Legati dal passato

By AleLVerde

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Dylan è un semplice ragazzo che vive in un villaggio del Wisconsin. I suoi giorni sono segnati da episodi di... More

Legati dal passato
Per tutti
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Avviso
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Epilogo
Spazio all'autrice
Nuovo libro!
Secondo ed ultimo avviso
Libro completo
Semplice parere

Capitolo 18

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By AleLVerde

Sentì il telefono squillare per l'ennesima volta, allora lo prese e controllò chi questa volta la stesse cercando. Sullo schermo apparve il nome del redattore Smith che voleva sicuramente delle informazioni e sapere a che punto fosse con il lavoro. Non aveva voglia di parlare con lui, ma soprattutto non aveva voglia di parlare con nessuno. Quando Smith si rassegnò, Holly iniziò a chiamare imperterrita, ma nemmeno lei ricevette risposta. Sbuffando allora decise di spegnere il telefono, quando ricevette la chiamata di sua madre. Così accettò, almeno con lei doveva parlare.
«Pronto?» rispose a bassa voce.
«Samantha! Ma che fine hai fatto? E' da tanto che non abbiamo tue notizie.»
«Lavoro mamma, non posso stare tutto il giorno al telefono.»
«Lo so, ma almeno puoi farci sapere come stai?»
«Come sto?» fece un sorriso guardandosi attorno. La tavola della cucina era stracolma di bottiglie di birra e quella che stava bevendo era la nona o la decima, aveva perso il conto. «Sto..bene.» ridacchiò.
«A me non sembra. Non è che stai bevendo?»
«Mamma, sono molto impegnata e sinceramente non voglio parlare con nessuno.»
«Non vuoi parlare con nessuno? Che diavolo stai facendo Sam?» urlò dall'altro capo del telefono Holly.
«Holly? Adesso tu e mia madre fate dei pigiama party senza di me?» tracannò un'altra bottiglia.
«Sai che Smith mi sta col fiato sul collo? Mi chiede ogni giorno che fine ha fatto il tuo articolo e quale decisione hai preso. Mancano pochi giorni all'uscita della nuova rivista!»
«Ha detto che se perde me è una fortuna.»
«Che cosa vuoi dire? Non vuoi scrivere..»
«Sto scrivendo! Sto scrivendo! Voglio solo essere lasciata in pace!» urlò innervosita, chiudendo la chiamata.
Spense il telefono gettandolo per terra. Prese due bottiglie di birra e si spostò sulla poltrona. Si portò la bottiglia alla bocca ripensando al rifiuto di Dylan. Si era spinta oltre, aveva trovato il coraggio di accantonare il lavoro, le sue intenzioni e stava per fare un passo importante, quando quello stupido era rimasto immobile e l'aveva respinta. Quanto poteva essere sembrata stupida ai suoi occhi? Adesso era dell'idea che l'attrazione che provava verso lui era solo a senso unico e che nel suo cuore non c'era un posto per lei, nemmeno un angolino.
Era occupato sicuramente da qualcun altro, ma da chi? Da quella Potty? pensò, e perché non era lì?
«Va al diavolo.» disse mentre aprì un'altra bottiglia.
Stava bevendo veramente tanto e sentì la testa pulsare, quando il vomito iniziò a farsi sentire. Corse svelta in bagno e provò a liberarsi dell'alcool che ormai aveva preso il controllo del suo corpo. Perché ogni volta che s'innamorava di qualcuno andava a finire abbracciata ad un water? Si asciugò le labbra e arrancando si avvicinò allo specchio. Era difficile riconoscersi in quella figura mal concia che si rifletteva. Il viso era bianchissimo, gli occhi rossi e lacrimanti e con le occhiaie sembrava un panda. Forse era meglio uscire e prendere aria, si era chiusa dentro per quasi tutta la giornata ripensando alla brutta figura che aveva fatto. Barcollando si diresse verso l'ingresso, indossò il giubbotto ed uscì. La strada appariva elastica tantoché fu costretta a sgranare gli occhi per non andare a sbattere da nessuna parte. Lei si sentiva uno schifo ed era sicura del fatto che quello stupido adesso si trovasse a casa a mangiare e ridere come se non fosse successo nulla.

Da quanto stava dentro l'officina a trafficare su quella macchina? Aveva perso il conto delle ore, non era riuscito nemmeno a rientrare e mangiare qualcosa, al solo pensiero gli veniva la nausea. Sperava che lavorando sarebbe riuscito a staccare la sua mente dai pensieri che l'affollavano ultimamente, ma sembrava non funzionare. Prendeva un cacciavite e pensava a Samantha, beveva un goccio d'acqua e pensava a Samantha, si fermava un attimo e pensava a Samantha, tutto ciò che faceva non serviva a non pensarla. Ad un tratto sentì il cellulare squillare così lo raggiunse.
«Dylan! C'è un grosso problema!» rispose allarmata Jenna.
«E' successo qualcosa a Brian?» trasalì.
«No, lui è in casa» lo tranquillizzò.
«Allora cosa succede?»
«Credo che dovresti venire qui velocemente. Ecco.. Aaron..»
«Aaron cosa?» si accigliò.
«Sta importunando Samantha, l'ho implorata a non dargli corda, ma non mi ascolta!»
Dylan chiuse la chiamata. Velocemente tolse la tuta e chiuse l'officina per raggiungere casa e salire sul pick-up, così sarebbe arrivato in fretta. Agitato mise in moto, ma il motore era troppo freddo e non riuscì a partire. Non poteva aspettare ulteriormente, così decise di correre e raggiungere il locale. Quando arrivò, aprì la porta ed entrò. Si piegò su se stesso ansimante e prendendo aria vide Aaron che parlava con Samantha. Non sembrava avesse cattive intenzioni, stavano semplicemente parlando, e lei rideva a ogni cosa che quello zotico le diceva.
«E' completamente ubriaca.» gli riferì Jenna, quando si accorse del suo sguardo di rimprovero. «Ehi, non guardarmi così, ha solo bevuto un bicchiere di birra, penso che fosse già brilla.»
«Va bene, adesso me ne occupo io.»
Si avvicinò al bancone per sedersi vicino a loro e osservarli, sperando che tutto si sarebbe risolto pacificamente.
«Credo di aver bevuto troppo.» sentì dire da Samantha.
Aaron sembrava averle chiesto il perché, allora si protese per ascoltare la risposta, ma tra la musica e la confusione che faceva la clientela non riuscì a sentirla. Comunque sia vide Samantha fare un'altra risata isterica e poggiare la sua mano sul braccio di Aaron. Sgranò gli occhi e sentì la rabbia passargli per tutto il corpo. Che cosa stava facendo? Le aveva detto si stare lontano da lui eppure sembrava che stesse flirtando. Senz'ombra di dubbio non era sua intenzione, ciò nonostante si sentì pervadere da un senso di collera e gelosia.
«E' proprio uno stupido!» singhiozzò. «Continua a cacciarmi via! Mi ha rifiutata, capisci? Mi ha rifiutata!» urlò ad Aaron.
Samantha decise di avvicinarsi a lui, quando fu fermata da un braccio.
«Dove vai piccolina?» le domandò con un sorriso ebbro. «Chi è stato questo stronzo che ti ha rifiutata? Se stai con me, non verrai più cacciata via.» si avvicinò al suo viso e l'attirò a sé toccandole il sedere.
Samantha lo allontanò violentemente costringendolo a sedersi nuovamente. «Non parlarmi in quel modo!» disse sgranando gli occhi per mettere a fuoco la sua figura. «E non ti avvicinare più a me!»
Aaron si alzò e con le mani le prese il viso. «Non ti piace più la mia compagnia?» la vide mentre cercava di liberarsi, ma lui rinforzò la presa. «Perché non ci andiamo a divertire?» sorrise e la trascinò dal braccio.
«Lasciami!» si dimenò, cadendo per terra.
Aaron le prese la mano e la trascinò ridendo fragorosamente. «Mi piacciono le tipe come te.» riuscì a dire prima di essere spinto con forza, cadendo su un tavolo.
La clientela fece un rumoroso boato, alcuni uscirono di corsa altri invece rimasero per osservare ed incitare la rissa.
Dylan vide Samantha tremante per lo spavento. L'aiutò ad alzarsi e le asciugò le lacrime.
«Adesso andiamo a casa.» le sistemò il giubbotto e le prese la mano pronti ad uscire.
Aaron allora si buttò addosso a Dylan e caddero sopra un tavolo dove c'erano delle bottiglie di birra e dei bicchieri di vetro. Provò ad alzarsi e si accorse di aver una mano sanguinante, si voltò e vide Aaron sorridente che cercava di mettersi in piedi.
«Quindi sei stato tu a rifiutarla?» fece una risata.
Dylan lanciò uno sguardo a Samantha che osservava la scena a bocca aperta.
«E tu credevi di portartela a letto? Non credo le piacciano le persone inutili.» affermò ansimante.
Aaron, poggiandosi su una sedia riuscì a mettersi in piedi. «Persona inutile? Allora non dovrebbe stare nemmeno con te, non ricordi quanto ti consideravi tale?»
Fece mezzo sorriso. «Forse un tempo lo ero, sono cambiato, ma tu sei rimasto sempre lo stesso.»
«Cambiato? Ovvio, adesso sei inutile e uno sfigato.» si rivolse a Samantha. «Ehi bocconcino, se gli stai ancora vicino sarai influenzata dalla sua sfiga. Sai perché nessuno parla con lui? Hanno paura che la sua sfortuna si ripercuota su di loro. Vuoi finire pure tu nella sua lista? Vediamo..» iniziò a contare con le dita. «Prima la sua ragazza, poi suo padre, poi il suo migliore amico e adesso? Adesso a chi tocca morire?»
Dylan infuriato si gettò su di lui e iniziò a prenderlo a pugni.
«Chiudi quella fogna!» urlò.
Aaron riuscì a dargli un calcio e liberarsi. Lo prese dai capelli e lo colpì in faccia per poi continuare a pestarlo a forza di calci nello stomaco. «Sai quanto ho desiderato questo momento?»
Brian, sentendo i rumori, scese di corsa le scale e di fronte a quella scena cercò di andare incontro a Dylan.
«Dylan! Dylan! Ti salvo io!» urlò.
Jenna si accorse della sua presenza e lo prese in braccio per portarlo in casa. Samantha allora si riprese e saltò sopra Aaron tentando di fermarlo, ma fu spazzata via come un moscerino.
Dylan la vide cadere per terra e cercò di liberarsi dai calci di Aaron. Lo afferrò da un piede costringendolo a sbattere sul bancone per poi cadere per terra. Si tenne stretto lo stomaco e cercò di alzarsi. Aaron, continuò a ridere quando sentì la sua schiena colpire il bancone. L'alcool serviva anche a non far sentire il dolore.
«Walker!» urlò mentre lo vedeva mettersi in piedi. «Con l'altra non ci sono riuscito, ma almeno lei fammela provare prima che tu la uccida!» rise.
Dylan, ormai fuori di sé, a quelle parole riuscì a mettersi in piedi per tirargli un calcio in bocca. Lo vide perdere subito i sensi, e lui cadde nuovamente a terra. Jenna, dopo aver tranquillizzato Brian e costretto a rimanere in camera, corse in suo aiuto.
«Forse era meglio non chiamarti.» affermò preoccupata.
Dylan fece mezzo sorriso. «Perché? Ho dato un po' di spettacolo.» diede uno sguardo alla clientela che continuava ad osservarlo impaurita. Samantha si avvicinò a loro e aiutò Jenna a tenere il peso di Dylan, così iniziarono ad incamminarsi verso l'uscita quando Aaron riprese i sensi.
«Walker!» urlò.
Senza pensarci due volte, Samantha prese una bottiglia di birra vicina e si avvicinò barcollando a lui dandogli un colpo in testa.
«Fottiti!» gli gridò mentre lui perse nuovamente i sensi.
Usciti dal locale, Dylan aspettò l'arrivo di Samantha seduto su un marciapiede vicino alla farmacia.
«Mi hanno dato tutto questo!» sorrise facendo cadere per terra ciò che aveva appena comprato. Gli puntò un dito contro e fece dei piccoli cerchi. «Ho pagato solo la metà. Penso che gli abbia fatto pena.» affermò compiaciuta. Si fece cadere per terra e si sfregò le mani sul viso.
Dylan continuava a osservarla. «Dopo aver vomitato per tre volte, non sei ancora riuscita a smaltire la sbornia? Quanto cavolo hai bevuto?»
Aprì il disinfettante e lo versò sulla sua mano decisa.
«Puoi andarci piano? Fa male!»
«Mi sto solo vendicando.» fece un singhiozzo.
La fasciò e gli mise qualche cerotto in viso.
«Fammi vedere lo stomaco.»
«Cosa?» si accigliò.
«Dobbiamo passare sui lividi questa pomata.» la prese.
«La metterò a casa.» provò ad alzarsi, ma un dolore allo stomaco lo costrinse a sedersi.
«Fammi vedere.» cercò di alzargli il maglione.
«Ehi ehi! Ti ho detto che ci penserò io!» lo abbassò.
Samantha lo guardò con occhi socchiusi. «Togli queste mani!» gli urlò ed alzò il maglione. Spalmò per bene la pomata su tutto il livido e poi premette per fargli male.
«Ahia! Ma che ti prende?»
«Ti ho già detto che mi sto vendicando.» si pulì le mani e mise tutto ciò che aveva comprato dentro il sacco.
Durante la strada per casa Samantha camminava barcollando e cantando qualche canzone faceva volteggiare in aria il sacchetto delle medicine. Non c'era nessuno e se qualcuno li avesse visti, li avrebbe presi per due pazzi. Lui continuava a camminare curvo tenendosi la pancia, lei invece con i volteggi del sacchetto a volte riusciva a darselo in faccia, quando finalmente arrivarono.
«Ho le chiavi, sali in macchina che ti accompagno a casa.» l'avvertì quando la vide salire gli scalini.
Alzò gli occhi al cielo e la raggiunse. «Ti ho detto che ti accompagno a casa.»
«Voglio entrare.» lo ignorò. «Apri questa porta.»
«Non è casa tua.»
«Apriti sesamo!» urlò alla porta.
Dylan rimase impietrito e cercò di trattenere una risata. «Va bene.» aprì. «Fai quello che devi fare e poi ti accompagno.» si gettò sul divano sperando che il dolore passasse al più presto poi prese il cellulare e chiamò Jenna.
«Dylan! Va tutto bene? Vuoi che passo da te con Brian?»
«No, meglio di no.»
«Perché?»
«Solo che un completo disastro preferisce casa mia a quella sua. Brian sta bene?»
«Sì, ha voluto sapere se a vincere sei stato tu e adesso sta dormendo.»
«Gli hai detto che Spiderman non perde mai?»
«Ovvio.» sorrise.
«Scusami per il locale.» affermò amareggiato.
«Non preoccuparti, i ragazzi hanno già sistemato tutto.»
«E Aaron?» chiese.
«E' venuto uno dei fratelli a prenderselo e mi ha detto di avvisarti che non finirà così.»
«Lo immaginavo.»
«Se devo essere sincera, ho un po' di paura.» confessò.
«L'ho steso una volta e lo farò di nuovo se ci sarà bisogno.» la tranquillizzò mentre vide Samantha uscire dalla camera da letto. Indossava una sua camicia a maniche lunghe e dei pantaloni di chissà quale pigiama.
«Ma che cavolo..» pronunciò sbalordito.
«Cosa è successo?» chiese Jenna.
«Niente è solo che quella ragazza è un problema vivente! Devo andare Jenna, ci vediamo domani.» agganciò alzandosi lentamente dal divano
Samantha si avvicinò a lui con passo felpato e con occhi socchiusi.
«Perché ti sei conciata così?» chiese mentre continuava a fissarla.
Doveva ammettere che era molto sensuale eppure c'era qualcosa di strano.
Stava per dirgli qualcosa quando iniziò a singhiozzare ripetutamente allora si precipitò verso il frigorifero e le porse una bottiglia d'acqua.
«Adesso va bene?»
Samantha sospirò guardando i cerotti e la mano fasciata. Era stato picchiato per colpa sua e questo la faceva stare peggio di come si sentiva.
«Oggi ho capito che sei un brav uomo.» gli porse la bottiglia.
Aprì il frigorifero e la posò. «Ho picchiato una persona Samantha.» si voltò verso di lei.
«No, mi hai salvata.» si alzò in punta di piedi, gli prese il viso tra le mani e gli strinse le guance.
«Che stai facendo?» provò a chiedere, ma non riuscì a scandire le parole per la troppa forza con cui le stava premendo.
Lo guardò con occhi furbi e si avvicinò più al suo viso per stampargli un bacio sulle labbra.
Dylan rimase per un attimo immobile, quando a quel contatto sentì un brivido e la strinse tra le braccia attirandola di più a sé, ricambiando il suo bacio. Le sue labbra erano calde e morbide e i battiti del suo cuore aumentarono sentendo il corpo contro il suo. L'abbracciò più forte e la baciò con passione, quando all'improvviso sentì di allontanarla. Nella mente, che per un attimo sembrò vuota, iniziò a suonare il campanello di allarme, come per avvisare che ciò che stava facendo era sbagliato, quindi l'afferrò dalla vita costringendola a staccarsi.
«Ecco..» si portò la mano sulle labbra. «Q-questo è successo perché sei ubriaca!» gridò agitato.
Samantha sorrise compiaciuta e gli toccò una guancia con il dito. «Tu un giorno sarai mio!» rise per poi correre in bagno.
Preoccupato la raggiunse e la trovò china sul water a vomitare. Le prese l'elastico che aveva sul polso e le legò i capelli.
«Hai davvero bevuto così tanto per colpa mia?» domandò mentre le dava delle pacche sulla schiena.
Una volta terminato, l'aiutò a sciacquarsi il viso e poi la condusse in camera da letto.
«Credo che sia meglio che per stasera tu rimanga qui.» la vide sedersi sul letto.
«Penso che questo sia voluto dal destino.» farfugliò.
«Che cosa?»
«Il nostro incontro.»
La guardò perplesso.
«No credi nel destino?» si alzò.
«No.»
«Nemmeno nella volontà di Gesù?»
«Credo che tu sia ormai andata.» la prese dalle spalle e la incalzò a coricarsi.
«Zitto e rispondimi!» biascicò.
«Se sto zitto come faccio a rispondere?» l'aiutò a sdraiarsi.
«Bastardo.» disse con un fil di voce mentre si tirava le coperte.
«Ti ho sentita.» vide il suo sguardo che aspettava una risposta. «Ho smesso di credere al destino e a Gesù molto tempo fa.»
«Perché?»
«La pianti di blaterare?»
Guardò il soffitto. «Tutti gli uomini per vivere hanno bisogno di credere in qualcosa. Nell'amore, in Dio, nel destino.» sorrise e si voltò di nuovo verso lui, il quale stava in piedi ad osservarla. Allungò la mano e gli diede una sberla nello stomaco.
«Ahia!»
«Un uomo forte e grosso come te non crede a nulla?» sbatté le palpebre lentamente. «Prova a credere più in te stesso allora, forse così potrai superare le tue paure.» disse prima di cadere in un sonno profondo.
Dylan fece un sorriso ed uscì dalla stanza. Era da tanto tempo che non si fidava più di sé. Come fidarsi e credere in una persona che non era riuscita a salvare la vita delle persone a cui voleva bene? Scosse la testa. Credere in se stesso? Quella ragazza lo stava facendo impazzire.

Aprì e chiuse più di una volta le palpebre sperando che fosse solo un sogno. Non era in camera sua e guardandosi intorno capì che era quella di Dylan. Era sola sul letto e vestita, quindi non era successo nulla. Questo la fece tranquillizzare, ma perché era lì? Cosa era successo? Si mise seduta e si accorse dei vestiti che stava indossando. Si diede dei ceffoni in testa come per aiutare la sua memoria a recuperare i ricordi di ciò che era successo, quando le immagini affiorarono una ad una: era andata al locale, aveva discusso con quell'Aaron e poi? Chiuse gli occhi. E poi.. e poi la rissa! Aggrottò la fronte ricordando le sue parole: vuoi finire pure tu nella sua lista? Prima la sua ragazza, poi suo padre, poi il suo migliore amico e adesso? Adesso a chi tocca morire? Si alzò di scatto, si cambiò i vestiti, piegando per bene quelli di Dylan e uscì dalla stanza. Dormiva sul divano letto. Si avvicinò a lui e gli accarezzò i capelli morbidi accorgendosi della fronte sudata.
«Hai sofferto per le ferite?» chiese sommessamente, mentre continuava ad accarezzarlo quando si accorse della cicatrice sulla fronte. Prima la sua ragazza, poi suo padre, poi il suo migliore amico. Quelle parole non facevano altro che ripetersi nella sua mente pensando a quante ferite avesse oltre quelle che riusciva a vedere. Vi erano ferite che potevano essere viste, come quella sua cicatrice sulla fronte e quelle che Aaron gli aveva provocato e altre che solo chi aveva sofferto veramente poteva riuscire a vedere, o meglio sentire.
Ferite aperte che faticavano a chiudersi.
«Quanto hai sofferto? Non ne avevo la più pallida idea e io che come una stupida continuo a farti delle domande su fatti che ti fanno stare male.» gli accarezzò una guancia.
«Di che stai parlando?» le domandò aprendo gli occhi.
Samantha trasalì e si allontanò velocemente. «Non stavi dormendo?» lo vide alzarsi e stiracchiarsi.
«Sei stata tu a svegliarmi.» gemette per il dolore allo stomaco. «Che domanda vuoi farmi?» le rivolse l'attenzione e vide la sua espressione incerta. «Non mi dire che mi hai baciato di nuovo mentre dormivo?»
Con la mano gli fece segno di aspettare. «Di che stai parlando?» mentre porse la domanda ricordò il bacio che si erano dati.
«Non ricordi?» chiese stordito.
«No.» fece un cenno di diniego.
«Sicura?»
A quella rivelazione sembrava deluso, come se ricordare quel bacio per lui fosse importante. «Bè, forse qualc-»
«Meglio così.» la interruppe con un'alzata di spalle e si diresse verso il frigorifero per prendere una busta di latte. Lo versò in due bicchieri e uno lo porse a lei.
«Mi sembra di aver capito che volevi pormi una domanda. Spara.» si appoggiò sul frigo bevendo.
Samantha si portò il bicchiere alla bocca e lo guardò sottecchi mentre aspettava divertito la domanda.
«Hai perso anche la tua ragazza e tuo padre?»
Dylan si bloccò con il bicchiere in aria, distolse lo sguardo da lei e lo posò sul banco. Samantha si accorse del cambiamento della sua espressione e invece di riparare la situazione insistè con le domande.
«Potty era la tua ragazza?»
«Forse è meglio chiudere il discorso, ho sbagliato a darti il via libera.» rispose risoluto.
Sospirò. «Erano anche in quella villa? Come è andata a fuoco?» chiese, ma non ricevette risposta. «Come sono morti?» lo guardò. «Con me puoi parlare, io ti ascolterò e..»
«Non voglio parlarne.» le diede le spalle.
«Credo che sfogarti sia la cosa più giusta, forse ti farà sentire un po' meglio.» insistè. «Dylan, ascoltami.» si avvicinò a lui.
«Che ne sai tu cosa sia più giusto per me?» le urlò con sguardo truce.
Nei suoi occhi riuscì a vedere risentimento, dolore, paura e colpevolezza.
«Allora? Vuoi che rispondo alle tue domande e tu? Non rispondi alla mia?» continuò.
«Penso che ti sia addossato delle colpe che non hai! Ho notato quello sguardo, lo sguardo di uno che pensa che i suoi cari siano morti per colpa sua! Non so come ti siano stati strappati via ma so per certo che non è colpa tua!»
Dylan le prese le spalle e l'agitò. «Chi ti credi di essere? Non sai niente e continui a parlare! Non sai come ho sofferto in tutti questi anni perché le persone che più amavo sono morte! Non ho potuto fare niente per salvarle e adesso tu mi vieni a dire che non è stata colpa mia? Forse tu non sai cosa si prova vedere la vita sfuggirti dalle mani mentre continua a conficcarti delle lame nel cuore!»
Samantha si liberò. «Credi di essere l'unico che ha perso una persona cara? So benissimo come ci si sente perdere qualcuno senza aver avuto la possibilità di fare nulla! Anche il mio cuore ha sofferto, ma sono comunque andata avanti! Tu invece ti stai semplicemente illudendo che tutto vada bene senza accorgerti che comportandoti così a soffrire sono le persone che ti stanno vicino! Adesso penserai che le mie parole solo nulle, ma non farlo, queste parole sono dette da una persona che come una stupida si è innamorata di te e che vuole vedere quegli occhi sorridere più spesso e di cuore, non sforzandoti per dare un accontentino agli altri!» si allontanò e prese velocemente le sue cose. «Cambia atteggiamento Dylan, vivi e non provare a sopravvivere.» aprì la porta ed uscì, lasciandolo solo immerso nei sui pensieri.

Era di ritorno dal colorificio dove avevano preparato un barattolo di vernice che serviva per dare più colore alla macchina. Mentre iniziò il lavoro continuava a pensare alle parole di Samantha. Quella stupida, parlando senza prendere aria, si era pure dichiarata, eppure non ricordava il bacio della sera precedente? Fece una smorfia.
Vivi e non provare a sopravvivere. Dopo tanti anni era riuscito a farsi ridire la stessa cosa. Non era mai riuscito a non pensare che la colpa di tutto fosse la sua, e Samantha aveva proprio ragione, si era semplicemente illuso di aver superato il dolore, ma questo non era proprio vero. A volte durante la notte rileggeva le lettere che suo padre e Kyle gli avevano scritto e rimaneva ad osservare la foto di Madison scusandosi con lei per ciò che le aveva fatto. Fece un sospiro, esausto. Aveva vissuto una vita che poteva essere giudicata monotona, fino a quando Samantha era arrivata a Greendale e con la delicatezza di un uragano, era riuscita ad entrare nella sua vita. I lavori della macchina stavano per essere terminati e forse anche il suo lavoro. Questo significava che presto sarebbe andata via, e lui come si sarebbe sentito? Sospirò nuovamente mentre alcune parole gli ritornarono in mente: adesso a chi tocca morire? Che bastardo, pensò, anche se Aaron non era l'unico a dovere essere considerato tale, forse tutta le persone che continuavano a spettegolare.
Portava sfortuna, questo è quello che la gente diceva, durante gli anni le loro bocche erano diventate più larghe e piene di particolari che, la maggior parte delle volte , nemmeno lui sapeva, ma che con menefreghismo passavano di bocca in bocca. Sua padre aveva ragione:
"Le persone parlano molto Dylan. Non credere a tutto quello che dicono e non giudicare come fanno loro. E' curioso come a volte sanno particolari della tua vita di cui nemmeno tu ne eri a conoscenza. Hai capito perché sto lontano da loro? Non dico di non farti degli amici, ma solo di stare attento alla gente che ti circonda perché indossano solamente maschere per non apparire come realmente sono. Poche sono le persone che riescono a dimostrarsi vere e se hai la fortuna di trovarle, allora saranno i tuoi migliori amici''.
Pensare quelle parole era come sentire accanto a sé la presenza del padre e per un attimo si sentì pervadere da un senso di calma, quando in una manciata di secondi sentì sulla schiena un violento colpo che lo fece cadere in ginocchio.
«Walker! Credevi che fosse tutto finito?» gettò la sigaretta per terra.
Si voltò riuscendo a vedere solo il viso di Aaron che lo colpì violentemente alla testa.

«Jenna una birra.» ordinò Samantha mentre disegnava insieme a Brian.
«Nemmeno se minacciata!» le diede un bicchiere d'acqua.
«Quando posso vedere Dylan?» bofonchiò Brian.
«Verrà lui a prenderti tesoro.» lo rassicurò.
«Dylan..» farfugliò con una smorfia Samantha.
Jenna accorgendosi che qualcosa non andava, concesse a Brian di salire per andare a guardare i cartoni animati.
«Cosa succede?» chiese mentre puliva il bancone.
«Solo..» sbuffò. «..lascia stare.» bevve l'acqua.
«Questioni di cuore?» dallo sguardo di Samantha riuscì a capire di aver indovinato. «Ti piace Dylan.»
Annuì.
«Bene, sono contenta.» sorrise. «Hai degli ottimi gusti, ma credo che non sarà molto facile essere ricambiata.»
«Come lo sai?» si accigliò.
Ci pensò su prima di rispondere. «Il suo cuore è pieno di ferite ancora aperte e non permette più a nessuno di entrarvi.»
«Quanto ha sofferto?»
«Tantissimo.» affermò tristemente. «Ha visto crollare, una dopo l'altra, le persone che credeva avessero fatto parte della sua vita per sempre. Finire in un incidente e ricevere la notizia che la propria ragazza amata e il proprio padre siano morti a distanza di pochi giorni gli ha causato un enorme shock dal quale uscire era veramente dura. Gli anni passavano su di lui, ma continuava a rimanere aggrappato ai tempi passati, considerandosi colpevole di tutto. La vita ha voluto dargli un'altra batosta portandogli via il suo migliore amico, e quella fu una vera e propria tragedia.»
Samantha annuì. «Lo ha visto morire davanti ai suoi occhi.»
«E ha cercato di diventare forte per Brian, anche se continua a colpevolizzarsi.» fece una pausa. «Ho provato a convincerlo che nulla è stato causato da lui, ma non mi ha mai ascoltato e ancora continua a soffrire in silenzio senza esprimere ciò che prova.»
«Oggi abbiamo litigato per questo. Volevo aiutarlo, ma non ci sono riuscita.»
«Ti ha parlato di Kyle. Questo significa che si fida di te. Devi solo dargli un altro po' di tempo.»
«Dici?»
«Conosco Dylan da anni, molte persone lo considerano una persona scostante, tale e quale al padre, ma non è così. Lui è sempre quello di prima, un ragazzo gioioso e pieno di positività, ma dopo l'incidente si è creato questa corazza semplicemente per sopravvivere.»
«L'incidente?» chiese.
«Sì, Dylan portava la macchina e non si è mai riuscito a capire cosa quella volta sia andato storto..» s'interruppe. «..ma non voglio parlartene io, quando sarà il momento, sarà lui a raccontartelo.»
«Ne dubito.» affermò.
«Devi solo sperare, come me, che da sempre spero che rompa definitivamente quella corazza e ritorni il vecchio Dylan.»
«Non riesco ad immaginarmelo così allegro.» scosse la testa.
«Più le persone vengono ferite dalla vita, più cambiano.» le accarezzò un braccio. «Adesso sono più che convinta che il mio desiderio si realizzerà.»
«Perché?» domandò incerta.
«Perché sei arrivata tu. Sono sicura che nonostante tutto, in un piccolo angolino del suo cuore ci sei tu, deve solo accorgersene.»
«Lo stai dicendo solo per confortarmi vero?» sorrise.
«No, devi sapere che sei più vicina al suo tipo di quello che credi.» dichiarò «Adesso va da lui e provate a risolvere il litigio che avete avuto questa mattina.»
In quegli occhi materni aveva trovato il coraggio di tentare a far diventare quell'angolino, a cui si riferiva, un posto più ampio, lo stesso che inaspettatamente lui occupava nel suo. Uscì dal locale e s'incamminò con fare svelto. Si sentiva agitata e entusiasta della scelta che aveva preso. Per strada inviò un messaggio a Holly e cercò di immaginare la sua espressione quando l'avrebbe letto. Giunta davanti casa bussò alla porta.
«Dylan, sono Samantha.» disse.
Diede un'occhiata dalle finestre, ma dentro non lo vide. Scese gli scalini e decise di andare in officina. Una volta arrivata entrò.
«Dylan?» chiamò.
La parte destra della macchina era del tutto verniciata e si accorse che a terra c'era un barattolo caduto da cui colava la vernice, lo prese e lo poggiò sul banco, quando voltandosi vide il corpo di Dylan a terra inerme, vicino al lato sinistro della macchina.
«Dylan!» gridò gettandosi in ginocchio. Lo avvicinò alle sue gambe e con un braccio provò a tenergli la testa.
«Dylan! Mi senti? Svegliati!» urlò, quando si accorse che dalla nuca colava del sangue.
Aprì e chiuse velocemente gli occhi, dai quali iniziarono ad uscire le lacrime. Tremava per la paura che non riuscisse a svegliarsi.
«Dylan!» si avvicinò al suo viso e si accorse che respirava. Dalla borsa uscì velocemente il telefono e con mani tremanti compose il numero dell'ambulanza.
«Arriveranno presto.» lo rassicurò abbracciandolo. «Fidati di me Dylan, non ti lascio solo, starò sempre al tuo fianco.» lo abbracciò più forte.

Quando aprì gli occhi vide tutto offuscato così sbatté nuovamente le palpebre per migliorare la vista. Gli occhi guizzarono da una parte all'altra della stanza e quando capì dove si trovava sentì un senso di nausea. La testa continuava a martellare e cercò di alzare la mano per massaggiarla, ma non riusciva a muoverla. Diede uno sguardo e vide Samantha che dormiva con la testa poggiata sul materasso mentre gli teneva la mano. Sgranò gli occhi e la ritrasse velocemente portandosela sul capo, accorgendosi della fascia che indossava. Provò a mettersi seduto e quando ci riuscì fece un profondo respiro. Tutto il suo corpo era pieno di dolori, soprattutto il braccio che aveva ingessato. Samantha sentendo i suoi movimenti aprì gli occhi e quando lo vide sveglio le lacrime iniziarono a rigargli il viso.
«Dylan!» urlò abbracciandolo.
«Ahia! Stai attenta! Non stringere!» provò ad allontanarla, invano.
«Ero preoccupata, quando ti ho visto per terra pieno di sangue non sapevo cosa fare! Ho avuto tanta paura! Avevo paura che non ti svegliassi più!»
Sentì il suo corpo sussultare ad ogni singhiozzo causato dal pianto e , imbarazzato, ricambiò l'abbraccio.
«Adesso va tutto bene.» la tranquillizzò, ma lei continuava a piangere e a stringerlo più forte. «Samantha, mi stai facendo male.» sorrise. «Samantha, ti ho detto che adesso va tutto bene.» provò ad allontanarla. «Samantha.» sibilò. «Sam!» urlò.
Quando si sentì chiamare in quel modo indietreggiò la testa, senza lasciarlo, e lo guardò negli occhi.
«Mi hai chiamato Sam?» domandò con un sorriso larghissimo.
«N-no.» mentì.
«Invece sì, mi hai chiamato Sam! Questo significa..»
«Staccati, mi stai facendo male!» la interruppe.
Contemporaneamente sentirono bussare alla porta ed entrò il dottore.
«Forse è meglio che passo tra qualche minuto.» affermò vedendo quella scena.
Dylan impacciato allontanò Samantha che fu costretta a staccarsi. «Non si preoccupi può entrare.»
Il dottore sorrise e si avvicinò a lui. «Allora Dylan Walker, sei stato schiacciato come un moscerino, vero?» disse beffardo.
Dylan lo guardò irritato, non riuscendo a capire il perché di tutta quella confidenza.
«Ragazzo, non mi dire che non mi riconosci! Devo essere sincero che se non avessi letto il tuo nome sulla cartella, non ti avrei riconosciuto nemmeno io.» sogghignò.
Si accigliò e lo guardò con attenzione. Aveva i capelli grigi e degli occhiali da vista che sembravano dei fondi di bottiglia. «Dottor Kim?»
«Esatto esatto!» gli diede delle pacche sulla schiena. «Rivederti è davvero un piacere eppure mi dispiace incontrarti in questa situazione.»
Samantha interessata al discorso, prese una sedia e si sedette vicino a Dylan.
«E io che pensavo fosse già andato in pensione.» affermò.
«Sei sempre così sarcastico ragazzo. Bè devo ammettere che non porto bene i miei anni.» sorrise.
«Anche lo psicologo Parker continua ad esercitare la sua professione?»
«No, lui è andato in pensione qualche anno fa, quando lo vedrò gli porterò i tuoi saluti.» diede una controllata alla cartella.
Dylan guardò Samantha che si asciugava le lacrime e tirava su col naso. «Quante settimane questa volta?» domandò al dottor Kim.
Samantha si accigliò a quella domanda, cercando di capire cosa intendesse.
«Eccolo lì il Dylan pessimista. Hai dormito solamente due giorni.»
«Due giorni? Sono migliorato.» annuì.
«O meglio miracolato.» affermò riferendo un resoconto delle ferite riportate.
Per quanta violenza e forza avesse utilizzato Aaron, nessun colpo, fortunatamente, era stato mortale. Il dottor Kim non faceva altro che affermare quanto fosse stato fortunato. Il colpo alla nuca, nonostante lo avesse ridotto privo di coscienza, era stato meno feroce rispetto agli altri colpi subiti sul corpo, soprattutto sul braccio destro. Secondo alcuni calcoli, quel bastardo non aveva fatto altro che prenderlo a calci e colpirlo allo stomaco con un bastone di legno, trovato sul posto, con l'intenzione di ridurlo senza vita, ma sbagliando i punti esatti per realizzare la sua idea. Sembrava non aspettare altro, e questo lo aveva confermato al locale. Senza motivo o forse solo per il suo rifiuto di diventare amici e averlo picchiato, lo considerava un nemico.
«Quando potrò uscire?» chiese una volta che il dottore terminò.
Sorrise. «Sembra che siamo ritornati nel passato.» vide la sua espressione indignata di fronte a quella affermazione. «Ma non è così, hai ricevuto un risveglio migliore, vero?» fece un sorriso a Samantha e si avvicinò all'orecchio di Dylan. «Ti è rimasta sempre vicino, non si è mai allontanata da te.» disse sommessamente. «Bene.» si avvicinò alla porta. «Puoi uscire domani e la prossima volta che vuoi venire a farmi visita, vieni per qualcosa di bello e senza ferite.» lo avvisò ed uscì dalla stanza.
«Che tipo.» affermò, scuotendo la testa.
«Finalmente conosco un tuo amico.» disse Samantha.
«Non è mio amico, è solo un conoscente.»
«Sembra sapere molte cose su di te.»
«Perché sono rimasto qui parecchio tempo.» bisbigliò.
Nella stanza cadde il silenzio. Nessuno dei due parlava, fino a quando Dylan si decise ad aprire bocca.
«Sono passati ormai tredici anni dall'ultima volta che misi piede in questo ospedale.»
Samantha si raddrizzò sulla sedia.
«Non so perché ti sto dicendo questo forse è meglio non..» si sentì stringere la mano.
«Se non vuoi parlarne non lo fare, quando vorrai e se vorrai, io sarò pronta ad ascoltarti.»
Dylan la guardò negli occhi, aveva il viso stanco e gli occhi arrossati per il pianto. Indugiò ad osservarla, sicuro che ciò che stava facendo fosse la cosa più giusta.
«Aprii gli occhi dopo tre settimane. Se non sbaglio era proprio questa stanza. In quell'angolo lì c'era Kyle che stava dormendo mentre sperava nel mio risveglio.» indicò con il dito facendo un sorriso mesto. «Quando mi svegliai gli lanciai una bottiglia di acqua per farmi sentire, perché non riuscivo a pronunciare bene le parole. Dovevi vedere il suo sguardo quando mi vide sveglio e quando lo presi in giro facendo finta di non riconoscerlo. Si mise a piangere come un bambino.»
Samantha fece un sorriso immaginandosi la scena.
«Non potevo mentire al mio migliore amico, così poi gli dissi la verità e scoppiammo in una risata quando..» s'interruppe un attimo per poi continuare a parlare. «... seppi che la ragazza che amavo era morta nell'incidente che io avevo causato. Il mondo mi crollò addosso, non volevo parlare con nessuno e le lacrime non facevano altro che uscire come un fiume in piena. L'unica persona che volevo accanto era mio padre, ma lui non c'era. Era vicino a me, ma io non lo sapevo, non sapevo che era ricoverato perché un tumore stava mettendo fine ai suoi giorni e l'unica cosa che riuscii a dire quando lo vidi fu quella di non farsi più vedere.» si rivolse a lei. «Capisci? L'ho cacciato via e dopo pochi giorni è morto. Adesso sei ancora capace di dirmi che non fu colpa mia? Nessuno è mai riuscito a fami cambiare idea, né Jenna, né il dottor Kim o lo psicologo Parker e nemmeno una sedia rotelle su cui ero costretto a stare perché il mio corpo non voleva più camminare, non voleva più vivere.»
Samantha non riuscì più a trattenere il pianto e si alzò per abbracciarlo.
«Qualunque cosa tu pensi, non è stata colpa tua Dylan. Spero che un giorno riuscirai a capirlo, a capire che quando la vita decide di portarci via le persone a noi care, noi dobbiamo continuare a vivere e diventare più forti di prima per loro. Credi che non stiano soffrendo vederti in questo stato? Credi che addossandoti le colpe loro possano continuare a vivere lassù felici? No Dylan, sono convinta che loro vorrebbero solo che tu iniziassi finalmente a vivere.» l'abbracciò più forte.
Quel contatto, pensò, quel calore, quelle parole, quell'amore erano proprio le cose che gli mancavano, di cui aveva bisogno. E' stato davvero un bene incontrare Samantha? Adesso riusciva a rispondere a quella domanda: sì, incontrala era stato un bene per la sua anima, aveva bisogno della sua presenza, del suo affetto, aveva bisogno di amare e di essere amato e forse finalmente era riuscito a trovare la persona che avrebbe curato le sue ferite. Chiuse gli occhi abbandonandosi a quell'abbraccio desideroso di vivere, e non di sopravvivere.

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