Willy Wonka||Johnny Depp (IN...

By Anita-Winter

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REVISIONE LENTA! Cover by: @FrancescaGrasso4 Una notte tranquilla avvolgeva Cherry Street. Il buio era mitiga... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11

Prologo

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By Anita-Winter

Una notte tranquilla avvolgeva Cherry Street. Il buio era mitigato dal riflesso della luna sulla neve che copriva ogni cosa come un candido mantello. Le strade deserte erano popolate soltanto dall'aria gelida che s'insinuava tra i vicoli, mossa da un lieve vento che sollevava piccoli vortici di neve polverosa.

Ma nonostante la quiete apparente, si percepiva una tensione sottile intorno alla fabbrica di cioccolato Wonka, come se qualcosa si stesse preparando sotto la superficie. Ogni scricchiolio lontano e ogni ombra fugace sembravano suggerire che questa pace era solo un'illusione, destinata a essere infranta.

«Pensi davvero che sia stata io a rubare le tue ricette segrete?» esclamò Theresa, arrabbiata.

«Non ho detto questo!» ribatté Willy Wonka, il cioccolatiere più famoso al mondo, la sua voce un misto di frustrazione e incredulità.

«Lo hai sottinteso, non negare!»

«Non è colpa mia se sei apparsa nel filmato!»

«Tu hai visto solo quello che la rabbia ha voluto farti vedere!»

«E dimmi, saputella, cosa avrei dovuto vedere?»

Willy Wonka la fronteggiò, offuscato dalla rabbia tanto da non rendersi conto quanto le sue accuse fossero taglienti come il freddo esterno.

«La realtà! Io stavo solo litigando con Slugworth e non gli stavo affatto dando le tue stupide ricette segrete!»

«Quella che avevi in mano... so riconoscerla bene anche a un metro o più di distanza!»

«Ascolta, Willy, ero uscita fuori perché avevo visto Prodnose rubare qualcosa, ma quando l'ho raggiunto lui è andato via e sono rimasta sola con...»

«BASTA!» la interruppe il cioccolatiere, alzando la mano come per fermare una tempesta di parole.

«Bene. Visto che è questa la conclusione...» la buttò lì Theresa, con tono amaro.

Si voltò di spalle e proseguì nella direzione opposta. I suoi passi risuonarono per il corridoio.

«Dove vai?» le chiese il cioccolatiere costernato, sentendo un vuoto aprirsi nel petto.

«Via da qui!» rispose lei con astio, senza voltarsi.

«Theresa, aspetta!»

Questa volta fu lui ad andarle dietro, provando un lieve rimorso per come si era comportato.

«Non venirmi dietro! Continua pure a sperimentare nuove cose, io mi tolgo di torno!» esclamò Theresa, risentita, accelerando il passo.

«Cosa vorresti dire?»

Il cioccolatiere la fermò per un braccio. Theresa non riuscì a guardarlo negli occhi né a reggere la tensione che si era creata. A voce appena udibile, con il cuore pesante, gli disse che se ne andava.

«Non sarò più d'intralcio, né causerò altri guai.»

Tentò di allontanarsi, ma il cioccolatiere non smise di stringerle il braccio. Anzi, si accorse soltanto in secondo momento che le stava arrecando dolore per la troppa forza impiegata nel trattenerla. Il suo viso si ammorbidì, e la presa si allentò leggermente.

«E io? Cosa pensi che farò senza di te?» le chiese con voce meno fredda, quasi supplichevole.

«Quello che facevi prima di conoscermi.»

«Io non voglio che tu vada via...»

«Ho preso la mia decisione.»

Theresa si allontanò, il cuore in tumulto, cercando di non lasciarsi sopraffare dai sentimenti.

«Dai, Theresa!» la chiamò il cioccolatiere, ma non ebbe risposta né lei si voltò.

La sua figura si allontanava, piccola e determinata, mentre lui restava lì, impotente.

Theresa percorse un lungo corridoio illuminato solo dalle deboli luci al neon, ogni passo risuonava nell'aria come un'eco di addio. Arrivò dinanzi a una porta circolare con al centro un pulsante, lo pigiò e l'anta scorse di lato con un sibilo, consentendole di entrare in una delle tante stanze che condivideva col cioccolatiere.

La stanza aveva le pareti bianche, ma di fantasia non mancava. Sparsi in giro c'erano dei peluche, ognuno raffigurava un animale diverso. Il letto era pieno di cuscini, sia grandi che piccoli, con la testiera tappezzata di finti diamanti che scintillavano alla luce soffusa del lampadario. Un angolino era dedicato all'anime preferito di Theresa: Doraemon, con poster e gadget che aggiungevano un tocco personale.

Il signor Wonka le aveva regalato un peluche di Doraemon, che in quel momento le venne difficile guardare perché intenzionata ad andarsene. Gli occhi erano umidi di lacrime, tuttavia ciò non servì a fermarla. Tirò fuori dall'armadio incassato nel muro due valigie, le riempì di alcune cose e, col cuore che le implorava di restare e calmarsi, si chiese se stava facendo la cosa giusta.

Prima che potesse avere risposta, chiuse le valigie ponendo fine al suo presente e alla favola che stava vivendo. Indossò una semplice pelliccia color nocciola e uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé un mondo di ricordi.

Si imbatté nello stesso corridoio che aveva percorso poco prima, sbirciando l'interno di una porta aperta. Lì, il cioccolatiere era appoggiato di spalle a un banco, il suo corpo teso e immobile. Non si fermò a salutarlo e ignorò totalmente lo scatto che ebbe quando la vide andar via.

«Non andrai via sul serio?» le chiese, allibito; Theresa non rispose, continuò a camminare con determinazione. «Non puoi andartene! Aspetta che mi sia calmato e chiariremo tutto!»

«Willy, per favore!»

«Cosa?!»

«Lasciami andare.»

La richiesta di Theresa era semplice, ma carica di un peso enorme.

«Non posso farlo.»

Il cioccolatiere tentò di abbracciarla, di far pace, ma il suo gesto fu vano perché Theresa lo respinse con fermezza.

«Willy, tu mi vuoi bene?» gli chiese in lacrime, cercando nei suoi occhi una conferma.

«Io ti amo» le rispose egli, con voce soffocata.

«Allora, se mi ami per davvero, lasciami andare.»

Così fece. Willy Wonka, dagli occhi blu bagnati di lacrime, lasciò andare la sua amata come ella bramava. Col cuore a pezzi, la osservò sparire dietro le enormi porte in ferro, per poi correre fuori nella speranza che avesse cambiato idea. Ma Theresa non si fermò, si chiuse il cancello della fabbrica alle spalle e andò via servendosi di un taxi, sparendo per le strade della città. Le luci dei lampioni proiettavano ombre lunghe sulla neve, accompagnando l'auto nella sua fuga silenziosa.

Il cioccolatiere rimase prigioniero nel suo dolore, chiuso nella sua fabbrica di cioccolato che mai gli era apparsa più vuota e silenziosa di allora. Persino la loro camera da letto non sembrava più la stessa, tranne che per quel peluche di Doraemon avvolto dall'odore della ragazza: Olio D'Argan.

Le notti si preannunciarono lunghe e fredde e le ore scorrevano lente. Dormire gli venne sempre più difficile, così come il creare nuovi dolci. Davanti al tavolo degli esperimenti cercò di inventarsi qualcosa o di farsi venire qualche idea, ma la mente pensava a tutt'altro: aveva i pensieri offuscati dal loro ricordo. Le immagini di Theresa che rideva e lavorava al suo fianco, riempivano la sua mente, impedendogli di concentrarsi.

Qualcosa, lì nella sua testa, lo spinse nell'andare a rivedere quei maledetti filmati di servizio esterno per scoprire la verità. Prese la cassetta dalla telecamera che s'affacciava sulla strada, la inserì in un videoregistratore e schiacciò il tasto play del telecomando, attendendo con ansia il caricamento. Il nastro frusciava mentre iniziava a girare, e l'immagine tremolante della scena si materializzò sullo schermo.

«ALLORA SEI TU!» esclamò Theresa nel filmato.

«Ragazzina, non ho tempo da perdere» le fu detto da Slugworth, con tono sprezzante.

«Ho sempre detto al signor Wonka di riguardarsi da te e non mi sbagliavo!»

«Senti, levati dalle scatole!»

«Prima dammi quella ricetta segreta!»

Theresa cercò di strappare dalle grinfie di Slugworth quel pezzo di carta molto importante per il cioccolatiere, ma l'uomo era forte e imponente.

«ADESSO BASTA!» Slugworth la scaraventò a terra con facilità, calpestandole pesantemente lo stomaco. «Non osare metterti contro di me o finisci male!» minacciò, prima di scomparire oltre il grande muro di cinta.

Il cioccolatiere osservò la scena con orrore e crescente rimorso. Aveva frainteso tutto. La verità, ora chiara davanti ai suoi occhi, era devastante.

«Ho combinato un casino!» si maledisse, gettando all'aria il telecomando, che rimbalzò contro il muro e cadde a terra con un tonfo.

Si afferrò la testa tra le mani, il dolore e la colpa lo travolsero come un'onda impetuosa. La sua amata Theresa non era la traditrice che aveva immaginato, ma una leale difensora delle sue creazioni. Aveva perso la persona più importante della sua vita per un malinteso terribile.

Il cioccolatiere non era amante dei cellulari, per cui gli fu difficile maneggiare quell'affare e capire come digitare i numeri. A stento rammentò il recapito di Theresa, che a differenza sua impiegava il tempo libero dietro la tecnologia.

Tremando, compose il numero, ma dall'altro lato non si sentiva altro se non la segreteria telefonica. Tuttavia, dopo qualche squillo, Theresa rispose.

«Willy, per favore, lasciami...»

«Mi dispiace per il casino che ho combinato!» la zittì. «Mi sono comportato da idiota...» Theresa rimase in ascolto. «Ho appena rivisto il filmato e... Per favore... per favore, ritorna!»

«Questa cosa fa più male a me che a te» la voce di Theresa parve distaccata e lui non comprese. «Ho sperato ogni giorno di essere felice al tuo fianco, di stare insieme per sempre. Sapevo che mi avresti fatto stare bene ed è stato così fino a oggi. Ora accetta la realtà: il destino ha voluto separarci e noi dobbiamo andare avanti. E sinceramente sono stanca di sentirmi sbagliata ogni qualvolta che subisci un furto e scarichi su di me colpe che non ho. Non riesci a fidarti. E lo capisco, tranquillo, ma ora ho bisogno di ritrovare la mia strada.»

«Ti prego, possiamo rimediare... Io posso ancora rimediare!»

«No, signor Wonka, è tardi ormai.»

«Theresa...»

Troppo tardi, lei aveva messo giù.

Erano due anime separate in due mondi completamente diversi: lui in fabbrica, lei chissà dove; lui al caldo, lei non si sapeva; lui solo, lei sola.

Tutto era finito, la loro felicità era finita.

Un altro giorno giunse rapido e senza preavviso. Il cioccolatiere indossò un completo nero, un cilindro sulla testa e degli occhiali scuri a coprirgli le occhiaie di un'ennesima notte insonne dovuta alla mancanza di lei. I suoi operai erano in attesa dell'apertura del cancello principale della fabbrica per entrare e mettersi a lavoro, ma tutto era silenzioso e fermo. Uscì all'improvviso dalla porta di ferro con in mano un microfono e diede loro una pessima notizia: «Chiudo la mia fabbrica di cioccolato... per sempre... mi dispiace.»

Sparì a testa bassa dietro la porta di ferro, che si chiuse alle spalle. Le ciminiere smisero di fumare e tutto ebbe fine prima ancora di cominciare.

Quella sera, seduto nel suo ufficio desolato, Wonka osservava le fotografie sbiadite appese alle pareti, ricordi di un tempo felice. Il silenzio era assordante, interrotto solo dal ticchettio dell'orologio al muro. Ogni secondo che passava sembrava un'eternità. Aveva perso l'amore della sua vita e, con esso, la passione che alimentava il suo genio creativo.

La fabbrica, un tempo pulsante di vita e magia, era ora un mausoleo del suo fallimento personale.

Il mondo esterno continuava a girare, indifferente al suo dolore. Le strade erano illuminate dai lampioni, le persone ridevano e si scambiavano saluti, ignare del dramma che si era consumato dietro quelle mura di cinta.

Con un sospiro profondo, chiuse gli occhi, cercando un po' di pace tra i ricordi. Ma la quiete non arrivava. C'era solo una consapevolezza dolorosa: senza amore, anche il cioccolato più dolce aveva un retrogusto amaro.

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