L'ospedale si staglia davanti a me in tutta la sua asettica imponenza. Un grosso edificio bianco e sbilenco che occupa l'intero isolato.
Già fuori dal cancello inizio a sentire quella cazzo di musica che mette il dottor Fincher per i pazienti. Dice che dovrebbe aiutare, ma secondo me li farà diventare solo più matti. La musica alcune volte mi penetra il cervello così a fondo che non riesco a pensare ad altro. Vorrei dirlo a Fincher, ma già mi odia abbastanza così.
«Buongiorno Prudence» dice Stacy, nascosta dietro plichi e plichi di fogli d'ammissioni e dimissioni. Mi domando immediatamente se ci sia anche quello di Slasher e un brivido mi percorre tutta la lunghezza della schiena.
«Buongiorno. Ho visto il telegiornale questa mattina...» mormoro, avvicinandomi verso la segretaria. Neanche a dirlo, Stacy adora il gossip.
«Sì, è terribile... quel maniaco di Slasher ricoverato proprio qui da noi... ci pensi? Ora è in isolamento. Non voglio neanche immaginare cosa succederà allo psichiatra che dovrà prenderlo in cura. Spero tanto che non sia tu, Pru.»
Oh, mia dolcissima amica, io invece spero l'esatto contrario. Desidero esplorare ogni centimetro della mente di Slasher, non voglio farmi scappare neanche un dettaglio della sua personalità. Le rifilo un sorriso dolce di circostanza e mi avvio verso il mio ufficio a passo spedito. Devo trovare Fincher prima di quello stronzo di Jason per avere una minima possibilità che me lo assegni come paziente.
Indosso il camicie come una furia e mi fiondo in corridoio. Di solito questo posto è un mortorio che mi fa venire voglia di saltare giù da una montagna senza paracadute, invece oggi c'è un chiaro brusio di sottofondo. Cazzo, è proprio arrivata una celebrità.
Incrocio l'inserviente che dovrebbe occuparsi delle pulizie delle stanze, ma che, invece, sta chiaramente facendo la spia fuori dall'ufficio di Fincher per poter carpire qualsiasi informazione in più. Lo farei anche io, ma ho ancora un briciolo di dignità e devo giocarmela tutta quanta per convincere Fincher di quanto valgo.
Non appena mi avvicino alla porta l'inserviente si dilegua, ma rimane comunque a portata d'orecchio. Alzo gli occhi al cielo e inizio a picchiettare timidamente sulla porta in mogano con la placca d'oro che recita a caratteri cubitali "DOTT. JULIUS FINCHER - CAPOREPARTO - PSICOTERAPEUTA".
«Avanti» mugugna la voce sepolcrale di Fincher dall'interno della stanza. Non appena mi chiudo la porta alle spalle vengo accolta da uno sbuffo così sonoro da farmi sobbalzare.
«Vedi? Te l'avevo detto che sarebbe arrivata anche questa cazzo di sanguisuga!»
Jason Creed, stimato collega, mi sta puntando l'indice contro e già ho voglia di mangiarglielo e risputarglielo davanti. Mi sforzo a rifilargli un sorriso affabile, solo per fare scena con Fincher.
«Carissimo... cosa ti porta qui?» sorrido con il tono più viscido e fastidioso che riesco a trovare nel mio repertorio.
«Ho chiesto prima io a Fincher. Non mi ruberai anche questo paziente con il tuo atteggiamento da puttanella del cazzo, ti è chiaro?» mi urla in faccia Creed. Io trattengo un sorriso perché lo trovo sempre molto buffo. Questo deve farlo innervosire ancora di più perché la sua testa pelata diventa rossa come le sue orecchie e sembra sul punto di esplodere. Si volta verso Fincher con sguardo sgomento.
Il nostro caporeparto non ha ancora proferito una sola parola da quando sono entrata, ma ho notato che il suo telefono fisso non ha smesso di squillare neanche un secondo. Di solito non lo chiama mai nessuno, forse solo sua moglie all'ora di pranzo. Devono essere i giornalisti che pregano di avere una dichiarazione sulla salute mentale di Slasher...
Quanta idiozia pretendere che si sappia qualcosa dopo solo un'ora dalla sua ammissione.
«Modera i toni, Creed. Non si parla così a una collega. E se Prudence è riuscita a portarti via i pazienti vuol dire che se li è guadagnati...»
Gioia e tripudio, per una volta in vita sua Fincher non è contro di me. Vorrei quasi sparare dei fuochi d'artificio, ma temo che non abbia completato la frase.
«...Ma questa volta Creed ha fatto prima di te, Pru. Slasher è suo.»
Creed si lancia in un balletto della vittoria veramente poco decoroso, mentre io rivivo al rallentatore la scena della mia disfatta.
Cosa? No. No. Non è possibile. Io DEVO avere Slasher. Non è un semplice obbligo morale, ma una necessità fisica che non saprei neanche come descrivere a questi due dementi che mi si parano di fronte.
«Fincher dai... è un caso difficile, per di più c'è di mezzo la stampa. Creed ha la maturità di un sedicenne in fase di sviluppo, non può prendersi questo caso» scandisco bene le parole per fare in modo che tutti i concetti passino chiaramente.
Fincher si passa una mano sulla fronte e sospira, come se fosse esausto. Con un gesto solleva la cornetta e la lascia appesa e penzolante, in modo da far finalmente smettere il telefono di squillare.
«Sai che stimo molto i tuoi metodi, Prudence... sebbene li consideri un po' "anticonvenzionali", per ora hanno sempre funzionato molto bene. Ma questo caso è diverso. E tu sei una donna molto giovane...»
Stringo i pugni per evitare di graffiare la faccia di Creed, che sta bellamente ridacchiando di me dietro le mie spalle. Non faccio finire Fincher di parlare.
«Quindi è questo il problema? Siete due sessisti maschilisti del cazzo. Perfetto. Chissà come la penserà la stampa di questa scelta, Fincher» sbotto, prima di uscire fuori dall'ufficio del caporeparto e dirigermi a passo di carica verso la cella di isolamento.
Sì, sto facendo i capricci come i bambini.
E sì, sto facendo una cosa pericolosissima senza la minima protezione e non dovrei assolutamente trovarmi qui.
La curiosità è sempre stata la mia molla. Quello che, fin da bambina, mi ha permesso di muovermi serenamente nel mondo. Più curiosa sono, più capisco la gente. Più capisco la gente, più riesco a manipolarla.
Chiedo a Trent, la guardia di questa ala dell'ospedale, di avvisarmi se dovesse arrivare qualcuno. Lui accetta perché mi ama e mi regala sempre i cioccolatini che la moglie gli mette nel porta pranzo. Gli sorrido con fare civettuolo e lui mi allunga le chiavi della cella dove è tenuto Slasher, perché gli ho anche detto che Fincher ha assegnato il suo caso a me.
Io, però, non ho la minima intenzione di entrare nella sua cella. Almeno per ora...
Tossicchio e imposto la voce. Devo sembrare autoritaria, altrimenti mi percepirà come debole e si approfitterà subito di me. I tacchi delle mie décolleté nere rimbombano in questo corridoio lunghissimo e lugubre. Qua dentro non c'è nessuno. Solo io e Slasher.
Il pensiero improvviso di quella mattina riaffiora e sento le mie guance diventare color porpora. No, non è il momento adatto per farsi prendere da certi pensieri. Ho qualcosa di più importante da fare.
Finalmente arrivo davanti alla sua cella. Tra me e lui ci sono almeno cinque centimetri di vetro antiproiettile, ma ho comunque i brividi. Ora, forse... ho un po' paura. Ma mi piace.
«Buongiorno. Sono la dottoressa Prudence Fields e vorrei farle qualche domanda.»
Slasher è sdraiato sul lettino e ne riesco a cogliere solo il profilo, tagliente come una lama. Stringo un po' gli occhi, ma sono determinata a mantenere il contatto visivo.
Lui non mi degna neanche di uno sguardo, ma scoppia in una risata incontrollabile che si attenua solo dopo svariati secondi. Io continuo a sentirne l'eco lungo il corridoio e sento l'impulso di stringere le gambe.
Poi, finalmente, parla. Mi parla.
«Prudence...» fa una pausa e sembra assaporare il mio nome come fosse un calice di vino. «Eppure, lei non mi sembra affatto una donna prudente, sa? Non dovrebbe essere qui.»