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By Theworldsdreamer

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By Theworldsdreamer

Victor chiuse la porta dell'appartamento a chiave, con addosso lo sguardo pesante di Ezra. Era in piedi dietro di lui, con le mani nella tasca del pesante giubbotto scuro e l'orecchino appeso al lobo sinistro che oscillava svogliatamente ogni volta che spostava il capo.

Quando si voltò verso di lui, l'angolo delle labbra di Ezra si sollevò appena, gli occhi gli brillarono di quel divertimento puro che spesso attribuivano ai bambini e che su di lui assumeva un tono appena più inquietante.

I capelli erano ritornati di quel bianco candido con il quale si era presentato la prima volta e anche le radici avevano perso ogni traccia scura del suo colore naturale, lasciando sembrare che avesse una morbida nuvola legata attorno alla nuca.

Guardandolo, la mente di Vic gli ripropose il ricordo invadente di quando, entrando in casa, lo trovò nel bagno alle prese con mille prodotti dai nomi impronunciabili e lo trascinò con sé in quell'avventura fin quando non si ritrovarono seduti sul divano a sperare di aver fatto un bel lavoro. Quel giorno festeggiarono mangiando della pizza per cena e finendo una vecchia vaschetta di gelato di fronte a un noiosissimo film di fantascienza.

Era soltanto uno degli episodi passati a studiare Ezra come fosse una creatura mitologica, eppure fu forse proprio in quel caso che Victor capì quanto stimolante e quasi intrigante fosse la convivenza con lui.

Ezra cambiava idea su qualsiasi cosa, avrebbe potuto parlare per ore di un qualunque argomento uggioso rendendolo avvincente in modo quasi fastidioso, lasciando con il fiato sospeso a ogni sua frase senza alcuno sforzo ed era in grado di scovare quella minuscola scintilla di emozione che il viso inespressivo di Victor tendeva a nascondere, aggrapparcisi e tirare il più forte possibile fin quando non iniziava a formarsi la prima piega all'angolo delle sue labbra.

Contro ogni sua previsione, grazie a lui Victor riuscì ad avere un netto miglioramento con le proprie capacità al pianoforte e ad abituarsi, poco per volta, alla sua presenza fino a sentirla quasi...giusta.

Ezra si alzava tardissimo, mangiava poco e ancor meno si occupava della casa, ma a modo suo riuscì a dare a Victor quella che più si avvicinava a una boccata d'aria fresca, un assaggio di vita del quale a volte non riusciva a fare a meno. Lo aiutò a lasciare che quella tecnica scolastica - l'unico ostacolo alle vere abilità di Victor - facesse da sfondo al suo vero potenziale, lo aiutò a trasmettere le sue emozioni su quei semplici tasti, una per ogni nota, fin quando il cuore non tornò a battere al ritmo delle sue melodie.

Man mano che le vacanze iniziarono ad avvicinarsi, però, notò uno strano mutamento nel comportamento di Ezra. Iniziò a svegliarsi presto, ad andare a lezione e, di tanto in tanto, lo sentì addirittura suonare. Era come se si stesse preparando per una vita che non gli apparteneva.

«Dovremmo andare alla Residenza. - lo informò Victor - A quanto pare i ragazzi di teatro non ci vogliono più lì per le riunioni.», disse infilando le chiavi in tasca e raggiungendo il fianco di Ezra. Si aspettò di vederlo ridere o di sentire un qualche commento di scherno, ma quel giorno sembrava particolarmente tranquillo, forse troppo per evitare di insospettirsi.

«Uh uh.», mormorò Ezra guardandosi intorno con studiato disinteresse.

Un'altra curiosa differenza tra l'Ezra che Victor aveva imparato a conoscere e quella strana parodia con cui stava camminando era che circa un mese prima aveva iniziato a fumare molto meno e, adesso, l'odore di fumo era quasi interamente svanito dal loro appartamento.

«Ti prego, comportati bene.», mormorò Victor lanciandogli un'occhiata d'ammonimento. Ezra lo ignorò, con quel sorriso malizioso sulle labbra che sembrava l'unico suo particolare a voler tenere ben stretto, l'unico che permetteva ancora a Victor di riconoscerlo.

«Ma per chi mi hai preso...», sussurrò lascivo dopo alcuni secondi di silenzio.

«Per te.», rispose l'amico aggrottando le sopracciglia ed Ezra ridacchiò.

Victor si prese qualche istante per osservarlo e, con l'espressione che avrebbe potuto avere di fronte a uno sconosciuto, constatò che si era anche pettinato quella mattina.

Il suo telefono lasciò un avviso, un campanellino veloce e squillante che indicò l'arrivo di un messaggio. Lo recuperò, tentando di sbloccarlo con le dita fredde a causa dell'aria invernale.

"Jules: DEVO DIRTI UNA COSA, MUOVITI AD ARRIVARE!!!!!!!"

Victor lo lesse nella mente con la voce acuta e stridula che Julian aveva ogni volta che succedeva qualcosa di minimamente eccitante e sorrise, un sorriso veloce che gli abbassò gli angoli delle labbra invece che sollevarli.

«A che ora hai il treno domani?», chiese Ezra attirando nuovamente la sua attenzione, lo vide stringere le spalle e scuotere appena il capo in un brivido di freddo.

«Mezzogiorno, tipo.», rispose e l'altro annuì pensieroso.

«Dov'è che vai?», domandò ancora voltando il capo verso di lui e lasciando che gli occhi scuri si soffermassero sul viso del coinquilino.

«Mashner, una cittadina poco più a ovest da qui. - scrollò le spalle - La mia famiglia ha sempre vissuto lì e abbiamo una casa orrendamente gialla vicino alla ferrovia.», Ezra pensò che stesse scherzando, poi si rese contro che provava davvero disgusto per la sua casa gialla e sollevò un sopracciglio.

«Non siamo distanti, potresti venire da me per qualche giorno.», propose sorridendo. Guardandolo, a Victor venne in mente lo stesso sorriso che si era immaginato sul volto - o muso - di Lucifero, tentatore nei confronti di quei due malcapitati, Adamo ed Eva.

Victor, però, non si sentiva il primo uomo sulla terra, non sapeva nemmeno come avrebbe dovuto sentirsi chi intorno a sé non aveva altro che un silenzioso e al tempo stesso vitale paradiso. Quindi, si limitò a ignorarlo per concentrarsi sulla ghiaia che scricchiolava, lamentandosi sotto le sue suole, e valutare quanto valesse la pena mangiare quella singola mela.

Non conosceva la famiglia di Ezra e, a dire il vero, non era certo di conoscere nemmeno lui. Parlava poco di quella che era stata la sua infanzia, la sua adolescenza, la casa dov'era cresciuto e parlava poco di sé in generale, preferendo concentrarsi su qualsiasi altra persona lo circondasse. L'unica cosa che Victor apprese era il fatto che la Heaven fosse mantenuta in vita grazie alle generose donazioni dei suoi genitori e non riusciva a fare a meno di immaginarsi quanto potere potessero avere per finanziare un'università di tale portata.

«No, grazie.», rispose ed Ezra, per qualche strano motivo, rise.

«Allora verrò a trovarti io.», affermò sollevando le spalle e una nuvola di fiato gli si condensò davanti al viso. Victor sentì l'impulso meccanico di sollevare una mano per scacciare la puzza di fumo, ma non c'era alcuna sigaretta a pendere dalle sue labbra.

Avrebbe voluto protestare, ma sentiva la stanchezza tipica dei giorni prima di una vacanza prosciugare via ogni suo singolo granello di forza come un'onda sulla battigia e quindi si lasciò trascinare in mare aperto, taciturno, mentre spingeva la porta d'ingresso della Residenza.

C'erano già molti ragazzi, constatò, impegnati negli ultimi aggiornamenti prima della partenza, a popolare la struttura, camminando su e giù come numerose formiche lavoratrici e i sorrisi pronti a lasciarsi alle spalle ogni minima traccia di studio e fatica. Era passato circa un mese dall'ultima riunione, i tempi si erano dilatati per via degli esami e dei preparativi per alcune esibizioni o progetti in vista di Natale, per cui sembrava avessero molto da fare quel giorno per riportarsi in pari con i piani di Logan.

Ezra si guardò intorno, quasi soddisfatto di essere riuscito a entrare, come se ci fosse qualcosa alla porta che superandola avrebbe potuto farlo evaporare come acqua al sole. Victor pensò di dover dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma quando si voltò a guardarlo bastarono i suoi occhi a zittirlo.

Nessuno si accorse di loro, inizialmente, Logan continuò a fare su e giù da un gruppetto all'altro con il solito sorriso accondiscendente e radioso, Mitch stava seduto su un tavolo e chiacchierava con Hunter e Julian, poco più distante da loro, stava sorridendo al ragazzo che aveva di fianco parlando di chissà quale episodio divertente che gli era passato per la testa. Un taglio lungo il volto tragicamente sempre più magro era il suo sorriso.

A poco a poco i ragazzi iniziarono a zittirsi, il vociare a trasformarsi in un brusio e poi in un mormorio fino a svanire del tutto, man mano che si rendevano contro della presenza di quel ragazzo con il viso beffeggiante e le mani nelle tasche che sovrastava Victor in altezza.

Nessuno conosceva direttamente Ezra, lasciava di rado che qualcuno gli parlasse, nessuno che non fosse stato a stretto contatto con le sue vendite illegali prima della morte di Noel poteva dire di esserglisi avvicinato e, sebbene nessuno avesse avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, erano tutti convinti che in qualche modo l'avesse spinto lui stesso, con le sue parole avvelenate, a saltare giù da quel tetto.

«Ciao! - Logan fu il primo a farsi avanti, si rivolse a Victor, prima di spostare lo sguardo su Ezra - Hai portato qualcuno di nuovo.», constatò senza perdere il sorriso. Victor però riuscì a vedere il suo sguardo indurirsi in un riflesso involontario.

«Voleva partecipare, mi sta dando una mano con il mio pezzo.», spiegò, quasi lo stesse giustificando ed Ezra inclinò il capo, in silenzio, aspettando una singola ragione per aprire bocca. Studiò Logan, dalla testa ai piedi, con l'ombra di un sorriso e le palpebre leggermente abbassate.

«Lo sapevo! - esclamò una ragazza facendosi avanti - Sapevo che saresti venuto prima o poi, Ezra Bender.», Denise lo raggiunse e si fermò davanti a lui, sollevando il mento per poterlo guardare in viso e indicandogli il petto con la mano destra. Ezra assottigliò lo sguardo, divertito, e il suo volto fu mosso da un improvviso scatto interessato.

«Dottor Frankenstein? - sussurrò a quella buffa ragazza avvolta in un caldo maglione rosso che annuì con una punta di fierezza - Sei ancora più disgustosamente carina senza quella ridicola parrucca.», Ezra si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e le poggiò una mano sulla testa, come se avesse voluto sollevarle il volto per studiarla meglio.

«Stai lavorando per il Festival?», Grayson, prima seduto in uno delle tante poltroncine sparse per il piano di sotto della Residenza, si era alzato in piedi e studiava Ezra con sospetto.

Il ragazzo lasciò che la mano sulla testa di Denise scivolasse via, mentre spostava lo sguardo con pigrizia su di lui.

Grayson era diffidente, tutti lo erano. Tutti tranne una figura solitaria che poco più distante lo osservava in silenzio, il volto impassibile e gli occhi glaciali a scrutarlo con studiato distacco. Ezra salutò Janette con un cenno del capo, lei distolse lo sguardo e allora il ragazzo tornò con la propria attenzione su chi lo aveva interpellato.

«Lo faccio perché mi diverte lavorare con lui. - mise in chiaro indicando Victor con un cenno della testa, che spostò lo sguardo sulle proprie scarpe - Non ha nulla a che vedere con la storia della memoria e cazzate varie.», la verità gli abbandonò le labbra con velenosa crudeltà.

Grayson si lasciò sfuggire una risata amara e Logan spostò lo sguardo dall'uno all'altro con un rinnovato nervosismo.

«Certo, per quale altro motivo.», mormorò Grayson, mentre Kimberly si avvicinava silenziosa per poggiargli una mano sulla spalla come se la sua presenza avesse potuto in qualche modo calmarlo.

«Non sono poi così diverso da voi. - sussurrò Ezra abbassando appena il mento e sollevando le sopracciglia divertito - Non c'è una singola persona qui che sta lavorando per Noel Sanford.», disse lasciando che lo sguardo scorresse e accarezzasse ogni singolo viso rivolto verso di lui.

«Ezra.», l'ammonì Victor spostando il peso da un piede all'altro e abbassando lo sguardo sotto il peso della consapevolezza che ogni granello di attenzione stava rotolando verso di loro.

«Davvero credete di starvi impegnando per lui? - rise - Qui c'è soltanto chi è stato trascinato dagli altri, chi aveva voglia di fare qualcosa di diverso o accumulare crediti e chi è consapevole di aver contribuito a quella serie di eventi che ha portato Noel a trovarsi su quel fottuto tetto quel giorno e che adesso sta cercando di affogare i sensi di colpa pensando di fare qualcosa di buono.», parlò tutto d'un fiato, con lo sguardo penetrante e la tipica placidità di quando riempiva Victor di chiacchiere sui cetacei.

«D'accordo, io direi che possiamo continuare, che ne dite?», Logan rise nervoso, mentre Grayson faceva qualche passo avanti sottraendosi alla presa di Kimberly.

«Vi sentirete a posto con la vostra coscienza una volta finita tutta questa storia? Credete che mettere su un paio di spettacoli basti ad assolvervi? Lui continuerà a essere morto.», aggiunse ancora incrociando le braccia al petto e sollevando l'angolo delle labbra.

Victor sapeva perfettamente quello che stava facendo, stava provocando, voleva vedere fino a dove avrebbe potuto spingersi, stava tastando il terrendo per un suo futuro divertimento, ma non tutti avevano l'atteggiamento passivo di Victor e non tutti lo avrebbero lasciato continuare a giocare, aveva superato i confini e Grayson si ritrovò di fronte a lui nel giro di pochi istanti.

Lo guardò, in silenzio, lo studiò, studiò quanto valesse la pena lasciare che il suo pugno collidesse con quel viso irrisorio e pensò anche di lasciar perdere, prima che le sue labbra si distendessero pigre e che la sua lingua spingesse contro l'interno della guancia man mano che lo sguardo si muoveva tra gli occhi irosi di Grayson.

Fu veloce, silenzioso, un colpo che si limitò a fargli piegare il viso e a fargli sollevare una mano per reggersi lì dove il dolore iniziò a irradiarsi velocemente. Grayson lo superò senza dire niente e sparì oltre la porta, immediatamente seguito da Kimberly.

«Adesso basta. - la voce di Logan sembrò indurirsi e assunse quell'espressione tipica del leader che mostrava di essere - Riprendiamo le attività, con te ci parlo dopo.», aggiunse poi indicando Ezra che, adesso, stava ridacchiando massaggiandosi la guancia.

«Ti avevo detto di comportarti bene.», Victor aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in quella sua espressione delusa come se davvero si fosse aspettato di avere di fianco una persona che, in realtà, Ezra non era e che probabilmente non sarebbe mai stato. Si allontanò senza lasciargli il tempo di replicare.

«Temo che tu te la sia un po' cercata.», mormorò Denise con un sospiro stanco.

«Ho soltanto detto la verità, che qui tutti sembrano ignorare.», incrociò le braccia al petto, disturbato dal fatto che l'opinione di quella ragazza sembrava influenzarlo con particolare insistenza. Gli occhi profondi con i quali lo guardava parevano chiedergli di piegarsi di fronte a quella sua gentilezza.

«A volte la verità può far male, Ezra. - gli disse con un sorriso dolce, ma con l'espressione di chi tentava di educare un figlio particolarmente ribelle - Parla con Logan.», suggerì poi poggiando una mano sul suo braccio e allontanandosi verso un ragazzo che non aveva smesso di fissarli un solo istante da quando aveva messo piede lì dentro.

Ezra sospirò e, per la prima volta in vita sua, si pentì delle sue stesse parole. Non avrebbe mai pensato di potersi avvicinare tanto a qualcuno da sentire il bisogno di dosare quelle espressioni altrimenti taglienti, da aver paura di tornare a rimanere solo. Eppure, era proprio quella la sensazione che gli grattava il petto in un fastidioso prurito, mentre spostava lo sguardo su Victor che adesso stava chiacchierando con quel Julian di cui non smetteva più di parlare dalla festa di Halloween.

«Complimenti, non credevo di potermi divertire ancora di più, oggi.», disse Julian avvicinandosi a Victor con le braccia nascoste dietro la schiena e un largo sorriso sul volto.

«Non sei arrabbiato con lui?», chiese Victor spostando distrattamente lo sguardo su Ezra che adesso se ne stava poggiato al muro con un'espressione che avrebbe immaginato molto bene sul volto di un serial killer.

Julian scrollò le spalle e i lunghi capelli biondi ondeggiarono con il movimento. Aveva una maglia di lana a maniche lunghe con dei buchi che avrebbero dovuto accogliere i suoi pollici e dei larghi pantaloni di jeans con sotto le immancabili Converse che probabilmente avrebbe continuato a indossare anche sotto la neve.

Victor lo osservò, in attesa di una risposta e gli si strinse lo stomaco nel vedere le condizioni con le quali si presentò. Sembrava si stesse lasciando andare, come se non valesse più la pena di continuare a preoccuparsi, i capelli erano sporchi, gli occhi contornati da ombre scure e quei vestiti sembravano essere gli stessi che indossava già da tre o quattro giorni ormai.

«Perché dovrei? - chiese sollevando un sopracciglio chiaro - Non ha detto nulla che non sapessimo già. È la verità, io sono qui per quello e tu?», sorrise spostando anche lui gli occhi azzurri sull'oggetto della loro discussione.

Adesso teneva le braccia conserte mentre parlava con Logan. Victor, che mai si interessava a nulla, avrebbe tanto voluto sentire i particolari di quella conversazione, il motivo dello sguardo irrequieto di Ezra e di quell'espressione annoiata e sottomessa al tempo stesso.

«Sì...Ma comunque non era il modo giusto di dirlo. - borbottò - Il primo giorno.», puntualizzò distogliendo lo guardo nel momento in cui incontrò quello di Ezra quasi per caso.

«Il modo giusto...È piuttosto soggettivo, anche se la società sembra aver deciso per noi quali sono i modi giusti.», sospirò e inclinò il capo, pensieroso. Aveva gli occhi vuoti, privi di quella luce che li illuminavano tempo prima.

«Perché sei così strano oggi?», mormorò Victor aggrottando le sopracciglia e Julian rise.

«Sai, mi piace quel ragazzo. - concluse annuendo - Parlano tutti di lui, eppure continua a preoccuparsi solo di quello che pensi tu.», si morse le labbra trattenendo un altro sorriso.

«A Ezra non frega niente di quello che penso io.», sussurrò Victor.

«Ah no? E allora perché continua a girarsi verso di te, come un bambino che aspetta di chiedere scusa alla madre? - domandò spostando lo sguardo su Victor - È adorabile, comunque, potresti dargli un'opportunità.», gli diede un debole colpo sul braccio e Victor fece un passo indietro.

Non capiva di quale opportunità Julian stesse parlando e non era nemmeno sicuro di volerlo fare. Aveva imparato a conoscere Ezra, giorno dopo giorno, aveva iniziato a prevedere i suoi commenti quando suonava, a capire che cosa avrebbe voluto mangiare un giorno piuttosto che l'altro, eppure di lui non gli rimaneva che il freddo involucro del suo sorriso.

Pensandolo, non aveva ricordi, non aveva episodi che l'avrebbero fatto sorridere, non aveva alcun momento passato insieme o niente che rimandasse a immaginarselo nel suo passato come qualcosa di diverso di una comparsa, di un anonimo albero che però teneva le sue radici ben piantate nella vita di Victor. Non era altro che un individuo nato nell'esatto istante in cui lo conobbe, all'interno di quell'appartamento, con il violino di Noel tra le mani. Acerbo e...Nuovo.

«Hai detto che dovevi dirmi una cosa.», Victor cambiò argomento, spostando la sua attenzione sull'amico che riprese a sorridere con l'entusiasmo di un bambino, gli occhi che ancora non brillavano. Teneva i pugni stretti e Victor sospettava che faticasse a rimanere fermo sul posto.

«Credo di piacere ad Allen.», sussurrò spostando lo sguardo sul ragazzo dalle spalle larghe che stava chiacchierando con Roderick.

«Oh...Ehm, wow.», si ritrovò senza sapere che cosa dire in una situazione del genere.

Non aveva un libretto per le istruzioni e un "congratulazioni" gli pareva quasi imbarazzante, pomposo, troppo per un semplice "credo".

Analizzò la frase di Julian con chirurgica precisione, recidendo pezzo dopo pezzo nel tentativo di trovare la giusta risposta, ma non individuò un singolo indizio in grado di aiutarlo. Julian non parve nemmeno accorgersi della sua difficoltà, perché riprese a parlare con lo stesso entusiasmo di prima.

«Non mi lascia più solo. - disse e poi sollevò le spalle come chi stava per rivelare un segreto - Ci siamo baciati quasi tutta la notte, mi ha toccato con una gentilezza di cui non lo credevo nemmeno capace e poi...poi è rimasto con me e mi ha abbracciato ed è stato...», sospirò fissando un punto dello spazio dove Victor era sicuro non ci avrebbe trovato null'altro che pulviscolo sotto la timida luce del sole che era riuscito a farsi strada tra le nuvole.

«Ma voi non eravate già...Insomma...», mormorò aggrottando le sopracciglia.

«Oh, scopavamo e basta. - scacciò le sue parole con un gesto della mano - Non voleva nulla di serio...Beh, prima.», si morse le labbra e le torturò con i denti fin quando Victor non annuì. Aspettò qualche istante e, poi, gli prese entrambe le mani.

«Però non ne sono sicuro, capisci? - esclamò - Parla con lui.», mormorò con gli occhi azzurri spalancati su di lui.

Sembrava avesse bisogno di quell'informazione per restare in vita e, quello che Victor non riusciva a capire, era che forse era proprio così.

«Io?», mormorò Victor confuso.

«Sì, insomma sei mio amico. - spiegò - Ti presenti, chiacchierate e scopri se i miei sospetti sono fondati.», lo implorò con le iridi chiare limitate quasi al sottile contorno delle pupille scure.

«Ehm...D'accordo.», acconsentì, con ancora una punta di confusione nella voce ma la cautela con la quale sentiva di doversi muovere intorno a lui gli stava urlando di accontentarlo.

Dopotutto, sarebbe stata un'ottima scusa per potersi avvicinare ad Allen e chiarire una volta per tutte quello che stava succedendo a Julian, trovare quella chiave che sembrava aver affidato soltanto nelle sue mani e che Victor bramava come un ladro.

Era ormai chiaro che Jules fosse caduto in una profonda depressione, ma non sapeva in alcun modo che tipo di corda avrebbe dovuto lanciargli per aiutarlo a uscirne e aveva bisogno di fargli del bene, aveva bisogno di averlo al suo fianco, perché Julian era il suo primo vero amico da molto, troppo tempo e non aveva alcuna intenzione di perderlo.

In poco tempo, si ritrovò al fianco del ragazzo che avrebbe benissimo potuto disintegrarlo con un solo sguardo se soltanto avesse voluto. Roderick si era allontanato per raggiungere una ragazza e Allen era rimasto solo, subito in cerca di Julian con lo sguardo.

«Ciao.», disse Victor prima che lui si accorgesse della sua presenza.

Allen abbassò lentamente lo sguardo verso di lui, si prese del tempo per studiarlo con la cautela felina di un leone che tentava di studiare la sua prossima vittima. Victor rimase immobile, valutando se tentare di stirare le proprie labbra in un sorriso artificioso o mantenere lo sguardo serio che sembrava non abbandonargli mai il volto.

«Victor.», constatò Allen e lui si stupì che qualcuno effettivamente ricordasse il suo nome. Non capì, però, se l'esito della sua riflessione fosse stato positivo o meno, se fosse stata una vittima sacrificabile o qualcuno con cui giocare prima dell'attacco.

«Sì...Ehm, Julian... - Victor sospirò, sentendosi un bambino alle prese con la prima cotta del suo compagno, poi aggrottò le sopracciglia e cambiò discorso - Non sta bene.», disse decidendo per una volta di arrivare dritto al punto.

Tre parole semplici, che avrebbero potuto assumere svariati significati e vestire numerose interpretazioni, eppure Allen sembrò captare esattamente quello che Victor voleva passargli. Le sopracciglia si abbassarono, gli occhi scuri persero la diffidenza che li aveva illuminati fino a poco prima e le labbra si strinsero tra di loro. Ebbe, in questo modo, la conferma dei sentimenti di Allen nei confronti di Julian.

«No, non sta bene. - annuì e improvvisamente smise di studiarlo - Ti ha detto qualcosa?», sembrava quasi allarmato, spaventato e Victor riconobbe quella stessa paura che aveva lui stesso di svegliarsi un giorno e non ritrovare più quell'eccentrico ragazzo pronto a sorridere nonostante tutto. Allen era terrorizzato all'idea che potesse succedergli qualcosa e, per un istante, Victor non ebbe timore di lui.

«No, non...Non mi ha detto niente. - lo rassicurò - Solo che vedo che continua a peggiorare, in qualche modo, il suo sorriso si allarga e lui tende a restringersi. Non so...Ecco, non so cosa fare per lui, continua a scappare.», sussurrò come se stesse finalmente ammettendo di non essere in grado di prendersi cura di qualcuno, di non essere in grado di far del bene, di fermare quei pensieri anomali che si infilavano subdoli nella mente di chi gli stava accanto. Victor aveva perso, di nuovo.

«Lo so. - mormorò Allen, sembrava particolarmente triste - Sto solo cercando di dargli qualcosa per cui vale la pena combattere.», lo guardò dritto negli occhi e Victor rabbrividì, perché il pensiero che nemmeno quel ragazzo sembrò sapere come comportarsi gli fece stringere lo stomaco.

Aggrottò le sopracciglia, quando all'improvviso gli vennero in mente alcune singolari parole di Julian. Tanto mia madre non ci sarà.

«Ha detto che rimarrà qui per le vacanze! - esclamò trattenendo il fiato, contento di essere riuscito a mostrare una certa utilità - Rimarrebbe da solo...Potrei, potrei invitarlo a casa mia.», mormorò poi riacquistando il solito tono sommesso.

Allen aggrottò le sopracciglia, infastidito che Julian gli avesse nascosto una cosa del genere e spaventato delle idee che avrebbero potuto insinuarsi nella sua mente, che probabilmente si stavano già insinuando nella sua mente.

«No. - il suo tono fu duro, categorico - Lui viene con me.», aggiunse poi sollevando lo sguardo per lasciarlo cadere sull'impaziente figura di Julian. Stava in piedi, a guardarsi intorno con quell'espressione di inadeguatezza che spesso lo colpiva quando era da solo.

Con un cenno del capo Allen salutò Victor, ignorando le sue labbra che tentarono di rilasciare suoni non ancora elaborati dalla sua mente, per raggiungere Julian, prenderlo per un braccio e trascinarlo su per le scale, verso il soppalco, verso la terrazza.

Li vide sparire, restando immobile nel punto in cui lo aveva lasciato, aggrottando le sopracciglia frustrato e confuso al tempo stesso. Victor aveva bisogno di tempo, ma nessuno aveva mai tempo da perdere per aspettare le sue lente e studiate risposte, nessuno che non fosse un alto e terribilmente irriverente ragazzo, lo stesso ragazzo che adesso stava attraversando la Residenza come se non avesse appena ricevuto un pugno di fronte a tutti, spalle dritte e testa leggermente inclinata, con la sua solita smorfia furbesca a colorargli il volto pallido.

Ezra si fermò nell'esatto istante in cui si ritrovò alle spalle di quella ragazza dall'aria angelica e fastidiosamente dolce, che avrebbe voluto macchiare della propria cattiveria. Di fronte a lei, un ragazzo alto dai capelli scuri si era accorto della sua presenza ben prima di Denise e smise di parlarle, aggrottando le sopracciglia e stringendo le labbra, il piercing che le bucava brillò sotto il riflesso del lampadario.

«Ho parlato con Logan.», disse vedendo le sue spalle sussultare per la sorpresa. Il ragazzo sollevò un sopracciglio, lentamente, studiando Ezra da capo a piedi che lo ignorò con estrema facilità.

«Oh...Sono contenta!», esclamò Denise inclinando il capo. Sembrava così sincera che a Ezra venne prurito alle braccia, chiedendosi se esistesse qualcosa capace di farla arrabbiare.

Le aveva parlato una volta alla festa e ne rimase intrigato, le stava parlando ancora nello stesso luogo e non fece altro che pensare di volersi avvicinare ancora per capire da dove avesse origine quella sua cieca fiducia nei confronti delle persone. Che cosa ti spinge a lasciarti andare? Voleva chiederle, voleva urlarglielo, voleva conoscere quell'unico segreto che lui non riusciva a possedere.

«Ho chiesto scusa, anche se non ne avevo la minima intenzione. - lo disse come se fosse stata colpa sua - E ho detto che mi piacerebbe davvero molto partecipare al progetto.», lasciò che la voce assumesse un tono stomachevolmente mieloso, nel tentativo di darle sui nervi, ma lei sorrise con ancora più energia non dando alcun segno di aver captato quel suo sarcasmo.

«Beh, se sei qui qualcosa ti dovrà pur piacere. - rise Denise - Non mi sembri proprio il tipo che fa qualcosa che non ha voglia di fare.», lo prese in giro lasciando che Isaac le circondasse le spalle con un braccio.

Ezra strinse le labbra e i denti, aggrottò le sopracciglia e pensò che in quel momento probabilmente avrebbe potuto somigliare a Victor prima che gli chiedesse di stare zitto.

Era solitamente bravo a leggere le persone, ma quella ragazza sembrava invitarlo a sostenere una gara già persa in partenza e si sentì improvvisamente incapace di padroneggiare quella sua solita prontezza. Non capiva perché la intrigasse, non capiva perché volesse a tutti i costi infastidirla o trovare la minima macchia scura tra i suoi pensieri, eppure non riusciva a farne a meno. Era impossibile che fosse così innamorata della vita.

«Vuoi dirmi il tuo nome o preferisci che continui a chiamarti Dottor Frankenstein?», sussurrò il ragazzo, il tono come il tipico sibilo di un serpente. Eccolo, a offrire un'altra mela. Isaac assottigliò le palpebre, ma rimase in silenzio.

«Denise.», gli rispose allungando la mano che Ezra strinse nella sua, come la firma silenziosa di un contratto che li avrebbe in qualche modo legati fino a quando uno dei due non si sarebbe arreso all'altro.

Eccoci, Ezra combina guai.
Non avevamo dubbi dopotutto.

Allora, capitolo pieno di polpa.
Vediamo Vic che inizia ad abituarsi al nuovo coinquilino.
Vediamo Jules che sta iniziando a perdere la presa, riusciranno ad aiutarlo?
Vediamo Ezra che ignora i propri problemi tanto da volerli instillare nella vita apparentemente perfetta di Denise. Spero si sia capito, ma ve lo lascio comunque: Ezra non può sopportare quel suo atteggiamento positivo, perché lo fa sentire compreso, lo fa sentire a disagio, rispetto all'atteggiamento a cui è sempre stato abituato.
Chissà come si evolverà la situazione, riuscirà a macchiarla oppure sarà lei ad aiutarlo?

Scopriremo tutto più avanti, intanto vi lascio questo bel capitolo lungo, con la promessa che quello dopo sarà molto corto (poco più di mille parole)
~🐝

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