𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲

By Theworldsdreamer

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Clayton Burns non ha paura. Clayton Burns non prova nulla. Perché dovrebbe? La sua vita è costruita di facci... More

𝕯𝖊𝖉𝖎𝖈𝖆
𝕴𝖓𝖙𝖗𝖔𝖉𝖚𝖟𝖎𝖔𝖓𝖊
𝖀𝖓𝖔
𝕯𝖚𝖊
𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖗𝖔
𝕮𝖎𝖓𝖖𝖚𝖊
𝕾𝖊𝖎
𝕾𝖊𝖙𝖙𝖊
𝕺𝖙𝖙𝖔
𝕹𝖔𝖛𝖊
𝕯𝖎𝖊𝖈𝖎
𝖀𝖓𝖉𝖏𝖈𝖏
𝕯𝖔𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕿𝖗𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕼𝖚𝖆𝖙𝖙𝖔𝖗𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕼𝖚𝖎𝖓𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕾𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖆𝖘𝖘𝖊𝖙𝖙𝖊
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖔𝖙𝖙𝖔
𝕯𝖎𝖈𝖎𝖆𝖓𝖓𝖔𝖛𝖊
𝖁𝖊𝖓𝖙𝖎
𝖁𝖊𝖓𝖙𝖚𝖓𝖔
𝕰𝖕𝖎𝖑𝖔𝖌𝖔

𝕿𝖗𝖊

139 45 156
By Theworldsdreamer

21 giugno, 1961

𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑓𝑒𝑟𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑖𝑙 𝑠𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜...

Clayton si svegliò, quella mattina, con la luce del sole che cadeva direttamente sul suo viso e quando aprì gli occhi constatò con disappunto che sua madre aveva scostato le tende dalla finestra.

Si passò una mano sul viso e allungò le gambe sul materasso, prima di prendere l'ardua decisione di alzarsi dal letto. Tastò il comodino lì di fianco in cerca dei suoi occhiali e, quando finalmente li trovò, se li mise sul naso, pronto a iniziare un'altra terribile giornata. L'idea della festa che si sarebbe tenuta in casa sua quella stessa sera gli metteva già la nausea ma, per lo meno, avrebbe potuto distrarsi uscendo con i suoi amici.

I suoi occhi caddero ancora una volta sul libro ai piedi del letto, non l'aveva più toccato dall'ultima volta, eppure il pensiero di quello che aveva visto non voleva lasciarlo in pace: doveva sicuramente trattarsi di uno scherzo. Represse l'impulso di raccoglierlo per ricontrollare se avesse semplicemente letto male e, invece, si alzò dal letto per poi scendere lentamente le scale, rallentando ancora di più il passo quando sentì le voci dei suoi genitori in sala da pranzo.

A sua madre non piaceva dire in giro di avere camerieri che giravano per casa a pulire, cucinare, sistemare e, per poco, accompagnare anche al bagno in caso di necessità, eppure quelle due donne che stavano in piedi agli angoli della stanza in attesa di ordini erano proprio lì per quello. Le chiamava collaboratrici, assistenti o con altri appellativi ridicoli per far colpo sul vicinato. Clayton non capiva il motivo di tutti quegli sforzi per piacere agli altri, lui non ne aveva mai sentito la necessità.

Bridget e Augusta - le collaboratrici - lo salutarono cortesi nell'esatto momento in cui mise piede in sala da pranzo. A Clay piacevano quelle due donne, anche se di base non apprezzava la presenza di altre persone in casa, perché nonostante lo avessero visto nelle condizioni peggiori - quel giorno con gli occhiali storti, il segno del cuscino sulla guancia e i capelli spettinati - gli rivolgevano sempre il migliore dei sorrisi e più attenzioni di quanto non facesse la sua stessa famiglia.

«Clayton, ti sei svegliato tardi.», fu l'unico commento del padre, seduto a capotavola davanti a un piatto stracolmo di cibo: uova fritte, salsicce, pomodori e pane fritto, tutto rigorosamente preso dai mille piatti che decoravano la tavola.

«Sono in vacanza.», replicò lui, prendendo posto di fronte alla madre. Bridget gli riempì il bicchiere con il succo d'arancia.

«Questo non significa che tu debba poltrire tutto il giorno. Cosa farai quando inizierà l'Università?», rispose l'uomo in tono severo. Clay non era mai riuscito veramente ad avvicinarsi a lui e, se fosse stato un ragazzo normale, avrebbe probabilmente voluto dirgli che non erano affari suoi quanto dormiva, che non aveva il diritto di dirgli cosa fare e che era soltanto un vecchio e burbero idiota. Clay non era un ragazzo normale, però, e nulla di tutto ciò uscì dalle sue labbra: come al solito lasciava che tutto gli scorresse intorno e diventava invisibile il tempo necessario affinché tutto ritornasse alla normalità.

«Hai già deciso cosa indossare stasera?», intervenne la madre, già bella come il sole, pettinata e profumata, mentre infilava in bocca un pezzo di fragola. 

Clay si chiese con quale coraggio avesse deciso di sposare un uomo come quello quando avrebbe potuto avere chiunque, ma forse, concluse, nemmeno lei aveva scelto di viverci la sua vita insieme. Era chiaro, limpido, ai suoi occhi che nessuno dei due amava l'altro e le numerose avventure amorose della madre non erano certo così discrete, eppure il padre aveva scelto di chiudere gli occhi, lei aveva scelto di chiudere gli occhi e a Clay non era rimasto che fare altrettanto. Erano una semplice abbiente famiglia dallo sguardo offuscato.

«No.», rispose con un filo di voce, prendendo un po' di salsiccia e portandola al suo piatto. Un piccolo pezzo cadde sulla tovaglia e i suoi occhi si mossero fugaci verso il padre, prima di raccoglierlo.

«Beh, dovresti pensarci tesoro.», disse lei ridacchiando tra sé e sé su chissà quale battuta doveva esserle passata per la mente. Nessuno dei tre parlò più, fino a quando non si alzarono dal tavolo e ognuno di loro tornò alle proprie attività, rivolgendo agli altri un breve saluto circostanziale: il padre sedette sulla poltrona in salotto, per leggere il giornale in tranquillità, la madre uscì con entusiasmo per andare dalla parrucchiera e Clayton tornò a nascondersi nella sua camera.

Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, eppure, c'era un tarlo nelle orecchie che continuava a riportare la sua attenzione su Bamoral Castle. Sospirò e, capendo che se fosse rimasto ancora lì probabilmente sarebbe impazzito, si vestì in fretta per scendere ancora una volta le scale e allontanarsi il più possibile.

«Dove stai andando, Clayton?», la voce del padre lo fermò, con la mano già sulla maniglia. Doveva averlo sentito scendere le scale e, ora, stava aspettando una risposta senza distogliere lo sguardo dalle quotazioni in borsa.

«Da Newton.», mentì. Le spalle del padre fremettero e, con stizza, si rese conto che sarebbe dovuto passare da Newton per rendere veritiera quella notizia.

«Vedi di tornare presto, prima che tua madre dia di matto per non averti scelto la camicia giusta.», borbottò poi senza degnarlo di ulteriori attenzioni. Clayton non rispose, sapeva che aveva già smesso di ascoltarlo, e uscì di casa.

Percorse il vialetto fino al cancello in ferro e, mentre lo apriva, si ritrovò ad alzare lo sguardo incontrando la figura di Graham alla finestra, rigorosamente a torso nudo. Rimase a fissarlo qualche minuto, appoggiato al cancello, fino a quando il ragazzo non si accorse della sua presenza e gli rivolse un sorriso malizioso, poggiando le mani sulla cornice della finestra. Clayton rise, prima di rivolgergli un piccolo cenno del capo e allontanarsi, ben consapevole di avere il suo sguardo addosso.

Raggiunse la casa di Newton in mezz'ora di cammino, lasciando che i suoi occhi vagassero per le strade e per i giardini dove bambini, ormai in vacanza dalla scuola, giocavano a pallone. Scrutò dentro al vialetto di casa Sheppard e la macchina del padre sembrava non vedersi da alcuna parte, così, con il cuore più leggero premette il dito sul pulsante bianco per suonare il campanello.

Poco dopo, riuscì a entrare dentro l'enorme casa e sentì la signora Sheppard venirgli incontro, prima di vederla spuntare oltre l'angolo con un largo sorriso. Era una donna piuttosto prosperosa, con numerosi ricci scuri e occhi blu come il figlio, rivolgeva sempre un largo sorriso a chiunque varcasse la porta della sua casa, ma era tanto confortevole quando sorrideva quanto spaventosa quando si innervosiva.

«Oh, Clay! - esclamò, stretta nel suo tubino blu notte - Non ti aspettavamo. Newtonuccio dorme ancora, purtroppo, potresti svegliarlo tu?», lo informò con disappunto e, alle sue parole, ritornò nella mente di Clay la sgradevole immagine di Wynn che la imitava. Diede un'occhiata alle scale e poi annuì.

«Lo consideri fatto.», le rispose rivolgendole un sorriso educato, prima di incamminarsi verso la stanza del suo migliore amico.

Quando entrò le tende erano ancora tirate in modo che nemmeno il più sottile raggio di sole potesse passarci attraverso. Senza scomporsi e senza il minimo riguardo le afferrò con le dita tirandole di scatto quel tanto che bastava per illuminare la stanza e, di conseguenza, anche il corpo inerme di Newt che di fronte a quel terribile trauma si scosse con un grugnito.

«Clayton giuro che appena mi alzo ti uccido, ti strappo i capelli uno ad uno e te li faccio mangiare. E spero che ti vadano di traverso.», gli ringhiò contro, a seguire una serie di coloriti insulti, nel momento in cui aprì un occhio per capire cosa fosse successo alla sua tanto amata oscurità.

«Attenderò con ansia seduto qui.», gli rispose Clay, accomodandosi alla sedia della sua scrivania e congiungendo le punte delle dita, rivolto verso il letto per poter vedere l'amico contorcersi tra le lenzuola.

«Cazzo, perché sei venuto a rompere le palle a me?», borbottò quindi mettendosi a sedere, con gli occhi ancora socchiusi e i capelli scuri che puntavano da tutte le parti. Era buffo, ma Clay non rise, si limitò a inclinare la testa.

«Perché ho detto a mio padre che sarei venuto qui.», rispose recuperando la corrente lettura del ragazzo e leggendone il titolo "Dracula", con disinteresse, prima di rimetterlo al suo posto per alzare nuovamente gli occhi su di lui.

«E da quando dici la verità a tuo padre.», sbadigliò alzandosi e lasciando che gli occhi di Clayton studiassero i suoi muscoli, mentre allungava le braccia verso l'alto. Non provava attrazione per Newton, come non provava particolare attrazione per nessun altro, romantica o fisica che fosse, si limitava a osservare per cercare di trovare qualcosa che in qualche modo lo attivasse.

Clayton non disse nulla, alzò soltanto tre dita, per poi abbassarne uno, poi il secondo e infine anche il terzo. Quando la sua mano si chiuse a pugno i due ragazzi sentirono lo squillo del telefono al piano di sotto e, poco dopo, la madre di Newton che urlava "Clay! C'è tuo padre al telefono, chiede se poi passi da tua nonna.". Clay sorrise dell'espressione di Newton e della prevedibilità del padre.

«Che piccolo bastardo che sei.», mormorò il ragazzo scuotendo la testa e rintanandosi in bagno. Clayton attese paziente che ne uscisse vestito e pettinato, poi lo seguì fino alla mansarda dove aprì una grande finestra che dava sul tetto prima di tirare fuori un pacchetto di sigarette e porgerne una a Clayton.

«Anche se tua madre è in casa?», gli chiese accettandola comunque e piazzandosela tra le labbra.

«Non viene mai quassù, ha paura dei ragni.», rispose Newton accendendo la sua, per poi passare l'accendino al suo amico. Clay aspirò, poi buttò via il fumo dal naso, in silenzio.

Rimasero così ancora per un po', come piaceva a loro, senza parlare di niente in particolare. Lasciavano che gli occhi vagassero oltre il tetto, sulla strada tranquilla, sulle persone che ci passavano, che portavano il cane a passeggio e che sorridevano. 

Era ironico pensare che la loro amicizia era proprio iniziata in questo modo: in silenzio. Newton all'epoca aveva all'incirca quindici anni ed era appena uscito da una rissa con un occhio nero e una punizione scolastica; Clayton che aveva osservato tutta la scena si avvicinò a lui soltanto quando le acque si calmarono e si sedette per terra al suo fianco, voleva soltanto capire da dove potesse arrivare tutta quella rabbia. Newton lo aveva visto, eppure non disse nulla fino a quando dopo una buona decina di minuti si sporse verso di lui: "Sei rimasto a guardare e non hai fatto niente.", Clayton scosse appena le spalle mormorando un "Non sono mica stupido" a cui l'altro rispose con "Stronzo". Da quel giorno, iniziarono a passare sempre più tempo insieme passivamente, anche se ci vollero ben due settimane prima che finalmente si presentassero ufficialmente l'un l'altro.

Non fu un primo incontro particolarmente impressionante, eppure a loro sembrava andar bene così. Per entrambi fu come trovare qualcuno con cui poter rimanere soli senza sentirsi particolarmente in colpa nell'allontanarsi dagli altri. Ognuno era la spalla dell'altro e quando qualcosa non andava si cercavano, per poi rimanere insieme in silenzio. Clayton assorbiva la rabbia di Newton senza annegarci dentro e provava una sorta di sollievo nello stare con qualcuno che provasse una tale quantità di emozioni: non era costretto a fingere, perché l'intensità di Newton lo eclissava.

Newton spense la sigaretta e la buttò poi giù, sulla strada, lo stesso fece Clayton e insieme allungarono il collo con curiosità, per scoprire chi fosse riuscito a lanciarla più lontano.

«Ho vinto io», commentò Newt, alzandosi e passandosi i palmi delle mani sui pantaloni per liberarsi della polvere.

«Vinci sempre tu.», fu la risposta di Clayton. Non era una lamentela, solo una constatazione.

«Non è colpa mia se sei un damerino.», gli disse poi Newt alzando un sopracciglio. Clay non raccolse la provocazione.

«Cosa fai con la puzza di fumo?», gli chiese invece e Newton in risposta recuperò un vecchio profumo che aveva lasciato lì, spruzzandolo su entrambi, poi scrollò le spalle.

«Anche la mamma fuma di nascosto.», gli disse semplicemente, prima di riprendere a parlare. «Wynn ha detto che avrebbe chiamato questa mattina perché non sa cosa mettersi questa sera, vuoi venire a farmi da supporto?», chiese Newton uscendo dalla mansarda, seguito da Clayton che scosse la testa più che volentieri.

«Hai sentito mio padre, devo andare dalla nonna.», gli disse scendendo le scale con lui proprio mentre il telefono iniziò a squillare. Fece un cenno di saluto a Newt, mentre si portava la cornetta all'orecchio alzando gli occhi al cielo.

«Wynn, smettila di urlare o giuro che vengo lì e ti soffoco con il filo del telefono. - Clayton sentì le minacce di Newt mentre usciva - Mettiti la prima cosa che vedi, che cazzo te ne frega? Ma non deve piacere a me!», lo lasciò con piacere a urlare alla cornetta uscendo dalla porta, e poi si dileguò lontano anche da quel posto.

Ripercorse la strada che aveva fatto a ritroso, fino a incontrare ancora una volta la familiare vetrina della libreria e pensò che, ironicamente, alla fine si era ritrovato a fare proprio ciò che gli aveva detto il padre, quando la sua idea originale era semplicemente quella di vagare senza una particolare meta spegnendo la mente soltanto per un po'.

«Ciao Nana.», salutò l'anziana signora che dietro al bancone stava facendo le parole crociate, con gli occhi talmente strizzati da sembrare chiusi. Si rifiutava di indossare degli occhiali, diceva sempre che soltanto i deboli avrebbero potuto portarli, poi guardava Clay con disappunto.

«Buongiorno, tesoro. - non alzò la testa dal libretto - Tuo padre mi ha detto che saresti passato.», lo informò.

«Certo che l'ha fatto.», commentò lui, appoggiando le mani sul freddo bancone in attesa di indicazioni.

«Oh Clayton, sono giorni terribili per la libreria. - esclamò infine lei, facendolo sussultare, mentre si alzava e faceva il giro del bancone - Ci credi che ieri non è venuto nessuno? A parte te s'intende.», borbottò frugando da qualche parte in magazzino.

«Come sarebbe a dire nessuno? - chiese Clay aggrottando le sopracciglia - Ieri quando sono arrivato c'era un ragazzo.», commentò a voce alta passeggiando per il negozio.

«Mi possa venire un colpo, tesoro, ma io sono rimasta sola fino al tuo arrivo.», rispose lei e Clay si augurò vivamente che fosse così, altrimenti avrebbe dovuto dire addio alla nonna e non aveva alcuna voglia di passare il tempo in una chiesa gremita di gente che piangeva. Eppure, l'immagine di quel ragazzo lì seduto era ancora vivida e reale nella sua testa.

«Bada bene, porta questo a tuo padre. - gli disse poi ritornando da lui - Ti va? L'ho fatto aggiustare.», non gli andava, ma prese comunque l'orologio che la nonna gli mise sul palmo della mano e annuì. La salutò e, stanco, diede ancora un'ultima occhiata alla sedia che il giorno prima aveva - o non aveva - occupato quel ragazzo strambo, prima di lasciare il negozio.

Il resto della giornata passò con una lentezza estenuante. Provò a intrattenersi con la lettura, poi scese a guardare la televisione, senza tuttavia prestarci la giusta attenzione, quindi, si alzò e a piedi nudi raggiunse la cucina dove Augusta stava preparando dei biscottini allo zenzero. Le sopracciglia di Clay si inarcarono, sua madre doveva voler competere con la fatidica signora dei biscottini di cui parlava al telefono con la zia Primrose.

«Pronto per questa sera?», gli chiese sorridendo, mentre lui si sedeva al bancone e la osservava lavorare la pasta, quasi ipnotizzato. Chissà dov'era andata la sua mente in quel momento.

«No.», rispose appoggiando il viso a una mano e lei rise. Clayton la guardò con attenzione, chiedendosi come sarebbe avere la sua stessa allegria nell'affrontare il mondo.

Ehi!
Clay non è pronto per la festa, ma voi lo siete?
Non vedo l'ora di farvi scoprire di più :P
~🐝

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