Christmas Lights

By Sa_mmy_B_

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Maddy è sbadata, unica e follemente innamorata del suo lavoro, ma per quanto buona pensieri avversi passeggia... More

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By Sa_mmy_B_

Osservo le luci che ho usato per decorare la cornice della grande finestra della mia camera. Le luci sono gialle, e fisse, e creano infiniti bagliori dorati sui vetri creando giochi di colori strabilianti. Mi volto ed osservo la catena di luci, sempre gialla, che ho affisso da un angolo all'altro della camera, creando archi morbidi e luminosi. Le luci a forma di fiocco di neve appese qui e là per la camera. Mi alzo e percorro il corridoio illuminato da tante luci, alcune sempre di forma di fiocco di neve, altre di stella, cuore o tonda. Sulla porta ad arco, che conduce al salotto, una ghirlanda di pino impreziosita da luci e addobbi dorati la abbelliscono e inondano di luce. Sui mobili, in salotto, altre catene di luci li incorniciano e un enorme ghirlanda di pino e luci dona al caminetto un'aura magica. L'albero non molto distante è riccamente addobbato e lucente.

Sorrido e mi volto in direzione della cucina. Scosto la tenda di luci che ho appeso per dividere i due ambienti e mi dirigo alla macchinetta del caffè, me ne verso una tazza e osservo le altre catene di luci che ho messo a tutte le altre finestre di casa, le palle luminose che calano dal soffitto e alle stelle dorate.

Mi è sempre piaciuto il natale. Forse non particolarmente le riunioni di famiglia, il più delle volte eccessivamente invasive, ma quanto piuttosto l'aria che si respira in questo periodo. Il profumo di cose buone che alleggia nell'aria, la felicità e la spensieratezza che si propaga in essa. L'atmosfera romantica che si crea nei momenti speciali, l'attimo pieno di aspettative che si genera al momento di aprire i doni. La felicità sincera dei bambini raccolti intorno ai più grandi, l'innocenza del credere ancora in qualcosa che non esiste, qualcosa di mistico ma che appunto carica di speranze e gioia gli animi. E' il periodo giusto, davvero, di provare e permettersi di essere più buoni.

Riscaldo un cornetto al microonde e quando è pronto mi siedo allo sgabello dell'isola a mangiarlo, accompagnato dal caffè. Abbasso lo sguardo sul cornetto mentre con le dita ne spezzo un pezzetto e, alla sua vista, il ricordo del cibo volante mi torna alla mente. Chiudo gli occhi e scuoto la mente al senso di vergogna che da ieri sera mi accompagna e mi aleggia nel petto. Come se le avessi invocate, il cellulare inizia a suonare. Allungo il collo per vedere lo schermo del cellulare che è alle mie spalle, sul bancone, e scopro che a chiamarmi è Nicole. Scuoto ancora la testa e, incredula, non riesco a credere che si sia prestata a questo scherzo di cosi poco gusto. Kim, certo, è sempre stata quella, delle tre, col carattere esuberante e frizzante, la vivace e combina guai. Io la timida, la silenziosa che si limitava ad assistere, la riflessiva e mogia, la noiosa insomma. Ma Nicole è sempre stata quella della via di mezzo, la vivace ma al tempo stesso attenta, la brillante e seria, pragmatica, e che si unisse a Kim in un azione cosi non me l'aspettavo. E con questo pensiero, il ricordo della scorsa sera mi riporta a se come se mi tirasse mediante un filo: il filo della mia vergogna.

Dopo essermi profusa in un'infinità di scuse col proprietario del ristorante, cerco sul fondo della borsa il libretto degli assegni. Per fortuna, almeno, non ho avuto il tempo e la voglia di cambiare borsa prima di uscire altrimenti, in questo momento sarei proprio nei guai. Il proprietario non è stato preciso sulla somma dei danni e della perdita subita con i commensali in fuga subito dopo l'incidente, per cui stilo una cifra, nella speranza che non lo offenda oltremodo, ma che lo aggradi come minimo e che non provochi alle mie tasche un ammanco eccessivo. Grazie alla buon anima di uno dei camerieri, dopo aver concluso che non solo per me è stata una giornata da dimenticare, ma che l'ho anche rovinata a quel povero uomo – povero, perché ha avuto la sfiga di imbattersi in me -, con pochi sforzi da parte di entrambi sono riuscita a rimettermi in piedi. Il proprietario, quando mi ha vista, non aveva per nulla un'aria amichevole, di meno accomodante o semplicemente comprensiva; dopotutto si è trattato solo di un disgraziato incidente. A proposito dell'uomo, mi volto e lo trovo ancora al tavolo dove è stato fatto vittima da un gustoso piatto di pasta col pomodoro. Mi avvicino cauta, attenta a non scivolare sul pavimento oleoso e sporco, e lo affianco.

- Spero solo che domani abbiano il tempo di incontrarci di nuovo, o questo affare si prolungherà chissà per quanto – sento parlare la mia vittima rivolto ad uno dei commensali, probabilmente un suo amico; dal tralcio di conversazione che odo comprendo che questa fosse una cena d'affari. Oddio!

- Mi scusi?

Le spalle dell'uomo si irrigidiscono, ma non si volta a guardarmi come invece, differentemente, fa l'amico che mi rivolge un sorriso dispiaciuto e divertito. Almeno qualcuno si è fatto una grassa risata da tutto questo, bene!

- Senta, non ho parole per esprimerle il mio dispiacere. Sono vergognosamente affranta per l'accaduto. – Continua a darmi le spalle e il sorriso dell'amico si smorza un po': forse si sta rendendo conto che io non mi sono divertita molto. La sua rigidità e il suo silenzio mi mettono ancora più in agitazione, non so che fare. Ma perché poi non si gira? – Senta ... - rovisto nella borsa alla ricerca del mio portafogli e da uno dei taschini interni ne estraggo un mio biglietto da visita, - ... lo so che non è niente quanto le sto offrendo, soprattutto misurato alla figuraccia che le ho fatto fare, al tempo che le ho fatto perdere e alla cena non consumata, ma mi permetta almeno di ripagarle il danno agli abiti. Qui c'è il mio recapito telefonico, mi chiami quando avrà il conto dalla lavanderia. – Continua a non muoversi cosi allungo il braccio e gli posiziono il biglietto davanti, sul tavolo. - Vorrei provare a porre riparo al mio sbaglio anche se so che non è niente in confronto all'accaduto.

A queste parole mi lancia uno sguardo di ghiaccio oltre la sua spalla. – Sì, non è niente.

Non aggiunge altro e io, sempre più in preda alla nausea e alla vergogna, mi volto e mi appresto ad attraversare questo campo di guerra. Alla cassa scorgo uno scrigno di legno con su inciso " Mance ". Prima di uscire rifilo una banconota da cinquanta nella cassetta ed esco.

Scuoto ancora una volta la testa e, per la millesima volta, mi sento le guancie in fiamme per la vergogna che ho provato. Mi sento male e vorrei decisamente seppellirmi da qualche parte e non uscire mai più.

Il cellulare suona di nuovo, ma stavolta è il trillo dei messaggi. Lo afferro e scorro il pollice sullo schermo per sbloccarlo, e leggo. Noto con sollievo che non è da parte di quelle due traditrici bensì dall'amore del mio cuginetto, Gabe.

Fin dall'età di sei anni ho amato la boutique di abiti da sposa di mia zia Clare. Sorella inseparabile di mia madre, mia zia Clare è stata la musa della mia vocazione: dare l'opportunità alle future spose di trovare il loro abito principesco o comunque dei loro sogni. Lei era gentile, dolce e sempre pronta a elargire buone parole e buoni consigli. Era passionale, e se voleva abbracciarti, anche in mezzo alla strada o ad una stanza piena di persone, lei lo faceva, ti tirava per un braccio e ti stritolava tra le sue. Donava sempre carezze, e quando ero piccola degli squisiti cioccolatini al cioccolato fondente. E' anche a lei che dovevo il merito delle mie curve esageratamente prosperose in gioventù, non faceva altro che rimpinzarmi continuamente. Amavo stare con lei e trascorrere i pomeriggi alla boutique e, ovviamente, è stato breve il passo che mi separava dall'amare Gabe. Zia Clare, purtroppo, dopo Gabe, avendo perso il marito per un infarto di cuore dopo pochi anni di nascita dal mio adorato cugino, e non essendosi mai più risposata, non ha più avuto altri figli. Essendo quindi Gabe figlio unico è sempre stato felicissimo di passare il tempo con me e mia sorella Mina, almeno finché non le sono spuntate le tette e la preferenza della compagnia maschile alla nostra, di conseguenza il nostro rapporto è sempre stato come quello di due fratelli. Siamo quindi cresciuti insieme, abbiamo trascorso i pomeriggi di inverno in compagnia di sua madre tra gli abiti da sposa e quelli d'estate ai parchi vicino casa nostra. Siamo sempre stati legati e, anche se alla fine ci siamo divisi prendendo due strade diverse, il nostro legame non è mai cambiato né tantomeno mai spezzato. Anche se, sia io che sua madre, pensavamo che alla fine anche lui si sarebbe unito a noi nel lavoro alla boutique, alla fine invece scelse di tentare la carriera del modello quando gli venne offerto un incarico alla giovane età di diciassette anni. Da allora non ha mai più smesso e qualche volta mi capita anche di vederlo sbucare in qualche pubblicità alla tivù, o in una parte in qualche film del cinema.

La cosa che ho sempre apprezzato- amato di Gabe è stato il fatto di non essersi mai venduto, eccetto che per la sua immagine, di essere rimasto sempre se stesso e di aver conservato con gelosia e amore gli insegnamenti e i principi che sua madre gli ha lasciato; l'umiltà continua ad essere una sua meravigliosa peculiarità. Ci sentiamo continuamente, più volte alla settimana, e quando poi torna a casa non manca mai di chiamarmi e chiedermi di vederci per stare insieme.

Vedere il suo nome mi illumina e le parole che mi ha scritto mi riscaldano il cuore. E' tornato e stasera vuole vedermi. Non potevo chiedere di meglio per risollevarmi definitivamente il morale.

                                ***

Edward 

La risata di Jensen mi riscuote dai miei pensieri. – Non ci credo!- Lo guardo e lui mi indica il bancone del bar disposto in basso dalla pedana su cui ci siamo seduti, sulla mia destra; mi indica Clark che è andato ad ordinare il bis dei nostri boccali di birra. E' appoggiato al bancone su un gomito, ma è rivolto, con l'altro braccio aperto, verso una ragazza seduta su uno sgabello proprio accanto a lui. Non riesco a vedere molto del suo viso, per lo più mi rivolge le spalle, ma da quello che riesco a vedere dal profilo deve essere graziosa con un naso piccolino e dritto; il profilo delle labbra è generoso e dunque deduco che siano belle carnose, gli occhi, credo, scuri, non riesco a vederne bene il colore, ma sono di sicuro a mandorla, bellissimi. Quello che riesco a vedere perfettamente è la sua vita sottile e la massa voluminosa di capelli che le cadono lunghi sulla schiena. Sono del colore delle nocciole e sono pettinati in morbide e seducenti onde.

Per un attimo incrocia lo sguardo del barista, che a sua volta la guarda in modo sconcertato e curioso, poi si volta verso Clark e accenna un lieve sorriso dicendogli qualcosa, e in quel momento riesco a vedere meglio il suo viso. Jensen deve leggermi la sorpresa che provo dipintami sul volto perché scoppia a ridere di nuovo.

- Clark non sa che corre il rischio che quel bicchiere d'acqua possa finirgli addosso. Che dici, andiamo ad avvertirlo?- mi sfotte. Infame! Ieri sera, finché non l'ho gettato fuori dall'auto una volta arrivati davanti al suo appartamento, non ha fatto altro che prendermi in giro per ciò che era avvenuto al ristorante.

Torno a fissare la ragazza e in quel momento la sua immagine si profila cosi distante dalla persona di ieri, sembra un'altra.

Una pacca cade su una spalla di Clark che lo fa immediatamente retrocedere, afferrare le pinte e tornare da noi. Osservo il nuovo arrivato prendere la posizione che occupava solo pochi istanti prima il mio amico e rivolgersi verso la ragazza. In un baleno lei scatta in piedi dallo sgabello e con un piccolo salto gli si lancia addosso circondandogli il collo con le braccia. Lui di rimando le cinge subita la vita piccola e la solleva dal pavimento. Le dice qualcosa perché lei getta il capo all'indietro in una risata, si vede, felice. Le bacia il collo e lei lo fissa negli occhi. L'affetto tra i due è cosi vero che riesco a sentirlo, a vederlo, e so che se osassi alzare un dito, riuscirei anche a toccarlo. Lei si allunga e gli imprime un dolce bacio sulla guancia. Una lieve fitta mi guizza fulminea nel petto e non so come decifrarla, che significato attribuirle. E' forse delusione? E perché?

Jensen mi riporta al tavolo, al mio nuovo boccale di pinta.- Non hai idea di cosa ti sei schivato, Clark!

- Cioè, intendi la sventola? Perché la conosci?- gli chiede l'altro.

- Non io, Eddy. Ma più che conoscere direi che ne è stato travolto.

Il bastardo sta sghignazzando di nuovo. Infame!

- Aspetta, vuoi dire che lei è "l'uragano Catrina "? Davvero, Ed?

Adesso ridono apertamente di me e della mia disavventura. Afferro il boccale e ne bevo un sorso, ma con la coda dell'occhio, non riesco ad evitarlo, lancio un'occhiata alla ragazza al bar. E' seduta e sorride felicemente al ragazzo e ascolta attenta lo scambio di battute che si scambia col barista. Evidentemente si conoscono i due uomini, e questo forse spiega anche l'occhiata che prima il barista le aveva lanciato quando Clark la importunava: sapeva che è impegnata e probabilmente si chiedeva quando avrebbe liquidato quell'idiota del mio amico. Ancora non mi riesce decifrare il colore dei suoi occhi, ma adesso riesco a scorgere le rotondità abbondanti e sode dei suoi seni, il ventre piatto sottolineati dal maglioncino attillato, e le gambe fasciate in un paio di jeans chiari aderenti. Ha un fascino ammaliante, ma di questo non sono stupito. Nonostante le circostanze che ieri ci hanno visto travolti, avevo comunque avuto modo di notarlo. E' bella. Solleva una mano e con le dita scosta un ciuffo di capelli caduto sulla fronte del ragazzo; nel ritrarla lui l'afferra e ne bacia le dita. Distolgo immediatamente lo sguardo e cerco di concentrarmi sui ragazzi.

- Eddy, sono profondamente deluso. Se io mi fossi trovato una tipa cosi ai piedi, le avrei chiesto in tutti i modi e le lingue del mondo di non muoversi dal pavimento e di iniziare a ripulirmi i vestiti con quella sua carnosa bocca e quella linguetta rosa, soprattutto sul rigonfiamento– commenta Clark, facendo ridere Jensen.

- Sei disgustoso – gli dico, e sono sincero. Lei non è tipo da mettere in ginocchio, semmai il contrario, è quel tipo dinanzi a cui dovresti prostrarti. Cosa? Ma che ... Meglio non indagare su simili pensieri. Avvicino ancora il boccale e stavolta mi faccio una lunga sorsata.

- Non devi dirgli certe cose, vedi? Gli hai fatto seccare la bocca – ribatte Jensen e riprendono a ridere ancora più forte di prima come due idioti.

- Scusate forse ho frainteso la ragione di questo incontro, e cioè di rilassarci e divertirci. Non avevo capito che questo incontro fosse finalizzato a prendermi per il culo.

Infilo la mano nella tasca interna del giubbotto e ne estraggo il portafogli.

- Oh, andiamo, quanto sei polemico, stavamo scherzando.

- Dai, Eddy, stavamo solo cercando di farci due risate.

- Dalle mie disavventure.

- Andiamo, devi essere sincero però, almeno uragano è bellissima. Fossi stato in te, già ieri mattina, quando ti è venuta addosso, io le sarei corso dietro e le avrei chiesto di farmi suo schiavo. E' bellissima, amico! - Tenta di rabbonirmi Clark.

- Concordo- Jensen gli da man forte, ed entrambi si voltano verso la persona in discussione, e non posso evitare di farlo anch'io.

Lui si è appena voltato verso di lei che parla al barista e si china a darle un lungo bacio sulla fronte e poi a sussurrarle qualcosa all'orecchio.

- Che fortuna!- afferma Jensen.

- Già. Ho però la sensazione di averlo già visto- gli risponde Clark.

E allora mi dedico ad osservare seriamente l'uomo: è alto quanto me, un metro e ottanta più o meno; ha un fisico atletico e asciutto; il colore dei suoi occhi riesco a distinguerlo perché sono del colore del ghiaccio; i lineamenti del viso sono definiti e la carnagione dorata e i capelli biondi gli trasmettono un aspetto piacente. Mi soffermo qualche altro istante sul suo volto e la sensazione di averlo già visto striscia anche dentro di me. Ma dove?

Lo vedo stringere la mano al barista e, subito dopo, quest'ultimo sporgersi sul bancone per andare incontro con la guancia protesa alle labbra di lei, che si sporge sul banco mettendo in mostra il suo fondoschiena sodo. Perfetto. Si volta, raccoglie le sue cose dallo sgabello e circondata da un braccio di lui si incamminano verso l'uscita.

- E cosi passò "l'uragano Catrina "- sfotte Clark, e riprendono entrambi a ridere. Infami!

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