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By Theworldsdreamer

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By Theworldsdreamer

Passarono due settimane, due settimane durante le quali Noel non lasciò la sua stanza. L'articolo sul blog di Shade fu eliminato ma la notizia non smise di circolare, le parole saltavano da una persona all'altra quasi fosse una partita di tennis collettiva e la pallina aveva impressa sopra l'immagine di Noel che baciava Julian. Quello che però il ragazzo non sembrava capire, accecato com'era dall'odio verso se stesso, era che nessuno era realmente sconvolto dal fatto che Noel provava attrazione verso un altro ragazzo, quanto piuttosto dal fatto che l'avesse tenuto nascosto a tutti e che avesse tradito a quel modo la sua fidanzata. Era questo ad attirare lo sdegno degli studenti del Campus e se solo Noel l'avesse capito prima, quel giorno dell'ultima settimana scolastica in cui il sole stava alto nel cielo a salutarli, non sarebbe uscito da quella camera con gli occhi rossi e il viso privo di qualsiasi emozione.

Victor lo vide passare silenzioso come un fantasma, ma il fatto che fosse uscito attirò la sua attenzione più dell'espressione allarmante, più dei vestiti che ancora non aveva cambiato o dei capelli che ormai somigliavano a quelli di Grayson.

In quei giorni lui e Kimberly, i suoi due fratelli, erano venuti più volte per tentare di parlargli e come loro anche i suoi migliori amici, Hunter e Mitch, non avevano lasciato che passasse un giorno senza che fossero davanti alla sua porta. E adesso, all'improvviso, Noel era fuori, in cucina a bere un bicchiere d'acqua come se non fosse accaduto nulla.

«Noel! - esclamò Victor prima di rendersi conto di sembrare troppo sorpreso e schiarirsi la gola - Come stai?», gli chiese allora.

Noel non rispose, si voltò e lo guardò. Aveva ancora quella sua spaventosa serietà, ma gli occhi sembravano spenti, appena coperti dalle palpebre e le labbra avevano perso colore.

«Dove vai?», gli chiese poi vedendolo allontanarsi verso l'ingresso.

«Mi serve una cosa.», rispose Noel con la voce gracchiante di chi non parla da giorni, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.

Si guardò intorno, con gli occhi socchiusi e vide la vita continuare a scorrere come se lui non ci fosse. E avrebbe voluto così tanto assecondarla e smettere di esistere. Gli studenti si affrettavano avanti e indietro dalle strutture, con borsoni per chi studiava all'Accademia di danza, tele per chi faceva pittura, costumi di scena per gli attori o pezzi di stoffa per gli stilisti e molto altro.

All'inizio non fecero caso a lui, la vita correva troppo in fretta per soffermarsi su un dettaglio, poi uno alla volta voltarono lo sguardo quasi per caso e...oh, eccola, la nuova attrazione del momento. Lo guardavano in silenzio, mentre percorreva il viale a testa alta, prima che qualcuno lo fermasse.

«Noel?», fu la voce di una ragazza a farlo voltare.

Aveva i capelli neri e ricci, la pelle pallida come se avesse vissuto dentro una caverna per anni e le mani chiuse a pugno. Non l'aveva mai vista e non gli interessava conoscerla, non voleva vederla, sentirla o parlarle. Si voltò e fece per allontanarsi, ma lei parlò ancora.

«Mi dispiace molto. - stava piangendo - Io sono...Sono stata io a caricare la foto, ma non era mia intenzione...non avevo visto che anche tu eri nella foto. L'ho eliminata il prima possibile, ma...», ma nulla si perde su internet, così Charity avrebbe voluto continuare la frase prima che Noel tornasse a guardarla.

«Shade?», sussurrò facendo qualche passo verso di lei. Annuì, con le parole bloccate dalla paura che provava nei confronti di quello sguardo.

«Mi dispiace, davvero.», aggiunse stringendo al petto il computer dal quale aveva premuto quel maledetto invia.

«Ti dispiace? - mormorò Noel facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo per poi ridere appena - Ti dispiace...E dimmi, come ci si sente a distruggere la vita degli altri senza nemmeno avere il coraggio di metterci la faccia?», le chiese allungando il collo verso di lei. Aveva gli occhi lucidi.

«Hai ragione, io...», provò a dire Charity prima che Noel le strappasse il computer dalle mani.

«E sai come ci si sente a vedersi strappata dagli altri una parte della propria vita? - le chiese - Beh, lo scoprirai presto.», Charity lo guardava con gli occhi scuri spalancati dalla paura mentre le ultime parole venivano pronunciate così tanto vicino al suo viso da sentire l'alito del ragazzo accarezzarle l'orecchio.

Noel si allontanò da lei di qualche passo, avvicinandosi alla fontanella al centro della piccola piazza e salendo sopra il muretto con il computer in mano. Guardò tutti quelli che fino a quel momento avevano cercato di ignorarlo negli occhi e sorrise, con una scintilla di follia nello sguardo.

«Shade è una grandissima stronza. - esordì allungando il computer per indicare il corpo della ragazza poco più in là - Lo sappiamo tutti questo, non è vero? Quante volte ha buttato merda su di voi senza il minimo rimpianto? Quante volte ha riempito le pagine di quel blog del cazzo di fatti della vostra vita che dovevano essere soltanto vostri e aggiungendo alla fine un misero "Shade"? - ormai tutti i tentativi di distogliere lo sguardo da lui erano falliti e adesso ognuno lo osservava come se pendesse dalle sue labbra - Una denuncia di verità, la chiama. Io dico che non sa che cazzo fare della sua vita e se la prende con gli altri, perché lei è troppo insignificante, banale, mediocre e scialba per poter trovare interesse in se stessa. Non è vero, Shade?», domandò poi rivolgendo pubblicamente lo sguardo verso Charity, che si ritrovò addosso centinaia di altri occhi mentre piangeva per le parole affilate di Noel.

Rimase a osservarla per alcuni secondi, con cattiveria, poi lasciò cadere il computer nell'acqua e sorrise. Avrebbe potuto restare lì per ore a godersi il potere delle sue parole, se Kimberly non avesse iniziato a tirarlo per un braccio per farlo scendere.

«Sei appena uscito dalla tua stanza e combini già casini?», gli chiese tra i denti trascinandolo via.

Kimberly era la terza gemella, uscita per ultima dall'utero della madre ponendo fine alle sue sofferenze, e quindi etichettata come sorella minore dai due più grandi. Aveva lunghi capelli, neri come quelli dei fratelli, e due occhi azzurri che avrebbero potuto mettere chiunque in soggezione, portava sempre un paio di cuffie appese al collo e vestiva da uomo con quei pantaloni cargo militari e una canottiera nera senza alcuna fantasia.

«Non toccarmi.», le disse scrollandosi la sua mano di dosso e continuando a camminare, lasciando Charity in balia di studenti rancorosi nei suoi confronti.

«Stai esagerando, Noel.», rispose Kimberly camminandogli al fianco.

Da troppo tempo non andavano più d'accordo. Kimberly sembrava esistere al solo fine di innervosirlo, di farsi piacere tutto ciò che Noel ripudiava, come manifesto al suo opposto.

«Vattene, Kim.», la chiamava così da quando erano piccoli e non aveva più smesso, neanche quando tutti avevano iniziato a chiamarla Hurricane, per quel carattere forte che si scontrava sempre con il mondo. Forse su quello avrebbero potuto essere simili.

«Senti, io non so che cosa ti passi per la testa. - gli disse - So che a volte sei così ottuso da sembrare papà. Non devi avere paura Noel, ormai puoi amare chi vuoi.», Kimberly non era nella mente di Noel, non sapeva che cosa aveva bisogno di sentirsi dire, nessuno lo sapeva e forse nemmeno lo stesso Noel. Si limitò a guardarla, per poi allontanarsi e lasciarla lì, da sola.

Non ci volle molto per raggiungere il Polo di musica dal suo appartamento. E, presto, riuscì anche a individuare la figura che stava cercando fin dall'inizio.

Ezra Bender, chiamato anche Mouse, era appena uscito da lezione. Aveva i capelli tinti di bianco con i segni di ricrescita sulla nuca che lasciavano intravedere il suo castano originale. Teneva lo zaino nero su una spalla, le mani nelle tasche dei pantaloni larghi e una sigaretta spenta tra le labbra. Camminava piano, come se anche un solo respiro gli provocasse un immenso dispendio di energie e lo sguardo annoiato vagava per il Campus in cerca di una qualsiasi cosa che potesse illuminarlo, cosa che però sembrava non arrivare mai. Poi incontrò gli occhi di Noel e alzò un sopracciglio.

«Oh, la nostra celebrità. - sorrise lentamente - Che cosa vorrà mai da un semplice topo come me.», mormorò prima di accendersi la sigaretta e sbuffare la prima nuvola di fumo.

Noel non si lasciò impressionare dai suoi commenti, sapeva del veleno in cui Ezra tendeva a intingere le sue parole.

«Dammi qualcosa.», gli disse stringendo i denti.

«Qualcosa? - Ezra inclinò il capo - Qualcosa...Ho solo un accendino con me e...ah, sì una penna. È nuova, se vuoi te la regalo, tanto non prendo appunti.», i suoi occhi castani brillarono appena, di divertimento, ma Noel non lo assecondò.

«Sai di cosa parlo.», insistette.

«E tu sai che cosa io voglio in cambio...non è vero?», sospirò Ezra lasciando che la cenere della sua sigaretta cadesse dentro un cestino al suo fianco e alzando ancora una volta lo sguardo su di lui.

«Qualcosa di forte.», aggiunse Noel frugando tra le tasche e tirando fuori qualche banconota. Ezra rise divertito, nell'osservare le sue mani tremare.

«Ma cosa fai? - gli chiese scuotendo la testa e facendo oscillare quell'orecchino che gli pendeva dal lobo sinistro - Qui davanti a tutti? Qualcuno potrebbe vederci e, chissà, scrivere un articolo.», le parole abbandonarono le sue labbra con gusto, mettendo a dura prova la pazienza di Noel.

Non sapeva molto di Ezra e la sua persona era costruita nella sua mente soltanto attraverso dicerie. Ezra spacciava, Ezra non aveva amici, Ezra era tanto pungente da spingere anche il più forte dei bruti a piangere rannicchiato in un angolo.

«E dove, allora?», gli chiese Noel spazientito. Voleva soltanto sopprimere per qualche ora quella sensazione che lo schiacciava dall'alto, quella sensazione che non riusciva a vedere con gli occhi, alla quale non riusciva a dare un nome, ma che lo stava sventrando lentamente.

«Vieni con me.», rispose Ezra prima di superarlo e avviarsi con calma verso gli appartamenti del conservatorio, da dove Noel era partito per cercarlo.

Lo seguì, insofferente, e con le mani che gli prudevano lo osservò scegliere la chiave giusta da infilare nella serratura del suo appartamento. Aveva quel principio di sorriso all'angolo delle labbra che lo faceva innervosire il giusto per non voler rivederlo mai più.

Entrò con lui e osservò quell'appartamento così identico al suo, prima di stringere i soldi tra le dita.

«Vivi da solo?», gli chiese. Non gli importava realmente, voleva soltanto dargli l'impressione che Noel non pendeva dalle sue labbra, che non era vero che aspettava altro che il suo aiuto.

«Già.», rispose Ezra buttando lo zaino sul tavolo della cucina.

«Come mai?», Noel si affrettò a raggiungerlo, con le banconote che quasi minacciavano di scappargli dalle mani per finire tra quelle di Ezra.

«Ho ucciso il mio coinquilino.», rispose alzando appena lo sguardo su di lui. Il suo tono era serio, la sua espressione denunciava il contrario.

«Avanti, sto aspettando.», gli disse allora Noel lasciando i soldi sul tavolo. Ezra le guardò, come se al posto degli occhi avesse un rilevatore di banconote e, una volta accertatosi che fossero vere, aprì un cassetto della cucina e ne tirò fuori un sacchettino pieno di polvere bianca.

«Beh, divertiti.», gli disse poggiando le mani sul piano da lavoro e osservando le dita di Noel sfiorare il sacchetto trasparente come se non ne avesse mai visto uno.

«Vuoi una mano?», gli chiese poi vedendolo incerto. Noel aveva perso quel suo carisma, quel suo potere e adesso era soltanto patetico. Lo guardò aggrottando le sopracciglia e fermandosi dal volergli effettivamente chiedere aiuto.

«Da' qua. - lo esortò allora Ezra come se volesse insegnare un gioco a un bambino - Ti sentirai meglio.», sorrise aprendo la busta per lui e buttando un po' di quella polvere sul tavolo.

Con cura si mise a sistemarla in una sottile striscia lunga quanto una falange, mentre Noel guardava estraniato le sue dita lavorare come si guardava un programma televisivo sulla produzione di un farmaco. Ezra gli prese una cannuccia e gliela porse, gli disse che sarebbe stato più facile, gli disse che doveva mettere un'estremità a contatto con la polvere e l'altra con la sua narice e inspirare più forte che poteva.

Noel lo fece e sentì quei minuscoli corpi estranei entrargli nel naso. Non provò nulla in quel momento, nessuna magia, nessuno schiocco di dita in grado di far svanire quella sensazione opprimente e strinse le dita, arrabbiato.

«Dalle tempo. - gli disse Ezra, intuendo i suoi pensieri - Prova questa, intanto, aiuterà.», aggiunse poi allungando verso di lui una sigaretta appena rollata.

Noel la prese e se la portò alle labbra, mentre Ezra la accendeva per lui. Guardò per pochi secondi il suo sguardo colmo di malizia mentre la fiamma serpeggiava tra di loro, poi si allontanò lasciando andare anche il fumo.

Passò il tempo e Noel ed Ezra si ritrovarono a passarsi la sigaretta seduti sul vecchio divano con i piedi sul tavolino e le menti leggere.

«Fanculo a tutto.», borbottò Noel all'improvviso, spostando appena lo sguardo sul viso di Ezra rivolto verso l'alto, con la testa abbandonata sullo schienale del divano e gli occhi chiusi. Le sue labbra si distesero in un sorriso e il pomo d'Adamo si mosse appena, spinto dalla saliva.

«Fanculo a tutto.», gli fece eco passandogli la sigaretta.

«Vorrei soltanto essere normale. - rispose Noel che stava già iniziando ad accusare i primi sintomi della droga - Mio padre mi odierà.», aggiunse aspirando a occhi chiusi.

«Nessuno può essere normale. - rispose Ezra - C'è sempre qualcosa di straordinario.», Noel non capiva di che cosa stesse parlando, ma annuì.

«E tu cos'hai di straordinario?», gli chiese Noel guardandolo con la coda dell'occhio.

Odiava sentire attrazione per quel ragazzo magro e pallido, odiava sentire la sua vicinanza così opprimente, gli veniva da vomitare. Poi, all'improvviso iniziò a sentirsi potente, invincibile e da lì, fu soltanto una catena di eventi destinata a finire mozzata dalle lame affilate di un tronchese.

«Io? - Ezra si voltò a guardarlo, i suoi occhi rimanevano vuoti, annoiati - Io sono Ezra Bender. Non basta?», sussurrò riprendendosi la sigaretta e sorridendo di quelle pupille dilatate, di quello sguardo allucinato e sorpreso che illuminava il volto di Noel.

Quest'ultimo, però, non lasciò che la sigaretta si avvicinasse ancora una volta alle labbra di Ezra, perché gli prese il viso tra le mani e lo baciò con insistenza. Ezra lo assecondò, prima di allontanarsi e riprendere fiato e poi guardò quell'espressione sconvolta che Noel mostrava in reazione alle sue stesse azioni.

«Ho scopato uomini e ho scopato donne. - gli disse Ezra - Il piacere rimane lo stesso.», Noel non capiva quello che Ezra stava cercando di dirgli, non capiva che il messaggio era quello di non soffermarsi sul genere della persona che aveva davanti perché alla fine il risultato sarebbe stato lo stesso. Era quello che Ezra provava nei confronti di chiunque.

Poi si avvicinò ancora a Noel e catturò le sue labbra, dopo aver abbandonato la sigaretta dentro il posacenere, stuzzicandolo con la lingua e cercando con le mani quell'eccitazione che sentiva oltre il tessuto dei pantaloni. Si mosse, sempre più veloce, sfiorando e stringendo fin quando dalle labbra di Noel non uscì quel piacere che provava dentro di sé, una volta arrivato al culmine, una volta che smise di opporre resistenza e si lasciò andare tra le mani di Ezra.

I due avevano il respiro affannato, i nasi si schiacciavano a vicenda e le labbra si sfiorarono senza cercarsi ulteriormente. Noel si spaventò e pianse, poi lo allontanò facendolo cadere sul tappetto pieno di polvere, si allacciò il bottone dei jeans e corse fuori da quell'appartamento, in preda alla famosa fase down che portavano gli effetti della cocaina, alla tristezza a cui alternava momenti di apatia.

Corse fuori, cercando aria, cercando pace ma questa non venne e, al contrario, dopo essere stato accecato dal sole e aver riaperto gli occhi ritrovò davanti Mitch, seguito da Hunter in compagnia di un ragazzo che Noel aveva conosciuto bene. Isaac Taylor era stato un suo amico di infanzia e anche nell'adolescenza ma che aveva perso nel corso degli anni, nel corso della vita. Isaac dovette affrontare alcune situazioni familiari che non lasciavano spazio alle amicizie e Noel se l'era presa terribilmente con lui per questo, lo aveva perseguitato assumendo un ruolo diverso da quello dell'amico. Nonostante ciò, Hunter - anche lui cresciuto con loro - era riuscito a mantenere con lui quei buoni rapporti che Noel aveva smesso di cercare e adesso gli sorrideva come avrebbe sorriso anche a Noel, come se non fosse cambiato nulla tra di loro.

«Noel!», esclamò Hunter nel momento in cui lo vide. Gli occhi gli presero a brillare, forse per la preoccupazione, forse per la gioia di rivederlo, non ne aveva idea e non gli importava.

«Bro, finalmente sei fuori.», aggiunse Mitch dandogli una pacca sulla spalla. Voleva essere amichevole, ma quella paranoia che Noel continuava a provare adesso era amplificata e leggeva in quei sorrisi le stesse prese in giro che lui stesso si era fatto.

«Eravamo così preoccupati per te.», Hunter si avvicinò timoroso nel notare i suoi occhi rossi, il suo respiro veloce e quelle pupille dilatate che coprivano gli occhi azzurri di cui si era infatuato tempo prima.

«Non mi dire.», mormorò Noel lanciando un'occhiata ad Isaac, rimasto qualche passo indietro. Era cresciuto e anche i suoi capelli neri si erano allungati fino ad accarezzargli le spalle, ma gli occhi scuri sembravano essere rimasti gli stessi tanto tempo prima e avevano conservato quella serietà che nascondeva spesso una snervante tenerezza.

«Noel...Lo sai che ci siamo per qualsiasi cosa, possiamo starti vicino. Io posso starti vicino. - mormorò Hunter scrutando il suo viso illuminato dal sudore - Mi manchi terribilmente.», le parole iniziarono a vorticargli intorno alla testa e Noel rise sprezzante.

«Starmi vicino? - quasi sputò quelle parole - Io non lo voglio uno come te vicino.», fece un passo indietro, ma barcollò e si poggiò al muro, prima di osservare l'espressione confusa di Hunter.

«Uno come...Ma, Noel tu...», provò a dire, ma Noel lo bloccò.

«Mi fai schifo! - gridò - Sei sempre stato così inutile, spaventato, cammini con questi vestiti larghi come se ci volessi sparire dentro. Non ti voglio vicino. Io ti manco? Eh? Vai a farti fottere da qualcun altro Hunter.», Hunter sussultò man mano che le parole abbandonavano le labbra di Noel con un tono sempre più aspro e avvelenato.

«Ehi!», esclamò Mitch spalancando quegli occhi eterocromatici che lo facevano sembrare ancor più matto di quanto già non fosse.

«Non esagerare, Noel.», si intromise Isaac con la sua voce profonda, riservandogli quello sguardo che Noel odiava così tanto. Gli tremavano le mani, le gambe, tutto il corpo, era nervoso, terribilmente nervoso.

«Io? Esagerare? - gli chiese - A me sembra che tu di esagerazioni ne conosca ben altre non è vero? Come sta la tua mamma, Dagger? - lo chiamò con quel soprannome sprezzante che aveva iniziato a dargli alle superiori - Non dovresti tornare a tagliarti e a farti i cazzi tuoi?», le parole uscirono proprio come pugnali, una dietro l'altra, lasciando che lo sguardo di Isaac si riempisse di consapevolezza e che spezzasse una volta per tutti ogni legame che aveva avuto con quel ragazzo.

«Non hai...alcun diritto di dire queste cose.», Isaac respirò piano, mentre teneva il mento alto, guardandolo dall'alto come si poteva guardare un moscerino. Le sue braccia erano incrociate e i denti stretti facevano guizzare la mascella sotto la pelle, come unico segno del suo nervosismo.

Noel rise ancora, senza alcuna ragione, e poi si allontanò, stanco di quella conversazione, stanco di quelle persone, stanco di stare male, stanco di essere nervoso, stanco di avere paura, stanco dei tremori e bramava quella sensazione iniziale di potere e di forza che aveva avuto dopo aver assunto la droga.

Ignorò Hunter che stava cercando di fermarlo, i passi di Mitch dietro di lui, gli sguardi di tutti gli altri che lo guardarono entrare al conservatorio, attraversare i corridoi e salire quelle scale quasi nascoste, spoglie e dai gradini alti che avrebbero portato sempre più in su, dove avrebbe voluto stare.

Aprì la porta di servizio e osservò il cielo che gli si figurò davanti, era azzurro, spoglio di ogni nuvola e il sole rideva di quel suo stato di paranoia. Stava sudando e aveva fame, dietro di lui la porta lasciò passare anche Mitch e Hunter, ma Noel era già seduto sul bordo a guardare giù.

Sentì Hunter parlare al telefono con Grayson e vide lì sotto lo sguardo di Isaac rivolto verso l'alto. Pianse e si passò una mano sul viso, cercando di strappare quella pelle che non voleva più indossare, poi sentì arrivare Grayson alle sue spalle e vide Janette e Kimberly lì sotto i suoi piedi, sarebbe bastato spostarli appena per coprirle dalla sua visuale. Anche Victor e Julian arrivarono in contemporanea a guardare quello spettacolo che stava offrendo loro. Eccomi, avrebbe voluto urlare, vi diverto? Eccomi!

«Ehi, amico. - provò a dire Mitch facendo un passo verso di lui - Vieni qui, per favore.», Noel sentiva le sue parole distanti e nemmeno si voltò a guardarlo.

«Noel, che cazzo stai facendo?», Grayson si era avvicinato troppo e adesso Noel era in piedi, per allontanarsi da lui. Grayson si bloccò e alzò le braccia per dimostrare al fratello che non avrebbe fatto nessun altro passo verso di lui.

«Vi odio tutti. - disse guardandoli e urlò per farsi sentire anche di sotto, con le lacrime agli occhi - Vi odio tutti.», ripeté perché una volta non gli era sembrata abbastanza.

«Mi dispiace, Noel. - le mani di Grayson tremavano - Ti prego...Ti prego allontanati da lì.», cercò di convincerlo, con ancora le braccia alzate.

«No! Stammi lontano, stammi lontano!», urlò verso di lui e fece un passo indietro perdendo appena l'equilibrio. E con il fiato sospeso tutti lo guardarono raddrizzarsi.

«Basta, chiamo la polizia.», disse Hunter portandosi il telefono all'orecchio. Noel lo sentì soltanto mormorare mentre guardava di sotto, guardando quella piccola piazzetta dove aveva speso tanti dei suoi passi.

Adesso era piena e tutti lo stavano guardando. Aveva innumerevoli occhi puntati addosso e Noel si chiedeva che cosa si potesse provare prima di morire. Ti passa davvero tutta la vita davanti?

«Ne possiamo parlare, Noel. - gli disse Grayson - A papà ci penseremo io e Kimberly, non devi preoccuparti.», non sapeva più cosa fare e guardava Mitch con il panico negli occhi in una silenziosa richiesta di aiuto.

Noel scosse la testa, scosse la testa per scacciare almeno una parte di quei tanti pensieri, cercando di riuscire a vedere che cosa gli impedisse di credere a quelle parole, ma fece un passo falso e un semplice sassolino fece perdere la presa alla sua scarpa.

Perse davvero l'equilibrio, questa volta, e realizzò con tristezza che non c'era tutta la vita a scorrere davanti ai suoi occhi. C'era Grayson che allungava la mano verso di lui, sporgendosi oltre quel bordo di cemento, c'era Mitch che lo teneva, c'erano Kimberly e Janette che urlavano, c'era il sole come ulteriore testimone e poi...

«Noel!», urlò Hunter raggiungendo Gray, ma ormai il corpo di Noel giaceva immobile sulla piazza immerso nel suo stesso sangue, nelle sue stesse paure, nelle sue stesse angosce che lo avevano portato a quell'autosabotaggio, alla morte. Noel Sanford, aveva ottenuto ciò che voleva, Noel Sanford aveva davvero smesso di soffrire, ma si era lasciato indietro i dolori di tutti gli altri ragazzi che lo avevano conosciuto.

Ciao!
Il prossimo capitolo sarà lunghetto, vi avviso già adesso così potrete dividervelo nel caso.
Mi spiace, ma non ho potuto fare altrimenti!
~🐝

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