La Ruota degli Angeli

By Lightning070

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Napoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato... More

Premessa
I. Un po' di freddo (certo male non fa) - Parte 1
I. Un po' di freddo (certo male non fa) - Parte 2
II. La nostra buona stella (è la peggiore tra le luci) - Parte 1
II. La nostra buona stella (è la peggiore tra le luci) - Parte 2
III. La più grande libertà (è quella che ci tiene in catene) - Parte 1
III. La più grande libertà (è quella che ci tiene in catene) - Parte 2
IV. C'è tutto il mondo (tra la culla e la fossa) - Parte 1
IV. C'è tutto il mondo (tra la culla e la fossa) - Parte 2
V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 1
V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 2
VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 1
VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 2
VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 1
VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 2
VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 1
VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 2
IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 1
IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 2
X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 2
X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 3
XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 1
XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 2
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 1
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 2
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 3
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 4
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 1
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 2
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 3
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 4
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 1
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 2
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 3
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 1
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 2
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 3
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 4
XVI. Vittoria (ma com'è piccola, ma com'è fragile) - Parte 1
XVI. Vittoria (ma com'è piccola, ma com'è fragile) - Parte 2

X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 1

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By Lightning070


         L'alba del giorno dopo è plumbea: pare che la città intera si sia cristallizzata in un ferrotipo smorto e già graffiato dal tempo.

Ricciardi è pronto a uscire molto prima del solito, all'ora in cui Nelide solitamente si sveglia per preparare la colazione. Si è già fatto un caffè da solo, riuscendo pure a bruciarlo, nella vana speranza che compensi la carenza di sonno.

La domestica, colta alla sprovvista dalla sua alzataccia e dai suoi traffici disastrosi in cucina, lo aiuta a indossare il cappotto senza proferir parola, due linee verticali di preoccupazione a segnarle in mezzo alla fronte il volto giovane.

È dal ritrovamento di Annina che è comprensibilmente scossa, più taciturna del solito. È stato poco a casa, ma non l'ha mai sentita cantare a bassa voce come al solito mentre sbriga le sue faccende.

Quando la sera prima è rientrato tardi, con quel cerotto in faccia, l'aria stravolta e i vestiti sporchi e stropicciati, s'è incupita ancor di più, senza però chiedergli nulla, né insistere affinché cenasse con qualcosa di più di un paio di bocconi di pasta ormai fredda mandati giù a forza per tenersi in piedi. Ricciardi sa che finirà per prendergli un collasso, se continua a trascurarsi così, ma ha lo stomaco in subbuglio da giorni, ancor più dopo il suo infelice faccia a faccia con l'OVRA.

«Scusaste...»

Nelide lo trattiene per le falde del soprabito quando fa per avviarsi, per poi mollare di scatto la presa, come pentita di quel gesto. Ricciardi la fissa, affatto irritato e piuttosto stupito. Non è da lei concedersi quelle confidenze; semmai è lui, che la spiazza con la sua poca attenzione all'etichetta.

«Dimmi, Nelide.»

La giovane si torce le mani piccole in grembo, il volto pallido e allungato stretto in una maschera d'angoscia e incertezza.

«Io promisi a zia Rosa che mi prendevo cura di voi.»

Quelle parole lo colgono così alla sprovvista che quasi barcolla. Non ha abbastanza prontezza per replicare prima che Nelide continui, più accalorata:

«E io ci sto provando, ma a vedervi accussì mi pare che non ci sto mica riuscendo. State già coi pensieri e non ci posso fa' niente...»

«Nelide,» la ferma lui, trovando un sorriso con la stessa facilità con cui li donava a Rosa. «Tu stai facendo tutto ciò che devi, e anche di più.»

Lei scuote la testa con vigore.

«Se vi capita qualcosa...»

«Sarebbe solo per colpa mia,» finisce Ricciardi, con fermezza. Nota solo ora che gli occhi di Nelide si stanno facendo più lucidi con ogni secondo che passa, e si affretta a correggersi: «Ma non mi capiterà niente, quindi non ti crucciare.»

«Ce lo spero. Però non ci credo molto,» aggiunge, strizzando le labbra sottili e guardandolo in viso, nel punto in cui spicca il cerotto. «Se mi tornate sempre a casa così, finisce poi che non ci tornate affatto.»

Ricciardi tace, colto in fallo dalla sua schiettezza. Considera brevemente, con affetto, la figura minuta ma energica di Nelide, con il volto olivastro teso da rughe precoci, i capelli nerissimi rigidamente legati, divisi al centro dalla riga, e gli occhi altrettanto scuri dei quali a stento si distingue la pupilla. Sembrano scrutarlo a fondo, per un attimo, con la stessa acutezza gli riservava Rosa, come se stesse anche lei, come sua zia, imparando a conoscere ogni suo gesto e mutamento d'umore, leggendovi più a fondo.

Ricciardi le posa una mano leggera sul braccio.

«Nelide, io lo so, che non sono una persona facile. Facevo ammattire pure Rosa,» sospira infine, stentando un sorriso troppo triste, di scuse. «Non sei obbligata a rimanere qui ad angosciarti, se non vuoi. Mi dispiacerebbe molto, perché Rosa era famiglia, ed è bello poter pensare che lo sia anche tu; però non ti tratterrei.»

Nelide batte più volte le palpebre, non sa se per lo sbigottimento a quelle parole, così incuranti dello scalino sociale tra loro, o per l'implicita rivelazione che potrebbe andarsene quando vuole. Quest'ultima pare quasi offenderla, dal modo in cui aggrotta le sopracciglia folte e alza poi il mento con un fare altero da nobildonna, più che da umile domestica.

«L'acqua ca nun camina fète, ma io accà resto,» sentenzia, tirando appena su col naso e fissandolo diritto negli occhi. «Voi state accorto, riguardatevi e tornate per cena.»

«Ci provo,» risponde lui, addolcendo il sorriso e strizzandole appena il braccio. «Buona giornata, Nelide.»

«A vuje

Nel chiudere la porta dietro di sé, Ricciardi rivolge un pensiero a Rosa, un grazie muto per aver lasciato qualcuno a vegliare su di lui. Per le scale, coglie oltre la porta le note di una canzone popolare canticchiata a mezza bocca, prima che vengano spazzate via dalla voce che risale dal basso:

«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

Ignora il richiamo di Annina mentre attraversa l'androne, finalmente col pozzetto di nuovo coperto, così come ha tentato di ignorarlo per tutta la notte, con scarso successo. È un brutale memento al perché stia per rischiare la vita, sua e di Bruno, incaponendosi su quell'indagine maledetta che sta anche ferendo tutte le persone a lui care.

Il tragitto fino alla Questura lo lascia intirizzito: la temperatura si è inasprita, con un colpo di coda invernale che ha irrigidito il bucato lasciato steso e ghiacciato le pozzanghere per strada. Nell'avvicinarsi all'arco d'ingresso, vede subito Maione in chiara attesa là davanti tra i due poliziotti di guardia.

Accoglie la sua vista con un moto di sollievo nel constatare che è incolume, anche se innegabilmente corrucciato. S'agita sul posto e inalbera la testa come un toro affatto incline a ritrovarsi rinchiuso in un recinto troppo stretto.

Non appena lo vede, il brigadiere gli si fa incontro di gran carriera, il volto che si accartoccia in grinze cupe a ogni passo che compie verso di lui, le sopracciglia brizzolate che vanno quasi a congiungersi. Ricciardi ostenta naturalezza nel salutarlo:

«Buongiorno, Maione.»

Maione esita con la mano a mezza via verso la fronte, gli occhi subito calamitati dalla medicazione sullo zigomo e che schizzano poi più in basso, dove presume si intraveda il livido. Ricciardi trattiene l'impulso di sistemarsi più su il colletto.

«Commissa', state bene?» chiede infine l'altro, lasciando ricadere la mano senza completare il saluto.

«Sì, brigadiere,» replica lui, indifferente e adottando il grado che non sceglie quasi mai per rivolgersi a lui.

Maione si fa attento, a quel dettaglio, lo vede quasi rizzare le orecchie sotto al berretto come un segugio messo in allerta. Sul suo volto, ondeggia una nuvola temporalesca in addensamento.

«Tu, invece? Stai bene?» gli rigira la domanda Ricciardi, in modo che non si cura di rendere troppo discreto.

«E come devo stare? Come sempre,» replica lui, un poco brusco. «Con rispetto, commissa', ma siete voi che non mi parete proprio in forma.»

«Il graffio s'era infettato. Nulla di grave, il dottor Modo m'ha già rimesso in sesto.»

«Beh, meglio così,» dice l'altro, fissando però insistente la zona del livido, a cui non ha fornito spiegazione, «perché teniamo una giornata impegnativa.»

«Indubbiamente,» concorda lui, facendogli cenno col capo di incamminarsi senza passare per la Questura.

Maione esegue senza nemmeno chiedere la loro destinazione, affiancandosi a lui.

«M'hanno riferito che quello sciagurato di Garzo ha fatto arrestare Iannello,» commenta poi, quando sono alla fine dell'ancora deserta Via Medina, ben lontani da altri poliziotti.

Ricciardi annuisce con un sottile sospiro. Tiene per sé che è stata l'OVRA, a farlo arrestare, checché ne pensi il vicequestore della propria autorità. Sta già ponendo Maione in potenziale pericolo anche solo coinvolgendolo nell'indagine: non v'è bisogno che sappia più del dovuto.

«Stiamo andando proprio da lui, a Poggioreale.»

Maione sbuffa piano, faticando un po' a tenere il suo passo lungo.

«E non potevamo prendere l'auto?»

«No, perché non volevo incrociare Garzo e perché tu devi ancora riferirmi cosa sei andato a fare ieri... e Maio', con tutto il rispetto, ma se parli mentre guidi finiamo per entrare in carcere dalla porta sbagliata.»

Maione lo fulmina, mentre Ricciardi sopprime un sorrisino. Il brigadiere scuote la testa, ma non sembra trovare un'argomentazione valida per contestare il suo punto. Pare solo un poco rasserenato dalla sua voglia di scherzare, per quanto forzata.

«Ho indagato sul caso Gigliolo, come ho anche lasciato detto a Camarda,» dice, con molta enfasi su quell'ultimo particolare.

«Me l'ha riferito, non lo tartassare,» lo tranquillizza subito, «e mi sembra un resoconto abbastanza vago, brigadiere.»

Maione sembra recepire il cambio di tono, fattosi più rigido, e la sua espressione s'inasprisce di rimando.

«Io ve lo volevo dire già ieri sera, ma v'ho aspettato tre ore in Questura ed eravate irreperibile,» puntualizza, fissandolo diritto in volto senza alcuna remora. «Poi mi son scocciato e sono tornato a casa, se permettete.»

Ricciardi tace, accettando il rimprovero misto a preoccupazione. Era piombato in una frenesia tutt'altro che lucida, ieri, e le indagini non erano state la sua priorità, mentre andava ad assicurarsi che Bruno fosse ancora vivo e libero. S'era del tutto scordato di aver chiesto a Maione di aspettarlo e si vergogna un poco di non essere passato a sincerarsi che stesse bene. Non può escludere che l'OVRA se la prenda pure con lui, in quanto ufficiale incaricato del caso.

«Mi dispiace, sono stato trattenuto.»

«Questo lo vedo da me.»

Adocchia l'escoriazione in modo eloquente, a riprova di non essere così ingenuo come darebbe a pensare il suo aspetto placido. Ricciardi non ribatte, ma si chiede che spiegazioni è andato a costruirsi in testa, dopo tutta la dubbia faccenda del ritrovamento di Annina, e se stiano infine minando la sua fiducia per lui.

Maione scrolla il capo al suo silenzio ostinato, come a scrollar via proprio quei pensieri.

«Comunque sia, ho controllato le abitazioni rapinate, come da voi richiesto,» continua, senza insistere. «Avevate ragione: tranne casa Gigliolo, hanno tutte dei vecchi pozzi idrici o accessi per la loro manutenzione collegati alle catacombe. Nessuna delle famiglie pareva esserne a conoscenza.»

Ricciardi annuisce con un mormorio compiaciuto.

«E che altro?»

«Non so se è rilevante, ma tra una chiacchiera e l'altra è saltato fuori che Onofrio Pascale, uno dei rapinati, fu compagno d'armi di Gigliolo sul Piave.»

«Non avevi già indagato sugli ex-commilitoni di Gigliolo, come ti avevo chiesto?»

Maione fa una faccia che rasenta l'indispettito nel sentir formulare la domanda a quel modo.

«L'avrei fatto, se m'avessero dato accesso ai registri alla Casa del Mutilato; e ve l'avrei detto ieri, se vi foste fatto vivo. Ci vuole un'autorizzazione ufficiale.»

«Allora, conviene tornarci insieme; magari, se mi presento io lì, si fanno convincere,» dice Ricciardi, interrompendo per un attimo il discorso mentre superano la folla che inonda Piazza Garibaldi, di fronte alla stazione. «Se si trattava solo questo, però, non vedo motivo di nascondermelo.»

È insolito, per loro, punzecchiarsi in quel modo aspro, ma Ricciardi si ritrova incapace di frenarsi, se non con sforzo. Ha ancora i nervi a fior di pelle e trattiene l'impulso di guardarsi le spalle ogni pochi passi.

Vi cede, fulmineo, quando qualcuno lo urta nel passare: vede un intero stuolo scuro di borsalini, tre pezzi e cappotti lunghi dietro di sé, che si avvita in mulinelli di transito e linee rette affrettate verso i rispettivi tram o tragitti. Crede di scorgere Falco almeno tre volte, tra i volti sfocati e tagliati a mezzo dalle falde dei cappelli attorno a lui; e tre volte gli si strizza lo stomaco, tre volte serra i pugni e i denti.

Maione rallenta un poco l'andatura, adocchiando subito il suo gesto. Pare imperturbato dalle sue provocazioni. Sul viso gli si è però dipinta di nuovo un'aria grave, che lo fa sembrare più vecchio dei suoi cinquant'anni scarsi.

«Commissa', io mi sono permesso di seguire una linea d'indagine non convenzionale, che non sono sicuro avreste approvato.»

Ricciardi distoglie lo sguardo dalla folla, obbligandosi a non distrarsi. Attende, incuriosito, che l'altro si spieghi.

«Ho chiesto alle famiglie se, per caso, in tempi recenti avessero preso a servizio anche dei minori. Magari orfani di strada o usciti da qualche istituto per l'infanzia o collegio.» Schiocca piano le labbra. «Sapete, ai piccirilli piace sgusciare ovunque e intrufolarsi dove non devono... e dai pozzetti ci passerebbero come niente. Se per gioco o meno, questo è da vedere.»

Ricciardi si acciglia, ma non in modo contrariato, anzi; la direzione seguita da Maione è perfettamente parallela alla sua, pur con una propria logica, a confermare il suo buon fiuto investigativo. Non sarebbe la prima volta che qualche delinquente sfrutta i ragazzini di strada per dei furti, ma è un'ipotesi che lascia avulso il delitto a casa Gigliolo, priva di accessi diretti ai sotterranei. È comunque una possibile pista, considerando dov'è morta Annina.

Fa cenno al brigadiere di proseguire, e lui appare rasserenato da quella reazione.

«È saltato fuori che sì, negli ultimi mesi tutte e tre avevano accolto alcuni bambini sui nove o dieci anni. Li tenevano a servizio per lavoretti leggeri e per offrire loro un posto dove stare fino alla maggiore età, apprendendo nel frattempo un mestiere.»

«Lasciami indovinare: la Real Casa dell'Annunziata intercedeva in questi atti di carità?» Maione lo fissa con occhi grandi.

«Lo sapevate già?»

«Lo intuisco ora, in luce di una breve chiacchierata con la Madre Superiora che mi ha lasciato molto perplesso,» dice, rimediandosi un altro sguardo trasecolato da Maione. «E il nostro informatore mi ha illuminato, dandomi idea di pensare che pure Gigliolo avesse le mani in pasta in questa faccenda.»

Lo ragguaglia rapido su ciò che ha appreso all'Annunziata e che gli ha riferito Bambinella, incluso quel figlio nato morto che Caterina Gigliolo ha ritenuto opportuno non menzionare e soffermandosi con particolare enfasi sulla figura del Munaciello e sulle ripetute, inspiegabili visite di Gigliolo all'Annunziata. Il ribrezzo che distorce il volto di Maione, man mano che si addentra nei dettagli, è puro, scaturisce spontaneo come se avesse appena assaggiato un limone acerbo.

«Dio, commissa',» sputa fuori infine, «io non ci voglio nemmeno pensare, a cosa ci andasse a fare Gigliolo là dentro.»

«Nemmeno io, ma è l'unica pista che abbiamo,» ribatte lui, altrettanto fosco. «Piuttosto, a parte il poco che mi ha detto Bambinella, non ho informazioni certe su Annina, su chi fosse. Nessuno pare cercarla, ma io suppongo fosse in tutela all'Annunziata. Tu hai saputo qualcosa di più preciso su di lei? Sai se lavorasse anche lei presso qualcuna delle famiglie?»

A quel punto, Maione pare colto da un misto di compiacimento e costernazione, come se fosse soddisfatto di ciò che ha scoperto in quanto utile, ma turbato dal fatto in sé.

«Non lavorava presso loro, no, e i bambini erano quasi tutti maschi. Però la signora Pascale ricordava d'aver visto una bambina che corrispondeva a quella descrizione. Accompagnava il monaco che faceva da intermediario tra loro e l'Annunziata. Vi dico subito che l'uomo ha dato solo il nome monastico, Don Nicola,» lo frena, notando il suo moto ravvivato, «quindi non ho potuto ancora rintracciarlo, ma dalla descrizione non parrebbe affatto Gigliolo. Alto, moro, ben piazzato, un Golia... vi ricorda qualcuno?»

Ricciardi annuisce pronto e non si sente affatto abbattuto, nel non avere un nome, né particolarmente esaltato nel sapere che coincida con la stazza del presunto assassino di Gigliolo, e forse di Annina stessa: è un altro, il dettaglio che lo ha catturato.

«Il monaco, hai detto? Don Nicola?»

«Così ha detto la signora,» scuote la testa Maione, divenendo poi rosso in viso. «Io non so che cosa credere: se fosse un monaco vero, un impostore o il Munaciello in persona fattosi uomo. Però ero a un passo dallo sbattere tutti in gattabuia, quando ho saputo che pure quei bambini sono stati scacciati assieme al resto del personale sospettato di furto, alla faccia dell'opera di carità.»

Scrolla la testa, prendendo un respiro profondo e rumoroso per calmarsi, il petto ampio che sibila come un mantice. Ricciardi non proferisce parola, troppo esagitato per riuscire a metterne insieme di sensate.

"Cercate il Munaciello", gli ripete dalla memoria Suor Agnese, con più forza che nella realtà. È la prima volta che ha una forma, quello spirito sfuggente e sanguinario che ha continuato a nascondersi negli angoli bui dell'indagine; gli dà l'impressione di poterlo afferrare con le proprie mani, non più il frutto dell'immaginifico popolare, ma persona in carne e ossa.

«"Don Nicola", poi!» sbotta ancora Maione, con l'aria di chi vorrebbe avere qualcosa da rompere per le mani. «S'è fatto monaco col nome del protettore dei bambini, chill' omm 'e merda! E chissà che gli...» s'interrompe, la voce che gli si spezza per l'ira, e allunga il passo con foga.

Ricciardi gli tiene dietro, accostandoglisi lesto.

«Maio',» dice, a voce più bassa, tesa, «tu queste informazioni tienile per te, d'accordo?»

Il brigadiere rallenta e tira un respiro lento, a calmare il suo accesso. Rimane rubizzo in volto e non lo guarda, ma fa cenno di sì. Attraversano Piazza Nazionale e il suo via vai di carrozze e automobili, passando per i giardini centrali ancora brulli, in attesa della primavera.

«Commissario,» lo chiama dopo poco il brigadiere, ora più raccolto. Frena appena il passo con l'aria di chi sta avanzando in un terreno instabile. «Io sarò pure buono, ma non sono fesso. Lo so, che non mi state dicendo tutto.»

Ricciardi serra le labbra e schiva il suo sguardo, gettandolo sul grigio del pavé senza rallentare. Superano i binari e la strada e si fermano poi all'angolo di un palazzo senza troppo viavai, ma dove lo sferragliare dei tram e delle carrozze di passaggio è abbastanza rumoroso da coprire quasi del tutto le loro voci.

«Non sbagli,» concede infine, piantandosi le mani in tasca. Lo guarda negli occhi. «Comprendo quanto possa risultare fastidioso, ma non posso fare altrimenti.»

«Non era un rimprovero. Non mi permetterei mai, commissario,» ribatte con veemenza Maione.

A dispetto della sua corporatura pingue, si erge impettito, con la stessa solidità dei barbacane di Sant'Elmo, imperturbabile dinanzi a qualsiasi cataclisma.

«Io sto solo in pensiero per voi.» Di nuovo, fissa il livido ben visibile sul collo, poi il cerotto. «Lo vedo da me, che questo caso vi sta a cuore, come sta a cuore a me. Non vorrei che faceste qualcosa d'avventato.»

Ricciardi sorride appena, senza potersi trattenere.

«Sei la seconda persona che me lo dice, oggi.»

Maione replica con una lieve espirazione rassegnata:

«Allora, mi sa che ci rinuncio: se non date retta al dottor Modo, non darete retta nemmeno a me.»

Ricciardi quasi trasecola, a quelle parole. Sente un vuoto d'aria al petto; un misto di panico e sorpresa per l'assoluta, pericolosa naturalezza con cui Maione ha espresso quel commento, come fosse l'unica eventualità possibile.

«Me l'ha detto Nelide, in verità,» si schiarisce la voce lui; per poi osare solo un mezzo passo più incauto che gli allarga un poco il sorriso: «ma sono certo che pure Bruno mi redarguirebbe.»

«Farebbe bene,» sospira il brigadiere, squadrandolo severo, «e voi fareste bene ad ascoltare gli amici, di tanto in tanto.»

Ricciardi china il capo, trovando più semplice fissare le proprie scarpe che gli occhi placidi e limpidi di Maione. In gola, gli vibra una corda di commozione che stenta a tenere a bada. Non importa quanto profondo sia il fossato di solitudine che si è scavato attorno per rimanere faccia a faccia coi fantasmi che vede: ci sono comunque delle persone, persone come Bruno, Maione, Nelide, o anche Livia, e Rosa quand'era in vita, che quel fossato lo varcano senza nemmeno pensarci. Lo vedono, certo, ma scelgono di ignorarlo e scavalcarlo ogni giorno, con i piccoli e grandi gesti di premura che gli donano.

Si chiede se è o sarà mai in grado di ricambiarli; ma sa per certo che ci proverà sempre con tutto se stesso.

«Grazie, Raffaele.»

Rialza lo sguardo nel dirlo, conscio della sottile faglia che gli incrina la voce. Maione si limita a rabbonire le linee severe che gli tirano il volto e a proseguire il cammino, senza una parola di più.

«Vista la situazione, come intendete indagare?» gli chiede poi, solo quando imboccano Via Poggioreale una decina di minuti più tardi.

«Secondo il protocollo,» ribatte Ricciardi, di nuovo stoico e con fastidio malcelato. «Il caso Gigliolo, per ora, ha la priorità. Almeno ufficialmente.»

«Non è da voi cedere alle insistenze di Garzo,» osserva l'altro, proprio mentre giungono in vista del carcere, affacciato sulla strada.

«Non è alle insistenze di Garzo, che ho ceduto,» lo corregge lui, fermandosi accanto al portale d'ingresso. Si massaggia ostentatamente il collo livido, in un chiaro sottinteso. «D'altronde, lo sapevamo, che questo era un caso "delicato".»

Maione solleva le sopracciglia, come trovando conferma dei suoi sospetti. Non serve nominare la mano oscura del Partito, per renderla manifesta.

«Capisco. Quindi, stiamo accusando formalmente Iannello per l'omicidio di Gigliolo?» chiede poi, con tono impassibile.

Il suo sguardo, però, gli pesa addosso con la stessa gravità e apprensione di un padre che fissa un figlio cacciatosi in un guaio; Ricciardi, in altre circostanze, proverebbe vergogna nel sostenerlo. Adesso, al contrario, si sente solo rassicurato e fiero nel riconoscere in Maione quella rettitudine d'animo che lo ha sempre spinto a fidarsi di lui in qualunque situazione, compresa quella in cui si trova adesso.

«Sì e no,» dice, criptico; Maione aggrotta la fronte. «Lo interrogo, ne approfitto per cavarne fuori qualcosa di utile e poi lo faccio tenere qui in fermo, esternando l'intenzione di arrestarlo formalmente in giornata.» Fa una pausa, molleggiando appena sui talloni con lo stesso brivido d'incosciente esaltazione che si prova nel giocare col fuoco, e nel farlo maledettamente bene. «Fatto che non avverrà, perché noi, entro oggi, avremo tra le mani il vero assassino di Gigliolo, e non un poveraccio usato come capro espiatorio.»

In tutta risposta, Maione stira le labbra, compiaciuto. Porta il palmo teso alla fronte, la riprovazione sostituita da una sorta d'orgoglio paterno, come se avesse sentito proprio ciò che voleva sentire. Gli fa poi un lieve cenno del braccio verso l'entrata.

«Dopo di voi, commissa'.»

Ricciardi sorride sotto i baffi, più spavaldo di quanto non si senta.

«Andiamo a far contento Garzo e i suoi avvoltoi.»

Note Dell'Autrice:

Cari Lettori,
dopo un paio di capitoli piuttosto movimentati, un breve attimo di tregua (molto relativa).

So che eravate in pensiero per Maione (spero?) e l'intenzione era proprio quella, essendo calati nel punto di vista un po' paranoico di Ricciardi, ma il nostro brigadiere stava semplicemente indagando per i fatti suoi... e non è tornato a mani vuote, come vedete!

Dove porteranno queste nuove informazioni e l'interrogatorio di Iannello è un'altra storia e un altro capitolo (e questo sarà diviso in tre parti, perché c'è un sacco da dire!)

Spero che vi sia piaciuto e grazie per leggere e commentare questa storia con così tanta costanza ♥ A venerdì col prossimo capitolo,

-Light-

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