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By Resanthemum

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What If nell'universo di Tokyo Revengers: se le ragazze avessero avuto più spazio, fondamentalmente. La stori... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 1 - parte 2
Capitolo 2
Capitolo 2 - parte 2
Capitolo 2 - parte 3
Capitolo 3
Capitolo 3 - parte 2
Capitolo 3 - parte 3

Capitolo 1 - parte 3

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By Resanthemum

In rari momenti di tiepido pomeriggio, l'aria meno pesante circondava il parco di Yoyogi donando un placido silenzio con solo appena percettibile il rumore dei passi. Popolato maggiormente in primavera, con l'elegante fioritura di ciliegi, nelle fredde stagioni sembrava perder fama per alcuni ma non certamente tutti: sotto degli alberi spogli, in un stretto sentiero tra terra e ciottoli, passeggiavano le due ragazze a ritmo lento, ammirando le peculiarità dell'inverno. Le tonalità fredde di arbusti e orizzonti contrastavano con loro due dalle gradazioni più varie, dal mogano delle borse a tracolla all'arancio dei larghi maglioni in lana. Gli stivaletti imprimevano il terreno umidiccio lasciando un lieve segno indietro, constatando come anche il passo delle ragazze sembrasse coordinato perfettamente.

Tra le mani un fumante manjū stracolmo di confettura, differente per entrambe, mentre nella borsa alcune bevande al thé erano già state consumate, più una scusa per collezionare le stravaganti lattine.
Più i tempi stringevano più le due ragazze si sentivano unite, condividendo anche i dolcetti stessi per constatare i sapori diversi; dalle cose più piccole e banali alle più importanti.

Il flusso di coscienza di Himari si arrestò allo scrutare l'ennesima figura longilinea e bionda, far capolino da dietro un albero, risultando poi solo una coppia di innamorati che sorridevano e si tenevano per mano.
Scosse la testa, tentando invano di non ricadere sullo stesso pensiero almeno per un frangente, che persino in compagnia di Hidemi sembrava persistere.

«Non mi fa impazzire il tuo, è troppo delicato, non sento molto sapore», Hidemi inghiottì l'ultimo pezzetto, pulendosi le dita in seguito.

«A furia di mangiare dolci sentirai sempre meno gli altri sapori!» Ridacchiò Himari sforzandosi, spingendola con una spalla.

«Mhm... Sarà!»

L'atmosfera tenue e silenziosa mutò lentamente, permettendo le due ragazze di accorgersene quasi nell'immediato; le nuvole coprirono totalmente il cielo, sembrava esser già scesa la notte.
Non tardò a preannunciarsi altro freddo, altro vento, scostando foglie secche dal terreno e alcuni volantini sparsi, scivolati via dai lampioni.

«È meglio tornare a casa... Ti va di fermarti da me per studiare?» Propose Hidemi, scrollando l'amica per una spalla, imbambolata.

«C-certo, va bene... Facciamo un'altra strada. Non là», avvertì lei, senza distogliere lo sguardo fisso davanti a sé. Gli occhi spauriti palesavano l'ansia raccolta in tutti quei giorni e anche allora non riuscì a spostarsi, a indietreggiare, a muovere un singolo muscolo.

Una banda di motociclisti sostava all'entrata del parco, la stessa dell'altra volta. Colse meglio i dettagli delle loro uniformi bianche, lunghe, con un acronimo e un drago nero cucito sulla schiena. Erano almeno una decina e tra loro il ragazzo biondo presente, con fare serio e minaccioso distante dall'apparenza neutra in caffetteria. Il terrore invase nuovamente Himari, anche se solo per un istante le era sembrato un ragazzo qualunque quel giorno.

Ricordò le urla di un ragazzo, nel buio di quel quartiere isolato. Il gruppo con varie armi in mano, il rombo delle moto in partenza, l'aria fredda che colpiva gli occhi di lei umidi.

E anche ora, era lì pietrificata. Voleva scappare ma non ci riusciva. Sembrava assurdo ma non riusciva a indietreggiare di un passo, temendo per lei, per Hidemi, per entrambe. Si presentò un deja-vu quando la ragazza bionda raccolse la mano dell'amica, correndo via in direzione di un vicolo più affollato, più sicuro, dalla parte opposta. E fece l'errore di voltarsi, notando un paio di loro seguirle accendendo prima le moto.

Col cuore in gola, Hidemi aumentò il passo trascinando pesantemente Himari. Non c'era tempo di pensare, di parlare, l'unica via era immischiarsi nella folla di persone più vicina a loro, mimetizzarsi nel pubblico.

Le volanti non passarono.
Una moto tagliò la strada alle due ragazze, fermandosi a mezzo metro più avanti.  Un tipo trasandato e con alcuni tagli superficiali sul volto le squadrò da capo a piedi, mantenendo lo sguardo rigido e inquietante. Non proferì parola ma, al suo posto, intervenne un altro seduto dietro di lui, totalmente diverso per aspetto e modi: con fare rilassato si mise in piedi, sbuffando.

Hidemi si guardò intorno in cerca di vie di fuga, invano. Tutta quella situazione sembrava così surreale ai suoi occhi.

«Siete le tipe dell'altra sera, dannazione... Non possiamo lasciarvi andare, insomma» blaterò quell'ultimo, scuotendo la testa.

«Non c'entriamo nulla!» Osò gridare Hidemi, con tutta la rabbia in corpo. Digrignò i denti, indietreggiò di un passo all'avanzare del ragazzo.

E Himari, dietro di lei, non riusciva a dire o fare nulla.

«Non possiamo permetterci che si venga a scoprire di quello là, ne risentiremmo tutti», continuò il tipo, restando sul vago. La presunta vittima di quell'accaduto era sconosciuta alle due, a stento avevano distinto solo la sua figura maschile e udito grida di dolore, ovattate dall'ambiente circostante.

Non le avrebbe creduto. Hidemi tentò, invano, già sul punto di fuga. Uno scatto, uno scatto all'istante perfetto e sarebbero scappate via, li avrebbero seminati in qualche modo, ne era certa.
Puntò il piede sinistro come perno e attese. Il respiro profondo sovrastò i suoi pensieri. La stretta al polso di Himari divenne più salda.

«Mi disp-» avanzò lui brutale con un pugno alzato ma un calcio arrivò, rapido come un lampo, sul fianco sinistro del teppista. Lo scosse tanto che perse l'equilibrio, cadendo di schiena e sputando saliva.

Una figura femminile, slanciata, forte ma al tempo stesso leggiadra nelle sue movenze, si arrestò sul posto ancora in guardia, dopo aver sferrato quel calcio laterale. La gonna seguì il suo moto, sollevandosi appena, gli scaldamuscoli scesero asimmetrici.

«Tsk, fate proprio schifo» Commentò acida, con tono profondo e un'espressione corrucciata. Una ciocca dei capelli ramati, incredibilmente lisci e lunghi, si apprestò a caderle davanti un occhio dalle tonalità di un miele quasi magnetico.

Con un cenno indicò alle due ragazze la strada alle sue spalle, fuggendo via e incanalandosi in strette parti, normalmente inaccessibili, per riuscire direttamente sul retro della propria casa. Le invitò dentro e chiuse a chiave la porta, spostando le tende e salendo nella propria camera tutto d'un fiato.

«G-grazie... Davvero» Pronunciò Hidemi incerta, quasi in un sibilo, notando la giovane ispezionando ancora attorno con fare tedioso.

Crollò sulle ginocchia, sospirando.
Fissò entrambe con uno sguardo quasi più minaccioso di quei tipi stessi, quasi in procinto di urlarle contro da un momento all'altro.

«Incoscienti! È rinomata quella zona per i Black Dragon, ormai è una cosa che sanno tutti letteralmente», Rimproverò loro aspramente, acquietandosi poco dopo. L'espressione allibita delle due ragazze accennò una confusione grande, tale dal far capire nell'immediato quanto sapessero riguardo quel mondo così particolare ma per lei purtroppo tanto vicino.

«Black... Dragon?» Ripeté Hidemi.

«Una gang di delinquenti abbastanza rinomata, non si fa scrupoli neanche nel ferire le ragazze. Affatto. Sono tutti così violenti e irrazionali che... Mi fanno venire tanta rabbia...» Serrò i pugni, fissando nel vuoto.

Un minuto dopo si ricompose però, aggiungendo con tono meno rigido: «non... Non ci siamo mai parlate prima, io sono Shiba Yuzuha.»

«Ueno Hidemi...» La bionda lanciò un'occhiata all'amica sovrappensiero; dalla fuga Himari non aveva aperto più bocca e si limitava nel rimuginare ancora e ancora, in un turbinio di rimpianti senza fine. Come al solito.
Strinse i pugni sulle ginocchia celando il lieve tremore ma le lacrime la tradirono, corsero via senza tregua tra i singhiozzi.

Anche allora, anche allora qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere e lei... lei era rimasta indietro. Spaventata. Se non avessero incontrato Yuzuha non sarebbero state lì, salve. Al sicuro.
Non aveva il coraggio di guardare Hidemi negli occhi, né tantomeno di rispondere alle parole lontane di Yuzuha; tutto il mondo circostante era lontano da sé ancora una volta.
Ancora, ancora e ancora.
Ancora una volta...

«Himari, basta!»

«... Uh?»

«Siamo salve, non c'è nulla di cui avere paura», Hidemi la chiuse in un abbraccio. Sentì il suo cuore palpitare senza tregua.

«Io... Io non...»

«Non dire niente, basta piangere. So a cosa stai pensando e non è affatto colpa tua, intesi?» La bionda alzò il tono, apprensiva mentre stringeva ancora tra le sue candide braccia l'amica.

Dall'altra parte Yuzuha osservò in silenzio, senza proferire alcuna parola. In poco e nulla era già riuscita a farsi un'idea di entrambe e accennò un sorriso al pensiero. Si alzò da terra e invitò loro a fermarsi per il pomeriggio, dando sollievo da entrambe le parti: l'enorme casa di Yuzuha era meno vuota, tra la parlantina di Hidemi e Himari che aiutava a preparare la merenda, trovando nell'immediato un'affinità incredibile nonostante fossero tutte e tre davvero tanto diverse tra loro.

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