Lasciate ogni speranza voi ch...

Door Itsmeloca94

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Francesco è un ragazzo normale, che frequenta le superiori, passa ore e ore incollato allo smartphone e sbava... Meer

Primo capitolo
Secondo capitolo
Terzo capitolo

Quarto capitolo

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Door Itsmeloca94


"Or discendiam qua giù nel cieco mondo,"
cominciò Mark tutto smorto.
Io sarò primo e tu sarai secondo"


Mi risvegliai su una panchina situata su un marciapiede.
Il cielo non era più così cupo come prima, ma nemmeno soleggiato, possiamo dire che era annuvolato, molto annuvolato, come se una coltre di fumo perenne avesse velato il sole.
Di fronte a me avevo una colonna d'auto ferme a un semaforo che ben presto divenne verde. Erano auto abbastanza vecchie, modelli ormai fuori produzione da anni. Un taxista, situato in seconda posizione, se volessimo vedere il tutto come una gara automobilistica, urlò al conducente della macchina davanti di muoversi, accompagnando alle grida suonate di clacson. A suo dire infatti non aveva tutto il giorno da perdere. In risposta ottenne una mano alzata in segno di scusa, il signore, che a quanto potevo vedere era un uomo sulla quarantina, partì, seguito a ruota dal taxista e da tutte le auto incolonnate dietro di loro.
I palazzi che avevo davanti sembravano degli enormi casermoni tipici della Russia sovietica. Erano grigi, scuri, ricoperti da una sottile patina di smog caratteristica degli edifici che si affacciano su strade trafficate, molto probabilmente ne caratterizzava il colore. Sembrava una di quelle grandi metropoli asiatiche che si vedono nei notiziari. Si percepiva che quella non doveva essere la loro colorazione originale infatti, chissà quale fosse. Molto probabilmente non lo avrei saputo mai.
"Come pensavo, era tutto un sogno" dissi tra me e me "Mentre tornavo a casa devo essermi fermato su una panchina a riposare un attimo e si sa, da cosa nasce cosa e sono finito per l'essermi addormentato".
"Peccato, iniziava a piacermi quel sogno. Ora devo capire dove sono però".
Mi alzai di scatto dalla panchina e PUM.
Mi scontrai con una ragazza. Tutto ciò che aveva in mano le cadde per terra.
"Scusami, non volevo" furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.
"Sta' un po' attento! Ma dove hai la testa? Sulle nuvole?" mi rispose in modo comprensibilmente stizzito mentre si chinava per raccogliere ciò che le era caduto.
"Ti aiuto a raccogliere", era la sola cosa che potessi fare alla fine.

Raccolsi un libro di italiano, un romanzo di Spielberg e un walkman.
Quanto tempo che non vedevo un walkman, pensavo che la gente non li usasse più dopo la venuta di Mp3 e iPod.
Mi incuriosiva quell'oggetto, anche io da piccolo ne avevo uno, poi all'età di dodici anni mi regalarono un lettore mp3 e finì in pensione in soffitta insieme agli oggetti che non utilizzo più, dev'essere ancora lassù in qualche scatolone.
"Che c'è? Non hai mai visto un walkman?" mi disse sempre in modo irritato.
Me lo strappò di mano insieme ai due libri.
"E già il secondo che compro, spero che non si sia danneggiato con la caduta".
Lo guardò per qualche secondo accertandosi che non avesse subito dei graffi. "Ora scusami ma me ne devo andare. Ciao" e riprese il cammino nella direzione opposta da cui era venuta.
"Ciao anche a te" le risposi. Era già di spalle e a diversi metri da me. Si dirigeva a gran velocità verso la sua destinazione. "Scusami ancora, non volevo. Nel caso si fosse rotto scrivimi su Facebook che te lo ripago, sono Francesco Rossi".
Si fermò per qualche secondo, si voltò verso di me, fece una strana espressione come se le avessi detto qualcosa a lei ignoto e riprese il suo cammino. La osservai per qualche istante. Era una ragazza abbastanza alta, bionda, capelli lunghi fino alle spalle tenuti però con molta cura, sembravano dei fili elettrici disposti con attenzione e maestria uno accanto all'altro da qualche tecnico molto esperto. A suo modo sembrava avere una personalità prorompente anche se ci avevo parlato davvero pochissimo e non era il caso di giudicarla così, alla prima occhiata. Sarà che ho una specie di fissa per quelle che non mi filano, chissà, se andassi da uno psicologo mi direbbe che ho una malata inclinazione per le sfide perse in partenza. Vedi Martina.

"Peccato, era molto carina" pensai tra me e me.
"Non posso lasciarti un attimo da solo che combini subito dei guai."
La voce proveniva da dietro di me, mi girai di scatto. Conoscevo quella voce, aveva lo stesso tono e la stessa inflessione insofferente di un professore che bacchetta i suoi alunni insolenti per l'ennesima volta.
"MARK?!" Esclamai.
"Che c'è? Sei sorpreso di vedermi?"
"Io, io pensavo di essermi svegliato, cioè io pensavo che alla fine fosse tutto un sogno e che ero di nuovo nella mia città cioè capisci... non pensavo che tutto ciò fosse vero, cioè io..."
"Ancora con questa storia del sogno?" mi interruppe lui, accennando il solito sorriso.
"Cos'è che non ti è ancora chiaro del fatto che non stai sognando e che è tutto reale?"
Rimasi in silenzio per qualche secondo. "Hai ragione, pensavo di essere tornato nella mia città, tutto qui."
"Tua città?"
"Sì."
"Ti pare la tua città questa?"
"In effetti no, sembra molto più vecchia."
"Esatto, perché questa non è la tua città. Siamo nel Limbo."
"Limbo?" domandai perplesso ."Immagino proprio che non sia la danza dove devi passare sotto un bastone..."

Mi lanciò una strana occhiata.
"No, il Limbo è quella zona dell'inferno dei Social Network dove stazionano le anime meritevoli morte prima dell'avvento dei Social. Coloro quindi che non hanno mai avuto un profilo su qualsiasi piattaforma online."
"Ecco perché mi sembrava tutto così antiquato qua. Le case, le macchine, una ragazza con il walkman."
"Vieni, seguimi, ora dobbiamo proseguire, hai dormito fin troppo e hai fatto saltare tutta la tabella di marcia."
"Dove siamo diretti?" gli chiesi.
"Te l'ho già detto, dobbiamo continuare il nostro viaggio." E per l'ennesima volta non mi restava altro che seguirlo.
Proseguimmo percorrendo tutto il marciapiede per una decina di minuti, a un incrocio svoltammo a destra, camminammo ancora per altri cinque minuti fino ad arrivare a una fermata dell'autobus.
Mark si sedette sulla panchina, dopodiché si rivolse a me: "Tra un minuto dovrebbe arrivare".
"Che cosa?"
"Che cosa potrebbe mai arrivare a una fermata di un autobus? Un elicottero?"
"Perché no? Ha molto senso invece uscire da scuola, perdersi, e ritrovarsi a vagare per gli inferi vero?"
"Ha molto senso invece perdersi per una strada che fai tutte le mattine, sei giorni alla settimana, da circa quattro anni vero?"
"Ha molto senso invece portare una tunica nel 2014?"
"Sicuramente ha più senso che cambiare gli abiti ogni anno e il proprio stile solo per seguire le mode, non trovi?"
Era riuscito a zittirmi, effettivamente non aveva tutti i torti.
1-1.
Mentre ancora ripensavo a come mi avesse chiuso con l'ultima frase, arrivò il pullman.
Mark salì per primo, io per secondo.
L'autobus era pieno ma nonostante tutto riuscimmo a trovare due posti vicini e a sederci. Le porte si chiusero e quell'enorme ammasso di ferraglia ripartì sbuffando. Doveva essere in servizio da molto tempo, i sedili erano sgualciti e di vecchia fattura, la plastica che ricopriva il corridoio in molti punti increspata, contro ogni mia aspettativa però era molto pulito, i finestrini erano lindi, non vi era alcuna cartaccia per terra o una briciola sui sedili. Nella sua vecchiaia era comunque un mezzo più che dignitoso.
Nessuno su quell'autobus parlava, erano tutti intenti a farsi i cazzi loro.
Chi leggeva il giornale, chi un libro, chi ascoltava la musica, chi ancora si gustava il viaggio guardando fuori dal finestrino la città circostante. Cosa avessero da osservare non lo so dato che era tutto un susseguirsi di palazzi grigi uguali tra loro. Sembrava che fossero stati progettati da un unico architetto e che quest'ultimo avesse usato uno stampo per produrli in serie, uno dietro l'altro, uno accanto all'altro e così via. Un po' come quando da bambino utilizzi secchiello e paletta per costruire un castello di sabbia sul bagnasciuga. Le torri di questo castello saranno sempre uguali dato che la forma gli è conferita da quell'unico secchiello che utilizzi per ciascuna di esse.
"Posso chiederti una cosa?" gli dissi spezzando il nostro silenzio.
"Aspetta un attimo" mi disse.
Si girò e con la mano destra batté delicatamente due colpetti sulla spalla del ragazzo che era seduto dietro di noi.
Questo sorpreso tolse le cuffie attaccate al walkman.
"Posso chiederti un favore?"
"Mi dica."
"Puoi abbassare il volume della musica? È molto fastidioso, soprattutto in un ambiente chiuso come questo."
"Certamente, mi scusi"
Il ragazzo abbassò il volume della musica, irritato.
Mark si rigirò. "Scusami ma è una cosa che mi dà fastidio."
"Uhm" mugugnai, cercando di rimanere abbastanza neutrale sulla questione. In realtà io ero proprio uno di quelli che si pianta gli auricolari nella tromba di eustachio al massimo volume.
"In realtà era buona musica, Pink Floyd per l'esattezza."
"Band che ascolta mio padre, roba vecchia per vecchi."
Mark mi lanciò un'occhiataccia.
"Aldilà dei tuoi pessimi gusti musicali, quel ragazzo poteva ascoltare anche il cantante che più ti piace, solo che sentire la musica che fuoriesce da quelle cuffie in questo modo equivale a percepirne solo una parte di essa. Risultando alle nostre orecchie come fonte di disturbo."
Mark sospirò. Certo che era veramente un precisino da lasciare secca la Signorina Rottermeier e tutto il gregge del Vecchio dell'Alpe.
"Lasciamo stare. Torniamo a noi: che volevi dirmi?"
"Come mai nessuno parla qua dentro?"
"E che dovrebbero dirsi degli sconosciuti?"
"Non saprei, una volta non si comunicava maggiormente l'un con l'altro?"
"E chi te l'ha detta questa cosa?"
"Mia mamma. Mi ripete ogni giorno che i social network ci hanno rovinato. Spesso quando viene una sua amica a casa a trovarci e mi vede con il telefono in mano le dice sempre la solita frase: "Questi ragazzi sono sempre attaccati a questi marchingegni, Facebook, Twitter, YouTube, non socializzano più, ai nostri tempi era diverso, si parlava tra di noi."
Mark si rilassò sul sedile, poi di colpo prese a parlare. "E tu ci credi?"
"Be', io non c'ero ai suoi tempi, magari ha ragione lei."
"Non è così. Non è che l'uomo ha smesso di comunicare per colpa dei Social Network. Semplicemente non gliene è mai fregato nulla dell'altro.
"Perché mai una persona dovrebbe mettersi a chiacchierare con chi non conosce?
Con buona pace di Socrate, l'uomo non è per nulla un'animale sociale anzi, tutt'altro. È difficile che si metta a parlare di sua spontanea volontà con uno sconosciuto, pochissime persone lo fanno e quando lo fanno be', non succede come nei film che attaccano a raccontare tutta la loro vita per filo e per segno e magari scoppia pure il grande amore.
"Guarda tutte queste persone: chi legge, chi dorme, chi ascolta la musica. Ognuno sta facendo qualcosa. Tutto fuorché comunicare con il suo vicino.
"Se prendo un pullman domani mattina in qualsiasi Paese del mondo civilizzato vedrò sostanzialmente le stesse scene: ovvero persone che si fanno i cavoli loro.
Non vedrò persone con un libro in mano ma magari con un tablet, non vedrò un ragazzo con un giornale in mano ma magari con un telefono intento a rispondere a un messaggio o a controllare la casella di posta elettronica.
"Insomma, l'unica cosa che cambia è ciò che viene utilizzato per isolarsi. Ma nemmeno isolarsi sarebbe il termine corretto, diciamo più che altro per passare il tempo in attesa di arrivare a destinazione. Cambia lo strumento, non di certo lo spirito di condivisione con l'altro."

Presi dallo zaino il quaderno di italiano e una penna blu dall'astuccio.
"Non è che puoi scrivermelo sul quaderno? Almeno saprò cosa rispondere a mia mamma la prossima volta che me lo dirà."
Mark scosse la testa sconsolato
"Non me lo scrivi vero?"
Poi mi mise l'indice della mano sinistra sulla fronte e iniziò a picchiettare con cadenza regolare.
"Guarda che quello che hai qua dentro non serve soltanto per ricordarti i testi delle canzoni sai?"
Rimisi il quaderno e la penna nello zaino e lo chiusi un po' deluso.
L'autobus fece una fermata e una dozzina di persone scesero dal pullman.
"Anzi sai che ti dico?"
"Che mi scrivi ciò che hai detto prima?"
"NO. Ma sei proprio testardo sai?"
"Peccato."
"I social network non hanno rovinato il modo di socializzare delle persone, lo hanno semplicemente modificato. E sotto certi aspetti l'hanno anche migliorato. Pensaci."
Mentre pronunciava questa parola si mise di lato verso di me.
"Parlare con una persona non dal vivo, attraverso quindi un messaggio mandato su Facebook, porta ad abbattere una certa barriera che potremmo definire di vergogna.
Ti è mai capitato di parlare per ore con una persona in chat e poi dal vivo non dirgli niente oltre che un ciao?"
"Sì, un mucchio di volte." Non che io sia timido ma sostanzialmente avvicinarsi ad una persona attraverso una chat ti risparmia un sacco di sbattimenti! Intanto puoi pensare per bene a cosa dire e come dirlo prima di scriverlo effettivamente!

"Ecco, è questo che intendo.
Da dietro un computer o un cellulare, è più facile a volte comunicare. Non c'èquell'imbarazzo che c'è dal vivo, quella cosa che ti blocca e ti impedisce diparlare specie alle prime volte.
Altra cosa, hai mai iniziato a parlare con una persona su una chat e poi sietediventati amici anche nella via reale?"
"Ovviamente" risposi.
"Se non esistessero i social magari con questa persona nemmeno ci parlerestiora e avresti un amico in meno.
Quando ti connetti a Facebook vedi ciò che uno pubblica. E in base a ciò chepubblica conosci i suoi interessi e i suoi gusti. Se ciò che pubblica tiaggrada si inizia prima con un mi piace e poi si finisce inevitabilmente aparlarne in chat.
Ed ecco così che hai conosciuto una nuova persona con interessi simili ai tuoi.Una persona che magari nella vita di tutti i giorni ignoreresti, nessunoinfatti va in giro con un biglietto attaccato sulla fronte con scritto ciò chegli piace.
Vogliamo ancora dire che i social hanno rovinato il modo di socializzare? A mioavviso non l'hanno rovinato, l'hanno modificato e se proprio vogliamo esagerarel'hanno anche migliorato, l'hanno reso più selettivo ed efficace"
Finì di parlarle e si rimise a sedere in modo composto.
"Nemmeno questo hai voglia di scrivermelo vero?"
Non si degnò nemmeno di rispondermi.
L'autobus continuò il suo viaggio.
Ogni quindici minuti circa faceva una fermata e alcune persone scendevano. Pianpiano il pullman iniziò a svuotarsi.
Ormai eravamo su quel rottame da circa due ore e oltre a noi rimanevanosoltanto altre quattro persone.
"Per quanto tempo dovremo rimanere con il culo attaccato a questo sedile? Nonce la faccio più" borbottai.
"Smettila di lamentarti, riposati piuttosto che ne avrai bisogno."
"Quanto manca ancora?"
"Un po'."
Fece un'altra fermata. Tutte le persone rimanenti scesero. Oramai sull'autobusrestavano solo tre persone: noi due e l'autista.
"Scendiamo anche noi vero?"
"No, la nostra fermata è la prossima."
"Ma sono scesi tutti" protestai.
"E quindi? Se sei su un autobus e questo si svuota alla fermata prima della tuascendi anche tu per non rimanere solo?"
"No."
"E allora."
La ferraglia sbuffò nuovamente e ripartì, dietro di sé lasciò una sciagrigiastra di fumo tipica dei mezzi in uso ormai da troppo tempo, una vera epropria colata di anidride carbonica e polveri sottili fatale a qualsiasi esserevivente dai polmoni fragili.
Cinque minuti dopo esser ripartiti Mark si addormentò.
"Bene" dissi a denti stretti, "mi ha abbandonato anche lui."
Iniziai a guardare fuori dal finestrino ma quel susseguirsi di case uguali ealberi posti tutti alla stessa distanza l'uno dall'altro mi diede noia.
Stavo quasi per raggiungere Zuckerberg tra le braccia di Morfeo quando all'improvvisoscrutai in lontananza, attraverso il parabrezza dell'autobus, una lineadrittissima che squarciava perpendicolarmente la strada e proseguiva inentrambe le direzioni. Rimasi immobile, a bocca aperta.
Aldilà di essa il buio più totale, il grigio del cielo che ci avevaaccompagnato fino a quel momento cessava andando a creare così un nettocontrasto con il cielo nero pece che vi era aldilà di quella linea. Non vi erapiù nulla di ciò che aveva caratterizzato il paesaggio fino a un momento prima.Nessuna casa, nessun albero. Sembrava che la terra fosse stata divisa in dueparti, come se qualcuno avesse deciso di dividere a metà un foglio con unamatita e un righello, e avesse poi colorato la metà sulla destra con dellatempera nera. Da una parte, quella dove eravamo noi, la vita, dall'altra parte,il nulla.
"Mark! Mark!" urlai, gli diedi due gomitate per cercare di svegliarlo,"svegliati Mark!"
"Che c'è che c'è!" disse biascicando mentre apriva gli occhi, ancoraun po' intontito.
"Guarda! guarda là. Cos'è quella linea che divide tutto? Come mai aldilànon c'è più nulla? Come mai è tutto buio?" chiesi riuscendo a mala pena ascandire una parola dall'altra, con un leggero tremolio.
"Oh bene, ci siamo quasi" disse con aria soddisfatta.
Mi voltai verso di lui di scatto.
"Stiamo per uscire dal limbo, quella linea ne delimita il confine. Da lìin poi dovremo proseguire a piedi."
"Per andare dove?"
"Ancora? Che domande... per continuare il nostro viaggio, mi pare ovvio, saidi essere un ragazzo ripetitivo vero? Ti avevo detto di riposarti finchépotevi."
Fu una doccia gelata per me.
Pian piano, metro dopo metro, avanzavamo verso quello che per me era l'ignoto.Non sapevo bene cosa aspettarmi ma tutto ciò che i miei occhi potevano vederenon faceva presagire nulla di buono.
L'autista si fermò a un metro da quel confine, tirò il freno a mano, si alzòdalla sua postazione, si girò verso di noi e ci disse: "Questa è l'ultimafermata, oltre non posso andare, spero che abbiate gradito il viaggio."
"Grazie di tutto, ora scendiamo" gli rispose Mark.
Mark fu il primo a scendere, io il secondo. Sul limite dei due mondi vi era uncartello, scritta bianca su sfondo verde: "Limbo, arrivederci."
Le porte dell'autobus si chiusero, l'autista fece un'inversione a U e iniziò ilsuo viaggio di ritorno, lo fissai.
Dopo circa un minuto non ne rimaneva che un puntino in lontananza dal quale siinnalzava una colonna di fumo. Chissà per quanto sarebbe andato avanti ainquinare quella piccola porzione di inferno. Anche questo, così come per lacolorazione delle case, non l'avrei mai saputo.
C'era una cosa però che non mi era chiara e la chiesi subito a Mark,"Perché non ci ha portato oltre questa linea?"
"Perché non può andare oltre, te l'ha detto anche il conducente prima, nonricordi?"
"Sì ma che gli costava alla fine?"
"Gli abitanti del Limbo sono confinati nel Limbo, oltre non possono andaree non ci vanno."
"E mai nessun abitante ha provato a oltrepassarlo prima?"
"Certamente, ma più nessuno è mai tornato."
"Non è un buon motivo per non riprovarci, non trovi? E comunque non èmolto confortante sapere che stiamo andando in un posto da cui più nessuno ètornato."
"Se vivi in un mondo in cui ti trovi bene, basato sulla normalità e sulsusseguirsi di eventi che ti piacciono perché dovresti andartene? Soprattuttose sai che chi ha provato ad andare oltre poi non è più tornato.
"Hai mai visto dei pesci rinunciare alla tranquillità del loro acquario esaltare fuori da esso? No, e alcuni potrebbero benissimo farlo, non tutti, maalcune specie sì. Noi sappiamo che morirebbero, loro no, eppure è raro che unpesce decida di compiere questo atto. Si trovano bene nell'acquario e lìdecidono di passare la loro vita.
Se mettessimo un acquario nel mare, con la superficie del primo a pari livellocon la superficie del secondo, nemmeno in tal caso un pesce si azzarderebbe ascappare, a scavalcare il vetro dell'acquario. Magari troverebbe una vitamigliore, magari peggiore, chi lo sa. Sta di fatto che per via di quella sceltanon lo saprà mai.
E se ci pensi questo succede tutti i giorni anche nel mondo dei vivi. In moltisi accontentano di vivere nel loro acquario, lì stanno bene, sono al sicuro,non ci sono predatori e ogni giorno dall'alto gli arriva il cibo. Però sai cheti perdi nel non poter osservare con i tuoi occhi la bellezza dei fondalimarini e della barriera corallina?
Gli abitanti del Limbo sono sì delle anime che stanno all'inferno ma adifferenza degli altri non hanno colpe.
"Per questo non subiscono punizioni e hanno una città in cui si trovano bene enon gli manca nulla. Nemmeno sanno di essere morti, non hanno ricordi dellaloro vita precedente, per loro questa è la normalità."
Appena finì di parlare Mark iniziò a camminare e oltrepassò quella linea, poisi voltò verso di me e mi disse: "Ora continuiamo il viaggio e scenderemo nelcieco mondo, seguimi".
Fissai per l'ultima volta il cartello.
"Addio Limbo, spero proprio che questo non sia un arrivederci"pensai.
Feci due passi, superai il cartello, abbandonai il Limbo ed entrai anch'io nelbuio.


L'anteprima finisce qui, potete trovare Lasciate ogni speranza voi che taggate in tutte le librerie e su Amazon, si in versione cartacea si in book.
Buona lettura.

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