scappare, cosa che avrebbe fatto molto volentieri. Infatti era ancora in piedi quando la porta si richiuse con un tonfo e fu sola. Beh sola con lui.
«Vuoi restare in piedi tutto il giorno?»
La voce dell'uomo riecheggiò nella stanza, facendola tremare da capo a piedi. Silenziosamente si accomodò sulla poltrona rossa difronte a quella dove sedeva lui, iniziando a giocherellare con la bacchetta. Non aveva alzato lo sguardo, non osava incontrare quegli occhi rossi così tenebrosi, ma troppa era la curiosità di conoscere meglio il suo volto, che non poté trattenersi.
Mister Simpatia stava guardando fuori dalla finestra e quindi — almeno così pensava Hermione — non si era accorto che lei gli stava facendo uno scanner facciale. Quei capelli così neri e fini da sembrare blu per via della luce, il volto pallidissimo e magro con gli zigomi pronunciati, le labbra rosee e carnose... Beh non si poteva dire che fosse brutto anzi. Bello tanto quanto la sorella.
«Sono davvero così bello da attirare l'attenzione di Hermione Granger?»
La voce dell'uomo la riportò alla realtà ed Hermione si ritrovò ad arrossire, sentendosi come una bambina beccata con le mani nel sacco mentre ruba le caramelle, abbassò immediatamente il volto volendo scomparire dentro la poltrona ma il mago parlò ancora.
«Non imbarazzarti, per me è un onore. Non capita tutti giorni di incontrare Hermione Granger.» le accennò un sorriso e la domanda di Hermione nacque spontanea; «Voi sapete chi sono?»
L'uomo rise amaramente, come pensando ad un vecchio ricordo e tornò a guardare la giovane. «Chi non vi conosce, Hermione?» accavallò le gambe con un gesto elegante. «Devo ammettere di aver fatto molte ricerche su di voi, non come un normale ammiratore, s'intende. Perciò non dovete sentirvi in imbarazzo per avermi ammirato, confesso che molte donne lo hanno fatto, ma con voi è tutt'altra storia.» continuò come una cantilena ipnotica.
Fuori pioveva a dirotto, la finestra cigolava, i quadri facevano di qua e di là, ma Hermione aveva notato solo una frase detta dal mago.
«Voi avete fatto una ricerca su di me?» domandò stralunata, ricevendo come risposta un silenzioso annuire.
«So ogni cosa di voi, Miss. So che siete nata il 19 settembre 1979, che possedete una bacchetta di legno di vite con il nucleo di corda di cuore di drago, so che odiate le noci, so che vi piace leggere fino a tardi la sera e il vostro libro preferito è "Orgoglio e Pregiudizio" di Jane Austen, scrittrice babbana, da cui deriva anche il vostro secondo nome, so che amate cantare sotto la doccia e che il vostro profumo è di vaniglia e inchiostro, so che siete una strega potente e sveglia, coraggiosa come pochi e più intelligente di qualsiasi ragazza della sua età. So che il vostro colore preferito è il bianco, perché è un colore neutro, che aiuta gli altri colori a diventare più chiari, perdendo totalmente se stesso. So che odiate quando qualcuno vi dà della so-tutto-io, o ancora di più quando non riuscite a fare una cosa. Tipo il volo. Non siete molto pratica con le scope, se non vado errato.» continuò con un ghigno che le ricordo subito Draco. «Inoltre so che avevate un fratello di nome Valentine, giusto? È morto due anni fa e.... la colpa è solamente vostra.» La morbidezza della sua voce era scomparsa, dando posto ad una profonda perfidia.
«Che cosa volete da me?» Sibilò Hermione con gli occhi lucidi.
Nessuno, eccetto Harry ovviamente, sapeva di Valentine. Come era possibile che quest'uomo invece... per Godrik. 
Lui si alzò dalla poltrona e in un attimo le si inginocchiò davanti, facendole una gelida carezza sul volto, una carezza che non aveva nulla di dolce, sia chiaro.
«Mia dolce Hermione, voglio solo insegnarti che amare è da deboli. L'amore è debolezza. E la debolezza è segno di impotenza. E tu sei troppo potente per permetterti di amare.» le spiego semplicemente, come se fosse la cosa più normale del mondo. Hermione si ritrasse da quel contatto e pose la fatidica domanda: «Chi siete voi?»
L'uomo non sembrò toccato da quel rifiuto, perché con uno scatto felino si rimise in piedi e facendo un inchino teatrale si presentò: «Dimitri Acrux, piacere mio.»
"Dimitri", dove aveva già sentito quel nome?
Aveva un non so che di inquietante.
Quando la ragazza stava per parlare però, entrarono Evangeline, La McGranitt e Draco.
Le due donne si andarono a sedere e Draco — il cui sguardo assassino scorreva da Hermione a Dimitri — si precipitò immediatamente dalla ragazza, la strinse a se con una tale forza da farle male. Ed infatti voleva farle male. Voleva sentisse almeno un minimo del dolore che aveva provato lui in quell'orribile ora. Un'ora in cui, intendiamoci, non sapeva se stesse bene, con chi fosse, che cosa volessero da lei, nulla. Il niente. Vedere scomparire da un momento all'altro la ragazza che si ama, con dei perfetti sconosciuti, non sarebbe stata una cosa tranquillizzante per nessun'essere vivente. Oh, si. Perché lui l'amava. Ormai aveva accettato la cosa e si era arreso al fatto che il suo cuore di ghiaccio si fosse sgretolato in tanti piccoli pezzettini, tutti raffiguranti un'espressione, un gesto, una parola, una litigata con la Granger. Ma lei lo amava?
Era questo il problema più grande, un conto è sapere una cosa, un'altro e dirla. Pronunciare quelle parole da cui non si torna più indietro. Non era pronto. E forse non lo sarebbe mai stato, ma adesso quello che contava davvero era il suo dolce profumo di vaniglia erano in salvo, stretti a lui.
La felicità però durò poco, perché diede spazio a una grandissima rabbia repressa.
La strinse ancora più forte, quasi a toglierle l'ossigeno dal corpo.
«Tu... Maledettissima incosciente, avventata, stupida, ingenua, perfida ragazzina. Volevi farmi prendere un infarto vero?! Vero?!» le sibilò all'orecchio, incavolato nero.
«Malfoy, mi fai male.»
Per risposta lui aumento ancora la stretta facendola pigolare di dolore, gesto che fece scattare l'ira di Dimitri, che con un gesto della mano e il suo potere dell'aria spedì il biondo dall'altro lato della stanza.
Draco aveva sbattuto la schiena contro delle mensole piene di pozioni, le quali al colpo erano cadute frantumandosi in minuscoli pezzettini.
«Per Godrik! Signor Malfoy, si sente bene?» la McGranitt in un attimo gli fu vicino per aiutarlo ad alzarsi, ma lui la scostò bruscamente per rivolgersi al bellimbusto che l'aveva schiantato senza bacchetta.
«Tu.» ringhiò «Non ti azzardare mai più e non intrometterti.»
L'altro non sembro minimamente toccato, anzi sembrava che nemmeno averlo ascoltato. Si limitò a sorridere cattivo. «Tu non parlarle così e io non ti ucciderò.»
«Dimitri!» la sorella gli lanciò uno sguardo ammonitore. Che modi erano mai questi! Minacciare un ragazzino. Nemmeno un troll aveva i suoi modi.
Hermione era rimasta a fissare silenziosamente la scena, ancora sentiva dolore alle braccia per colpa di Draco, ma l'attimo di paura che aveva avuto quando l'aveva visto volare all'indietro glielo aveva quasi fatto scordare del tutto. Prima di avvicinarsi al ragazzo si rivolse al moro in tono gelido: «Forse i suoi poteri non bastano a farti del male. Ma ti giuro su cosa mi è più caro al mondo che se tu provi un'altra volta a sfiorarlo io ti farò rimpiangere di essere nato e di avermi conosciuta.»
Negli occhi della ragazza non c'era ironia. Solo rabbia insolita. Non era la prima volta che Malfoy veniva schiantato o si beccava qualche frattura davanti a lei, però questa volta c'era qualcosa di diverso, qualcosa che notarono anche gli altri.
La McGranitt non aveva mai visto la sua alunna più brillante e educata minacciare qualcuno, tantomeno una persona più grande e per lo più per difendere Malfoy.
Ma quando mai la normalità era alla base del giorno.
Lui e lei erano così. Un giorno si parlavano, quello dopo no. Un giorno si amavano, quello dopo no. Erano in guerra, in guerra aperta contro lo stesso nemico, che li attaccava senza sosta e tregua col sentimento della nostalgia. Perché quando qualcuno ti manca...non hai più via di scampo.
«Signor Malfoy, ci può lasciare soli per qualche minuto, dovremmo parlare con la Signorina Granger.» la donna si avvicinò alla porta, facendo educatamente segno al giovane di uscire.
Draco lanciò un'ultima sguardo alla ragazza dai capelli ricci e poi uscì dallo studio borbottando imprecazioni a destra e manca.
Appena la porta si richiuse, si accomodarono tutti sulle ormai familiarissime poltrone e iniziarono a parlare.
«Mi avete fatto saltare le prime lezioni dell'anno. Cosa dovete dirmi? E sopratutto tu — si rivolse a Dimitri — come sai di mio fratello?» iniziò Hermione, per nulla entusiasta di affrontare una qualsiasi conversazione, ma a mali estremi estremi rimedi.
«Oh. Mi scuso tanto per mio fratello, Herm.» sorrise Evangeline. «È il suo, lui può leggere i tormenti degli altri. È per questo che sa. Il mio potere per esempio è parlare con gli animali. Tu hai già scoperto il tuo?»
A parte il fatto che odiava essere chiamata Herm, la grifondoro non riusciva a sopportare Evangline. Era troppo invadete. Poi quel sorriso... La faceva sentire una nullità in confronto!
«Io... Io so controllare gli elementi.»
«Signorina Granger, penso che Evangeline non intenda i poteri da Dianica, ma bensì un nuovo potere, unico nel suo genere, che svilupperai più avanti.» spiegò la McGranitt.
La luce che entrava dalla finestra era ormai pochissima, si stava facendo buio.
«Basta chiacchiere.» tuonò l'uomo. «La ragazza verrà via con noi, domani stesso.»

Hermione non aveva parole. Domani stesso.
Domani stesso.
Domani stesso.
Quelle due parole le si ripetevano nella testa come una nenia.
Domani. Come sarebbe potuta andare via domani?
E Draco? E i suoi amici? E la questione dell'anello e il medaglione? E gli studi? E gli esami?
«NO» quelle due parole le uscirono di bocca con una velocità pazzesca, senza che neanche se ne rendesse conto era scattata in piedi. «Io non andrò da nessuna parte. Ve lo potete scordare.»
Non diede tempo agli altri di replicare che già era uscita dalla porta, andando a sbattere contro un corpo alto e snello, che le evitò anche una brutta caduta.
«Hai sentito tutto, vero?»
Non le servì nemmeno alzare lo sguardo per capire chi era la persona che la stava stringendo in quel momento. Conosceva troppo bene le sue mani affusolate, le braccia forti e quel profumo di whisky incendiario.
«Dalla prima all'ultima parola.» confermò lui, infatti.
Solo allora Hermione si decise ad alzare lo sguardo per incontrare quelle meravigliose iridi grigie che, diversamente da come si era aspettata, la guardavano con uno strano meraviglioso luccichio.
Draco prese ad accarezzarle il volto. «Va tutto bene, Granger?».
Hermione non lo fece nemmeno finire di parlare che l'aveva attirato a se per far incontrare le loro labbra. Lui rimase interdetto per qualche secondo ma poi si arrese all'insistenza della grifondoro che a quanto pareva, aveva un forte bisogno di lui. In poche parole non ci fu bisogno di pregarlo due volte perché già le sue mani si erano porzione pare saldamente sulla vita della ragazza per poterla stringere meglio e avvolgerla contro di se.
Hermione sapeva benissimo che tutto ciò che stava accadendo era estremamente sbagliato, ma sentiva davvero bisogno di staccare un po' la spina. Troppi pensieri per la sua testa. Troppe faccende da sbrigare, cose da spiegare, segreti da svelare, persone da proteggere. Al momento l'unica cosa che si sentiva in forza di fare era quello che già stava facendo; stare tra le braccia di Draco per baciarlo con tutta l'energia che aveva in corpo, anche se in cuor suo sperava che lui non capisse il motivo che animava quel suo avventato gesto.
Oh, ma Draco non era stupido, no. E se pur fosse stato stupido — tipo il Weasley — , era comunque eccellente in legilimanzia, quindi sarebbe stato un gioco da ragazzi intrufolarsi nella mente della ragazza per conoscere i suoi pensieri. Tuttavia non ce ne fu bisogno. Lui sapeva benissimo cosa passava per la testa alla bellissima grifondoro che, in quel momento, sembrava dipendere dal contatto della sua bocca.
Era una distrazione.
Ovvio.
Quando mai la Granger, la ragazza perfetta, la so-tutto-io, avrebbe abbassato talmente tanto il suo orgoglio per venirlo a cercare? Tzh. Aveva rinunciato da tempo a quell'ipotesi.
Se Hermione si "concedeva" così tutto d'un tratto a lui c'era sicuramente qualcosa dietro, qualcosa di molto grosso che da sola non sarebbe riuscita ad affrontare, almeno non con la testa carica di pensieri. E Draco almeno per una notte era dispostissimo a farglieli scomparire tutti. Per una notte sarebbe stato il suo unico pensiero.
Non si nega il proprio aiuto a una ragazza in difficoltà, giusto?
Allora, preso da una carica di eccitazione — dovuta anche al fatto che la mano di Hermione aveva raggiungo la cintura dei suoi pantaloni —, se la caricò in braccio facendole stringere le gambe attorno al suo bacino e sempre con lei, senza staccarsi dal suo collo si allontanò da quel corridoio, verso una meta ben precisa.
Se proprio doveva succedere, davanti la porta dell'ufficio della viste preside non era un posto perfetto.
«Dove stai andando?» gli domandò, senza mai staccare la testa dall'incavo del suo collo.
«In camera mia.» fu la risposta che ricevette.

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