GAME OVER

By supergiaa

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Stephanie Dickens deve trasferirsi a Seattle, nella casa che suo nonno ha lasciato in eredità, una volta vola... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
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Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Epilogo - Un anno dopo

Capitolo 49

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By supergiaa

Carter






Lancio il cellulare contro la parete, arrabbiato a morte, ma la mano di Danny è più rapida e lo afferra prima che possa schiantarsi e rompersi in mille piccoli pezzi.
«Gli passerà, vedrai» dice poi, piantando la spalla contro lo stipite della porta.
Mi aggrappo agli angoli del lavandino, per poi spostare lo sguardo sul mio riflesso allo specchio. Respiro profondamente, allargando le narici, prima di pronunciare: «Rifiuta tutte le mie telefonate, cazzo.»
Mi sento devastato. Non ho mai avuto intenzione di prenderlo per il culo, al contrario di quello che pensa. Non ad un amico come lui, che alla prima occasione si è fatto in quattro per me, senza chiedere niente in cambio.
Ma come glielo spiego che mi sono fottuto il cervello per sua sorella? Che questa ragazza è stata in grado di farmi mettere in dubbio tutto quello in cui ho sempre creduto, che per la prima volta ho sentito di essere nel posto giusto. Che, soprattutto, non è stato calcolato.
È successo e basta.
Ed è stato un vero casino, più grande di quelli che combino di solito. Perché non ho saputo gestirlo, non ho saputo tirarmi indietro al momento giusto. Me la sono cercata.
La voce di Kevin interviene, sbucando dal corridoio. «Dagli un po' di tempo, almeno lui ne ha.»
Cerca di ironizzare la situazione, puntando sulla sua, che effettivamente è di gran lunga peggiore. Alla fine Rebekah ha deciso di tenere il bambino, di comune accordo con i suoi genitori. Gli hanno detto che non si aspettano niente da lui, neanche il mantenimento. Ma Kevin non ha intenzione di fingere che non sia una sua responsabilità, com'è giusto che sia. Ha deciso di assistere a tutte le ecografie con gioia, di seguire il parto e di non abbandonare il sangue del suo sangue. Anche se, comunque, è un grande peso per lui. Lo so bene, seppur cerchi di mascherarlo.
«Andiamo, domani sentirai battere per la prima volta il cuore di tuo figlio» lo incoraggia Danny.
«O figlia» sottolineo.
Lui tenta di contenere le emozioni contrastanti. «Sì, alle cinque, se non mi viene un infarto prima.»
Danny lo colpisce con una pacca sulla spalla, incoraggiandolo. «Andrà bene.»
«Lo spero proprio, cercate di farvi trovare al parcheggio della clinica, quando uscirò» ci invita.
E ci saremo. Perché siamo una squadra e non possiamo lasciarlo da solo. Vorrei che anche Jordan si presentasse, ma non ci conto più di tanto.

Accetto la famosa telefonata di mia zia Lisa, quando dopo la quarta volta capisco che non ha intenzione di lasciarmi in pace.
Aggancio il cellulare tra la spalla e l'orecchio, mentre svuoto la mia vescica, nel bagno della scuola.
La sua voce è identica a come la ricordavo. «Carter, finalmente!» esulta.
Sbuffo. «Che c'è?»
«Sto venendo in città, sono passata da tua madre e dice che le manchi tanto» dichiara.
Tiro su la zip dei jeans. «Non puoi stare da noi.»
«Ma figurati se...» si blocca. «Tanto rimango solo per un giorno» si corregge.
Ma so cosa avrebbe voluto dire. Non vuole vedere mio padre, anche lei lo detesta con ogni molecola del suo corpo.
«Per fare cosa?»
«Devo parlare con Shein e ci sarai anche tu.»
Il fiato mi muore in gola. «Zia Lisa, qualunque cosa ti abbia detto, lascia stare.»
Un rumore metallico arriva alle mie orecchie, come una portiera che sbatte. «No invece, sei mio nipote e ho intenzione di fare quello che è meglio per te.»
«Me la cavo benissimo» gracchio.
«Non sembra» ribatte. «Ti mando la posizione, vedi di essere puntuale per le sei.»
Riaggancia senza aspettare risposta da me, come suo solito fare. Sa che altrimenti le riempirei la testa di infinite scusanti, pur di non vederla.
Ma questa volta ho davvero un impegno, e Kevin viene prima di tutti loro, specialmente se so già che si tratterà soltanto di un'altra stronzata.
Quindi che si fottano pure!

Dopo aver parlato con Danny, mi ha convinto ad anticipare l'appuntamento. Dice che è inutile farla incazzare, che tanto vale levarsi subito il pensiero. E ha ragione. Meglio tagliare subito la testa al toro.
Così mi presento ad uno degli appartamenti che appartiene alla famiglia Ortiz, che affitta di solito come casa vacanza. Il vetro della finestra è aperto, quindi deduco ci sia già qualcuno dentro.
Mi avvicino alla porta ma la mia mano si blocca sulla maniglia, quando un paio di gemiti arrivano alle mie orecchie.
Probabilmente quel pervertito di Shein si sta svuotando le palle con una delle tante escort a sua disposizione. Così busso.
Peccato che sia proprio mia zia ad aprire la porta, chiusa in una vestaglia che nasconde chiaramente la mancanza di indumenti sotto. I suoi capelli sono spettinati, il suo viso è arrossato. E capisco.
«Carter, non ti aspettavo così...»
Scoppio a ridere. «Presto? Se invece di scopare con l'ex di mia madre avessi risposto al cellulare, lo sapresti!»
La sorpasso e mi aspetto di trovare Shein, con quella solita faccia da cazzo. Invece no. C'è solo Ruttell.
Rimango perplesso, mentre la sua testa calva dondola lentamente e il suo sorriso si allarga sempre di più.
«Non ho alcun interesse verso gli uomini con cui è stata mia sorella, te lo posso assicurare» precisa mia zia, raggiungendomi in salotto.
Deglutisco e mi volto verso di lei. «Rimani pur sempre in famiglia, insomma.»
Scrolla le spalle. «Mi dispiace, non avrei voluto che lo scoprissi in questo modo.»
«Certamente» incrocio le braccia al petto. «Ora arriviamo al dunque, non ho tutto il giorno e non mi interessa da chi ti fai scopare.»
Ruttell si alza dalla poltrona. «Ehi, mostra un po' di rispetto, ragazzino.»
Gli lancio uno sguardo truce da sopra la spalla. «Fatti i cazzi tuoi.»
L'uomo compie un passo verso di me, minaccioso. Mia zia interviene e lo prega di accomodarsi di nuovo, dicendo che va tutto bene.
Io rimango immobile, ad osservarlo con aria di sfida. Perché non mi fa paura. Ormai sono pronto a tutto.
«Io e Ruttell facciamo sul serio, Carter. Ho pensato che potremmo prenderti noi in custodia» getta fuori così.
Credo di aver capito male, inizialmente. Poi le loro espressioni serie mi sbattono in faccia la realtà. Ed ecco che esplodo.
Sembro isterico, non in me. Mi avvicino a mia zia, siamo faccia a faccia. «Puoi togliertelo dalla testa» ringhio.
Lei cerca di sfiorarmi il viso, io mi ritraggo. I suoi occhi diventano tristi, ma è soltanto una farsa. Non ha alcun senso, cazzo!
«Carter, è la cosa migliore per te» replica.
Rido. I miei occhi spiritati. «Non sai un cazzo, tu! Arrivi così, un giorno come tanti, ti fai abbindolare dalle parole di questi due pezzi di merda e... sai cosa? Sei proprio un caso perso, proprio come mia madre!»
La sua mano scatta contro la mia guancia, lo schiocco di uno schiaffo rimbomba tra i muri. Mi trattengo con l'ultima briciola di autocontrollo che possiedo, non reagisco.
«Non parlare così di me, e nemmeno di tua madre. Guardati, sei così perso...»
Il cuore batte forte contro la mia gabbia toracica. Vorrei prendere tutto a calci, distruggere ogni mobile presente in questa casa, ammazzare loro e porre fine a questa forma di manipolazione mentale.
«No, guardati tu. Non sei schierata dalla parte giusta» urlo.
Allarga le braccia. «Ti mantengono!»
Una risata amara sfugge dalle mie labbra. «È questo che ti hanno detto?»
«E da dove prenderesti i soldi, sennò?» Ruttell interviene.
Perché ovviamente non mi permetterebbe mai di dire a mia zia la verità. Ovvero che mi usano a loro piacimento, che mi tengono in ostaggio piuttosto che uccidere mio padre a sangue freddo.
Mi lancia uno sguardo d'avvertimento, che soltanto io posso comprendere. Perciò faccio quello che devo, cioè rimanere in silenzio e farli vincere, ancora una volta.
«Non abbandonerò mio padre» dichiaro in conclusione.
Faccio per andarmene da lì, con i nervi ancora a fior di pelle, quando la voce di mia zia mi inchioda sull'uscio della porta.
«Per favore, pensaci. Lo rinchiuderemo in qualche centro di recupero e tu potrai finalmente vivere la tua vita.»
La ignoro. Perché questa è un'altra menzogna che le hanno inventato. Non gli permetterebbero mai di vivere, senza nessun riscatto in cambio.
Ma adesso ho capito che non è più me che vogliono, non gli basto più. Vogliono trovare la strada per toglierlo di mezzo, per sempre.
Non glielo permetterò.

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