La Ruota degli Angeli

By Lightning070

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Napoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato... More

Premessa
I. Un po' di freddo (certo male non fa) - Parte 1
I. Un po' di freddo (certo male non fa) - Parte 2
II. La nostra buona stella (è la peggiore tra le luci) - Parte 1
II. La nostra buona stella (è la peggiore tra le luci) - Parte 2
III. La più grande libertà (è quella che ci tiene in catene) - Parte 1
III. La più grande libertà (è quella che ci tiene in catene) - Parte 2
IV. C'è tutto il mondo (tra la culla e la fossa) - Parte 1
IV. C'è tutto il mondo (tra la culla e la fossa) - Parte 2
V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 1
V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 2
VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 1
VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 1
VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 2
VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 1
VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 2
IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 1
IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 2
X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 1
X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 2
X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 3
XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 1
XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 2
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 1
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 2
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 3
XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 4
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 1
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 2
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 3
XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 4
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 1
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 2
XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 3
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 1
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 2
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 3
XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 4
XVI. Vittoria (ma com'è piccola, ma com'è fragile) - Parte 1
XVI. Vittoria (ma com'è piccola, ma com'è fragile) - Parte 2

VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 2

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By Lightning070

          Sono le tre della mattina, quando riemergono dal pozzo e Ricciardi dà cenno agli addetti obituari di andare a recuperare il corpo. Maione si fa loro incontro, ancora taciturno, gli angoli della bocca bloccati all'ingiù come le vele ammainate di una barca in secca.

Nel congedarsi, gli stringe una spalla con una familiarità che di rado gli riserva; Ricciardi, nella penombra del vicolo, vede nei suoi occhi l'angoscia di un padre che vuole solo tornare dai propri bambini, a crogiolarsi nella certezza che siano ancora tutti lì ad aspettarlo.

Vede anche qualcos'altro, un riflesso sopito del medesimo timore che scuote Bruno. Maione gli è devoto, sì, ma non è ottuso: Ricciardi se le sente formicolare sulla pelle, le domande che vorrebbe porgli e che, più che la distanza gerarchica, è il rispetto a impedirgli di gettargli addosso come ha appena fatto il medico.

Le intuisce dal modo schivo ma penetrante in cui lo fissa, come in attesa di una spiegazione che si trattiene dal pretendere solo per l'incrollabile fiducia, forse immeritata, che lo spinge a seguirlo a dispetto dei suoi silenzi ombrosi, dei suoi modi di fare inspiegabili e della ritrosia che riserva a tutti.

Ricciardi deve molto a Maione; gli deve il non essere rimasto solo come un cane nel proprio lavoro, emarginato dai suoi stessi colleghi che, con un nobile melanconico che s'improvvisa commissario e che ha più a cuore la verità che l'onore della Regia Polizia, ci si puliscono le scarpe. Gli è grato anche adesso, per non chiedergli nulla, pur potendo farlo.

«Commissario, dottore,» dice piano adesso, guardandoli entrambi per poi concentrare lo sguardo su di lui. «Non vi auguro la buonanotte, ma cercate di riposare almeno un po'.»

Ricciardi annuisce con gli occhi che iniziano a sfarfallare come a comando.

«Pure tu, Raffaele,» dice, tirando un respiro. «Da' un abbraccio a casa da parte mia.»

È invece lui ad allargare le braccia e stringerlo brevemente, sfregandogli la schiena con energia e calore genuini, gli stessi con cui abbraccerebbe uno dei suoi figli. Ricciardi lo accetta e lo ricambia, con la sensazione che il mondo continui a capovolgersi in modo diverso con ogni istante che passa, e che quel gesto di conforto sia a beneficio di entrambi, non solo suo.

In trasparenza può vederle, tutte le domande che Maione si sta tenendo dentro; può avvertire il velo d'inquietudine che lo avvolge e il cruccio per lui; e può sentire anche il ferreo "non importa", che gli imprime addosso in quell'istante con le sue mani burbere.

Non appena Maione svolta l'angolo, con un ultimo saluto più composto, Bruno gli si stringe accanto; forse troppo vicino, col gomito premuto contro il suo.

«Vado in ospedale per la necroscopia,» gli annuncia tetro. «Mi fai salire un attimo, così mi do una rinfrescata?» chiede poi, facendo una smorfia nel guardarsi i vestiti impolverati. «Mi sento addosso tutto lo schifo di Napoli, e non è manco finita qua.»

Ricciardi gli posa una mano sulla schiena senza nemmeno pensarci, annuendo soltanto e sospingendolo verso il portone. Lancia uno sguardo alla strada e, in alto, la luce di Enrica è ancora accesa, come quella di molte altre finestre, attratte dal trambusto in strada; ficca di scatto la mano in tasca, ignorando il titillo d'allarme che gli si infigge nella nuca e lungo la spina dorsale.

Quando sono in cima alle scale della palazzina, immersi nella penombra del pianerottolo, Bruno lo tira piano per una manica. Lui si volta a guardarlo, la chiave ancora nella toppa mentre schiude la porta, il flebile lamento sotterraneo che ancora si leva dal basso e che cerca di escludere.

«Dici che Nelide si risente, se poi torno qui a dormire sul vostro divano?» gli chiede il medico, sottovoce. «Così, magari, non ve ne state da soli col pensiero di un morto sotto casa.»

Ricciardi sfugge il suo sguardo a quell'espressione, che non potrebbe essere più calzante.

«No, anzi. Forse la tranquillizzerebbe... credo di averla scossa un po' troppo, prima.»

«Io lo dico da sempre, che non hai tatto con le donne,» lo redarguisce lui, tirando un sorriso impercettibile che si smorza quasi subito. «T'aiuto a spiegarle che è successo, così le evitiamo troppi dettagli macabri. In caso, dopo mi porto appresso un po' di estratto di valeriana dall'ospedale, se la vedo troppo agitata. E per te, ché se continui a non dormire mi vai in fibrillazione, mh?» aggiunge, più severo.

Ricciardi annuisce stanco, pensando che non potrebbe rimaner sveglio nemmeno volendo, nemmeno con quella voce nei timpani. Alle sue parole pacate, pragmatiche, però, avverte inattesa la prima stilla di calma in quella notte terribile, che gli si posa sulle spalle come una coperta tiepida.

Bruno può sembrare la persona più cinica di questo mondo, e potrà anche risentirsi facilmente e tenere il punto con ostinazione, ma riserva quei gesti di umano calore del tutto disinteressato con una naturalezza che ha dell'inverosimile.

«Grazie, Bruno.»

Non solo per quello, ma non crede ci sia bisogno di dirglielo. Lui si limita a scrollare il capo e a stringergli un braccio: un gesto breve, fugace, nonostante siano soli e celati alla vista.

Quella premura sarà di conforto anche a lui, oltre che a Nelide, perché non si sente affatto padrone di se stesso; il pensiero di dormire con quella voce nelle orecchie, adesso con un volto da darle, lo terrorizza. Teme gli incubi a cui potrebbe dar forma nella sua mente. Però, se nella stessa casa c'è Bruno, la prospettiva gli pare un poco più sopportabile.

Poi, come una freccia avvelenata, l'ammonimento di Livia sul prestare attenzione a ciò che fa gli rimbomba in testa; e sembra già risalire a una vita passata, anche se è stato solo quella mattina. 

Adesso che è con Bruno lì accanto a sé, davanti alla porta di casa propria, si fa più opprimente che mai; e ripensa alle finestre affacciate sulla strada, come tanti balconcini all'Opera gremiti di spettatori in avido ascolto, e si chiede se, su quel palco improvvisato, lui e Bruno si siano lasciati scappare un gesto o una parola di troppo di cui nemmeno sono consapevoli.

Vede il medico accigliarsi, avverte la sua presa sul braccio farsi più salda, e sa di essersi a sua volta adombrato in modo visibile. Trattiene un sospiro stremato, che si confonde alla cantilena fantasma che proviene dal piano di sotto. No, non ha le forze per preoccuparsi anche di questo.

«Siamo al punto in cui ce ne freghiamo?» chiede soltanto, le pupille che trovano quelle di Bruno anche nel buio; e l'altro, come sempre, sa cosa sta davvero chiedendo.

«Quando mai ce n'è fregato qualcosa?» risponde con un guizzo spavaldo, spingendo poi lui stesso la porta sui cardini per entrare in casa sua.

Non si reca subito in commissariato, quella mattina, e non ha intenzione di recarvisi finché potrà evitarlo. Sa che il vicequestore Garzo lo sta aspettando al varco, pronto a subissarlo di domande e rimproveri sul fatto di portare disonore e chiacchiere sgradite sulla Polizia per colpa di quel ritrovamento, avvenuto proprio sotto casa di un commissario già abbastanza inviso all'ambiente, che farà storcere il naso ai "piani alti".

Ricciardi vuole dedicarsi almeno un paio d'ore per riordinare i pensieri, prima di fronteggiare lui e la sua sfilza di fesserie. Non che quell'uomo lo intimidisca in alcun modo, ma aggiungere seccature alle angosce che già lo attanagliano non farebbe che peggiorare l'emicrania che divampa a fiammate regolari nella sua testa.

Almeno, è riuscito a darsi una ripulita e a strappare qualche ora di sonno alla notte, anche se ha dormito rannicchiato sulla poltrona in salotto con una coperta, per non sentire troppo chiaramente la voce.

Bruno, dopo aver tranquillizzato assieme a lui Nelide per quanto poteva, si è recato in ospedale ed è rientrato a un'ora imprecisata tra le quattro e le cinque di mattina, utilizzando le chiavi di riserva. Ricciardi oscillava ancora tra il sonno e la veglia, a quel punto, ma è quasi sicuro che il medico gli abbia risistemato la coperta sulle spalle, prima di coricarsi sul divano lì accanto.

Il suo lieve russare, quando si è assopito nemmeno dieci minuti più tardi, è riuscito a oscurare quasi del tutto il richiamo della bambina, concedendo anche a lui un breve, frammentario riposo.

Ha la schiena a pezzi, adesso, l'impressione di potersi comunque addormentare da un momento all'altro, e la certezza di essere ancor più folle di ieri per aver fatto dormire Bruno sotto il suo stesso tetto.

E, se affina l'orecchio, riesce a sentire anche adesso il mormorio della voce, nonostante lo scrittoio nella sua camera sia addossato alla parete opposta.

Fa scivolare le mani a tirarsi indietro i capelli sfatti, rilasciando il fiato. Non si è nemmeno pettinato o vestito a dovere: si sono messi all'opera alle prime luci dell'alba per discutere della necroscopia, lui in vestaglia e Bruno con dei vestiti puliti che gli ha prestato e che gli vanno un po' larghi. Si sono concessi l'unico sorriso reciproco della mattinata, quando lui gli ha detto, sbuffando, che veste come un damerino da salotto.

Ormai manca poco alle nove e Nelide ha già portato loro due caffè a testa e del pane tostato, che Bruno gli ha imposto di mangiare, prima di causarsi un collasso. Ricciardi si è reso conto solo allora di aver toccato a malapena cibo in un giorno e mezzo, e ha ceduto suo malgrado alle sue insistenze, anche se gli è parso di masticare segatura e bere cloro.

«Dovresti rimediare delle planimetrie della vecchia rete idrica,» suggerisce il medico in quel mentre, chino con lui su una mappa urbanistica di Napoli.

«Non saprei nemmeno a chi chiederle,» sospira Ricciardi, col dito che scorre lungo il confine della sua palazzina, seguendo la direzione ipotetica del cunicolo verso Chiaia. «E a che pro? L'assassino potrebbe essere entrato o uscito da qualunque punto. Non abbiamo piste, solo una bambina ammazzata e lasciata lì a marcire e una vecchia leggenda come unico indizio per quelle rapine,» sbotta, in tono affatto controllato.

«Riccia', non sei lucido,» lo rimprovera lui, scansandogli la mano dalla mappa. «Lascia stare leggende e rapine, che mo' non c'entrano niente, e rileggi il referto. Gli hai a malapena dato un'occhiata. Io sto facendo il mio lavoro, ma non posso fare pure il tuo, chiaro?»

Ricciardi appoggia le spalle allo schienale e si pianta le mani in faccia, annuendo. Bruno non ha sentito la voce, non sa che il Munaciello è un anello essenziale di tutta quella catena: se continuasse a perseguire quella linea d'indagine in modo così plateale, finirebbe per farsi prendere per stupido, oltre che per pazzo.

Apre il referto necroscopico, nel quale le fotografie sono state accuratamente riposte a faccia in giù, e si sforza di leggerlo davvero. Rinuncia dopo un paio di righe, assalito da una fitta alla nuca. Tutte quelle parole crude e asettiche gli si infiggono nel cervello.

«Dovrei piuttosto rivedere il caso Gigliolo, così da tener buono Garzo,» considera tra sé, chiudendo il documento e adocchiando il faldone in un angolo della scrivania. «Al momento, ho per le mani un caso riguardante l'omicidio di uomo in stretti legami col Partito. Non mi avalleranno mai anche l'indagine su una bambina qualunque che nemmeno risulta scomparsa.»

Comprime le labbra. La bambina ha un nome, adesso. Annina. Era ricamato in filo rosso sulla fodera del suo vestito, come puntualmente riportato nella perizia. È l'unico dettaglio che gli è rimasto impresso mentre lo leggeva senza davvero leggerlo; tra fratture ed ematomi e stato di decomposizione. Si preme un pugno sulla bocca, più discretamente che può, rischiando già di rimettere la colazione.

Dal canto suo, Bruno lo fissa pungente, ma non commenta quell'ennesimo rifiuto. Nemmeno lui sembra troppo entusiasta di rivangare la necroscopia, dopo aver passato ore a eseguirla e stilarla. E anche lui sembra vibrare di rabbia repressa, sotto l'apparente pacatezza che riesce a esercitare.

«Quindi, che vuoi fare? Lasciar perdere?»

«No,» risponde all'istante lui, con foga, «ma non posso agire come mi pare. È un caso delicato, ti ricordo.»

«Delicato o meno, puoi sempre metterlo in collegamento con questo. Hai la pista dei pozzi per le rapine, no?» Bruno lo fissa di sottecchi, con insistenza. «Ti salveresti pure da qualche imbarazzo nel non dover spiegare come mai sei voluto scendere là sotto a colpo sicuro.»

«Bruno...»

«Non sto insistendo,» lo frena subito lui, alzando un palmo. «Ti sto solo dicendo che Garzo o chi per lui potrebbero essere meno accomodanti di me. Quindi, vedi di essere convincente assai... con loro non puoi mica usare la carta della fiducia.»

È un velato rimprovero, quello, ma Ricciardi sa che ha ragione. Dopotutto, è il motivo principale per cui non si è subito prodigato nel raggiungere la voce. Si stringe le mani tra loro con forza, fino a sbiancarle, per poi obbligarsi a tornare con la mente sul caso.

«Bene, troviamo almeno un nesso credibile,» sospira, rianimandosi e aprendo l'altro fascicolo accanto al referto. «Maione e gli altri della Squadra Mobile dovrebbero star verificando la presenza di pozzi d'accesso nelle abitazioni svaligiate. C'è una bambina morta vicino a uno dei pozzi, in una zona della città completamente diversa; di fatto, sotto casa mia. Come ci aiuta, se non a mettere in relazione, molto labilmente, il ladro delle rapine, quello che ha ammazzato Gigliolo e l'infanticida?»

«Non ci aiuta e ti stai fissando di nuovo. Per come la vedo io, al momento è solo una brutta coincidenza.»

Ricciardi annuisce, apprezzando la sua linea pragmatica.

«E tale rimarrà, finché non avremo prove tangibili.»

Sfoglia rapido le pagine, scorrendole con occhi che le sanno già a memoria: nomi e indirizzi e impieghi e inventari di merce rubata...

«Se però stiamo parlando per coincidenze...» esordisce Bruno, distogliendolo, per poi bloccarsi e schioccare piano la lingua. «Riccia', la bambina aveva il collo spezzato. Di netto.»

«Sì, lo so.»

«Dal mio esame, ho riscontrato le impronte di una sola mano impresse sulla pelle. Gli è bastata una mano.»

In un primo momento, Ricciardi è convinto che Bruno voglia solo obbligarlo a ripercorrere la necroscopia, poiché si rifiuta di leggerla, ma a quelle parole è scosso da una fitta d'ira:

«Con quale violenza quell'animale l'ha...» s'interrompe, la bocca semichiusa, per poi concludere la frase: «La stessa che ci vuole per fracassare la testa di qualcuno su un tavolino di vetro, suppongo.»

Bruno annuisce mesto, incrociando per un istante i suoi occhi, prima di girare una delle foto della scena. La tiene col dorso rivolto verso di lui, accigliandosi nell'esaminarla, come a voler verificare ulteriormente l'ipotesi.

«Sì,» butta fuori infine, riponendola a faccia in giù, «ci vuole una forza non indifferente per ammazzare così una ragazzina, per quanto esile.»

Ricciardi tamburella le dita sulle nocche dell'altra mano, poi storce un angolo delle labbra.

«È tirata, come ipotesi.»

«Non stai cercando ipotesi solide, ma coincidenze utili.»

«Non mi piace agire sulla base del nulla,» dice Ricciardi, ammettendo a se stesso che agire sulla base di voci fantasma non sia forse molto diverso, «ma per il momento una coincidenza potrebbe scrollarmi Garzo di dosso il tempo necessario a gettare chiarezza. Vale la pena concentrarsi su Gigliolo e farlo contento, per ora, per poi risalire eventualmente alla bambina.»

Getta fuori un respiro più pieno, corroborato dalla sensazione di avere di nuovo qualcosa di concreto su cui focalizzarsi; qualcosa che non sia solo la voce sepolta sotto di lui. Alza lo sguardo su Bruno, trovandosi già i suoi occhi acuti addosso.

«Ecco, mi pare che ora tu stia ragionando un po' più da commissario,» commenta il medico, inclinando il capo con un fare sottilmente compiaciuto. «Prossime mosse?»

«Raccogliere altre informazioni,» risponde pronto lui, chiudendo il faldone del caso e premendovi sopra i palmi con intento. «Devo consultare Don Pierino, per avere dettagli delle opere di carità di cui si occupava Gigliolo; poi, mi tocca ancora passare da Bambinella, che di certo saprà già tutto e più di noi di quanto accaduto stanotte, per ricevere non so quale soffiata...»

«Dal sacro al profano,» sogghigna irriverente Bruno.

«...e Maione deve ancora farmi sapere riguardo alle donazioni agli invalidi di Gigliolo, quindi mi tocca passare per forza in Questura. Qualcosa salterà fuori, in tutto questo. Deve saltar fuori.»

Quando finisce di parlare, ha quasi il fiato corto, ma la mente più sgombra. La voce di Annina è ancora udibile, ma attutita, una semplice vibrazione di fondo. Quasi un incitamento.

Sente l'impulso irrefrenabile di balzare in piedi e imboccare la porta per continuare a muoversi, a indagare, a risolvere quei due casi così vicini, eppure divergenti; lo stesso impulso che ha tenuto incatenato finora.

«Beh, mi sembra che tu abbia il tuo bel daffare, per oggi,» annuisce Bruno, e sembra a sua volta rinvigorito nel vederlo più presente a se stesso. «Posso aiutarti in qualche modo che non comporti starmene in obitorio a fare cose orribili?»

Bruno sorride, a dispetto di tutto: una linea obliqua di sfrontatezza che gli scopre i denti bianchi e gli assottiglia gli occhi in due fessure da lince.

Sotto quella patina di disincantato brio, Ricciardi riconosce senza difficoltà il modo in cui lo guarda. Di certo, non come un pazzo, né col fare circospetto e sfuggente che gli riserva usualmente in pubblico. È quella particolare intensità che dona solo a lui, quando sono soli. Gli accende gli occhi di toni ambrati e caldi; terra appena arata, duttile ma solida, pronta ad accogliere senza mai spostarsi.

In quel momento, Ricciardi nelle orecchie sente solo il proprio respiro, e il tramestio di passanti e carrozze sotto casa, e i passi svelti di Nelide affaccendata per casa, e il frullio d'ali di qualche sparuto uccellino sulla grondaia. La voce sfuma, diventa un mormorio sommesso.

«Mi hai già aiutato abbastanza così,» risponde infine, prima solo a parole.

Poi, vi aggiunge i gesti, assecondando il filo che si tende tra loro: prende la mano di Bruno, poggiata sulla scrivania, interseca le dita alle sue in una stretta decisa e gli preme le labbra contro le nocche.

Lui fa uno sbuffo che sembra oscillare tra il sorpreso e l'intenerito; una combinazione di emozioni insolita per lui, sempre in corsa verso una battuta beffarda, che gli ravviva il volto di linee del sorriso. Non parla e si limita a ricambiare la stretta, in un muto invito che sembra un'offerta di pace, dopo il tumulto di quella notte.

Ricciardi sospira piano, a fondo, e si china a poggiare la fronte dolente sulle loro mani intrecciate, chiudendo gli occhi esausti. Sente Bruno trattenere un verso forse divertito, poi avverte la pressione delle sue dita sulla nuca e sul collo, tra i capelli più corti, in un movimento circolare e mirato che sembra attutirgli il mal di testa e distendergli i nervi. Il medico sospira a mezza bocca, aumentando un poco la stretta sulla sua mano.

«Riccia', io ti ho detto che prima non era il momento giusto, e non lo è neanche adesso,» esordisce, a bassa voce. «Però non posso impedirmi di pensare. E manco tu puoi.»

Ricciardi non si muove, concentrandosi unicamente su quel contatto piacevole, che addolcisce l'ennesima conversazione scomoda.

Sa che Bruno ha ragione, a voler riaprire l'argomento, nonostante tutto. Non gliene fa una colpa e, comunque, non è un qualcosa dalla quale potrà sottrarsi per sempre. O meglio, sottrarvisi vorrebbe dire tracciare di propria mano una delle linee nette che pensa di amar tanto, e tracciarla tra lui e Bruno.

«Non voglio impedirtelo,» risponde in un sussurro contro la sua pelle. «E non posso darti risposte, te l'ho detto. Però, se vuoi dirmi qualcosa, puoi farlo.»

La pressione sul suo collo aumenta per un attimo (lì, vicino alla cicatrice verticale e in leggero rilievo sulla nuca) per poi tornare delicata e spostarsi tra i capelli, sulle tempie, come se sapesse istintivamente dove pulsano e si spostano le fitte più acute.

Lui non trattiene un flebile sospiro di sollievo; e parlare di fantasmi e di maledizioni così, guidato dal suo tocco che li tiene a bada, è infinitamente più semplice che sottoterra, artigliato dall'angoscia e dalla paura.

«Allora, ti dico che è da ieri che sei strano,» dice infine Bruno.

«Strano come?»

«Agitato. Irrequieto. Un po' sfuggente... più del solito, intendo. Pensavo fosse per le tue solite emicranie, prima, e per Livia, poi... ma non sarebbe da te; tu sei un cuore di pietra,» lo prende in giro, scompigliandogli un po' più rudemente le ciocche.

«Livia m'ha solo avvertito del caso Gigliolo,» mente Ricciardi, sopprimendo un sorrisino mesto al rimprovero. «E, sì, mi dispiace sempre per lei e la situazione in cui l'ho lasciata, ma non posso farci nulla se...»

«Non cambiare argomento, Dongiovanni,» lo rimbecca lui, strizzandogli la mano. «Il punto è che a me viene da pensare che tu lo sapessi da un po', di tutta questa storia. Che il pensiero t'assilli almeno da ieri. E io te l'ho sempre detto che sei negato, a recitare e a metterti su la faccia finta. Soprattutto con me.»

Nonostante Bruno non interrompa nemmeno per un momento il contatto con lui, il suo tono è serio; anche con gli occhi chiusi, lo sente avvicinarsi, finché la vibrazione della sua voce non gli sfiora l'orecchio.

Ricciardi tace, con un misto di spavento e meraviglia nel vedere la facilità con cui quell'uomo è in grado di leggerlo. E, finora, era pure convinto di aver dissimulato abilmente la propria preoccupazione.

«Te lo posso dire, quello che penso?» Bruno posa la fronte sul suo capo, mentre lui continua a nascondere il volto. «Non mi devi rispondere per forza.»

«Non penso di potermi sottrarre.»

«Stai a casa tua, puoi fare come ti pare.»

Ricciardi, a dispetto del suo tono affatto grave, non può impedirsi di stringergli con troppa forza la mano, con l'aria che gli si ferma in gola presagendo le sue parole. Bruno sospira, solleticandogli i capelli. Lo sente aprir bocca e iniziare a dar voce a un pensiero, per poi richiuderla di scatto e troncare l'intento.

«Vabbuò, dai. Ti lascio in pace,» dice infine, premendogli un bacio sulla testa. «Tanto, c'ho quasi paura a dirtelo... finisce che mi prendi per matto tu.»

A Ricciardi si stringe lo stomaco, ed è svelto ad annegare dentro di sé i possibili significati di quell'affermazione. Accoglie solo la sua scelta di non insistere oltre.

Bruno si alza in piedi, senza però districare le dita dalle sue, e Ricciardi si raddrizza con la sensazione di avere finalmente il capo più leggero, come se l'altro fosse riuscito a sbrogliare qualche matassa di pensieri nel suo cranio, anche solo decidendo di lasciargli quel minuscolo spazio di quiete.

Guarda il medico dabbasso, in silenzio, col petto che di punto in bianco sembra dilatarsi in modo doloroso, accogliendo un respiro molto più ampio di quanto riesca a contenere; è aria, è calore, è un frullio del suo cuore tra le costole.

«Spero di averti aiutato almeno un po', così,» scherza Bruno, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte; nella sua voce, il principio di un sorriso pieno si fa strada attraverso le tinte fosche che incombono su di loro.

Ricciardi si alza a sua volta in piedi, portando gli occhi alla sua altezza. Vorrebbe dirgli troppo e, al contempo, sarebbe comunque troppo poco. Il fatto che Bruno sia ancora lì, nonostante tutto, nonostante i dubbi che sta tenendo a bada, vale più di ogni altro gesto o parola.

Se veramente c'è qualcuno che vuole accanto a sé durante quel caso terribile, o nella vita, se è per questo, è lui. Lui e nessun altro. Lo sa da sempre, sin da quando ha rischiato di perderlo, forse sin da quando lo conosce, ma in quell'istante lo capisce più che mai; diventa una consapevolezza del cuore, più che della mente.

Prima di poterci ripensare, gli prende il viso tra le mani e preme le labbra sulle sue. Sente Bruno sorridere contro di lui e portare di nuovo una mano a cingergli la nuca, cercandolo più a fondo. A colpo sicuro, sfiora la cicatrice nascosta che solo lui saprebbe trovare, in quel gesto che lo fa sentire vulnerabile e riparato al contempo, come se potesse scivolargli sottopelle e lenire ogni sua inquietudine.

Ci riesce anche adesso, e Ricciardi si concede, per quel singolo istante, di dimenticare tutto il clamore di voci e spettri che lo inseguono a un passo.

Quando si separa da lui, col fiato corto, rimane con la fronte premuta contro la sua, gli occhi chiusi e le labbra sensibili sfiorate dal suo respiro. Non sa se sia davvero riuscito a fargli intendere tutto ciò che vorrebbe. Ciò che forse, se Bruno è ancora lì, non c'è bisogno di esprimere.

«Muoviamoci, o tutto quel tuo bel daffare va a farsi benedire,» lo stuzzica dopo un po' il medico, aumentando poi la pressione del palmo sul suo collo e contro di lui. «Lo chiudiamo insieme questo caso, Riccia'. Questo posso promettertelo,» aggiunge poi, più serio, le dita che si stringono sui suoi capelli.

Ricciardi annuisce contro di lui, gettando fuori un respiro lieve, ma fermo. Quando incrocia i suoi occhi scuri, vi trova la medesima, ferrea determinazione che sente risalirgli nelle vene.

Dieci minuti dopo, scendono le scale in doppio tempo, osservando un religioso silenzio nell'attraversare l'androne col pozzetto ancora scoperchiato e un agente a piantonarlo.

«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

Ricciardi la sente di nuovo, ancora. Stavolta, l'unico sentimento che gli suscita è una rabbia che, invece di appannargli la vista, sembra renderla più lucida, cristallina. Usciti dal portone, si congeda da Bruno dopo qualche traversa, con la promessa di rivedersi quella sera ai Pellegrini con novità su entrambi i casi.

Imbocca poi a passo di marcia via Chiaia, con gli occhi fissi a terra che seguono le linee regolari del pavé e dei tombini, quasi potessero rivelargli qualcosa d'invisibile a occhio umano. Serra i pugni nelle tasche.

Lo troverà, quel "Munaciello", dovesse battere palmo a palmo tutta Napoli, sopra e sotto la superficie.

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
In questi giorni di festa, ecco un nuovo capitolo tutto per voi! (sperando che la pubblicazione programmata di Wattpad abbia funzionato)

Sì, mi sono soffermata ancora un po' su Ricciardi e Bruno, perché quel loro confronto non poteva essere dimenticato nel giro di un capitolo. Se l'atteggiamento di Bruno vi sembra troppo accomodante, sappiate che ho in mente una direzione precisa e dei motivi molto solidi per giustificarlo; ma non è questo il fulcro della storia, adesso.

Dal prossimo capitolo, infatti, si torna in carreggiata con le indagini, che vi terranno compagnia per un bel po' (come sempre, sappiate che nessun dettaglio è stato inserito a caso eheh).

Ho detto che il capitolo precedente è stato il mio preferito da scrivere... e non è una bugia, perché è stata di base la scena madre di tutto questo delirio. Però adesso inizia la parte di storia che ho amato di più scrivere. Quindi, posso solo dirvi di allacciarvi le cinture e che spero di non deludere le vostre aspettative ♥

Grazie a tutti voi che continuate a leggere, commentare e lasciare stelline ♥ Siete veramente il carburante di questa storia!

A lunedì, sperando che anche quell'aggiornamento programmato funzioni :')

-Light-

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Verdiana ha un dono: riesce a prevedere il futuro. Non di tutti, però. Soltanto delle persone che, entro un anno dalla sua visione, sono destinate a...
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La parte più oscura dell essere umano.. la mafia che non guarda in faccia nessuno neanche l essere più innocente. *****Si sconsiglia la lettura di qu...
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piccolaster molto random perché mi annoio e non ho niente di meglio da fare bho se vi piace la ship leggete :))))