Avenging Angels

By -Happy23-

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Era da quattro anni che allo scattare della mezzanotte del 21 Dicembre tutti le reti, tutti i canali televisi... More

Δ
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40

Capitolo 25

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By -Happy23-

Seth

Slegai le bende dai polsi e le buttai nel borsone.

«Hai parlato con Pen?»

«No e non ho intenzione di farlo.»

L'uscita che aveva fatto davanti a Nyxlie era stata rischiosa. Per quanto volesse nasconderlo, era gelosa e ce l'aveva con me per come stavo gestendo la situazione.

«Forse se le parlassi, potresti farla ragionare.» Sospirò.

Chiusi con uno scatto la cerniera. «La conosci. Ha deciso e gli altri sono d'accordo.»

E io ero incazzato con tutti loro ma non potevo darlo a vedere, avrebbero iniziato a dire che non era normale come mi preoccupassi per lei e altre cazzate che non volevo sentire. Quello che volevo che capissero era che fosse una mossa azzardata e da veri bastardi. Tutte le risposte che recuperavamo quando si sceglieva un caso, le trovavamo senza mettere di mezzo le persone in questione. L'avevamo fatto con Jace ma quella era stata un'eccezione. Sequestrare e interrogare Nyxlie avrebbe toccato delle corde che avrebbero potuto ritorcersi contro. Più che lei, stavo cercando di proteggere tutti noi.

E forse anche lei.

«Era arrabbiata per quello che ha visto.»

Lo guardai accigliato. «E questo è un motivo per prendere una decisione che potrebbe fotterci tutti quanti?»

Eravamo già fottuti, ma evitai di correggermi. Non l'avevo ancora accettato io stesso.

«Potrebbe anche fotterci quello che tu stai continuando a fare.»

Ruotai gli occhi e mi tirai indietro i capelli umidi di sudore. «Ho provato ad allontanarla, okay?»

«Già.» Schioccò ironico. «Sono certo che sia venuta da te proprio con l'intenzione di avere la tua faccia tra le gambe.»

«Vaffanculo.» Afferrai il borsone e gli lanciai un'occhiata storta. «E comunque ti ho visto ieri in biblioteca, con lei.»

«Si e a differenza tua io volevo solo parlarle e così è stato.»

«Perchè volevi parlarle?» Chiesi cercando di mostrarmi indifferente ma il sorrisetto che apparì sulla sua faccia da schiaffi mi fece intendere che non fossi stato molto bravo.

«Perchè mi sono comportato un po' da stronzo ultimamente.»

E perchè gli interessava cosa lei pensassi di lui?

«Mh. E lei cos'ha detto?»

Uscimmo dalla sala e salimmo le scale della palestra.

«Che mi sono comportato da stronzo e ci è rimasta male.» Disse. «E ha aggiunto che al momento può sopportare solo uno stronzo alla volta.»

«Che sarebbe?»

Mi guardò sbieco. «Sei davvero così egocentrico che vuoi sentirtelo proprio dire?»

Mi strinsi nelle spalle. Volevo solo avere una conferma che fossi l'unico stronzo a girarle attorno. Uscimmo dalla palestra e tirai fuori le chiavi della macchina.

«Nixon!»

Mi bloccai al suono di una voce femminile e anche Chen si girò con me. Era una delle coinquiline di Nyxlie. Uscii dalla palestra e si abbracciò per fare fronte all'aria fredda.

«Scusa, sono Zara--»

«Si, so chi sei.»

Lei abbozzò un sorriso. «Hai per caso sentito Nyxlie oggi?»

Era da quando era venuta sulla mia faccia che non la vedevo, ed era passata quasi una settimana. Ma non mi ero ancora dimenticato il suo sapore.

«No, perchè?»

«Oh. Non so...è sparita questa mattina all'alba.» Disse e muoveva le mani e spostava gli occhi su me e Chen in modo nervoso.

«Non avete provato a chiamarla?» Domandò Chen.

«Questa è la cosa strana: ha lasciato il telefono a casa.» Al nostro silenzio, lei proseguì. «Ma forse ci stiamo solo pensando troppo. Scusate ancora.»

Entrai in macchina con una strana sensazione allo stomaco.

«Stai tenendo sotto controllo il numero?» Domandai, ingranando la marcia.

«Si. Dopo quella chiamata, non l'ha più contattata.» Rispose.

Sapevo fosse sbagliato ma ormai quella soglia l'avevo superata da un pezzo. Le abilità informatiche e da hacker di Chen iniziarono ad esserci utili a capodanno, e così facendo avevamo scoperto di un messaggio "buon anno, sorellina". Non potevo crederci che quel ladruncolo del cazzo avesse ragione, suo fratello era vivo. Avevo ordinato a Chen di tenere monitorato quel numero di telefono e avevamo scoperto che l'aveva anche chiamata e lei aveva risposto.

«Dici che si è incontrato con lui?» Domandò.

Inspirai e strinsi il volante. «Non lo so ma è strano che sia sparita così.»

Non credevo le fosse successo qualcosa. Aveva lasciato il telefono a casa perciò sapeva quello che stava facendo, però, perchè farlo? Quello era strano. Che fosse con Jace lo reputavo impossibile, era tornato a Boston e l'avrei saputo se avesse messo piede ancora qui, cosa che ero certo avrebbe fatto molto presto. Questo pensiero mi fece innervosire. Cazzo, avrei dato qualsiasi cosa pur di prenderlo a pugni in faccia.

Parcheggiai di fronte alla confraternita e spensi il motore con un gesto gesto.

«Senti, devo dirti una cosa.» Tamburellai le dita sul volante.

«Chi cazzo hai messo incinta?»

«Cosa?» Lo guardai allibito. «Nessuna. Perchè cazzo l'hai pensato?»

Alzò le spalle. «Cosa ci può essere di peggio?»

Continuai a guardarlo accigliato.

«Dai, spara. Che hai fatto?»

«Prima devi promettermi che questa cosa rimarrà tra me e te.»

Sollevò il braccio col mignolo alzato. «Giurin giurello?»

«Sto parlando sul serio, coglione.»

«Si, va bene. Parla, ora.»

Dovevo strappare il cerotto e accettare le conseguenze.

«Jace lo sa.»

La spensieratezza di poco fa sparì sul suo volto. «Cosa sa?»

Aprii la bocca per rispondere ma non riuscii a dirlo.

«Seth, che cazzo sa?» Sibilò.

Mi pizzicai il naso e guardai altrove. «Lo sa. L'ha capito.»

«Mi stai prendendo per il culo?»

Era incazzato, molto. E lo capivo. Lo ero anche io.

«No.» Dissi piano. «Alla festa, è venuto a parlarmi.»

«Cazzo...» Inspirò e poi sbattè una mano sul cruscotto. «Cazzo!»

«Senti--»

«No, Seth. Porca puttana, questo non va bene. Non va affatto--»

«Mi vuoi ascoltare?» Alzai la voce.

Iniziò a muovere nervosamente la gamba e si passò entrambe le mani sul volto. «Dobbiamo farlo fuori.»

«Cosa? No.»

Lui voltò la testa di scatto e sgranò gli occhi. «Che cazzo significa no? Sei impazzito per caso?»

Si, decisamente.

«Non lo dirà a nessuno.»

«E tu gli credi?» Chiese sprezzante.

Inspirai a fondo. «Mi ha detto che approva quello che facciamo. Che non gliene frega un cazzo se stiamo puntando a suo padre, l'importante è che non facciamo del male a lei e che non avrebbe detto nulla...»

«Si e a quale condizione?»

Esatto. A quale condizione non l'avrebbe detto. Il mio silenzio sembrò già essere una risposta perchè imprecò ancora.

«Ovviamente. E te la sei fatta comunque.» Sibilò. «Si può sapere che cazzo hai nella testa?»

Lei. Avevo lei nella fottuta testa e lo odiavo anche io.

«Non glielo dirà.»

«Cristo. Qui non si tratta solo di te, Seth. Ci siamo dentro tutti, devi dirlo anche agli altri.»

«Non posso.» Lo guardai. «Sai perfettamente che cosa vorrebbero fare»

«Si e non sarei contro l'idea.» Replicò secco.

Il silenzio cadde tra noi. Sapevo cosa stesse pensando: non eravamo mai arrivati a questo punto. Nessuno sapeva chi eravamo, cosa facevamo. Nessuno aveva un minimo sospetto. Per anni eravamo stati bravi a cancellare le nostre tracce, la polizia non sapeva mai da che parte iniziare. Ma adesso tutto si stava disfacendo. Qualcuno sapeva chi eravamo, e l'aveva scoperto solo per una mia idea che sapevo avrebbe potuto ritorcerci contro ed era successo davvero. In quattro mesi non ero riuscito a recuperare una singola informazione importante da Nyxlie, e Penelope aveva ragione: non ero concentrato.

«Devi convincere gli altri a non fare niente.» Dissi senza guardarlo. «Se lo facciamo, lui lo saprà. Lei glielo dirà.»

«Io non convinco proprio nessuno. Il problema l'hai creato tu.» Rispose piatto, aprendo la portiera.

Gli lanciai un'occhiataccia quando scese. «Avete accettato tutti all'idea.»

Si bloccò a guardarmi mentre teneva la portiera aperta. «E allora non vedo perchè tu abbia paura di dirlo anche a loro.» E con quello sbattè la portiera.

Io non avevo paura, volevo evitare di discutere adesso che le cose tra noi sembravano delicate.

In quei giorni era tutto molto precario e bastava un niente per mandare a puttane tutto l'equilibrio che già stava vacillando. Jace che sapeva la verità non era proprio un niente questo avrebbe fatto scoppiare una vera e propria bomba.

Anche nella mia testa era scoppiata una bomba che mi stava incasinando di continuo e ora più che mai.

Rientrai in casa solo per farmi una doccia, mangiare qualcosa al volo e poi andai a lezione. Sapevo che Chen non l'avrei visto in classe e forse era meglio così.

Raggiunsi l'edificio dove si tenevano le lezioni di legge e andai verso l'aula della lezione di quell'ora di metà pomeriggio.

Era un ossimoro il fatto che studiassi legge e allo stesso tempo avevo infranto così tante leggi che avrebbero fatto prima a decretarmi condannato a morte che perdere tempo con tutto un processo.

Ma sarebbe stata un ottima copertura, e un ottimo modo per avere in mano quei casi in cui non c'era stata giustizia. E l'avrei fatta, la giustizia, prima con le buone e poi con le cattive. Mi sembrava un'ottima scelta.

Andai a sedermi nell'ultima fila e tirai su il cappuccio della felpa. Non prendevo mai appunti, mi bastava ascoltare. Avevo un'eccellente memoria e mi bastava leggere un paio di volte per ricordarmi il contenuto di libro.

La memoria era un grande dono che a volte poteva ritorcersi contro di noi, c'erano tante cose che non avrei voluto ricordare eppure erano impresse nella mia mente, incise nella materia grigia, altre le avevo incise nella pelle.

«Hai intenzione di farmi fuori?»

«Lo vorrei.»

«Viva la sincerità.» Borbottò. «Be', almeno puoi dirmi perchè hai insistito nel darmi un passaggio? Non sei esattamente l'emblema della parola altruismo.»

Guardai l'ex di Nyxlie con la coda dell'occhio. «E tu non sei esattamente l'emblema della parola intelligenza.»

Accennò un sorriso. «Vorrei ricordarti che ho scoperto chi sei, chi siete.»

Strinsi il volante a quell'affermazione che ancora mi faceva ribollire il sangue. Come cazzo era potuto succedere?

«Si e, da perfetto coglione che sei, me l'hai detto.» Schioccai. «Non hai istinto di sopravvivenza.»

Avevo pensato a molti modi per eliminarlo e inventare una storia sulla sua scomparsa. Non sarebbe stato difficile, eppure, non lo feci.

Si mosse nervosamente sul sedile e questo mi fece sorridere internamente.

«Hai detto che non lo farai. Non puoi farlo.» Iniziò a parlare teso. «Se mi succede qualcosa, Nyxlie sa che l'ultima persona che mi ha visto sei tu.»

«Sono bravo a far sembrare le cose degli incidenti.»

Sentii il suo sguardo addosso ma non ricambiai lo sguardo.

«Senti, per quanto tu non possa crederci non ho intenzione di dirlo alla polizia o ad altri.» Disse con un sospiro e la voce più seria. «L'ho detto quando mi avete rapito, ammiro quello che fate, forse un po' troppo sadico ma non me ne frega un cazzo, quelli sono la feccia umana...»

«Devi volere qualcosa in cambio, altrimenti non avresti perso tempo a dirmelo.» Parlai e ora lo guardai di striscio.

Lui si leccò le labbra e strinse gli occhi. «Nyxlie.»

Inspirai a fondo. Era difficile dimenticarmi che era stata con lui in passato. E speravo solo in passato.

«Non le faremo niente.»

«Non mi interessa. La stai usando e non lo merita. Trova altri modi per avere risposte.»

«Tu non sai un cazzo.» Mi innervosii.

Rise beffardo. «Ti sei avvicinato a lei per avere più informazioni perchè pensi che sappia--»

«Lei sa qualcosa.» Lo bloccai duramente. «E mente. Come tutta la sua famiglia. Ma non ho intenzione di farle del male per avere ciò che cerco.»

Male fisico, intendevo. Perchè in fondo sapevo bene che l'avrei fatta impazzire e l'avrei ferita, e lo sapeva anche lei.

Entrai nel parcheggio dell'aeroporto di San Josè. Fermai la macchina in un punto in cui non dava fastidio e la spensi.

«Te l'ho detto, cerca il fratello. E' vivo.» Disse. «Questa è la condizione: stai lontano da lei.»

Lo guardai impassibile. «Non posso. Ho bisogno delle sue informazioni.»

Di lei.

Scosse la testa con un mezzo sorriso freddo. «Senti, non sono cieco. So che c'è qualcosa tra voi ma lei ne ha passate tante e non merita di essere usata in questo modo.»

«Perchè? Cos'ha passato?»

A parte una vita all'insegna di ordini, vestiti eleganti e sguardi di troppo da parte di uomini più grandi lei.

Distolse lo sguardo. «Lasciala stare. Lascia stare la storia o trova un altro modo.»

Serrai i denti. Non avrei mai pensato di dirlo, di dargli una maggiore conferma.

«So che hai una sorella, Jace.»

Il suo volto si rabbuiò velocemente. «Che cazzo c'entra?»

«Niente.» Trattenni un sorriso per la sua improvvisa rabbia e la capii. «Ma prova a pensare che venga stuprata e che poi si suicidi per questo...»

Quasi scattò pronto a colpirmi ma si bloccò quando forse gli si accese una lampadina. Aggrottò la fronte. «No, aspetta...tu sei--sei il fratello di quella ragazza? Porca puttana, il ventun dicembre è quando lei...e voi...»

Deglutii e abbassai lo sguardo sulla D tatuata sulla mano sinistra. «Questa è la mia vendetta. Non posso lasciar perdere.»

«Io...mi dispiace. Sul serio, quello che è successo è orribile.» Mormorò. «Ma Nyxlie non merita di essere una pedina nel tuo piano di vendetta. Per me puoi far fuori anche tutta la sua famiglia, ma non scherzo, stai lontano da lei.»

E se non fosse più una semplice pedina?

Nyxlie

«Tesoro, va tutto bene?»

Distolsi lo sguardo dalle macchine che sfrecciavano sotto di me e girai la testa. Una signora con un lungo cappotto e una spessa sciarpa mi stava guardando con sguardo preoccupato. Alle sue spalle c'era un signore con una bambina per mano, forse sui dieci anni.

«Mh, si grazie.»

Lei scrutò la mia figura e la bottiglia di birra al mio fianco. «È pericoloso stare così, forse dovresti scendere.»

Così, intendeva seduta sulla ringhiera del passaggio pedonale del Golden Gate Bridge, che affacciava sull'oceano.

«Sto bene.» Abbozzai un sorriso.

Lei lo ricambiò meno convinta e poi tornò da quella che pensai fosse la sua famiglia. Li osservai mentre ripresero a camminare e la bambina si girò un paio di volte verso di me.

Stavo bene.

Sospirai e tornai a guardare di fronte a me. La struttura di ferro del ponte era illuminata e oltre a quelle sbarre c'era una distesa di acqua buia.

Mi piaceva qui. Forse da sana non ci sarei salita ma non avrei fatto nulla di pericoloso. Volevo solo sedermi e far dondolare le gambe, sospese nel vuoto. Se fossi caduta, se mi fossi buttata, si probabilmente sarei morta.

Afferrai la bottiglia di vetro e la portai alle labbra per assaporarne l'ultimo sorso di liquido amarognolo. Era la terza che finivo. E non mangiavo da tutto il giorno.

Non sapevo quanto tempo passò quando sentii una voce roca familiare.

«Bello lì?»

Girai la testa di scatto, sentendo un brivido percorrermi il corpo. Seth era al centro del percorso pedonale. Indossava un lungo cappotto scuro con le mani in tasca. Era molto bello.

«Come hai fatto a trovarmi?» Chiesi, con un sorrisetto brillo.

«La tua amica mi ha contattato, ha detto di cercarti. Ho avuto fortuna.»

Winter, doveva essere lei. Però, non avevo idea di come aveva intuito dove fossi andata.

«Che ne dici di scendere, Principessa?»

Il suo tono era delicato, attento. Sembrava avesse paura per me. Non doveva averne.

Ridacchiai, scuotendo la testa. «Non mi butto mica.»

Lui non accennò nemmeno ad un sorriso. I suoi occhi scuri e severi mi trafissero e io avvertii una morsa colpevole che mi infastidii.

«Mi piace qui.» Dondolai i piedi. «Vieni anche tu.»

Si avvicinò e appoggiò le mani sul ferro. Guardò in basso, la distesa d'acqua nera sotto di noi, e serrò la mascella.

«Perchè sei seduta qui?»

Guardai il ponte illuminato. «Stare in bilico mi fa ricordare.»

«In bilico tra cosa?»

«Tra vita e morte.» Le parole mi scivolarono rapide. Guardai in basso. «Basta un semplice salto e--»

«Okay. Basta cosi.»

In un gesto improvviso mi circondò saldamente la vita e i miei riflessi rallentati dall'alcol mi impedirono di ribellarmi. Riuscì senza sforzo a tirarmi giù dalla ringhiera. Gli diedi una spinta appena i miei piedi toccarono il ponte.

«Stronzo.» Lo guardai male, togliendomi delle ciocche dal volto. «Stavo bene. Sto bene.»

«Sicura?» Strinse gli occhi. «Perchè eri seduta sulla ringhiera di un fottuto ponte.»

«So cosa stavo facendo.»

Lui non capiva ma io non avrei fatto nulla.

«Sei ubriaca.»

Ruotai gli occhi e lo superai. «Ho bevuto solo qualche birra.»

Lui mi afferrò il braccio per bloccarmi. Il suo profumo mi invase le narici ma ero infastidita dalla sua eccessiva preoccupazione. I suoi occhi erano uguali alla distesa d'acqua che avevo fissato per diverso tempo.

«Perchè sei sparita?» Chiese severo. «La tua amica era molto preoccupata.»

«Non avrebbe dovuto cercarti.»

Dio, Winter. Perchè l'hai fatto?

«Per come ti ho trovata direi che ha fatto benissimo.» Schioccò arrogante.

«Ho detto che sto bene.» Strattonai via il braccio dalla sua presa e feci per girarmi ancora quando lui fece un'altra domanda.

«Dove vai?»

I miei occhi catturarono le macchine che sfrecciavano sul ponte illuminato. L'aria ci colpiva, annodava i miei capelli e faceva lacrimare i miei occhi.

Sospirai. «Non lo so. Ho fame.»

Lo guardai dato che non disse niente. Rimanemmo in silenzio a scambiarci gli sguardi e poi si voltò, iniziando a camminare verso l'estremità del ponte che portava in città.

Ero dubbiosa ma alla fine mi decisi a seguirlo e aumentai il passo per affiancarlo.

Lo spiai di nascosto, tra le ciocche svolazzanti bionde che mi colpivano le guance. Aveva una serietà fredda dipinta sul volto: le labbra erano strette in una linea, la mascella tesa, gli occhi inquieti e bui che riflettevano le luci del ponte. Era vestito più elegante del solito, non pensavo nemmeno avesse nell'armadio un cappotto così britannico. Ma dovevo ammettere che gli stava molto bene. Quella volta, io ero quella vestita molto casual. Quella mattina i vestiti erano stati gli ultimi dei miei problemi.

«Posso scrivere a Winter?» Chiesi. «Vorrei avvisarla che sono ancora viva.»

Lui mi guardò traverso. «Questa è una strana scelta di parola dato dove ti ho trovavo.»

Sospirai. «Posso o no?»

Cedette alla mia richiesta e mi diede il suo telefono, dopo averlo sbloccato ed essere andato sulla chat di Instagram con la mia amica. Ancora non ci credevo che l'avesse trovato e che gli avesse scritto.

Sbirciai i messaggi prima, effettivamente Winter le chiedeva se mi avesse vista o sentita e che era preoccupata per me. Lui aveva risposto che non sapeva nulla ma che aveva incontrato la mia coinquilina che gli aveva detto che ero uscita quella mattina senza telefono. A quel punto Winter aveva risposto chiedendogli di trovarmi, in un qualche modo. E lui l'aveva fatto. Ancora non potevo comprendere come.

Mi morsi il labbro e digitai velocemente sullo schermo un messaggio rapido e conciso in cui le dicevo di star bene e che le avrei scritto l'indomani. Speravo che non avesse detto nulla a Jace, della mia sparizione, se l'avesse fatto lo avrei scoperto solo quando avrei riavuto il mio telefono tra le mani.

Seth si mise in tasca il telefono quando glielo passai. Nonostante l'alcol nel mio corpo, ero ancora in grado di ragionare senza tanti problemi e constatai che c'era qualcosa che non andava. Il suo silenzio mi agitava molto, sembrava arrabbiato ma non capivo se con me o per altri motivi.

Dopo una lunga camminata arrivammo alla macchina parcheggiata e non realizzai quanto avessi bisogno di calore finchè non accese il riscaldamento. Rabbrividii per la differenza di temperatura e mi strofinai le mani sui jeans per scaldarmi le cosce.

«Non torneremo al campus.» Disse, immettendosi nella carreggiata.

«Okay.» Lo guardai. «Perchè?»

Sbattè le ciglia verso il finestrino e sospirò. «Non ho voglia.»

E con quelle poche parole tornò lo spinoso silenzio che ci accompagnò lungo il tragitto. All'iniziò non capii dove volesse andare ma ad un certo punto riconobbi la strada, era quella che ci avrebbe portati in quel palazzo, in quel freddo appartamento in cui avevamo dormito dopo quell'incontro.

Parcheggiò la macchina sotto al palazzo, in quella via semideserta e tra capannoni abbandonati.

«Sei elegante.» Buttai fuori appena spense la macchina.

Lo avevo osservato tutto il tempo e lo sapeva.

«Ero fuori a cena.» Disse, rivolgendomi un'occhiata svelta.

«Oh.» Deglutii. «Non...non avresti dovuto rovinarti la serata, allora.»

Il suo sguardo fisso mi scaldò le guance. Mi aspettai una risposta che però non arrivò mai. Aprì la portiera e io a quel punto lo imitai sentendomi in colpa perchè per colpa di Winter avevo rovinato i suoi piani. Con chi era uscito?

Appena entrai nell'appartamento mi resi conto che non era freddo come la scorsa volta, questo mi fece pensare che aveva già intenzione di venire qui e forse si era organizzato. Sentii lo stomaco stringersi all'idea di una ragazza in quel letto insieme a lui. Mi tolsi la giacca e la appoggiai allo schienale di una sedia rimanendo con una felpa pesante. Anche lui si era spogliato del cappotto rimanendo con un maglione scuro che aderiva perfettamente al suo corpo massiccio. Si tirò su le maniche per poi aprire il frigorifero.

«Ti va un hamburger?» Chiese, guardandomi oltre la spalla.

«Non devi disturbarti a--»

Sbattè sul bancone una confezione chiusa di hamburger. Il rumore secco mi fece tappare la bocca.

«Posso aiutarti?» Sospirai, avvicinandomi a lui.

«Basta che non ti tagli un dito.»

Ruotai gli occhi. «Ho bevuto ma non così tanto, okay?»

Mi presi la libertà di aprire il frigorifero per tirare fuori un pomodoro. Lui era ai fornelli a preparare il mio hamburger. Percepii i suoi occhi su di me mentre tagliavo il pomodoro su un piatto. Come gli avevo detto, non ero così ubriaca e non mi feci nulla.

Mangiai da sola. Lui dopo aver preparato il piatto andò in bagno e ci rimase a lungo. Masticai lentamente, con lo sguardo rivolto alla vetrata che aveva quel magnifico panorama della città notturna. Pensai che non fossi pronta a quello che sarebbe seguito. Mi avrebbe fatto domande sul mio comportamento e io non sicura di voler rispondere sinceramente, non ero pronta a farlo. Non lo ero mai stata. Non era facile farlo. Non mi piaceva la compassione, la odiavo perchè non la meritavo. In generale, non la meritavo.

Lui era ancora chiuso in bagno quando terminai e così decisi di passare quei minuti a lavare ciò che avevamo utilizzato e rimetterlo al suo posto.

Mi guardai attorno. Perchè Seth non usciva dal bagno? Con titubanza mi avvicinai alla porta chiusa. Voleva stare solo evidentemente ma allora perchè portarmi qui? Avrebbe potuto dirmi di tornare a casa o semplicemente di lasciarmi al ponte e avvisare Winter che stavo bene.

Proprio quando alzai il pugno per bussare, la porta si aprì e io schiusi la bocca sentendo il mio sangue affluire dal collo alle guance. Indossava solo i pantaloni e io mi ero ritrovata faccia a faccia col suo petto tatuato.

«Oh. Scusa io--» Sgranai gli occhi ma più che per l'imbarazzo perchè vidi un grosso livido al fianco destro, c'era anche un piccolo taglio. «Oddio, Seth! Cos'è successo?»

«Sono andato contro uno spigolo.» Disse e mi superò.

Mi girai. «Ah, si? E quanto era grosso questo spigolo?»

Lo osservai andare verso l'armadio.

«Vuoi sapere come me lo sono fatto?» Disse.

«Si.»

Si voltò a braccia conserte e un'espressione seria. «E allora dimmi perchè eri seduta su quel ponte. Perchè sei sparita tutto il giorno.»

«I-io--»

«E non mi bevo la storia del 'volevo stare da sola'. Nessuno si siede su un ponte da ubriaco per stare da solo.»

«Non sono ubriaca.» Puntualizzai. «Ho bevuto qualche birra.»

Ero leggermente brilla ma sapevo bene cosa pensavo, cosa facevo.

«Prima tu.» Dissi.

Prima tu perchè io devo temporeggiare.

Tirò fuori dei vestiti. «Ho discusso con Derek.»

«E vi siete picchiati come due ragazzini idioti?»

«Mi ha spinto davvero contro uno spigolo e comunque lui è messo peggio.» Rispose mentre lanciava i vestiti sul letto.

Ruotai gli occhi. «E perchè avete discusso?»

«Tocca a te.» Saettò su di me.

Eravamo distanti e andava meglio così. Lo sentivo già fin troppo vicino.

«Non hai riposto.»

«Ho detto che ti avrei detto come me lo sono fatto, non perchè.»

Socchiusi gli occhi. Maledetto. Iniziai a sentire il nervosismo espandersi in me e mi morsi il labbro.

«Oggi-» Deglutii e guardai la vetrata. «Oggi è un giorno particolare. Volevo davvero stare sola, lo faccio sempre da qualche anno. Sapevo che Winter o Jace mi avrebbero cercata, per questo ho lasciato il telefono in stanza. Non credevo si preoccupasse fino a scriverti, dovrebbe saperlo che non avrei fatto nulla.»

«In che senso?»

«Che...»

Chiusi gli occhi sentendoli pesanti e bruciare. Non potevo. Scossi la testa e quando li riaprii, lui si era avvicinato.

«Peach.» Disse dolcemente e mi afferrò il volto.

Mi costrinsi a guardarlo anche da dietro le lacrime. Lui aveva un profondo solco tra le sopracciglia.

«Perchè eri lì?»

Schiusi la bocca e soffiai. «Non è importante.»

«Menti.»

«Davvero.» Sbattei le palpebre. «Non è importante.»

«Non saresti sparita tutto il giorno.»

Scossi la testa. «Non posso dirlo, Seth.»

Non riesco.

Premette le labbra, le sue spalle si abbassarono deluse. Poi lasciò andare il mio viso, voltandosi. «Se vuoi, puoi farti una doccia. I vestiti sono sul letto e nel mobile sotto al lavandino troverai un nuovo spazzolino.»

Pensai se ne andasse e invece si sedette sul divano e accese la televisione. Una lacrima scivolò rapidamente sulla mia guancia e la asciugai col dorso. Non era facile per me aprirmi, soprattutto riguardo le ferite dolorose. Non mi piaceva parlarne perché il dolore tornava in superficie e io volevo lasciarlo seppellito. Oggi non l'avevo tirato fuori, oggi era stata solo una giornata per me. Per ricordarmi.

Seguii l'idea di Seth e mi feci una doccia senza preoccuparmi di lavarmi anche i capelli. Volevo stare da sola un momento e pensare. Non conoscevo Seth così bene, anzi, sapevo davvero poco di lui, ma c'era in lui un qualcosa che mi spingeva a fidarmi, a raccontare quelle cose che non riuscivo a dire ad altri. Ma al pensiero di confessargli certi avvenimenti mi si chiudeva lo stomaco.

Indossai i vestiti puliti che mi aveva dato Seth, un paio di boxer e una maglietta molto grande per me. Mi lavai anche i denti e quando uscii dal bagno lo trovai ancora sul divano a guardare la tv. Lasciai i miei vestiti sulla sedia e sospirai, guardandolo con la coda dell'occhio.

Oggi era strano. Mi chiesi per cosa avessero litigato lui e Derek, doveva essere stato qualcosa di grave per come aveva influenzato il suo umore.

Senza pensarci ancora camminai verso il divano e mi fermai davanti a Seth, bloccandogli la vista del televisore. Era ancora senza maglia e i miei occhi caddero attratti dai suoi muscoli e tatuaggi. Mi abbassai e mi sedetti sulle sue gambe. Non riuscii a guardarlo e per questo osservai le mie dita che sfiorarono il suo petto. Sfiorai il disegno di una rosa appassita e spinosa sotto al pettorale destro.

«Non ti sei mai sentito soffocare?» Sentii un nodo infuocato bloccarsi in gola. «Sei sott'acqua e provi a chiedere aiuto ma...è impossibile. Urli e nessuno può sentirti. A volte è come se osservassi il passare del tempo ma tu resti fermo in un punto e gli altri vivono ma tu no.»

Afferrò la mia mano, bloccando il movimento delle mie dita su di lui. Strofinò il pollice sul mio dorso mentre con l'altra mano raggiunse il mio volto, prendendo a coppa una guancia. Le lacrime si accumularono ancora nei miei occhi ma questa volta non le fermai.

«Sono successe delle cose...» Il cerchio infuocato alla gola mi mozzò la voce. «N-non riuscivo a superarle.»

Per un istante mi sembrò di vedere un sprazzo di dolore nei suoi occhi, ma scomparve in fretta nascondendo ciò che provava sotto una maschera fredda e dura. Staccò la schiena dal divano e mi sistemò una ciocca dietro l'orecchio.

«Sai, quando a volte si prendono certe scelte, si pensa che siano scelte dettate dalla debolezza.» Asciugò una lacrime col pollice mentre mi guardava. «Io penso sia solo un fallimento della società e che ci voglia molto coraggio.»

Fu come se stesse abbracciando il mio cuore. Sembrò capire ciò che era successo, lesse fra le righe e mi aiutò a non farmi sentire come mi ero sempre sentita.

«Vorrei sapere chi ti ha ferita così tanto.» Continuò a parlare piano, a toccarmi in modo delicato.

«Non puoi fare niente.» Abbozzai un sorriso tra le lacrime.

«Posso fare tanto invece.»

«Tipo?»

Una scintilla oscura brillò nelle sue iridi. «Ucciderlo.»

All'inizio sgranai gli occhi e poi mi ritrovai a ridacchiare e scuotere la testa. «Un po' eccessivo, non credi?»

«Punti di vista.»

«Lo dici tanto per dire.» Arricciai le labbra. «Non uccideresti nessuno.»

Anche se non era la prima volta che faceva riferimento a far fuori qualcuno.

«Ma sarebbe per una giusta causa.»

«Non c'è nessuna giusta causa che giustifichi l'uccidere qualcuno.» Aggrottai la fronte. «Studi legge, dovresti saperlo.»

Incurvò un angolo della bocca ma poi premette le labbra e tossì. «Allora, dirò solamente che se mai lo scoprirò, gli farò molto male.»

«Non dovresti nemmeno questo.»

Appoggiò le mani sui miei fianchi e io respirai a fondo. I suoi occhi si stavano fondendo nei miei.

«Oggi ho scoperto che per colpa di un figlio di puttana non avrei mai potuto incontrarti.» La voce vibrò rauca e severa. «Potrà non piacerti ma non scherzo.»

«N-non ho detto che è colpa di qualcuno.»

«Non serve.»

Chiusi gli occhi e presi un profondo sospiro. «Be', ora sto bene. Non devi nemmeno più pensarci. Oggi è stato solo per...ricordare.»

Ricordare che io avevo il potere. Il dolore non decideva per me.

Mi ritrovai a tracciare il contorno del ragno che aveva sull'addome rilassato.

«Saresti davvero in grado di uccidere qualcuno? Psicologicamente parlando.» Chiesi piano, dando voce ai miei pensieri più profondi.

Perché fisicamente, si era abbastanza forte da poterlo fare.

Si bagnò le labbra e tossì, guardando in basso le mie dita. «Si, per la giusta causa.»

Giusta causa. «Giustizia e vendetta sono facce della stessa medaglia, no?» Lo citai.

«La differenza è sottile.»

«La differenza è morale.»

Socchiuse gli occhi. «Il mondo è immorale, Peach.»

«Può essere. Ma in generale, io vorrei giustizia»

«Perchè?»

«Perchè la vendetta è solo personale e potrebbe alleviarti dal dolore ma non penso valga la pena sporcarsi le mani.»

«Parli dei Vendicatori?» Mormorò.

Alzai le spalle. «In generale, nessuno dovrebbe utilizzare la vendetta come mezzo per ottenere giustizia. Non porta a nulla.»

«Ma se non c'è giustizia come si fa?»

Quello era un problema. Non sempre si aveva giustizia però farsi vendetta cosa ti dava? Forse un sollievo momentaneo, ma poi?

«Cosa pensi di loro?» Chiese, allungando la mano verso la punta di alcune mie ciocche davanti al seno per giocarci.

«Di chi?»

«Dei Vendicatori.»

«Cosa dovrei pensare?»

«Non so.» Inspirò. «Li reputi pazzi sadici senz'anima?»

Accennai un sorriso e poi mi feci pensierosa. «Pazzi e sadici, lo sono. Ma non penso siano senz'anima. Voglio dire, non torturano gente innocente. È assurdo che lo dica ma è come se prendessero a cuore certe storie e arrivassero ad una fine con i loro mezzi, che sono però sbagliati.»

Rimase in silenzio a guardarmi per qualche secondo, sembrò contemplare le mie parole.

«Lo penseresti anche se facessero del male a tuo padre?»

Un brivido mi percorse la schiena. «Se lo facessero è perché è ciò che ormai si pensa. Non li giustificherei ma potrei forse comprenderli. Ma ovviamente mi ucciderebbe se lo facessero.»

«I tuoi genitori fanno cagare.»

«Ma questo non è un motivo per vedere mio padre essere torturato e ucciso.»

Sarebbe stato un'atrocità che non avrei mai superato.

«C'è qualcuno che se dovesse sparire dalla faccia della terra, saresti solo che sollevata?» Domandò.

«Perchè lo chiedi?»

«Cosi.» Alzò una spalla. Le sue nocche sfiorarono il mio collo. «Io ne avrei un paio.»

Abbassai lo sguardo. «Non dovrebbero essere pensieri da fare.»

«Ma?»

Come sapeva che ci fosse un ma? Era così leggibile nei miei occhi?

«È un pensiero che mi è capitato di fare su qualcuno, nei momenti più bui.» Mormorai. «Ora so quanto sia sciocco e sbagliato però è successo.»

«Per me non è sciocco o sbagliato.»

«Perchè tu sei un sociopatico, Seth.»

E proprio per questo non dovrei nemmeno essere seduta sulle tue gambe. Non dovrei nemmeno a toccarti. Non dovrei nemmeno volerti.

«Be', chi è?» Chiese.

Scossi la testa. «Non te lo dirò mai.»

«Perchè no?»

Mi morsi il labbro e presi tutto il coraggio che avevo per dire quelle parole. «Sai, a volte non capisco se scherzi o meno quanto dici che uccideresti per me--»

«Lo farei.»

«Ecco. Non è normale.»

«Perchè non vuoi dirmelo?»

«Perchè credo lo faresti seriamente.»

«E sono collegati? Questa persona e oggi?»

Schiusi la bocca e le parole uscirono a fatica. «...si.»

Serrò i denti e inspirò a fondo. «Forse hai ragione, Blake. Non dirmelo.»

Abbozzai un sorriso che sparì in fretta. Seth non mi avrebbe mai fatto sentire in colpa per certi pensieri ma sapevo che fossero immorali. Per quanto potessi avere ragioni, c'erano altri modi di superare quel tipo di rabbia ed era con la giustizia, vedere privata la libertà di qualcuno che ti aveva fatto male. Ma io non l'avrei mai ottenuta, la mia.

Dopo quella breve conversazione, Seth mi dissi di voler farsi una doccia e io andai a letto. Era ormai passata la mezzanotte e mi ero incantata a vedere la silhouette della città sullo sfondo. Mi sarebbe piaciuto avere un appuntamento che affacciava in questo modo sui grattacieli.

Quando Seth uscì dal bagno lo guardai solo per pochi secondi perché stava indossando solo un corto asciugamano in vita. Deglutii e tornai allo spettacolo oltre la finestra.

«Ti piace?» La sua voce era più vicina e poco dopo il materasso si abbassò.

«Molto.» Sorrisi. «Mi sono sempre piaciuti questi generi di loft.»

Tuttavia la stanchezza stava indebolendo il mio corpo e così mi sdraiai insieme a lui sotto alle calde coperte. Mi sistemai sul fianco nella sua direzione mentre lui era di schiena con un braccio piegato sotto alla testa. Lo avevo già toccato abbastanza e per questo mi trattenni dal allungare ancora le mie dita e tastare la sua pelle. Il suo profumo però mi stava appannando il buon senso. I miei occhi ancora attenti trovarono la piccola voglia sul collo e fu quella che mi spinse ad avvicinarmi a lui. I suoi occhi saettarono svelti sul mio volto leggermente sorpresi.

«Cosa?» Chiese.

Mi morsi il labbro e mi sporsi verso l'incavo del suo collo per baciarla delicatamente. Lui si irrigidì e risucchiò un sospiro.

«È tenera.» Tornai al mio posto. I suoi occhi si erano incupiti. «Mi piace.»

Sbattè le palpebre con un cipiglio e deglutì. «Non ti hanno mai detto di non baciare il collo di un ragazzo quando è mezzo nudo in un letto con te?»

Avvampai e ruotando gli occhi, sfuggii dalle mie responsabilità, rotolando sull'altro fianco e tirando le coperte fin sotto al mento.

«È stato solo un bacio innocuo.» Borbottai.

«Con te mai niente è innocuo.»

«Sei abituato a cose ben peggiori di un semplice bacio sul collo.»

E la mia voce uscì piuttosto stizzita, probabilmente si ricordò che quella sera era stato a cena con qualcuno e che dubitavo fosse stato un amico. Più, un'amica.

Sentii il fruscio delle coperte a contatto col corpo e poco dopo avvertii fin troppo calore alle mie spalle. Risucchiai un ansimo quando le sue labbra sfiorarono la porzione di pelle scoperta dai capelli sotto l'orecchio.

«Vuoi sentire cosa mi ha provocato il tuo innocuo bacio

Aprii la bocca ma la voce non uscì e la gola mi si seccò quando avvinghiò la mia vita con un braccio e mi tirò contro di sè, facendomi sentire cosa avevo provocato in lui.

Non poteva avere quella reazione ad un mio semplice bacio.

«S-Seth...»

«Tranquilla.» Questa volta fu lui a lasciare un piccolo bacio sulla curva tra collo e spalla che mi fece rabbrividire. «Non è il caso di andare oltre questa sera.»

Ah no?

Afferrò il mio mento e mi costrinse a voltarmi. Risucchiai un sospiro quando incrociai l'ossidiana pericolosa dei suoi occhi. I nostri nasi si sfiorarono. Lui abbassò lo sguardo sulle mie labbra schiuse per qualche secondo per poi tornare a incatenarsi nei miei occhi.

«Ma giusto perché tu lo sappia, Peach, a me eccita anche solo il tuo profumo. Perciò, pensa bene alle cose che fai o le cose ben peggiori le farò anche a te.»

Perchè volevo che le facesse solo a me?

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