𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲

Par Theworldsdreamer

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Clayton Burns non ha paura. Clayton Burns non prova nulla. Perché dovrebbe? La sua vita è costruita di facci... Plus

𝕯𝖊𝖉𝖎𝖈𝖆
𝕴𝖓𝖙𝖗𝖔𝖉𝖚𝖟𝖎𝖔𝖓𝖊
𝖀𝖓𝖔
𝕯𝖚𝖊
𝕿𝖗𝖊
𝕮𝖎𝖓𝖖𝖚𝖊
𝕾𝖊𝖎
𝕾𝖊𝖙𝖙𝖊
𝕺𝖙𝖙𝖔
𝕹𝖔𝖛𝖊
𝕯𝖎𝖊𝖈𝖎
𝖀𝖓𝖉𝖏𝖈𝖏
𝕯𝖔𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕿𝖗𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖔𝖗𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕼𝖚𝖎𝖓𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕾𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖆𝖘𝖘𝖊𝖙𝖙𝖊
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖔𝖙𝖙𝖔
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖆𝖓𝖓𝖔𝖛𝖊
𝖁𝖊𝖓𝖙𝖎
𝖁𝖊𝖓𝖙𝖚𝖓𝖔
𝕰𝖕𝖎𝖑𝖔𝖌𝖔

𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖗𝖔

138 41 234
Par Theworldsdreamer

𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑖 𝑡𝑒𝑙𝑖 𝑠𝑐𝑖𝑣𝑜𝑙𝑎𝑛𝑜 𝑣𝑖𝑎...

L'ora della festa non tardò ad arrivare e, con il primo invitato che suonò il campanello, iniziò la tortura per Clayton. Si sforzò di sorridere a tutti, rispose con cortesia alle domande più noiose e, poi, fece del suo meglio per ignorare zia Primrose che stava girando per tutta la casa soltanto per poterlo baciare.

«Congratulazioni, Clayton! – esclamò una lontana cugina di sua madre, di cui non pensava nemmeno di sapere il nome – Sei proprio un ragazzo d'oro.», gli passò una mano tra i capelli e Clay si sforzò di allargare il sorriso.

«Grazie, faccio del mio meglio.», le disse chinando il capo e approfittando della madre che passava di lì per prenderla a braccetto.

«Oh! Ciao, Clay.», era tanto allegra che sembrava quasi la festa fosse in suo onore. Gli passò la mano sulla sua appesa al braccio senza farci troppo caso, un gesto di circostanza.

«Mamma...Chi è tutta questa gente?», le chiese afferrando un calice dal tavolo.

«La tua famiglia e i tuoi amici.», rispose lei lanciandogli un'occhiata confusa come a chiedergli "ma dove hai vissuto tutto questo tempo?". Iniziò a chiederselo anche lui quando, facendo scorrere lo sguardo sulle persone che occupavano la casa, non riconobbe né la sua famiglia, né i suoi amici.

«Oh, vieni Clay. – gli disse poi tirandolo verso di sé – Vieni a salutare May Caudle e Graham. Cerca di non essere il solito antipatico e fai amicizia, così metterà una buona parola per te in Università.», così dicendo lo trascinò verso una signora tanto alta e magra che avrebbe fatto invidia a un giunco con al suo fianco il perfetto giocatore di rugby. Graham Caudle aveva le spalle larghe e i capelli biondi, lisci come spaghetti, che portava sempre tirati all'indietro, mentre la sua espressione truce riusciva ad ammorbidirsi con il largo sorriso che sfoggiava di tanto in tanto.

Clay si fermò a pochi passi da lui. Era più alto, quindi dovette alzare gli occhi per incontrare i suoi azzurri, poi lo osservò per qualche secondo come Graham osservò lui con un sorriso divertito, e constatò ancora una volta che non c'era nulla in lui ad attrarlo, soltanto le distrazioni che aveva da dargli.

«Ho sentito che sei entrato nella stessa Università del mio Graham.», disse la donna-giunco poggiando una mano sul braccio del figlio. Università, sempre Università.

Clay annuì e, ancora prima di pensare a quello che stava facendo, approfittò del passaggio di una delle mille zie di cui non sapeva l'esistenza e finse di essere stato urtato. Il contenuto del calice – forse vino? Non aveva nemmeno assaggiato – si versò sui pantaloni di Graham che, insieme alla madre, fece un salto indietro.

«Oh, mi dispiace.», mormorò Clay, per nulla dispiaciuto, alzando gli occhi su di lui che aveva già contratto la mascella.

«Clayton! – esclamò la madre mortificata, continuando a guardare a turno la signora Caudle, Graham e Clay – Sei un disastro...Vai...Vai immediatamente a dargli una mano e prestagli dei pantaloni puliti – ordinò prima di lanciare un'occhiata al corpo di Graham che sarebbe entrato nei vestiti di suo figlio per nemmeno un terzo – Di tuo padre.», aggiunse poi, dandogli un colpetto al braccio per esortarlo a incamminarsi.

Clay fece un piccolo sorriso, mentre saliva lentamente le scale, lontano da tutto quel brusio di vecchi agiati. Si sentì in pace quando finalmente raggiunse il piano superiore, con Graham al seguito che ancora un aveva detto una parola. Sperò non si fosse offeso, ma aveva bisogno di lui al momento. A dire il vero, non gli importava nemmeno così tanto se si fosse offeso o meno.

Scivolò lungo il corridoio, fino a infilarsi nella camera degli ospiti e sentì la porta chiudersi dietro di lui, prima che si rifugiasse, ancora, nel bagno della camera. Quando si voltò Graham era già su di lui, con le mani a stringergli il viso nel tentativo di recuperare tutto quel tempo che avevano passato lontano l'uno dal corpo dell'altro.

Gli occhiali gli caddero per terra e le loro labbra si scontrarono, bramose, spingendo e mordendo senza lasciare spazio all'aria. Si separarono appena per riprendere fiato.

«Siamo criminali se lo facciamo?», gli chiese Graham. Sempre la stessa domanda.

«Dipende a chi lo chiedi.», mormorò Clay, prima che ritornasse sulle sue labbra. Sempre la stessa risposta.

«Erano i miei pantaloni preferiti.», sibilò Graham spingendolo contro il lavandino in marmo. Clay incassò la botta alla schiena, sollevato nel sentire finalmente dolore, e sorrise mentre l'altro esplorava il suo corpo sotto la camicia ormai scivolata fuori dai pantaloni.

«Oh, è terribile. – gli disse slacciandogli la cintura – Lascia che ci pensi io.», sussurrò poi lasciando che le mani sfiorassero il tessuto. Graham sospirò contro la sua pelle, spingendo e pesando sul suo corpo ancora di più, fino a quando Clay non sentì mancare il respiro e scivolò in basso a osservare con interesse la grande macchia che aveva lasciato.

«Sbrigati, Clayton.», lo intimò il ragazzo stringendogli i capelli tra le dita.

«Hai già trovato un rimpiazzo alla tua amata Università?», chiese Clay ironico abbassandogli i pantaloni con una lentezza estenuante, fino a quando l'altro non lo strattonò ancora una volta. Gli faceva male la testa, ma si sentiva meno vuoto.

«Chi vuoi che lo faccia come te.», mormorò Graham gemendo tra le sue labbra.

Non c'era null'altro in quel momento, se non la vita che ricominciava a scorrere tra le vene di Clay. Nessuna festa, nessun parente, nessun vicino fastidioso e nessun padre che lo odiava, soltanto dolore dove le dita di Graham lo stringevano e dove aveva sbattuto contro il freddo marmo, dolore che lo faceva sentire finalmente vivo.

Non durò molto, quando Graham si allontanò da lui, con il fiatone, il viso rosso e un'espressione appagata, Clayton ritornò a essere vuoto, appoggiandosi con la schiena al mobile bianco e alzando il viso senza distinguere nulla con chiarezza. Le sue dita sfiorarono le stanghette degli occhiali, ma non aveva alcuna voglia di riprenderli.

«Non sei cambiato.», sentì la voce di Graham lontana, prima che ritornasse alla realtà.

«Già, nemmeno tu.», mormorò recuperando gli occhiali e alzandosi. Si passò una mano tra i capelli, sistemandoli e rimise la camicia al suo posto, dentro i pantaloni. Si sciacquo il viso rosso e poi si voltò verso Graham che non aveva smesso di guardarlo un secondo.

«Voglio di più.», gli disse il biondo con gli occhi che scivolavano sul suo corpo, quasi brillavano.

«Non adesso.», mormorò Clay per non tirare troppo la corda, non avevano tempo per fare sul serio.

Graham non rispose, sorrideva invece, perfettamente consapevole che non sarebbe passato tanto prima che Clayton tornasse a cercarlo. Anche quest'ultimo lo sapeva bene, ma si limitò ad abbassare lo sguardo sulle scarpe slacciate.

«Vado a cercarti un paio di pantaloni.», disse riallacciandole per uscire dal bagno e poi dalla stanza degli ospiti. Si aggirò per il corridoio, prima di sentire la possente voce di suo padre chiamarlo dalle scale con urgenza, era il tono che usava quando non voleva aspettare.

Clay ponderò le due possibilità: far aspettare suo padre oppure far attendere Graham in bagno senza pantaloni puliti. Poi, scrollò le spalle, era sicuro che a Graham non sarebbe dispiaciuto prendere un po' d'aria, così si affrettò a scendere le scale.

Il viso di suo padre era sospettosamente sorridente e roseo, mentre alzava un calice improvvisamente fiero del figlio che a malapena riusciva a guardare negli occhi.

«Sono tutti qui per te e tu sparisci?», rise l'uomo afferrandolo per le spalle, Clayton le contrasse e accennò un sorriso.

«Mi dispiace, ho...», provò a dire prima di venire interrotto da un'altra pacca da parte del padre che, quasi, gli fece perdere l'equilibrio.

«Lascia perdere adesso! – gli disse – Dì qualcosa ai tuoi ospiti, sei un uomo ormai.», Clayton deglutì, facendo scorrere lo sguardo sui numerosi visi che adesso avevano gli occhi puntati su di lui. All'improvviso, sembrò realizzare qualcosa che prima di allora si era nascosto in un angolo della sua testa e, per la prima volta in vita sua, sentì un po' di forza di volontà farsi strada nel suo cuore.

Li guardò tutti ancora una volta: quella era la vita dei suoi genitori, non la sua. Clayton è sempre stato addormentato, dietro le mura che avevano alzato intorno a lui, mura dove ogni giorno spettacoli d'ombra raccontavano di una vita non sua.

«Io... - mormorò – Io non voglio andare all'Università.», il brusio allegro si arrestò e la presa sulle sue spalle si strinse. Suo padre rise.

«Non è il momento di simili scherzi, Clayton.», gli disse poi sorridente, era un sorriso tirato, mentre la madre lì di fianco aveva le lunghe e delicate dita posate sulle labbra.

«Non sto scherzando. – disse poi con un po' più di sicurezza – Non voglio andarci, non ho mai voluto farlo. Io voglio lavorare alla libreria, passando le giornate a sistemare i libri. Non ho alcuna intenzione di andare all'Università.», ripeté e si stupì delle sue stesse parole, mentre l'espressione del padre diventava seria. Si voltò verso i suoi ospiti e rivolse loro un ultimo sorriso nervoso.

«Vogliate scusarci, termineremo i festeggiamenti qui. Clayton non si sente molto bene.», affermò con durezza ritornando poi a fissarlo.

«Effettivamente è da ieri che continua a dire cose assurde.», commentò la nonna che, dopotutto, uno come lui in libreria non l'aveva mai voluto. Il brusio ricominciò, questa volta nervoso, a tratti ironico, si stavano prendendo gioco di loro, della loro famiglia.

«Vieni con me.», disse soltanto il padre salendo le scale, mentre gli ospiti cominciavano a fluire fuori dalla porta, sommersi dalle mille scuse di sua madre.

«Sei impazzito, Clayton? – gli disse una volta in camera sua – Tu forse non hai capito. All'Università ci andrai, a me non mi interessa che tu voglia fare il giardiniere, l'infermiere o il pagliaccio! – urlò – Non ti permetterò di disonorare in questo modo la nostra famiglia. Davanti a tutti poi! Sei sempre stato entusiasta all'idea, che cosa ti è preso adesso?», gli disse puntandogli un dito al petto. Clayton indietreggiò di un passo, sotto la pressione, ma non aveva paura.

«Io non voglio. Se avessi prestato più attenzione, invece che nasconderti dietro ai giornali, avresti visto che sul mio viso non c'è mai stata traccia di entusiasmo», ribadì, il suo tono era calmo e piatto. Il colpo che arrivò poco dopo fu, però, totalmente inaspettato. Voltò il capo e il dolore arrivò dopo qualche secondo, poi si portò una mano alla guancia, ormai rossa prima di alzare ancora una volta gli occhi su di lui.

«Vedi di riprenderti. – ringhiò – E metterti il cuore in pace perché a settembre porterai il tuo culo e le tue valigie su un taxi diretto alla capitale. – gli disse ancora – Adesso, rimani qui, non voglio più vederti in giro fino a domani e prega che mi sia passata la vergogna che mi hai fatto provare di fronte a tutta quella gente.», detto ciò, con due grandi falcate uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Rimasto nel silenzio più assoluto, Clayton si chiese se Graham fosse ancora dentro quel bagno. Allontanò le dita dalla guancia e l'aria, seppur calda, sembrò gelida al contatto con la pelle rossa, poi si avvicinò alla finestra osservando con attenzione tutte le persone che stavano uscendo dalla sua casa che, in qualche modo, era riuscita a contenerle tutte. Alzò poi un sopracciglio quando vide Graham uscire in compagnia di sua madre, con i suoi vecchi pantaloni e la confusione dipinta sul viso.

«Caro, lascia che gli parli io.», la voce di sua madre risuonò come ovattata nella stanza da oltre la porta.

«Non provarci nemmeno, deve prendersi le sue responsabilità. Non è più un bambino. – le disse duro – Domattina mi implorerà per il mio perdono.», borbottò e, subito dopo, il rumore dei passi a scendere le scale gli fece compagnia per qualche secondo.

Non era in questo modo che aveva avuto intenzione di uscire quella sera, si sarebbe accontentato di fingere un malanno e andarsene a dormire, ma il Clay addormentato dietro le mura doveva essersi svegliato giusto in tempo per renderlo la delusione della famiglia. Nemmeno questo lo intristiva, era semplicemente come se i teli opachi che coprivano la vista dei suoi genitori stessero lentamente scivolando via mostrando finalmente la realtà dei fatti.

Aspettò ancora qualche minuto prima di aprire la finestra della sua camera che dava su di un balconcino e uscì da lì. Scavalcò la ringhiera e si appese al bordo, dando un'occhiata all'erba sotto di lui, fortunatamente era abbastanza alto da accorciare le distanze con il giardino. Dondolò ancora pochi attimi prima di lasciare la presa, sentì il buco nero dentro di lui ingrandirsi un po', mentre precipitava nel vuoto, per poi ritornare esattamente come prima quando atterrò con un colpo che gli risuonò lungo tutte le ossa.

Lo aveva fatto già molte volte, eppure il rischio di rompersi qualcosa era sempre lì presente. Rimase qualche secondo lì per terra, per assicurarsi che nessuno avesse sentito il tonfo e poi scivolò sotto la finestra che dava sul salotto dove sua madre camminava avanti e indietro innervosita e, suo padre apparentemente più calmo stava con gli occhi fissi alla televisione, senza tuttavia prestarci troppa attenzione. Se li lasciò alle spalle.

Una volta superato il rischio si alzò in piedi e iniziò a correre lungo il marciapiede, prima piano, poi sempre più veloce. L'aria era calda e, sotto quella giacca elegante, stava iniziando a sudare, così ancora di corsa se la sfilò dalle spalle ma questa sfuggì alla sua presa e cadde per terra. Avrebbe potuto fermarsi a prenderla, ma non ne aveva alcuna voglia e la lasciò lì, mentre si allontanava sempre di più.

Raggiunse Smiths di corsa, con il viso rosso per lo sforzo e il fiato corto. Era la gelateria dove erano sempre soliti andare e dove, ai primi tempi, si davano appuntamenti per le uscite. A quell'ora era ormai chiuso, ma le voci dei suoi amici attirarono il suo sguardo sulla macchina parcheggiata poco più in là: erano tutti fuori a ridere e scherzare tra di loro in sua attesa e, così, si avvicinò.

«Come ti sei conciato?», gli chiese Lonnie ridendo del modo elegante in cui era vestito, mentre Clay si allentava la cravatta nel tentativo di recuperare un po' di fiato.

«Non c'era bisogno di correre, ti avremmo aspettato comunque.», gli disse invece Ingrid che se ne stava appoggiata alla portiera della nuovissima Ford Anglia di Newton, con le braccia incrociate al petto.

«Io no.», borbottò Newt con una sigaretta tra le labbra, prima di fare il giro e salire al posto di guida, mentre Wynn saltellò per raggiungere quello del passeggero al suo fianco.

Gli altri si accomodarono, per quanto possibile nei posti dietro. Avevano già viaggiato in così tanti su di una stessa macchina, uno sull'altro, talmente presi dal momento da non preoccuparsi dei gomiti che si conficcavano nella pelle o della polizia che avrebbe potuto fermarli. Clay si ritrovò a dover tenere Nora sulle sue gambe, mentre Lonnie sorreggeva sua sorella che non perdeva un momento per dargli fastidio.

«Ci fermiamo a recuperare la roba e poi andiamo fuori di città.», Newton, rallentando a uno stop, mise al corrente Clay che annuì da sopra la spalla di Nora. Capitava spesso che presi dall'ebrezza della droga, andavano a rifugiarsi lontano dalla città in cui erano cresciuti, per circondarsi soltanto di enormi prati abbandonati e lunghe strade deserte.

«Ti sei divertito?», chiese Wynn voltandosi, mentre poggiava i piedi sul sedile e, prontamente, incassò il colpo che arrivò da Newt poco dopo.

«Sì.», rispose Clay rivolgendole un piccolo sorriso, la guancia bruciava ancora.

«Conviene che ti fermi qui. – gli disse poi Wynn – Altrimenti la tua macchina nuova non ne uscirà più bella com'è ora.», ridacchiò.

«E io probabilmente finirei in galera.», borbottò Newt di rimando, mentre rallentava e poi si fermava, tirando il freno a mano. Wynn si voltò verso i ragazzi dietro.

«Chi avrà l'onore di farmi compagnia?», chiese facendo gli occhi dolci a ognuno di loro. Lonnie saltò sul posto, facendo sbattere la testa a sua sorella sul tettuccio.

«Vengo io.», aggiunse poi ignorando le imprecazioni della ragazza e scendendo dalla macchina, baldanzoso.

Seguì Wynn per circa un isolato prima che decidesse a voltare l'angolo infilandosi in un vicolo scuro e puzzolente dove alcuni cassonetti erano caduti, per chissà quale ragione, e la spazzatura infestava adesso la stradina con grande gioia dei gatti randagi e dei topi. Uno gli passò sulla scarpa.

Lonnie vide Wynn bussare all'unica porticina di metallo verde, piena di graffi e ruggine, che dopo aver borbottato qualcosa si aprì. Un grosso uomo dai capelli rossi e con una cicatrice sul sopracciglio li fece entrare senza aggiungere una parola, all'interno c'era uno squallido bar senza nemmeno un cliente, ma non era lì che i due sembravano essere diretti, perché Wynn fece il giro del bancone e aprì una seconda porta.

«Come fai a conoscere questo posto?», chiese Lonnie sottovoce, non volendo profanare l'inquietante silenzio che li circondava, mentre lanciava un'occhiata al barista solitario.

«Amici di amici.», rispose Wynn sorridente, iniziando a scendere le scale e man mano che i gradini ancora da fare si riducevano, la musica iniziò a raggiungere le loro orecchie e Lonnie immaginò la stanza gremita di gente ancora prima di trovarcisi davanti.

Avevano quasi tutti sguardi esaltati, occhi lucidi o gote rosse, molte coppie si appartavano nel buio, altre rimanevano sotto la flebile luce delle lampadine, tutti gli altri ballavano stringendosi l'uno all'altro. Lonnie si guardò un po' intorno, prima di rendersi conto che Wynn, senza dar conto a tutti quelli che gli si avvicinavano curiosi con gli sguardi allucinati, lo aveva preceduto e così si affrettò a zampettargli dietro come un cucciolo con il suo padrone.

Lo vide avvicinarsi a un ragazzo appoggiato al muro di fronte a loro, era alto e magro, con gli zigomi sporgenti e gli occhi assenti, ma furbi allo stesso tempo e gli dava l'impressione di qualcuno che era riuscito a scoprire il grande segreto della vita per poi dimenticarsene all'improvviso.

«Ciao, hai qualcosa per me?», chiese Wynn andando dritto al punto, senza preoccuparsi delle numerose persone che lo circondavano. Lonnie giurò di aver sentito una mano tra i capelli.

Il ragazzo sorrise, era un sorriso sottile che metteva ancora più in risalto le occhiaie, le guance scavate e i capelli neri sul collo. La sua pelle luccicava di sudore.

«Ho lo stesso dell'ultima volta, quella nuova. – gli disse avvicinandosi al suo orecchio, Wynn rabbrividì – La vuoi?», chiese inclinando il capo.

«Oggi hai un po' più di clienti.», rispose Wynn con il suo solito, affascinante sorriso allungandogli più soldi di quanti gliene avrebbe dati di norma. Gli occhi del ragazzo si illuminarono e, subito, iniziò a scavare nelle tasche per poi tirarne fuori una bustina. Lo scambiò fu veloce e le sue dita ossute si posarono sui soldi di Wynn con bramosia.

Lonnie non fece in tempo a capire di cosa si trattasse, aveva visto giusto un insieme di quadratini sottili e colorati, perché Wynn lo nascose immediatamente nella giacca e, con un cenno d'intesa si allontanò dal ragazzo portandosi dietro anche l'amico. Non fecero, tuttavia, molta strada, perché davanti a loro si piazzò un ragazzo – o uomo? Non riusciva a capirlo – con gli occhi iniettati di rosso e un sorriso appena accennato.

Guardò Wynn con uno sguardo vacuo e insieme lascivo, poi rise afferrandola per un gomito.

«Lascia che ti offra qualcosa.», non era un'offerta, sembrava quasi un'imposizione e Lonnie spostò il peso da un piede all'altro, a disagio.

«Senti brutto...», iniziò Wynn aggiungendo una serie di epiteti che Lonnie non credeva nemmeno esistessero fino a quel momento, mentre gli occhi dell'enorme ragazzo lì davanti si spalancavano a ogni aggiunta.

Pochi minuti dopo, si ritrovarono a correre a perdifiato, seguiti dal ragazzo pieno di rabbia e da alcuni suoi amici, che probabilmente non sapevano nemmeno che cosa stesse succedendo. Lonnie respirava pesante, dietro a Wynn che correva tanto veloce che gli venne il sospetto che facesse spesso questo genere di cose.

Fu Clay, che nel frattempo si era seduto nel posto davanti, sotto richiesta di Newt, a vederli per primo dallo specchietto laterale. All'inizio erano soltanto loro due che avevano svoltato l'angolo e Clay immaginò fossero i soliti Wynn e Lonnie felici e iperattivi come sempre, iniziò a insospettirsi quando vide le loro braccia agitarsi per aria come a voler attirare la loro attenzione e poi scosse il braccio di Newt quando oltre l'angolo spuntarono altre tre persone.

«Newt, metti in moto.», gli suggerì tranquillo.

«Che cazzo hanno combinato.», commentò l'altro alzando lo sguardo sullo specchietto retrovisore, girando la chiave e abbassando il freno a mano, mentre le tre ragazze dietro si appiattirono l'una contro l'altra e aprirono lo sportello per farli salire al volo.

E quando Wynn e Lonnie si buttarono dentro, tirarono lo sportello verso di loro con l'auto già in corsa che sgommava per allontanarsi il più possibile e risero, risero così tanto che Clay pensò avessero già provato quello che Wynn aveva preso per loro.

«Roba nuova.», disse poi quest'ultima tirando fuori la bustina ancora intatta e distribuendo un quadratino ciascuno, tranne che a Newt che si accese una sigaretta.

Clay lo osservò per qualche secondo, era piccolo e sottile, e si chiese come facesse a racchiudere tutto quel potere. Poi, chiuse gli occhi e fece come gli altri, facendolo sciogliere in bocca.

«Come mai hai cambiato?», chiese Ingrid.

«Il naso ha iniziato a sanguinare troppo spesso.», rise Wynn portandosi una mano proprio lì sul naso, come se avesse appena iniziato anche in quel momento.

Fu alcuni minuti dopo che il mondo per Clay riprese colore. Si allontanavano dalla città a velocità assurda, gli sembrava quasi di volare, guardò il cruscotto e gli parve di toccarlo anche se in realtà non si era mosso di un centimetro.

«Un tiro, Clay?», chiese Newt allungando la sigaretta verso di lui. Clay la guardò, la voce del suo amico era così lontana che la sentì a malapena e allo stesso tempo gli rimbombò nella testa, mentre gli altri dietro che ridevano e si parlavano, non riusciva a sentirli. Allungò la mano, e quando pensò di esserci vicino chiuse le dita ma raccolse soltanto l'aria e poi rise. Era una risata sincera, divertita.

Quando riuscì finalmente a metterci le mani sopra e ad aspirare, fu come bere un bicchiere di acqua congelata che gli arrivava fino al cervello e poi tornava indietro e, finalmente, Clay era di nuovo vivo. L'aria che entrava dai finestrini a sfiorargli il viso, l'erba che toccarono quando scesero dalla macchina barcollanti, lontano dalla città, lontano dalle case, lontano dai suoi genitori, le stelle, il canto dei grilli era tutto lì insieme e lui riusciva a sentirli. Il petto gli si riempì di una gioia che non riusciva a provare senza l'aiuto di quei buffi quadratini e, finalmente, pianse.

Pianse per la prima volta dopo anni, pianse perché era felice, le lacrime gli sfioravano il sorriso, così come i fili d'erba su cui si era coricato gliele asciugavano con delicatezza. Clay sentiva, sentiva il mondo e sentiva quello che aveva dentro, era un uragano, un incendio, uno tsunami di emozioni che erano state spinte tanto infondo da fargli pensare che fossero andate perse. Gioia, entusiasmo, rabbia, tristezza e infine paura. Clay adesso aveva paura, paura di suo padre, paura del futuro e, soprattutto, paura di se stesso, così, continuò a piangere sempre più forte fino a quando la voce non lasciò spazio a deboli singhiozzi.

Gli altri intorno a lui ridevano, barcollavano e si spingevano, sotto gli occhi vigili di Newton che seduto lì con loro aveva acceso la seconda sigaretta. Clay si chiese dove fosse finita la prima e poi si ricordò che l'aveva avuta lui.

Newton stava parlando con Wynn che continuava a girargli intorno, sorridente, prima di tirar fuori un altro quadratino. Gli sorrise, provocandolo, avvicinandoglielo al volto per poi appoggiarlo sulla sua stessa lingua senza distogliere gli occhi dal moro che lo prese per un braccio e lo attirò a sé.

La vista di Clay si fece offuscata, ma giurò di aver visto il viso di Newton tanto vicino a quello di Wynn da sembrare quasi un bacio, con le labbra che si muovevano l'una sull'altra e le lingue che giocavano baldanzose fin quando Newt non ottenne finalmente ciò che gli spettava.

«No, Clay! – Nora adesso era lì con lui e gli teneva il viso tra le mani – Non piangere!», Clay la osservò per qualche secondo, l'azzurro luminoso dei suoi occhi si era ridotto a una sottile striscia intorno alla pupilla dilatata e gocce di sudore le scivolarono sul collo. Lei stava ridendo, ma aveva i segni delle lacrime sulle guance.

Ci volle qualche minuto prima che Clayton si rendesse conto che stava parlando con lui, era come se vedesse i suoni e sentisse le immagini. Si mise a ridere anche lui, appoggiando la fronte su quella della ragazza, prima di sentirsi improvvisamente leggero, non era più se stesso, non era più lì, era come se si fosse sollevato sopra tutto e il mondo fosse così lontano da raggiungere.

«Che roba è questa, Wynn?», la voce di Hazel era così colorata e brillante agli occhi di Clay che lo riportò bruscamente lì su quel prato con loro, il cuore gli correva veloce nel petto e nella sua testa sembrava il rumore degli zoccoli di un cavallo al galoppo da corsa.

«È nuova sul mercato! – esclamò il ragazzo ridendo, mentre si allontanava dal viso di Newt – Si chiama LSD, non è un nome divertente?», rise, con la fronte di Newt appoggiata sulla sua spalla esile.

«Dà allucinazioni questa roba? – Lonnie si rotolò al fianco di Clay – Perché, cazzo ragazzi vedo un intero castello!», alzò le mani al cielo come se avesse potuto prenderlo e metterselo in tasca.

Gli occhi di Clay si spostarono, con fatica, fino a trovare l'enorme edificio su una collina dall'altra parte della strada. Una macchina passò così tanto veloce da fargli fischiare le orecchie e sperò non fosse quella di Newt, prima di ricordarsi che l'aveva lasciata su una stradina laterale ai limiti di un campo. Ritornò con gli occhi sulle guglie nere e appuntite che puntavano le stelle.

Bamoral. La parola si formò davanti ai suoi occhi, la vide uscire goffa dalle sue labbra, ma nessuno la udì veramente, tanto erano presi dalla nuova attrazione.

«Lo vedo anche io.», aggiunse Ingrid, seguita da tutti gli altri.

«Non è un'allucinazione.», biascicò Newt ancora all'inizio del suo delirio da droga.

«Andiamo a dare un'occhiata!», esclamò Wynn entusiasta, tirandosi in piedi ma ricadendo subito dopo. Gli altri lo seguirono, dopo che riuscì ad acquistare l'equilibrio e, insieme, barcollarono sulla tangenziale che li aveva portati fin lì. Una macchina li scansò con il suono del clacson che trapanò le orecchie di Clayton, pensò che forse gli si fosse rotto il timpano.

La salita per la collina fu lunga, piena di cadute e scivoloni, risate e imprecazioni, pianti e dissociazioni, ma alla fine si ritrovarono tutti e sette alle porte dell'enorme castello che Clayton, in qualche modo, già sentiva di conoscere. Forse...Forse avrebbe dovuto fermarli, forse avrebbe dovuto insistere per ritornare indietro a divertirsi sul prato come avevano sempre fatto, ma era così vivo in quel momento e nient'altro aveva importanza.

«Cazzo che ansia.», borbottò Lonnie, dietro di lui da qualche parte. Si aggrappò al braccio di Clayton, facendolo barcollare.

Wynn spinse la pesante porta che si aprì senza nemmeno troppa fatica e insieme si fiondarono all'interno. Non sembrava viverci nessuno e si sentiva dall'odore che emanava, l'ingresso era tutto scuro, con mattoni grigi ben schiacciati l'uno sull'altro e pesanti tende che coprivano le finestre, mentre lo strato di polvere non permetteva di capire il colore del pavimento. Clay provò un'improvvisa paura e sentì il cuore saltargli nel petto, mentre percepiva vagamente i movimenti dei suoi amici all'interno di quel luogo, l'eco dei passi come piccole macchie blu davanti ai suoi occhi. Fece un passo indietro, non riuscendo a percepire la profondità e, poi, si rese conto, come una realizzazione improvvisa che in qualche modo rallentò i battiti impazziti del suo cuore, che non c'era più niente da fare. La porta, lenta e silenziosa, si chiuse alle spalle di ogni loro peccato.

Ehi!
Con questo capitolo lunghino entriamo nel vivo della storia.
Sono successe molte cose e ne succederanno sempre di più.
Attenzione a scegliere il vostro preferito :P
~🐝

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