𝐃𝐚𝐥𝐥'𝐚𝐥𝐭𝐫𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭�...

By Scrittriceedisogni

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《So che fa male, Kiran. So che vorresti scappare via, che sei stanco e credi di non farcela. Ma ti prometto c... More

Trama🌙
Prologo🌙
1.🌙
2.🌙
3.🌙
4.🌙 Prima parte
4.🌙 Seconda parte
5.🌙
6.🌙
7.🌙
8.🌙
9.🌙
10.🌙 Prima parte
10.🌙 Seconda parte
11.🌙
12.🌙
13.🌙 Prima parte
13.🌙 Seconda parte
14.🌙
15.🌙
16.🌙 Prima parte
16.🌙 Seconda parte
17.🌙
18.🌙
19.🌙
20.🌙
21.🌙
22.🌙
23.🌙
24.🌙
25.🌙
26.🌙
27.🌙
28.🌙
29.🌙
30.🌙
31.🌙
32.🌙
33.🌙
34.🌙
35.🌙
36.🌙
37.🌙
38.🌙
39.🌙
40.🌙
41.🌙
42.🌙
43.🌙
44.🌙
45.🌙
46.🌙
47.🌙
48.🌙
49.🌙
50.🌙
51.🌙
52.🌙
53.🌙
54 pt. 1 🌙
54 pt.2 🌙
55.🌙
56.🌙
57.🌙
58 pt.1🌙
58 pt.2🌙
59.🌙
60.🌙
61.🌙
62. II🌙
63.🌙
64. Last battle 🌙
Capitolo Extra ~ 🌙
Epilogo🌙
Nuova storia 🥀

62.🌙

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By Scrittriceedisogni

"Il giovane e bellissimo Baldur era destinato a morire.
E la sua morte avrebbe segnato l'inizio della fine.
Il crepuscolo degli dèi.
Il Ragnarok.


Frigg fece giurare a tutte le cose del mondo di non fare del male a suo figlio Baldur, credendo così di proteggerlo dal suo destino. A tutte tranne che a una piantina di vischio: la considerò troppo piccola e insignificante e la trascurò.


E il perfido Loki ne approfittò, come faceva sempre.
Traendo in inganno il fratello del dio, Hod, lo convinse a scagliargli contro una freccetta di vischio.
Uccidendolo.

La profezia si era avverata.
Gli dèi sarebbero caduti.
Il Ragnarok era iniziato."


⁎⁎⁎


C'era stato un momento in cui avevo pensato: "è tutto un sogno."

Le sirene della polizia, la confusione, le urla, il sangue. Non era reale.

Avevo pensato: "sto per svegliarmi, sta per finire."

Il dolore e i crampi al cuore sarebbero finiti, mi avrebbero lasciata respirare, perché non erano reali. Era tutto nella mia testa. Ero così spaventata da quello che sarebbe potuto succedere a Kiran o a Elis, che il mio inconscio aveva voluto prepararmi al peggio con un incubo.

Doveva essere senz'altro un incubo.

Le nostre vite non si erano appena frantumate, non erano appena state demolite con violenza. Non è possibile. Non avevamo perso il nostro migliore amico. Elis non era morto davanti ai nostri occhi.

C'era stato un momento in cui avevo voluto crederci con tutta me stessa. Avevo chiuso gli occhi e avevo sorriso: "va tutto bene, Ari. Quando li riaprirai, Elis sarà ancora vivo".

Ma quando lo feci, le mie mani erano ancora sporche di sangue.

Le mie guance ancora rigate di lacrime.

Il mio cuore ancora pieno di dolore.

E sul pavimento dell'aeroporto, Elis giaceva ancora senza vita.

Se le urla di Juni non avevano reso quell'incubo reale abbastanza, l'aveva fatto vedere i paramedici scuotere la testa verso di noi, confermando che non c'era più battito. L'aveva fatto vederli sollevare il suo corpo su una barella, avvolto da un telo nero, e trasportarlo verso l'ambulanza.

L'aveva fatto vedere Kiran crollare a terra con una violenza che avrebbe potuto maciullargli le ginocchia, vederlo afferrarsi i capelli con le mani sporche di sangue. L'aveva fatto vedere i suoi occhi sbarrarsi come un colpo di ghigliottina dritto sul suo cuore.

No. No. No. No. No. I suoi sussurri erano gelidi spifferi infernali, mentre continuava a scuotere la testa in modo quasi isterico e incredulità e orrore gli bloccavano il respiro.

Era reale, dopotutto. Era successo davvero.

«No! Riportatelo qui!» Juni inseguì i paramedici, la voce graffiata dal pianto. Nonostante il caos che ci circondava fosse quasi assordante, tra la gente curiosa e sconvolta e gli ordini impartiti dalla polizia aeroportuale, la disperazione della mia migliore amica era l'unica cosa che riuscivo a sentire.

Le corsi dietro e l'afferrai da un gomito. Lei mi guardò con occhi iniettati; le lacrime avevano lasciato una scia tra le macchie di sangue ormai secco che le sporcavano le guance. Le iridi blu erano un abisso di dolore senza fondo.

«Non possono riportarlo qui» le dissi, trattenendola dalle braccia. Lei scosse la testa, mormorando parole che non compresi; sembrava aver perso la ragione. «Devono occuparsi di lui, Juni. Non...» Ma la mia forza non bastava e la voce mi si assottigliò. «Non c'è niente che possiamo fare.»

«No, no!» Strillò, provando a divincolarsi dalla mia presa. «Mi occupo io di lui. Me ne occupo io! Lasciami andare!»

«Non puoi» le ripetei; per quanto sentissi che ogni parte di me si stesse spezzando, Juni aveva bisogno di me. Dovevo essere forte per lei, anche se ero fragile come carta bagnata. «Non puoi più occuparti di lui, Juni.» Una lacrima mi colò lungo la guancia, bruciandomi la pelle. «Mi dispiace così tanto.»

«No!»

Mi sfuggì dalle mani come una scheggia. Si lanciò verso i paramedici che stavano chiudendo le portiere dell'ambulanza. Le corsi dietro, ma qualcuno arrivò prima di me. Juni andò a sbattere contro il corpo di Kiran, che s'infilò qualcosa nella tasca dei pantaloni e l'afferrò dalla vita, immobilizzandola.

«Lasciami!» Lo colpì al petto, ma Kiran non si mosse. «Lasciami andare! Elis!» Urlò, quando la polizia aprì un varco tra la folla per permettere all'ambulanza di uscire. «Elis, no! Aspettate! No! Elis...»

«È inutile, Juniper» la voce di Kiran penetrò fino alle viscere della terra. «Elis è morto.»

«No!» Si scagliò contro Kiran che, questa volta, mollò la presa, indietreggiando. Juni si portò le mani alla testa, scuotendola con forza, gli occhi strizzati e le labbra che tremavano. Stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a distinguere le parole. I suoi vestiti erano sporchi di sangue, come quelli di Kiran. Come i miei.

«Non lo voglio» mormorò; le lacrime ripresero ad aggredirle il volto. «Non lo voglio» ripeté, adesso con voce più alta, mentre si trascinava le mani sul viso, poi sul collo. Corrugò la fronte, il suo respiro accelerò, e le sue parole divennero lacci di rabbia. «No, no, no!» Urlò furiosa. E si premette le mani sulla pancia. «Non lo voglio! Toglietelo dal mio corpo, non lo voglio!»

«Juni...» per un solo istante, un solo, brevissimo istante, provai qualcosa di diverso dal dolore. «Di cosa stai parlando?»

Quando la mia migliore amica sollevò lo sguardo verso di me, i suoi occhi erano infuocati. Le sue lacrime erano fiamme e le iridi frammenti esausti di cielo.

«C'è un bambino qui dentro» si colpì il ventre. «E suo padre è appena morto!»

Avevo sempre pensato che il mondo fosse un posto crudele.

Ma non pensavo che avrebbe potuto esserlo così tanto.

«Che cosa?» Kiran la fissò con occhi vitrei e stravolti. «Sei incinta?»

«Sì, Kiran, sono incinta» si voltò verso di lui con uno scatto. L'incendio che l'aveva travolta, adesso era solo fumo. Juni stava diventando cenere davanti ai nostri occhi. «Ma Elis non lo saprà mai.»

⁎⁎⁎

Non ero ancora riuscita a spiegarmi come fosse cambiato tutto così all'improvviso.

Avevo sempre creduto che la vita fosse imprevedibile, sfuggente, che non prendeva ordini dai nostri desideri e dalle nostre speranze. Avevo sempre creduto che il nostro libero arbitro fosse solo un'illusione di controllo, perché per quante decisioni giuste avremmo potuto prendere per vivere secondo le nostre regole, di regola ce ne sarebbe sempre stata solo una.

La vita fa come le pare.

Un attimo prima stavamo ridendo tutti insieme mentre guardavamo Il diario di Bridget Jones. Stavamo parlando dei nostri piani per l'estate, della California, del senior prom. Eravamo spaventati da quello che sarebbe accaduto in futuro, ma eravamo felici, perché eravamo lì tutti insieme.

Invece adesso il posto di Elis era vuoto.

Era vuota la casa. Erano vuote le nostre vite.

Kiran non aveva detto una sola parola. Né durante il tragitto in taxi, né dopo essere arrivati a casa. L'invalicabile muraglia di mattoni che aveva usato per schermarsi dalle sue emozioni e proteggersi dal mondo, gli era crollata addosso. L'aveva sepolto vivo.

E ora, di lui, non restava che un guscio ammaccato.

Quando l'ambulanza era andata via, un agente della polizia aeroportuale ci aveva informati che dei colleghi sarebbero venuti a interrogarci sull'accaduto e avrebbero ascoltato le nostre dichiarazioni. Poco dopo essere tornati a casa, però, arrivò una chiamata da sul cellulare non rintracciabile. Fui io a rispondere. Dovetti spiegare ad Ásta Holmes che Kiran non era nelle condizioni di parlare.

«Siamo profondamente addolorati per la vostra perdita» mi disse la donna, il tono angosciato. «Per quanto vorremmo, non possiamo rimediare alla morte del vostro amico, ma possiamo fare in modo che abbiate tutto il tempo e la tranquillità di elaborarla. Per questo, ci siamo occupati noi della polizia. Voi non dovrete averci nulla a che fare. È tutto sistemato.»

«Grazie, Ásta» riuscii a dire. «È un sollievo sapere di non dover... rivivere tutto.»

Ancora e ancora. Doverlo spiegare a Freydis e ad Asher era stato doloroso abbastanza.

Saremmo dovuti tornare solo io e Juni, mentre Kiran ed Elis sarebbero dovuto salire sull'aereo per l'Islanda. E invece eravamo rientrati in tre, con i vestiti sporchi di sangue e i volti straziati. Non ci avevano messo molto a capire. Freydis era crollata davanti ai miei occhi, era esplosa in un pianto di dolore terrificante e io avevo temuto che nessuno di noi ne sarebbe uscito vivo. Ash si era abbassato accanto a Freydis e l'aveva stretta forte a sé, il petto che gli si sfaldava tra singhiozzi e lamenti.

«Come sta Kiran?» Mi domandò Ásta. Gli lanciai uno sguardo, poggiata all'arco della cucina: era inginocchiato davanti al camino spento, gli occhi fissi sulle mani sporche di sangue rappreso, il volto drenato di emozioni. Era uno spettro.

«Male» sussurrai. «Sta tanto male, Ásta. Non... non so se questa volta riuscirà a superarla. Elis era la colla che teneva insieme tutti i suoi pezzi. E adesso non c'è più.»

«Ma ci sei tu» mi ricordò con dolcezza. «Ci sei ancora tu a prenderti cura di lui.»

«Non credo che me lo permetterà. Il suo stato emotivo è così precario che potrebbe perdere il controllo da un momento all'altro. O forse l'ha già perso. E questa volta...» Socchiusi gli occhi. «Questa volta, per sempre.»

«Niente dura per sempre, nemmeno il dolore. Kiran ha sofferto così tanto che il suo cuore ha imparato a proteggersi. Sa come reagire. Come lottare. E se resti al suo fianco, prima o poi ti permetterà di aiutarlo.»

La speranza di Ásta non mi convinse, perché dentro di me sapevo che Kiran aveva raggiunto il suo limite. Non poteva assorbire altro dolore. Aveva imparato a gestire la sua instabilità emotiva grazie alla sua psichiatra, ma soprattutto grazie ad Elis e Freydis.

Senza Elis, tutto quello che aveva costruito sarebbe venuto giù.

Perché quella volta era diverso. Quella volta sembrava irreversibile. Non c'era ritorno.

Dopo la telefonata con Mrs. Holmes, Ash mi aiutò a portare Kiran al piano superiore, fino alla sua camera. Poi lui tornò da Freydis e io trascinai Kiran in bagno. Provare a convincerlo, spronarlo a collaborare, fu inutile, ma non potevo lasciarlo in quello stato.

Perciò iniziai a spogliarlo, ma fu come togliere i vestiti a un manichino. Cacciai tutti gli indumenti sporchi di sangue nel lavandino e lo condussi sotto la doccia. Il bagliore della luce dorata, reso opaco dal vapore che appannava i vetri della doccia, colava tra i muscoli rigidi del corpo di Kiran, risaltando il respiro sfinito che gli smuoveva il petto.

Aprii l'acqua sulle nostre teste e lasciai che ci travolgesse, mentre cercavo invano un appiglio nello sguardo di Kiran. Le iridi verdastre erano spente, un'aurora sfocata e persa, cocci di bottiglia insabbiati. Niente luce. Niente vita. E io non sapevo come lenire il loro tormento.

Lavai via il sangue dalla sua pelle, dai suoi capelli, dal suo volto, lasciai scorrere l'acqua anche quando non c'era più niente da lavare via, se non il dolore che gli infestava il cuore.

«Mi dispiace tanto, Kiran» sussurrai, premendo i palmi sulle sue guance.

Ma la mia forza non fu sufficiente a sorreggerlo. Kiran cadde in ginocchio sul pavimento della doccia, urlando così forte che l'eco del suo dolore avrebbe vissuto per sempre dentro di me. Si rannicchiò contro le piastrelle, stringendosi le gambe al petto, e iniziò a tremare.

«Sono qui con te» gli ripetei, abbassandomi accanto a lui, terrorizzata. Dovevo resistere ancora un po', perché Kiran aveva solo me. C'ero solo io a prendermi cura di lui. «Sono qui con te.»

Ma sapevo che non sarebbe stato abbastanza.

Poco dopo, andai da Juni. Si era rinchiusa nella camera di Elis da quando eravamo tornati dall'aeroporto. L'avevamo sentita urlare per ore, ma nessuno di noi aveva potuto fare niente, perché aveva bloccato la porta.

Non potevo nemmeno immaginare come si sentisse. Aveva provato a parlarmi per giorni, senza mai trovare il momento giusto, o il coraggio, e adesso il coraggio non serviva più a niente, perché avevamo scoperto che era incinta nel modo peggiore in assoluto.

La mia migliore amica aspettava un bambino. Ed Elis era morto. Non avrei mai potuto comprendere la grandezza del suo dolore. Non avrei mai trovato le parole giuste per affrontare quella situazione, per starle accanto, per aiutarla.

Non avevo idea di cosa fare.

«Non chiudermi fuori, Juni» la implorai, poggiandomi alla porta chiusa. «Abbiamo già perso troppo. Tutto quello che ci resta siamo noi. Ti prego, non respingermi.»

Ma la porta rimase chiusa.

E io mi sgretolai come un castello di sabbia.

Aspettavo solo che la marea mi trascinasse finalmente via con sé.

⁎⁎⁎

I giorni iniziarono a passare molto, molto lentamente. E le cose non cambiavano. Io e Ash restavamo a dormire lì ogni notte, spaventati che potesse succedere qualcosa a Juni, o a Kiran. E non volevamo che Freydis restasse da sola.

Kiran non si muoveva dalla sua camera. Era seduto immobile sul letto da giorni senza mangiare, senza dormire, senza parlare. Gli portavo la colazione ogni mattina, restavo accanto a lui per un po', ma non reagiva mai. Allora me ne tornavo di sotto e raggiungevo Freydis. Passavamo ore intere sul divano, con una coperta sulle spalle, a fissare il vuoto. Era un modo per stare l'una accanto all'altra, anche senza dire nulla.

Perché, in fondo, non era rimasto niente da dire.

Una voce dentro di me mi impediva di piangere, di affrontare il dolore, perché volevo essere forte per Juni, per Kiran, volevo dar loro conforto, volevo che potessero contare su di me.

Ma era difficile.

Era difficile muovermi tra le mura di quella casa senza avvertire un vuoto terrificante nel petto. Era difficile non sentire una pugnalata al cuore ogni volta che scorgevo qualcosa che apparteneva a Elis, ogni volta che passavo davanti alla sua stanza, ogni volta che mi veniva in mente il suo viso e la consapevolezza di non poterlo più guardare mi colpiva dritta al petto. Era difficile non crollare, non lasciarmi andare, era difficile mettere su un'armatura di ferro e farmi forza.

A volte, non sapevo nemmeno perché stessi continuando a lottare.

Passarono quattro giorni prima che Juni mi permettesse di entrare nella camera di Elis. Non si era mossa da lì, né aveva fatto entrare qualcuno, da quando eravamo tornati dall'aeroporto. Non l'avevo vista da allora, tantomeno ci avevo parlato. Ogni volta che mi sedevo sul pavimento dall'altra parte della porta, tutto quello che potevo fare era sentirla piangere.

Mi stupì trovare la serratura sbloccata. Quando entrai nella camera, l'aria era soffocante e consumata.

«Aiutami a fare una doccia» mi chiese, gli occhi gonfi e tristi. «Ho paura di cadere.»

Dentro di me, scoppiai a piangere.

Stavo guardando la mia migliore amica per la prima volta dopo giorni. E a stento riuscii a reggerne la vista. Aveva il volto scavato, lo sguardo spento. Le sue mani e i suoi vestiti erano ancora sporchi del sangue di Elis. Era drenata, uno scoglio che le onde continuavano a erodere. La raggiunsi con poche falcate, sorreggendola nell'istante in cui provò a mettersi in piedi.

«Sono qui» la rassicurai. «Adesso ci penso io.»

La guidai fino al bagno e l'aiutai a spogliarsi. Juni sembrava così fragile che temevo mi si sarebbe sgretolata tra le mani da un momento all'altro. Una volta nella vasca, iniziai a far scorrere l'acqua e Juni scoppiò a piangere.

Pianse così forte che mi sembrò che il petto le si stesse sfasciando, che ogni singhiozzo le bucasse i polmoni. Nonostante il male che provavo a vederla soffrire in quel modo, lasciai che affrontasse il suo dolore, che ne fosse travolta, mentre io lottavo per tenere a bada il mio.

Le lavai i capelli, le insaponai la schiena, le sciacquai il volto. Poi recuperai un accappatoio pulito, glielo avvolsi addosso e l'aiutai a sedersi sul bordo della vasca.

«Aspettami qui, okay?» Le sfiorai il viso con le dita. «Vado a cercare delle lenzuola pulite e...»

«No, non...» un lampo di terrore le esplose negli occhi celesti. «C'è ancora il suo profumo.»

E il suo sangue.

«Lo so» deglutii un sussulto. «Ci penso io a cambiarle, tu resta qui e scaldati. Torno subito.»

Le posai un bacio sulla fronte, dopodiché uscii dal bagno e iniziai a sfilare le lenzuola sporche dal letto di Elis. Le raccolsi in un mucchio fuori dalla camera e aprii la finestra. Mentre l'aria si rigenerava un po', io andai a prendere delle lenzuola pulite dalla lavanderia.

Al mio ritorno, Juni era ancora seduta sulla vasca, stretta nella stoffa dell'accappatoio, lo sguardo perso nella sua testa. Mi sbrigai a rifare il letto e a portarle dei vestiti.

«C'è il suo profumo anche qui» le porsi una maglietta e dei pantaloni della tuta di Elis. «Li ho presi dal suo armadio.»

Le lasciai tutto il tempo di rivestirsi e sistemarsi, approfittandone per scendere di sotto e prepararle qualcosa da mangiare.

«Come sta?» Mi domandò Freydis; era seduta all'isola in cucina, il palmo avvolto intorno a una tazza di tè caldo e il volto spento. «Ho visto che ha finalmente aperto la porta.»

«È distrutta, Frey» presi delle uova dal frigo e recuperai una padella. «Completamente a pezzi.»

«Povera Juni» sospirò. «Se noi stiamo soffrendo così tanto, non oso immaginare cosa stia provando lei, visto che... per gli dèi, non riesco nemmeno a dirlo.»

Visto che aspetta un bambino.

«È tanto forte, Frey, davvero tanto. Ma credo che adesso abbia bisogno dei suoi amici» ammisi. «Dobbiamo restare uniti, perché siamo tutto ciò che ci resta.»

«Assolutamente» posò la tazza e venne ad abbracciarmi. Il calore e l'affetto di quel gesto mi fecero quasi piangere, perché mi ricordarono quanto anch'io avessi bisogno di conforto.

«Devo avvisare sua madre che sono riuscita a vederla oggi» mi ricordai. Negli ultimi giorni l'avevo tenuta aggiornata sulle condizioni di Juni, nonostante queste restassero immutate. Finalmente le avrei dato una buona notizia. Buona... più o meno.

«Posso farlo io, se vuoi» si offrì Frey. «Tu pensa a farla mangiare.»

«Grazie» sospirai sollevata. «Puoi chiamarla direttamente dal mio cellulare. Il suo nome è Idris Rose. Grazie ancora, Frey, davvero.»

«Nessun problema.»

Finii di preparare le uova per Juni e tornai di sopra.

«Uova strapazzate e succo d'arancia» annunciai, rientrando in camera con il suo pranzo. «Non devi mangiarle tutte, basta che ne mangi un po'. Se ti fanno schifo, ti preparo qualcos'altro.»

I capelli bagnati le ricadevano sul petto, mentre se ne stava seduta al centro del materasso e i raggi del sole invadevano la camera.

«Mi fa schifo qualsiasi cosa in questo momento, ma le uova andranno bene lo stesso.» Non mi sorrise. Non c'era traccia d'emozione sul suo volto svuotato. Le porsi il piatto e la forchetta e posai il bicchiere sul comodino. Poi mi sedetti di fronte a lei. Esitai prima di parlare.

«Voglio che tu sappia una cosa, Juni» posai una mano sulla sua caviglia; lei sollevò appena gli occhi su di me. «Non importa se il mondo ci cade addosso, io resto sempre con te. Il mio posto è al tuo fianco. Qualsiasi cosa accada. Non pensare nemmeno per un secondo di non poter contare su di me. Di non poter soffrire. Di non poter piangere. Di non poter essere te stessa. Non c'è niente nell'intero universo che ha più importanza di te. Non dimenticarlo, ti prego.»

«Lo so» annuì, portandosi alla bocca la forchetta con le uova. «Lo so, Ari.»

Voleva abbracciarmi. Sapevo che voleva farlo. Ma i suoi muscoli erano troppo deboli e il suo cuore troppo tramortito. Andava bene lo stesso. Era un passo avanti. Le presi la mano e gliela strinsi.

«Quando sarai pronta, sarò qui se vorrai parlarne.» Non c'era bisogno che dicessi che mi riferivo al bambino che portava dentro di sé. Lei sgranò appena gli occhi e a me sembrò che le mancasse di nuovo il fiato. «Non dobbiamo farlo adesso» la tranquillizzai. «Non dobbiamo fare proprio niente. Quando sarà il momento, io ci sarò.» Le posai un bacio sulla mano e lei sussultò.

«Non adesso» ripeté, la voce instabile. «Non ce la faccio, non...»

«Non ci pensare, okay?» Mi sporsi verso di lei e le scostai i capelli umidi dal viso. «Ci penseremo insieme un altro giorno.»

⁎⁎⁎

Quella sera tornai a casa per dormire. Sapevo che mio padre era preoccupato per me, che stava cercando un modo per starmi accanto. Non potevo biasimarlo. Mi vedeva di sfuggita poche ore al giorno, mi chiedeva come stessi e non otteneva mai una risposta sincera, cercava di prendersi cura di me, ma io ero troppo impegnata a prendermi cura di Kiran e Juni. Mi sentivo quasi in colpa, nonostante sapessi che mio padre sarebbe sempre stato dalla mia padre.

«È il tuo modo di affrontare il dolore» mi aveva detto, sedendosi sul mio letto. «E va bene così. Ma quando avrai bisogno di me, io sarò qui.» Mi aveva rimboccato le coperte e lasciato un bacio sulla fronte. «Il tuo papà ti ama tanto, Ari. Sono contento che tu sia qui.»

Quella notte, il mio cuore fece un po' meno male.

Quando arrivai a casa di Kiran, il mattino seguente, sapevo che non avrei trovato Freydis. Mi aveva avvisata che Juni non aveva voluto mangiare niente per colazione e che sarebbe uscita con Ash per distrarsi un po'. Posai le buste del supermercato sul tavolo e preparai qualcosa da mangiare per Kiran.

Mentre il pollo si cuoceva, misi a posto la spesa e feci per disattivare le notifiche del mio telefono, che continuava a illuminarsi senza tregua. Mi accorsi che il mio profilo Instagram era sommerso di messaggi. Non avevo idea di come avessero fatto quelle ottocentomila persone a scoprire di Elis, ma apprezzai molto il loro affetto. Tuttavia, non avevo la forza di rispondere.

Sistemai il piatto e le posate su un vassoio, sfilai una bottiglietta d'acqua dal frigo e salii di sopra. La porta della sua camera era aperta; la luce del sole filtrava dalla finestra, riempiendo ogni angolo d'oro e ombra.

Trovai Kiran come l'avevo lasciato la sera precedente: seduto contro la testiera del letto, stessa camicia nera sbottonata e stessi pantaloni di lino, l'espressione persa, sofferente.

«Ehi» mi costò tanta fatica non crollare, in quel momento. «Ti ho portato un'insalata di pollo. E in cucina ci sono anche le tisane» posai il vassoio sul comodino. «Sono passata al supermercato prima di venire qui.»

Come negli ultimi cinque giorni, Kiran non rispose. Non mi guardò nemmeno; sembrava che non riuscisse a guardare niente. I suoi occhi erano fissi sulla finestra, immobili, lontani, come fosse un prigioniero ingabbiato in una torre.

Mi si spezzò il cuore per l'ennesima volta, quando realizzai che era così davvero. Kiran era un prigioniero. Le sue emozioni erano la sua gabbia. Non riusciva a evadere, a liberarsi, era come vivere in una tomba in fondo all'oceano, consapevole che l'ossigeno sarebbe finito, che l'acqua l'avrebbe annegato e che non poteva fare nulla per nuotare via. Kiran non aveva potere su se stesso in quel momento, non aveva via di scampo. Era in balia della sua stessa testa.

«Devi mangiare qualcosa, Kiran» mi sedetti di fronte a lui, cercando invano il suo sguardo. «Sei a digiuno da cinque giorni. Non dormi. Così rischi di collassare. Ti prego» allungai una mano sulla sua. «Non farti del male in questo modo.»

Piegò il volto verso di me, come se mi avesse sentito per la prima volta, e corrugò appena la fronte. Quel cenno mi riempì di una speranza folle, che però morì in fretta. Kiran mi guardò, le labbra strette, e una lacrima colò dalle sue ciglia. Ma non disse nulla.

«Se non riesci a lottare per te, allora lotta per me» lo incitai. «Ho già perso Elis. Non posso pensare di perdere anche te, Kiran. Lui era il tuo migliore amico, era tuo fratello. Ma era anche il ragazzo di Juni. E lei adesso aspetta un bambino. Abbiamo bisogno l'uno dell'altra, io...» Sentii il mio battito cardiaco accelerare e inspirai a fondo. «Io ho bisogno di te. Non posso affrontare tutto questo da sola.»

Mi sembrò che ogni parte di lui si stesse ribellando per dire qualcosa, per muoversi, per esplodere. Ma non ci riusciva, perché la sua pelle e i suoi muscoli erano calcificati. Nonostante questo, però, vidi le sue iridi verdastre infrangersi come schegge di vetro, ferirlo con i loro bordi taglienti, e lui non poteva fare niente per proteggersi.

«Non mi arrendo, sai?» Mi sporsi su di lui e gli lasciai un bacio sulla guancia. «Non mi arrendo con te.» Kiran chiuse gli occhi. «Non farlo nemmeno tu.»

Poco più tardi, provai a parlare con Juni, ma quando entrai nella sua camera - nella camera di Elis - la trovai rannicchiata all'angolo del letto. Mi limitai a posarle una carezza sul volto, prima di andare via.

Ero esausta. Avevo bisogno di una pausa da quella casa, dal fantasma di Elis che ne perseguitava le mura, dal dolore che ne impregnava l'aria e dalla sensazione di star soffocando.

Tutto intorno a me si stava deteriorando. E per quanto mi sforzassi di essere d'aiuto, ero inutile.

Inoltre, mi faceva male ogni arto e osso, ma sapevo che riposare non mi avrebbe dato sollievo, perché quel malessere fisico non era che il riflesso del male che provavo nel cuore.

Posai le chiavi sul tavolo e mi accorsi che il nonno era seduto in salotto. Si era sistemato una coperta sulle ginocchia e stava lavorando a maglia. Mi fece sorridere; era la nonna quella capace di creare dei capolavori utilizzando ferri e filati colorati. Lui si limitava ad imitare i suoi movimenti. Era un modo come un altro di mantenere vivo il suo ricordo. E di sentirla vicina.

«Vieni qui, anemone» mi chiamò, appena si accorse di me. «Forse ho sbagliato qualcosa.» Ispezionò i due ferri con occhi attenti e, quando li sollevò, il filato venne via come olio. Trattenni una risata.

«Sì, lo credo anch'io.»

«Se Agnes fosse qui, si prenderebbe gioco di me» posò il gomitolo celeste, sorridendo. «Lo diceva sempre che i lavori manuali non sono il mio forte. Tranne il giardinaggio. Lì sono piuttosto bravo. Vero, anemone?»

«Certo, nonno. Nessuno sa prendersi cura del giardino meglio di te.»

«Avanti, dammi la mano» il nonno tese la sua, attendendo paziente. Curiosa, feci come mi aveva chiesto. Strinse la mia mano tra le sue e mi rivolse uno dei suoi sorrisi caldi e confortanti. «Come stai? Non mentire come hai fatto con Leopold e con tua madre. Dimmi la verità.» Il mio cuore indietreggiò tra le costole. Il primo istinto fu proprio quello, mentire. Ma con il nonno non avevo scampo.

«Mentire è molto più semplice» mi nascosi. «Perché così posso fingere che non sia reale.»

«Semplice non vuol dire giusto, però. Se menti, il tuo cuore lo sa e soffre ancora di più, perché non gli dai modo di affrontare il lutto.»

«Io non voglio affrontarlo» la voce mi si assottigliò. «Non voglio.»

«Ma ne hai bisogno.» Il nonno rinsaldò la presa. «Sono giorni che ti vedo andare e tornare dalla casa di Kiran. Non ti fermi un solo istante. Trovi sempre qualcosa a cui pensare, qualcuno di cui prenderti cura. E ti dimentichi di te» abbassai lo sguardo, sentendo già il peso delle lacrime. «Dimentichi che l'hai perso anche tu. Il tuo dolore vale tanto quanto quello dei tuoi amici.»

«Mi ha salvato la vita, nonno» le parole vennero fuori da sole, come se il mio corpo le avesse rigettate, stanco di trattenerle dentro di sé. «Sono viva solo perché lui non ci ha pensato due volte a proteggermi. Ma se quel proiettile mi avesse colpita, lui...» un singhiozzo mi attraversò il respiro. «Lui sarebbe ancora vivo.»

Era la verità che avevo nascosto in fondo al mio cuore, quella che non ero in grado di sopportare. Il primo sparo era indirizzato a me. Se l'avessero messo a segno, Elis non sarebbe stato colpito alle spalle.

«Kiran avrebbe ancora il suo migliore amico, Juni avrebbe ancora il suo ragazzo e quel bambino...avrebbe ancora il suo papà.»

Lì in fondo, da qualche parte, sentivo che era anche un po' colpa mia.

«E nessuno di loro avrebbe più te, anemone» mi ricordò il nonno. «La vita è imprevedibile. Se fosse così semplice, nessuno riuscirebbe ad apprezzarla. Non puoi sapere come sarebbero andate le cose, sai solo come sono andate. Credi che darti la colpa di quello che è successo ti aiuterà ad affrontare il dolore?»

«No» scossi la testa. «Ma io non so che fare, non... fa così male, nonno.» Le lacrime mi bagnarono il viso e io non resistetti più. «Fa così tanto male.»

«Parlami di lui» mi esortò con un sorriso. «Raccontami com'era.»

«Elis era la persona più buona del mondo» non dovetti nemmeno pensarci. «Litigavamo sempre su chi fosse più bravo a cucinare e lui si offendeva se i nostri amici non votavano i suoi piatti. Una volta è persino uscito di casa ed è tornato dopo mezz'ora.»

Il ricordo di quella serata mi si avvolse intorno, vibrò dentro di me come se fossi di nuovo lì. Risentii le nostre risate, le battute di Ash, gli insulti durante le partite a Uno, la pioggia fredda che ci impregnava i vestiti. Un sussulto mi alterò la voce, perché non avrei mai più vissuto quei momenti con lui.

«Riusciva a strapparci un sorriso anche se non ne avevamo voglia, perché odiava vederci tristi. Odiava vederci soffrire. Ricordi quando mi ha trascinata sul tetto con due birre e una pizza? L'aveva fatto solo per convincermi a perdonare Kiran. Lui era così» sollevai una spalla. «Era sempre pronto a fermarsi con te se restavi indietro. Era sempre pronto a ricordarti quanto fossi importante e speciale, ad abbracciarti, a farti sorridere. Sapeva prendersi cura di noi senza che ce ne rendessimo conto, perché vegliava su di te, ti guardava da lontano, sempre pronto a intervenire se avessimo avuto bisogno di lui.»

Mi sentivo un vulcano in eruzione, ogni frase era una colata di lava bollente che mi ustionava.

«Elis sapeva amare come nessun altro. L'ho visto lottare per Juni senza mai arrendersi. L'ho visto insistere, essere paziente, l'ho visto prendere colpi e incassarli senza lamentarsi.» Mi bruciavano gli occhi. «L'ho visto innamorarsi di lei giorno per giorno. E ho visto Juni innamorarsi di lui e di stessa per la prima in tutta la sua vita. Perché Elis le aveva mostrato quanto fosse grandiosa e unica. Non era mai stata così felice.» Mi premetti le mani sugli occhi, il petto in fiamme.

«Elis era il nostro arcobaleno.»

«E ora cosa ti resta di lui?» Mi domandò il nonno. «Cosa ti resta di questa persona splendida e generosa? Del suo amore incondizionato per la dolce Juniper e per voi, che eravate i suoi amici?»

«Il suo ricordo.»

Della sua dolcezza. Della sua lealtà. Della sua risata. Del suo modo di farci sempre ridere, di rallegrarci, di farci arrabbiare. Del suo essere costantemente inopportuno. Della sua ossessione per gli abbinamenti strani di cibi. Dei suoi pinguini.

«E sai cosa facciamo con i ricordi, anemone?» Scossi la testa. «Li custodiamo. Li teniamo al sicuro nel nostro cuore, come fossero un forziere pieno d'oro. E non permettiamo al dolore di rovinarceli e strapparceli via. È questo che devi fare. Devi prendere il suo ricordo, stringertelo al petto e lasciare che diventi la tua forza.» Il nonno mi guardò con i suoi occhi saggi ed emozionati e mi posò un bacio sulla fronte. «Non buttarlo via solo perché lui adesso non c'è più.»

«Non voglio buttarlo via, ma a volte sento di non farcela» gli confidai. «Sento che fa troppo, troppo male.»

«Il dolore che proviamo quando perdiamo una persona è direttamente proporzionale all'amore che abbiamo provato per quella persona, all'amore che quella persona ci ha dato. E quell'amore è immortale. Se senti che fa troppo male, vuol dire che Elis ti amava con tutto se stesso. Non credi che quell'amore valga la pena di essere preservato?»

La serratura della porta di casa scattò poco dopo. Un rumore di passi e un sonoro sospiro anticiparono l'ingresso di mio padre.

«Ari, tesoro, sei qui.» Constatò, posando la sua ventiquattrore sul tavolo della cucina. «Non ero certo che fossi rientrata.»

«Sono tornata poco fa.» Andai a salutarlo. «Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che ordini il pranzo? Oppure posso preparare qualcosa io.» Mio padre mi trattenne a sé più del solito, scaldandomi nel suo abbraccio, la sua mano grande a carezzarmi la testa.

«Voglio solo che tu ti dia un attimo di tregua, tesoro» mi lasciò un bacio tra i capelli. «Mi occupo io del pranzo. È il momento di pensare anche un po' a te stessa, noi ce la caviamo.»

«Okay.» Accettai. «Però, se vuoi il formaggio senza...»

«Ari.»

«Ve la cavate. Ricevuto.» Me ne tornai sul divano; il nonno ridacchiò sotto i baffi.

«C'è una cosa di cui vorrei parlarti, se te la senti.»

«Basta brutte notizie, papà.»

«No, nessuna brutta notizia.» Si sedette accanto a me e mi scostò dei capelli dal viso. «In realtà, spero possa portarvi un po' di conforto in questa tragedia.»

«Di cosa si tratta?»

«Io e gli altri docenti ci siamo riuniti in un consiglio straordinario» mi spiegò. «La morte di Elis ha scosso la vita di tutti e noi, in quanto istituzione, vorremmo onorare la sua memoria. Per questo abbiamo pensato di organizzare una veglia» avvertii il mio stupore tendersi sul mio viso. «Avremmo voluto farla già nei giorni scorsi, ma ci tenevamo che partecipassero più persone possibile. Questo venerdì ci sarà l'ultima partita della squadra di football e ci sembra l'occasione perfetta. Il coach ha proposto di ricordarlo prima del fischio d'inizio, per poi riunirci subito dopo, in campo, e dedicargli un ultimo saluto.»

«Io non...» ero sconvolta. «Non me lo aspettavo. Non so che dire.»

«So che l'Oak High non ha fatto bene la sua parte nell'educare i suoi studenti al rispetto e alla gentilezza. So che abbiamo ancora tanta strada da fare prima di ripagare il nostro debito con tutti i ragazzi che hanno sofferto sotto i nostri occhi, ma vogliamo davvero fare qualcosa per il vostro amico.»

«Lo apprezzo tanto, papà» ammisi con un sorriso. «Davvero. Grazie.»

«Pensavamo di accendere delle lanterne per lui. Cosa ne pensi?»

«Che gli piacerebbe molto.»

«Se c'è qualcosa in particolare che vorreste fare, dovete solo farmelo sapere.»

«Forse sì» ci pensai. «Forse qualcosa c'è.»

-

Le parole del nonno mi erano rimaste in testa per tutto il pranzo. Fu solo dopo aver riordinato la cucina ed essermi rintanata di sopra, che riuscii ad assimilarle. A comprenderle. A lasciare che si depositassero dentro di me.

E quando lo fecero, la necessità di liberare il dolore che provavo mi colpì con la violenza di una molotov in fiamme. Lo avevo imbottigliato e messo da parte, l'avevo coperto con mille pensieri, schiacciato sul fondo fino a illudermi che non fosse più lì.

Non volevo affrontarlo e accettare che fosse la realtà, che Elis era morto e che non sarebbe mai più tornato. Che non mi avrebbe più abbracciata. Non mi avrebbe più presa in giro. Non avremmo più litigato. Non ci saremmo più punzecchiati. Non volevo affrontarlo perché avevo bisogno che il mio cuore credesse che fosse ancora vivo, che avremmo passato insieme altre mille serate, che saremmo partiti per la nostra estate californiana, che lui e Kiran si sarebbero liberati di Claus e tutti noi saremmo stati felici.

Occuparmi di Juni e di Kiran era stato il modo più semplice per andare avanti, convincermi che loro avessero bisogno di me, che il mio dolore poteva aspettare. Ma il nonno mi aveva fatto capire che non era così. Tutti quei giorni passati a soffocare le lacrime, a impedirmi di processare la morte di Elis, non avevano fatto altro che rendermi una spugna incapace di assorbire altro.

E alla fine ero esplosa. Avevo pianto per oltre un'ora, rannicchiata sul pavimento del bagno, mentre signor Becco sguazzava nella vasca. Avevo pianto così forte che mi faceva male il petto, la faccia, i polmoni.

Ma per quanto mi sentissi meglio, il dolore era sempre lì. Pulsava senza controllo e minacciava di inghiottirmi, perché adesso avrei dovuto imparare a vivere senza di lui, a sopportare la sua assenza, a farmi andare bene un mondo in cui Elis Eriksson non esisteva.

Avrei dovuto dimenticare la mia vita con lui.

Solo per imparare a viverne una senza.

Non ero certa di possedere la forza necessaria.

Forse sarei crollata prima.

-

Tornai a casa di Kiran nel tardo pomeriggio. Lo ritrovai come l'avevo lasciato. Per una frazione di secondo, provai rabbia, perché continuava a non reagire lasciandomi sola. Ma poi si dissolse come nebbia, perché sapevo che il suo cuore stava arrancando, si stava sforzando di non cedere, sapevo che aveva bisogno di me come io ne avevo di lui.

«Non hai toccato l'insalata» constatai, raggiungendolo sul letto. Lo osservai: gli occhi erano rivolti al muro, arrossati e umidi, come le ciglia e le guance. Aveva pianto.

«Se continui così, il tuo corpo cederà, Kiran» mi rannicchiai al suo fianco, posando la testa sulle sue gambe. «Lo sai che Elis ti prenderebbe a pugni in faccia se vedesse come ti stai riducendo. Se vedesse come stai mandando al diavolo tutta la fatica che hai fatto negli anni per guarire. Ti farebbe un culo gigantesco.»

Cercai la sua mano e la strinsi. Anche se lui non ricambiava, il suo calore mi dava sollievo.

«Il nonno mi ha detto una cosa che mi è rimasta impressa. Mi ha detto che il dolore che proviamo quando perdiamo una persona è direttamente proporzionale all'amore che abbiamo provato per quella persona, all'amore che quella persona ci ha dato.» Gli ultimi strascichi del tramonto coloravano d'oro e d'arancio le ombre che avvolgevano la camera. «E quell'amore è immortale. Resta addosso per sempre, nonostante il dolore. Nonostante la morte. Non bisogna pensare che Elis non è più qui con noi, ma che resterà con noi per sempre. Perché lo abbiamo amato. Perché lui ha amato noi con tutto se stesso.»

Un tremito attraversò le cosce di Kiran, facendomi sussultare. Mi sollevai, cercando il suo sguardo. Lo trovai fisso nel mio e quasi scoppiai a piangere. Non disse nulla, ma sapevo che le mie parole, che le parole del nonno, avevano toccato qualcosa dentro di lui, perché tra quelle iridi di smeraldo rividi un fragile baluginio di speranza. Allungai una mano sul suo viso, sfiorandogli la guancia.

«Ce la faremo, Kiran» lo rassicurai. «Fa male in un modo che non si può spiegare, ma non durerà per sempre. Ti prometto che ne usciremo. E io sarò al tuo fianco fino alla fine.»

Quasi mi balzò il cuore fuori dal petto, quando Kiran piegò il volto in direzione del mio palmo, sfiorandolo con le sue labbra. Per la prima volta dopo cinque giorni estenuanti, mi sentii di nuovo al sicuro, protetta dalla sua presenza. Gli presi il viso tra le mani e, salendo a cavalcioni su di lui, lo abbracciai. Lo abbracciai tra le lacrime, tra il dolore che mi esplodeva nel petto e il suo calore che lo leniva, lo abbracciai senza pretese. Ma quando le sue mani mi si posarono sui fianchi, premendo sul mio corpo e attirandomi a sé, iniziai a piangere.

Kiran mi strinse tra le braccia e io ritrovai la forza di sentirmi debole.

«Ég elska þig, ThorTi amo, Thor.

Non mi rispose, ma le sue labbra mi posarono un bacio sulla fronte.

-

«Scusa» fu la prima cosa che mi disse Juni quando entrai nella camera; aveva ancora gli occhi abbottati, irritati dal pianto. Era seduta sul pavimento, le spalle poggiate all'anta dell'armadio e le braccia strette intorno a una delle felpe di Elis.

«Per cosa?» Tirò su con naso e si alzò, facendo un po' di fatica.

«Ho vomitato le uova.» Fece qualche passo verso di me. «Però erano buone.»

Il modo in cui mi stava guardando, incerto e impaurito, mi strinse il cuore.

«Non fa niente» la rassicurai, allungando un braccio verso di lei. «Posso prepararti qualcos'altro.» Bastò un solo sguardo per capirci: il motivo per cui le aveva vomitate non era il loro sapore. Juni non esitò. Si lanciò tra le mie braccia, continuando a stringere la felpa di Elis, e io strinsi lei.

«Mi dispiace, erano buone davvero» piagnucolò. «Io non volevo.»

«Va tutto bene, Juni» inspirai l'odore dei suoi capelli e chiusi gli occhi. «Non importa.»

Sapevo che le uova non c'entravano niente con quella situazione, erano il primo pretesto che la sua testa aveva trovato per aprire un varco nel suo dolore e farne uscire un po'.

«Ho paura» il volto premuto sulla mia spalla, la voce rotta. «Non so che fare senza di lui.»

Raccolsi tutte le forze che mi restavano per fare da scudo al suo cuore. Presi un lungo respiro e ignorai la stilettata di dolore al centro del petto.

«Ho paura anch'io» la presi per mano e la guidai sul letto con me. «Perché non so più come si vive senza Elis.»

Si rannicchiò al mio fianco come un riccio senza spine; la felpa ancora stretta tra le dita.

«Era l'amore della mia vita» biascicò tra le lacrime.

«Lo so» trattenni un sussulto in gola; le ciglia umide. «E tu eri il suo.»

«Mi sta scoppiando il cuore, Ari.» Socchiusi gli occhi, mentre il suo pianto diventava più forte.

«Mi dispiace tanto, tesoro.» Le avvolsi un braccio intorno alle spalle e le posai un bacio tra i capelli. «Mi dispiace tanto.»

«Credevo che mi fosse già scoppiato» continuò. «Quando abbiamo fatto l'amore per la prima volta. Ma mi sbagliavo. Mi sta scoppiando adesso.» Un singhiozzo più violento le accartocciò il respiro. «Mi scoppia, Ari, giuro che mi scoppia.»

«Vorrei poterti aiutare, lenire il tuo dolore, ma non posso» la cullai tra le braccia. «Posso solo restare con te fino a quando farà un po' meno male. E anche dopo.»

Restammo in silenzio per diverso tempo; gli unici suoni a ricordarci di essere ancora vive erano i nostri respiri sfiniti e i battiti spauriti dei nostri cuori.

«Ho acceso il telefono, prima» Juni allungò una mano sul comodino e staccò il cellulare dalla carica. «Non l'avevo ancora fatto e...» la voce sottile, instabile, come fosse il lamento della sua anima. «C'è un messaggio di Elis.»

«Lo hai letto?»

«È un messaggio vocale.» Oh, no. Era quello che Elis le aveva inviato in aeroporto, quando lei si era allontanata per andare in bagno, senza sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. Che lo avrebbe visto vivo. «Ma non l'ho ascoltato.»

«E non vuoi farlo?»

«Non lo so, non...» scosse la testa. «Non sono pronta a sentire la sua voce sapendo che...»

«Puoi ascoltarlo quando te la senti» la rassicurai. «Non c'è fretta.»

Lei annuì e io le sorrisi.

Approfittando del fatto che Juni si stava aprendo un po' di più, decisi di parlarle dell'iniziativa di mio padre e degli altri docenti della scuola.

«Gli ho detto che credo sia una bella cosa» conclusi. «Ma non dobbiamo andarci per forza. Se non te la senti, mio padre lo capirà.»

«Non so come mi sentirò tra tre giorni» spostò lo sguardo sulle lenzuola; aveva perso peso, ma mi impegnai a non farle notare la mia preoccupazione. «Non so se avrò la forza di uscire da qui o se avrò ancora voglia di morire, ma credo anche io che sia una cosa bella.» Annuì tra sé, come se volesse conciliare la sua testa e il suo cuore sfracellato. «Mi piacerebbe andarci, ma non...»

«Non devi darmi una risposta adesso. Io non vado da nessuna parte.»

«Ari?»

«Sì?»

«Io non lo so cosa fare con questo bambino.»

Continuava a fissare le lenzuola, ma a me si bloccò il respiro. Le sfiorai il mento e le feci sollevare lo sguardo. Quando i suoi occhi celesti trovarono i miei, il vuoto e l'oscurità che vi albergavano dentro mi fecero sprofondare. Ma poi ci scorsi anche un fragile baluginio di luce. E io mi accorsi che era ancora lì, in quel piccolo puntino, la forza che Juni credeva di aver perso. Mi ci aggrappai con tutta me stessa.

«Lo capirai» le dissi. «Dentro di te, capirai qual è la scelta giusta da fare.»

«Ma tu me lo prometti che resti con me?»

«Certo che te lo prometto.»

«Anche se non... riuscissi a tenerlo?»

«Non importa quale sarà la tua scelta.» Le sorrisi. «Ari sta sempre dalla parte di Juni.»

-

"Dopo aver ucciso il serpente di Midgard ed essere stato ferito dal suo veleno, Thor impugnerà Mjölnir e riuscirà a muovere nove passi, prima di crollare a terra, privo di vita."

-

Avevo provato a convincere Kiran a venire alla veglia, ma non ci ero riuscita. Era già un miracolo che l'avessi convinto a uscire dalla sua stanza dopo nove giorni, perciò non mi lamentavo. E comunque, lo capivo. Kiran era il tipo di persona che soffriva in silenzio, che si teneva stretto il suo dolore, che preferiva la solitudine anche quando sapeva di star cadendo a pezzi. Quando gli avevo parlato della veglia, conoscevo già la sua risposta. Kiran non avrebbe sopportato la vista di tante persone, i loro sguardi su di sé, le sue ferite così aperte e vulnerabili a disposizione di chiunque lo guardasse.

«Non preoccuparti per me» mi aveva detto, seduto davanti al camino, e a me era sembrato che il mondo mi si stesse sciogliendo sulla pelle, perché risentire il suono della sua voce era come rivedere la luce del sole dopo una notte infinita. «Io ti aspetterò qui.»

«Sicuro che non vuoi che resti con te?» Avevo cercato il suo sguardo, un contatto, ma Kiran era un'opera di cristallo frantumata e a stento ricostruita. Sarebbe bastato soffiargli addosso per guardarlo disintegrarsi ancora una volta.

«Ti ho già portato via tanto tempo, Ariadne» la voce incupita dall'eco di un senso di colpa.

«Non dire sciocchezze» l'avevo costretto a guardarmi. «Tu avresti fatto lo stesso per me.»

«Però non l'ho fatto» le iridi di smeraldo si creparono.

«Kiran...»

«Vai alla veglia, Ariadne. Io sarò qui al tuo ritorno.»

Ognuno di noi processava il dolore a modo suo. Lo percepiva e lo assorbiva in base alla propria sensibilità, alla propria forza, al proprio cuore. Non c'era una regola da rispettare, né uno schema da seguire, perché la sofferenza non era qualcosa di prevedibile. Il modo in cui avremmo reagito non era qualcosa di prevedibile. E non ne esisteva uno giusto, o uno sbagliato. Esisteva un cuore che sanguinava e un essere umano che avrebbe dovuto farci i conti.

Kiran era rimasto intrappolato nella sua testa.

Io avevo finto di poter sopportare qualsiasi cosa.

Juni aveva raccolto tutto il coraggio che le restava per partecipare alla veglia.

Sembravamo i protagonisti di tre storie diverse. E invece eravamo tre sfumature dello stesso dolore.

Venerdì sera fu la prima volta che la mia migliore amica mise piede fuori dalla camera di Elis. E lo fece con la determinazione e la forza di una valchiria, nonostante dentro di sé stesse ancora cadendo a pezzi.

«Cosa ci fanno qui tutte queste persone?» Juni si guardò intorno, stringendomi la mano.

Il campo da football brulicava di studenti. Gli spalti erano tutti occupati; supposi che chi era andato a guardare l'ultima partita della squadra, aveva deciso di restare per la veglia. Le luci puntavano dritte al centro, dove qualcuno aveva allestito un piccolo palco.

«Sono qui per Elis.» Risposi. L'intero Oak High era lì per Elis.

«Ma non lo conoscevano.» Storse il naso, le sopracciglia aggrottate. «Credo che siano qui per mettere storie su Instagram, fare dirette su Tiktok e raccogliere un po' di like.»

«Può essere» le concessi, ignorando le occhiate di pena e compassione delle persone che ci vedevano passare. «O forse vogliono davvero dargli un ultimo saluto. Elis è sempre riuscito a farsi amare da tutti, anche da chi non lo conosceva.»

«Già.» Juni si asciugò una lacrima e inspirò a fondo.

«Andiamo, Ash e Frey ci aspettano laggiù.»

Raggiungemmo i nostri amici vicino al palco, davanti al quale aveva iniziato a raccogliersi una folla piuttosto ampia. Non riuscivo ad abituarmi al volto senza luce di Freydis. Da quando era arrivata a Oak Hill, mi aveva sempre ricordato il bagliore di una stella, con quei suoi tratti delicati e gentili, con i suoi colori chiari ed eterei. Ma la morte di Elis le aveva strappato via la lucentezza, sporcandola come terra e fango su un fazzoletto di seta.

«Ehi, Juni» un sorriso sincero sbocciò sul suo volto. «Che bello vederti fuori da quella stanza.» L'abbracciò forte, come se non la vedesse da mesi. «Sono contenta che tu sia qui.»

«Lo sono anch'io.»

Nel frattempo salutai Ash, che aveva la stessa espressione abbottata di tutti noi. Gli aloni scuri intorno ai suoi occhi risaltavano l'azzurro delle iridi e il colorito del suo volto.

Poco dopo, il ronzio di un microfono crepò il brusio che si era disperso tra i presenti. Mio padre era salito sul palco e stava provando l'audio. Quando constatò che funzionava tutto, si rivolse a tutte le persone che riempivano il campo da football.

«Buonasera a tutti» esordì, assorbendo ogni voce e rumore. «Sono il preside Dawson, per chi non lo sapesse già. Come prima cosa, vi ringrazio per essere venuti, o per essere rimasti, se eravate già qui per la partita della nostra squadra.» Si guardò intorno, assicurandosi la sua gratitudine arrivasse a tutti. «L'ultima volta che questa città ha dovuto dire addio a uno dei suoi ragazzi è stata diversi anni fa. Sono certo che ognuno di noi conservi ancora il ricordo del piccolo Elijah Devin.» Quel nome fu seguito da una serie di commenti e cenni d'assenso.

Nessuno avrebbe mai dimenticato Elijah a Oak Hill.

«Elis Eriksson non apparteneva a questa città, è vero. Era qui solo da sei mesi per un progetto interculturale del suo liceo di Reykjavík, ma questo non ha reso la sua presenza meno d'impatto. È per questo che l'Oak High vuole onorare la sua memoria, restituendogli un po' dell'affetto che lui ha donato a noi.»

Juni si strinse al mio braccio e posò la testa sulla mia spalla. Il silenzio che si era creato era commovente.

«Prima di procedere con l'accensione delle lanterne, c'è uno dei suoi amici che vorrebbe dirgli qualcosa.» Mio padre a quel punto fece cenno verso di noi.

Verso Ash.

Io, Juni e Freydis ci scambiammo un'occhiata sconvolta. Non avevamo idea delle sue intenzioni. Mio padre gli porse il microfono e, nell'istante in cui Ash lo prese, notai che gli tremavano le mani. Il suo sguardo si perse tra i presenti; restò in silenzio per qualche secondo, prima di iniziare a parlare.

«Ho vissuto tutta la mia vita credendo di sapere cosa fosse l'amicizia» la sua voce era un graffio sul cuore. «Fin quando Elis non mi ha dimostrato che non avevo capito un cazzo.» Sorrise angosciato. «È stato lui a insegnarmela, l'amicizia. È stato lui a insegnarmi che la famiglia non ha confini, non ha definizioni, che non impone limiti, non giudica, che non dipende dal sangue che ci scorre nelle vene, ma dall'amore che ci batte nel cuore. È stato lui a insegnarmi che non può essere misurata, che può essere eterna anche se è appena iniziata.» Iniziò a tormentarsi le mani, le parole instabili, mentre il vento gli scompigliava i riccioli rossastri. «Elis era fastidioso come un dannato sassolino nella scarpa. Era insopportabile e permaloso e non faceva che esasperarci. Non so se fossero peggio i suoi abbinamenti con il cibo o i suoi gusti musicali. Cristo, volevo strangolarlo ogni volta che faceva partire Let it go e pretendeva che la cantassimo con lui.» Una lacrima colò via dai suoi occhi, luccicando sotto le luci puntate sul palco. Ash era così devastato che restare impassibili sarebbe stato disumano. Qualcuno singhiozzò, qualcun altro si schiarì la voce. «Ma io avrei comunque dato la vita per lui. Perché Elis è stato il primo vero amico che abbia mai avuto. E lo sarà per sempre, anche se non potrò più dirglielo.» Socchiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni d'aria.

«Sei un coglione, però mi hai cambiato la vita.» Quando li riaprì, non c'erano più lacrime, solo un gran sorriso. «A presto, Elis.»

L'applauso che partì fu da brividi. Fragoroso, intenso, sentito. E se non stessi già piangendo, avrei iniziato a farlo in quel momento. Freydis e io abbracciammo Juni, dandoci sostegno a vicenda. Mio padre attirò Ash a sé, stringendolo forte. Poco dopo, riprese il microfono e ci informò che alcuni studenti sarebbero passati tra la folla con le lanterne. Intanto Ash era tornato da noi.

«Le ho messe da parte poco fa» ci porse due lanterne, una a me e una a Juni, poi ne passò una a Freydis. Fissò la sua con sguardo perso. «Non volevo rischiare che finissero.»

Ci sistemammo tutti e quattro vicini, senza la forza di parlare, e attendemmo. Passò un po' prima che mio padre tornasse sul palco. Anche lui, come tutti gli altri, reggeva una lanterna.

«Ci siamo» annunciò; poi spostò lo sguardo premuroso su Juni. «Dopo di te.»

Juni annuì, stava tremando. L'aiutai ad accendere la lanterna e, quando tutte e quattro le nostre furono pronte, lei inspirò a fondo.

Mi strinse la mano e, con tutto il coraggio che aveva dentro di sé, sollevò la lanterna verso l'alto.

«Ciao, pinguino.»

Un sussulto le spaccò il petto, ma lei la lasciò andare lo stesso.

La mia lanterna fu la seconda a librarsi in aria, seguita da quelle di Frey e Ash. Dopo di noi, uno sciame di lanterne si sollevò in cielo, come stelle volanti, illuminando d'oro l'intero campo da football. Ash abbracciò forte Juni e allungò un braccio verso di me. Io feci lo stesso con Freydis. Ci stringemmo l'uno all'altra, gli occhi rivolti al cielo, mentre il dolore ci travolgeva e ci soffocava. Quando tutte le lanterne accesero il cielo, gli altoparlanti ronzarono.

L'attimo dopo, partì Hips don't lie.

La gente non avrebbe capito, ma noi sì.

-

La veglia era finita da circa mezz'ora. Il campo da football si era svuotato, le luci si erano spente, ma io e Juni eravamo rimaste sedute sugli spalti deserti.

«Non so se riuscirò a sopportare tutto questo dolore, Ari.» Juni si scostò una ciocca dal viso. «A volte vorrei morire, perché sarebbe più facile, perché Elis tornerebbe da me e io non dovrei affrontare il resto della mia vita da sola. Vorrei morire perché fa troppo male» le colò una lacrima sul viso. «Il mio cuore non riesce a battere senza di lui.»

«E io?» Le domandai. «Cosa faccio poi?»

«È proprio questo che mi sta dando la forza per resistere, Ari. Io ho ancora te e... non so quanto tempo passerà prima che smetta di fare così male, non so se alla fine resterà qualcosa di me o se il dolore mi avrà consumata. Ma so che se mi sei vicina, posso almeno provarci.» I suoi occhi azzurri luccicarono di lacrime e tristezza. «A sopravvivere.»

«Oh, Juni» mi slanciai verso di lei, abbracciandola. «Ti sarò vicina fin quando non ne potrai più della mia presenza. E continuerò a farlo anche allora.»

Juni si portò una mano sulla pancia e un singhiozzo le squilibrò la voce.

«Se tenessi questo bambino, non farebbe che ricordarmi che Elis è...» le parole che si stava sforzando di pronunciare le si bloccarono tra denti e palato, perché pronunciarle avrebbe significato renderle reali. «Che Elis è morto, che non è più con me, che non ho potuto nemmeno dirgli addio, che...» L'eco straziante del suo dolore rimbalzò in tutto il campo da football. «Che non tornerà più casa, che non sentirò più la sua voce, che...» D'un tratto, il suo respiro accelerò, gli occhi si spalancarono, come se stesse realizzando qualcosa proprio in quel momento. «Che potrebbe avere i suoi stessi occhi, potrebbe essere gentile come lui, potrei fargli amare Frozen e comprargli un vestito da pinguino, potrei...» per la prima volta dopo nove giorni, quando mi guardò vidi le sue iridi luccicare di speranza. «Potrei amarlo. Potrei dargli tutto l'amore che avrei dato a Elis, potrei... oh, mio, che cosa sto facendo?» Si prese la testa tra le mani.

«Va bene se ti senti confusa, Juni» provai a tranquillizzarla. «Devi prendere una decisione importante e hai il diritto di crollare e perderti tutte le volte che vuoi. Ciò che conta è che tu riesca a ritrovare la strada di casa.»

«Cosa vorrebbe Elis?»

«No» scossi la testa. «Cosa vuoi tu?» Mi guardò per qualche istante, senza riuscire a dire niente. «Questa scelta spetta solo a te. L'unica cosa che posso assicurarti è che io sarò qui a sostenerti in entrambi i casi.»

«Sono un disastro, Ari.»

«No che non lo sei.»

«Sì, lo sono» annuì tra sé, asciugandosi gli occhi. «Però sono anche forte. Ogni mattina mi sveglio e mi chiedo che senso abbia. Mi chiedo perché continuare a vivere se provo dolore anche quando respiro.» Mi si spezzò il cuore. «Però sono ancora qui, perché ogni mattina mi sveglio e penso che Elis mi ha insegnato a essere forte. A non arrendermi. A non lasciar vincere la mia testa. Ogni mattina mi sveglio e penso che Elis credeva in me. Credeva che avrei potuto fare qualsiasi cosa avessi voluto. Che niente al mondo avrebbe potuto fermarmi.»

«Nemmeno la sua morte» sussurrai.

«Nemmeno quella. E mi ha insegnato che c'è sempre qualcosa per cui lottare. C'è sempre qualcosa di bello, anche nel dolore, nella tragedia, nella disperazione.»

«E tu l'hai trovata» realizzai; un brivido mi attraversò la spina dorsale. «Qualcosa per cui lottare.»

«Smetterei di pensare che sarebbe meglio morire, perché questo bambino avrebbe bisogno di me. E nel mio cuore non ci sarebbe più solo dolore, Ari» scosse la testa, fragile e indistruttibile. «Ci sarebbe anche un po' d'amore.»

In quell'istante cambiò tutto. Tutti i pezzi della mia vita si mossero e cambiarono posto, incastrandosi in un modo completamente nuovo, inaspettato. Provai un sentimento così forte che mi si squarciarono pelle e muscoli.

Non avevo più alcuna certezza. Tranne una.

«Ti prometto una cosa» mi inginocchiai davanti a lei e le presi le mani. «Ameremo questo bambino insieme, Juniper Pope. Sarò la zia migliore del mondo per lui. Gli darò tutto quello che ho, tutta me stessa, gli darò ogni briciolo di felicità che sarò in grado di procurare. Lo cresceremo insieme. Lo vizieremo. Gli insegneremo ad amare, ad apprezzare le piccole cose, ad essere gentile e buono come lo era Elis.» Non impedii alle mie lacrime di scendere, perché questa volta m'imperlavano gli occhi e le guance di speranza. «Non potrò mai prendere il suo posto. Elis sarà sempre il suo papà. Ma ti prometto che mi prenderò cura di lui. E di te.»

«Ari, non...» Juni era sconvolta; gli occhi strabuzzati, il fiato corto. «E la tua vita? I tuoi progetti?»

«Troveremo un modo. La vita è imprevedibile. C'è un pezzo di Elis dentro di te. E io già lo amo alla follia. Tutto il resto verrà da sé.»

«Sarà difficile.»

«Lo so.»

«Finirai per odiarmi.»

«Lo so» un piccolo sorriso sbocciò tra le sue lacrime.

«E se poi non gli piace Frozen?»

«Gli piacerà, vedrai. Lo educheremo come si deve.»

Restammo tra gli spalti ancora un po', fin quando non decidemmo di tornare. Eravamo appena arrivate alla macchina, quando Juni tirò fuori il suo cellulare. Lo fissò per qualche minuto, senza dire niente.

«Sai perché non ho ancora ascoltato il suo messaggio?» Un colpo di vento trascinò via le sue parole, disperdendole come cenere ancora calda.

«No» risposi. «Non lo so.»

«Perché se premo play, sentirò la sua voce» un breve sorriso le tinse le labbra, ma bastò un istante a spazzarlo via. «Ma so che sarà l'ultima volta.»

«E adesso hai cambiato idea?»

«Non lo so, non...» spostò lo sguardo sul campo da football. «Mi manca davvero tanto, Ari. E sono passati solo nove giorni. Cosa farò quando mi mancherà tra un mese, un anno, o dieci, e non avrò più nulla con cui consolarmi?»

«Non è quel messaggio a tenerlo in vita dentro di te, Juni. Elis continuerà a vivere fin quando il tuo cuore lo amerà e lo ricorderà.»

«Lui vivrà per sempre» ricordò le parole che Elis aveva detto tanto tempo prima, al parcogiochi sotto la pioggia. «Credi sia vero?»

Annuii. «Certo che sì.»

Ci pensò un po', come se stesse lottando contro se stessa. Si asciugò una lacrima e tirò su col naso. Si schiarì la voce e aprì la chat di Elis. Non mi guardò, ma la sua mano trovò la mia e la strinse.

Premette play.

«Ehi, secondo te le tue tette se la prenderebbero se cominciassi a sviluppare dei sentimenti anche per le tue chiappe? Forse dovrei venire lì a farci due chiacchiere personalmente. Oppure potresti sbrigarti ad uscire così posso continuare a baciarti per i prossimi quarantacinque minuti. Dai, serpe, già mi manchi.»

Juni chiuse gli occhi, travolta dal dolore.

Ma quella volta non pianse.

Raccolse tutto quello che provava e lo lasciò andare con un sospiro.

«Mi manchi anche tu, heimskur

-

Dopo aver accompagnato Juni - quella notte sarebbe tornata a casa sua e avrebbe detto a sua madre che era incinta - guidai fino a casa di Kiran.

Le luci erano tutte spente; l'unico bagliore che contrastava la penombra era quello del fuoco ancora acceso nel camino. L'odore di legna arsa mi s'infilò subito nelle narici, sostituendo quello di erba bagnata e umidità.

«Kiran?» La mia voce riecheggiò fino al piano superiore, ma l'unica risposta che ottenni fu silenzio. Con uno strano nodo allo stomaco, salii di sopra e percorsi tutto il corridoio.

«Kiran? Perché non...» quando mi affacciai nella sua stanza, quasi persi l'equilibrio. Spalancai gli occhi, il cuore a mille.

«Ehi.» La sua voce crepò il silenzio come l'ultimo tuono prima del temporale. Abbassato sulle ginocchia, sollevò lo sguardo su di me, mentre richiudeva una valigia.

«Ehi.» Il fiato mi s'incastrò in gola. «Cosa stai facendo?»

Kiran si alzò e il bagliore dell'abat-jour acceso sul comodino indorò i contorni del suo corpo, risaltando le forme dell'addome e delle spalle, definite sotto la maglietta nera a mezzo collo che indossava, e le gambe slanciate nei pantaloni cargo.

«Torno a Valaskjálf, Ariadne.»

Per un attimo, temetti di svenire.

«Di cosa... di cosa stai parlando?»

Kiran fece un passo verso di me; s'infilò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse un foglietto di carta. Lo fissò qualche secondo, la mandibola irrigidita.

«Chi l'ha ucciso, ha lasciato questo per me.» Mi porse il biglietto.

Era stropicciato e sporco di sangue.

Per ricordarti chi comanda.

Mi premetti una mano sulla bocca. Il pizzicore delle lacrime mi fece chiudere gli occhi. L'avevo visto infilarsi qualcosa nella tasca dei pantaloni, in aeroporto, quando stava cercando di trattenere Juni. Ma non ci avevo più pensato, mi era sfuggito dalla mente.

«Claus temeva che gli avessi teso una trappola» un muscolo guizzò sulla sua guancia. «Ha fatto uccidere Elis perché si sentiva minacciato e voleva dimostrarmi di aver ancora il controllo.»

«Kiran, io...»

«Ho commesso un errore» nei suoi occhi si aprì un baratro senza fondo. «Elis è morto per colpa mia.»

«Non è vero, non dirlo neanche per sbaglio.» Mi tremò la voce. «L'unico colpevole è Claus. Non avresti potuto fare niente in nessun caso.»

«Avrei potuto evitare di mettermi contro di lui. Non l'ho fatto. Ho creduto di poterlo battere. Ed Elis ne ha pagato le conseguenze.»

«Non farlo» lo implorai. «Non lasciare che Claus ti entri in testa. È solo l'ennesimo modo per manipolarti, Kiran. Vuole che tu ti senta in colpa. Vuole che tu sia debole. Vulnerabile. Se gli dai ascolto, Claus continuerà a vincere.»

«Non mi importa di quello che vuole lui» la voce cupa e distante, come se avesse messo in pausa tutte le sue emozioni. O come se fossero talmente tante e talmente intense che nessuna riusciva a emergere sulle altre. «Ma di quello che voglio io.»

«E cosa vuoi?»

«Ucciderlo.»

«Non voglio che tu vada da Claus.» Un dolore sordo cominciò a pulsarmi nel petto.

«Elis era mio fratello.» Le sue parole vibrarono di sofferenza. «Non posso sopportare un altro giorno sapendo che lui è ancora vivo, mentre Elis non saprà nemmeno che Juniper aspetta il suo bambino.»

«E io non posso sopportare di perdere anche te, Kiran. Ho bisogno di te, lo capisci? Non di piangere la morte di un'altra persona che amo. Se ti succedesse qualcosa, non sopravvivrei.»

Il suo sguardo parve ammorbidirsi, come se dentro di sé si fosse risvegliata la premura e la cura che aveva sempre avuto nei miei confronti. Mi si avvicinò fin quando le nostre scarpe non si toccarono. Mi sollevò il viso, avvolgendomi le guance nei suoi palmi.

«Mi dispiace per non esserti stato vicino.» Disse a voce bassa. «Avrei dovuto prendermi cura di te. Avrei dovuto stringerti. Farti sentire al sicuro. Ho fallito e non me lo perdonerò mai. Ma la mia testa non è un posto sicuro in questo momento.»

«Non lasciarmi» lo implorai, chiudendo gli occhi. «Ti prego, Kiran. Resta con me.»

Il calore delle sue labbra premute sulla mia fronte mi impedì di respirare.

«Tornerò da te, Ariadne.» Mi promise.

Ma il mio cuore non ci credette.

«Non è vero.»

«Sì, invece.»

«E se non lo fai?»

«Allora potrai odiarmi per il resto della tua vita.»

🌙

Grazie AI, adesso sì che possiamo soffrire come si deve🤡

Lo so che in questo momento vorreste decapitarmi, lo so, ma vi assicuro che la morte di Elis ha fatto tanto male anche a me. Tra tutti i miei personaggi, lui era uno dei miei preferiti, e forse per questo era destinato a 💀

Come avrete capito, la sua morte non è stata casuale. Era prevista fin dall'inizio, perché Dapdm gira intorno alle storie della mitologia norrena, tra cui una tra le più importanti: quella della morte di Baldur, che rappresenta l'inizio del Ragnarok.

Abbiamo sempre detto che Elis è Baldur. Adesso bisogna capire in che modo la sua morte darà inizio al Ragnarok di Dapdm. Certo, non saranno cieli in fiamme e oceani prosciugati, ma vedrete.

Qualcuno di voi aveva indovinato: Juni aspetta un bambino. Anche qui penserete che sia un mostro crudele e senza cuore, ma non è una scelta casuale, giuro.

Ho un po' paura, adesso. Mi andrò a fare una tisanina, prima di leggere i vostri (non così tanto) dolci commenti😶

Vi aspetto su Instagram per parlarne insieme (se ancora vorrete avere a che fare con me)🙃

Vi voglio bene (sì, è vero, non dite di no)🤍

Juliet🌹

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