Avenging Angels

By -Happy23-

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Era da quattro anni che allo scattare della mezzanotte del 21 Dicembre tutti le reti, tutti i canali televisi... More

Δ
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40

Capitolo 10

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By -Happy23-

⚠️ TW: Aggressione (tentata violenza. Non c'è nessuna descrizione specifica, inoltre è molto breve.)

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«Cosa fai questa sera?»

«Vida loca, baby.»

Sorrisi. «Esci con Henry? No, aspetta, Colton?»

«Colton.» Disse e poi fece una smorfia dispiaciuta. «Era carino Henry...ma non sa usare la lingua.»

«Winter!» 

Per fortuna ero in mezzo al nulla. Stella brucava l'erba ad un paio di metri da me, prima le avevo dato qualche carota. Ero seduta su un telo che mi ero portata da casa e che avevo infilato nella borsa; ora mi stavo godendo quel sabato ancora soleggiato. Ero via ormai da un paio d'ore ma i proprietari del maneggio, e di Stella, non erano preoccupati. Sarei rientrata quando era ora di chiudere l'attività lavorativa. Al momento ero in videochiamata con la mia migliore amica da diversi minuti.

«Che c'è? È vero

Winter era sempre stata un libro aperto sulle sue avventure intime. A volte un po' troppo aperto.

«Oggi ho visto tua madre

«Davvero? Dove?» Chiesi.

«Sono tornata a casa e l'ho vista mentre faceva jogging con Karen Bloom.»

Feci una smorfia. Karen era esattamente come diceva il nome... una Karen. Era fastidiosa, si lamentava per tutto. Aveva tre figlie, due andavano al college e una alle medie, e ovviamente lei era rappresentante di classe di quella minore, e in passato lo era stata anche di quelle maggiori. Durante le festività addobbava la casa come se vivesse nel paese di Chinonso. E aveva un orrendo taglio di capelli. Mia madre la trovava una donna molto simpatica. In questi giorni ero sicura avesse messo zucche e scheletri anche sugli alberi che aveva in giardino.

«Probabilmente si starà vantando delle sue figlie ad Harvard e starà dando ragione a mia madre sul fatto che sono una terribile figlia.»

«Può essere

«È da un po' che non si fanno sentire.» Sospirai. «Ma lo faranno per il Ringraziamento, mi obbligherà a tornare indietro.»

Mancava ancora un po' a quella festività ma la sola idea di tornare in quella casa mi metteva già angoscia addosso. 

«Tu cosa fai?»

Alzai le spalle. «Nulla.» Come sempre. «Mi riposo per domani.»

«Anche il weekend scorso non hai fatto nulla.»

Vero. Mi mordicchiai il labbro. Lei era sdraiata sul letto e la vidi mettersi seduta. Tipica posizione da 'ora si parla seriamente'.

«È successo qualcosa che non mi hai detto?» Domandò sospettosa. «Ormai non parli più nemmeno di quel Seth.»

Sentire il suo nome mi causò una scia di brividi in tutto il corpo. Mi torturai la pellicina del pollice e alzai ancora le spalle.

«Non parliamo più.»

«E perchè? Cos'ha fatto?»

Winter sapeva essere molto protettiva e con me, dopo tutte le cose che avevo passato, lo era moltissimo. Se le avessi raccontato la verità avrebbe preso un aereo per parlare faccia a faccia con lui.

«Niente.» Abbozzai un sorriso. «Semplicemente abbiamo capito che siamo persone diverse e ognuno ha preso la sua strada.»

Lei mi guardò in silenzio con un'espressione indecifrabile.

«Inoltre non ci stavamo sentendo o altro.» Buttai fuori. «Era forse l'inizio di un'amicizia, non so...ma comunque non è andata avanti.»

«Mh.» Aggrottò la fronte. «Lo sai che ti conosco meglio delle mie tasche, no?»

Ruotai gli occhi. «Te lo giuro.»

«Non puoi mentire a me.» Disse. «Quello ha fatto qualcosa, ne sono certa. E se non vuoi dirmi cos'è successo davvero, lo accetto.»

Winter era davvero la mia roccia. 

Restammo a parlare ancora un po', finchè il sole non iniziò ad abbassarsi all'orizzonte e il cielo diventò arancione. 

In sella a Stella ripensai a quei giorni. Erano passate quasi due settimane dall'attacco ricevuto nella taverna della Delta e una decina di giorni da quando Seth aveva provato a parlarmi in biblioteca. Già. Se dovevo essere sincera avevo impiegato tutta la mia forza per resistergli e mandarlo via, ma mi dissi che era giusto così. La situazione familiare che avevo era completamente incasinata e non avevo bisogno di sentirmi addosso gli sbagli commessi anche dagli altri, soprattutto perchè non sapevano la verità ma solo quello che volevano credere. Loro cinque non erano diversi da tutti quegli sguardi ricevuti al liceo, dopo il fatto, quei sussurri meschini, quei biglietti lasciati in anonimo nel mio armadietto che mi auguravano le peggiori cose, quella forma d'odio provata solo perchè ero parte di quella famiglia. Odiavo quello che era successo ma non si poteva cambiare il passato, e inoltre, la mia punizione l'avevo già ricevuta. Seth e i suoi amici mi credevano responsabile, cosi come molte persone che avevo incontrato nella mia vita, solo perchè ero sua figlia. E lui poteva ripeterlo quante volte voleva ma anche se non l'aveva detto ad alta voce, me li ricordavo bene i suoi occhi--freddi, colmi di giudizio. 

In quei giorni, però, sentivo un vuoto. Era difficile ammettere che una persona appena conosciuta potesse cambiare così tanto il mio umore ma...era così. Mi piaceva la sua compagnia e il non averla, era pesante. 

Lo vedevo nel campus, in caffetteria, in palestra. Era sempre circondato da qualcuno, dai suoi amici, da qualche ragazza. Non aveva mai incrociato lo sguardo col mio. Sembrava aver preso alla lettera le parole che gli avevo sputato quel giorno in biblioteca. Era ciò che volevo, era ciò che avevo chiesto. Ma non mi piaceva il nodo allo stomaco che avevo ogni volta che lo guardavo, solo perchè non sentivo il pizzicore dei suoi occhi su di me. Era fastidioso. 

Lasciai il maneggio con la musica nelle orecchie. Il primo autobus che avrei dovuto prendere per tornare al campus sarebbe passato tra poco. In sua attesa, scattai delle foto al cielo colorato del tramonto. Quel giorno era molto bello. 

L'autobus arrivò e io salii. Non c'era molta gente per cui mi sedetti ai primi posti. Il tragitto sarebbe stato di una decina di minuti e poi avrei dovuto prendere un altro autobus. Notai che sul punto di chiudere le porte, un uomo salì all'ultimo secondo. I nostri sguardi si incrociarono brevemente e poi guardai fuori dal finestrino che avevo a sinistra. Lui andò dietro. 

La mia playlist dei Coldplay mi tenne compagnia e quando arrivò la mia fermata. Scesi e mi accomodai alla panca della pensilina. Nel farlo mi accorsi che era sceso anche l'uomo di prima. Era di mezza età, vestito un po' trasandato. Restò in piedi contro la vetrata, opposta alla mia, e cercai di ignorare l'aumento del battito del mio cuore. In quella strada a quell'ora, passavano poche macchine e inoltre, era anche domenica. Eravamo solo noi due. 

Iniziai a muovere il piede mentre contavo i secondi passare. Non avrei dovuto attendere tanto per il secondo pullman. Solo cinque minuti. 

Ad un certo punto la canzone che stavo ascoltando si bloccò e abbassai lo sguardo. C'era un avviso del dispositivo che mi avvisava della bassa percentuale di batteria, solo il 15 percento. A quel punto tirai via le cuffie e spensi la musica. Non volevo rischiare di rimanere senza telefono dato che stava iniziando a fare buio. 

I cinque minuti passarono ma del pullman nessuna traccia. Sbuffai infastidita e allungai il collo per guardare la strada. Niente. Non c'era nessuno.

«A volte fa ritardo.» Parlò l'uomo.

Lo guardai con la coda dell'occhio. Lui mi metteva agitazione. Abbozzai un sorriso. «Okay.»

Aveva una leggera barba incolta e la pelle un po' cadente sulle guance per via dell'età. 

Poco dopo si mosse e mi venne incontro. Studiai i suoi movimenti con la coda dell'occhio e mi spostai all'angolo della panca quando capii volesse sedersi. Sentivo il battito anche nelle orecchie. SI strofinò le mani sui pantaloni e tossì.

«Forse ti conviene dire a qualcuno di venirti a prendere.» Disse. «Sai, per sicurezza.»

Il mio sorriso si fece più aspro. «Non si preoccupi.»

Alzò le mani. «No certo. Dico solo che una bella ragazza come te non dovrebbe girare da sola, è pericoloso.»

Qualcosa scattò dentro di me. Quel qualcosa era un piccolo campanello d'allarme che mi fece risalire la bile in gola e bruciare il corpo. Paura. La ingoiai ed evitai di rispondere. Il primo istinto fu quello di sbloccare il telefono. Zara e Phoebe non c'erano.

Forse ero paranoica. O forse no. 

Mi ritrovai a fissare il numero di Seth. Era l'unico che conoscevo con una macchina. Forse anche Ryan, no, era a cena fuori, me l'aveva detto ieri. Sollevai lo sguardo verso la strada, ancora niente autobus. 

L'uomo ora fischiettava. 

Mi alzai e camminai per far scemare l'agitazione. Il mio dito stava tremando mentre feci partire la chiamata. Speravo solo che non mi chiudesse il telefono in faccia.

Feci piccoli e corti passi vicino al marciapiede mentre con la coda dell'occhio spiavo l'uomo che ora mi fissava in modo inquietante. Il telefono era stretto tra le mie dita mentre pregavo che mi rispondesse.

«Pronto?» 

Il mio cuore quasi sprofondò.

«Seth.» Deglutii l'ansia. «Um, so che non ci parliamo da un po' ma ecco...avrei bisogno di un favore.»

«Che succede?»

Mi morsi il labbro. «Sono alla fermata di San Leonard Street, a Fruitvale. L'autobus non arriva...» Girai la testa verso la strada e abbassai la voce in un sussurro. «E c'è un uomo qui. È-è strano.»

«Sto arrivando.» Disse.

Sentii uno stridio in chiamata, quasi proveniente da delle ruote.

Sgonfiai il petto dal sollievo. «Davvero? Non voglio disturbarti se--»

«Ho detto che sto arrivando

Sentii un bip del telefono e lo allontanai per vedere cosa fosse. Quando lessi l'avviso del telefono che stava letteralmente per morire imprecai.

«Mi si sta scaricando il telefono.»

«Ovviamente.» Schioccò seccato. «Mandami la posizione esatta e riattacca.»

«Si.»

Tornai a guardare l'uomo  sinistra. Era ancora seduto e guardava il suo telefono. 

Deglutii. «Io ora chiudo, okay?»

«Arrivo

«Fai in fretta, ti prego.» Sussurrai. «H-Ho un brutto--»

La telefonata si bloccò. Guardai lo schermo. Ottimo, si era spento.

Mentre infilavo velocemente il telefono nella borsetta, mi guardai poi attorno, non c'era anima viva. Seth sta arrivando, ricordai a me stessa. In situazioni come queste tutte le terribili emozioni provate in massimo per eventi analoghi o peggiori mi si riversarono addosso. Mi costrinsi a pensare ad altro, mi costrinsi a pensare che non sarebbe successo nulla anche se il mio cuore batteva già come se fosse successo il peggio.

Mi andai a sedere sulla panca e mi torturai le pellicine delle dita con le unghie mentre osservavo la strada davanti a me. Seth sta arrivando. Non avevo idea di dove fosse ma supponevo alla Confraternita perciò ci avrebbe impiegato come minimo un quarto d'ora. Ma poteva succedere tutto in quel quarto d'ora. Non potevo nemmeno distrarmi col telefono.

«Abito qui vicino se non sai dove andare.» Parlò di nuovo l'uomo.

Girai di scatto la testa. Gli occhi un po' sgranati. I suoi erano scuri ma nulla in confronto a quelli di Seth.

Abbozzai un impercettibile sorriso nervoso. RespiraSeth sta arrivando. Respira. «No, grazie.»

Ora aggrottò la fronte con un leggero sorriso. «Hai paura di me? Guarda che non ti faccio nulla.» Premette le mani sul petto come per giurarlo.

Distolsi nuovamente lo sguardo e mi guardai le mani sulle gambe. Mi ero tolta la pellicina dal pollice e ora perdevo un po' di sangue da quel taglietto. 

«Sei molto bella, sai?»

Il mio corpo diventò un cubetto di ghiaccio a quelle parole, accompagnate dall'avvicinamento del suo corpo al mio. La sua gamba premeva contro la mia che accavallai per prendere le distanze. Mi sentivo tremare, sudare, sentivo l'incapacità di difendermi come in passato.

Perchè non passa nessuno?

Il suo alito caldo e acre mi sfiorò il naso quando parlò ancora in un sussurro pervertito. «Proprio bella.» E sollevò una mano per accarezzarmi la guancia.

Quel tocco lurido e non richiesto mi fece scattare. Mi sollevai come una molla ma non dissi niente, le corde vocali erano sigillate da una colla mista alla paura e impotenza. Mi abbracciai e mi appoggiai al bordo della vetrata, provando anche a prendere aria mentre pregavo l'arrivo di Seth.

Sentivo l'ossigeno entrare a fatica nei miei polmoni e quello che era già all'interno bruciava impedendomi di respirare. Il tutto peggiorò quando il mio cervello si spense per qualche secondo e fui un burattino nelle sue mani.

Non capii come fosse successo ma mi ritrovai plasmata al vetro e lui dietro di me, mi aveva bloccato i polsi con forza sopra alla testa e con una mano stava accarezzando la mia coscia facendomi rabbrividire di terrore. Ripensai alle parole di Seth. Alla tecnica di respirazione. A chiedere aiuto. A fare qualsiasi cosa.

Tutto quello che percepii nel mio corpo fu un conato che stava per risalire dalla gola. Nient'altro. Non avevo energie per fare nulla. Ero bloccata. La paura ebbe la meglio ancora una volta e piansi, mentre lui si nutriva del mio terrore e proseguiva con le sue azioni disgustose.

Aveva raggiunto i bottoni dei miei pantaloni -in quel momento ringraziai me stessa per non aver indossato quel vestito che tanto volevo mettere- quando un motore ruggente perforò quella bolla di silenzio sommesso e il mio pianto silenzioso.

La brusca frenata della macchina lo fece fermare e allontanare da me, colto sul fatto. Mi girai e l'aria sfregò le mie guance bagnate facendomi rabbrividire.

Seth.

Tornai a respirare per il sollievo. Lo vidi scendere dalla macchina senza nemmeno guardarmi, si diresse a passo spedito verso l'uomo che stava camminando alla svelta lungo il marciapiede. Volevo richiamare la sua attenzione ma qualcosa nel suo sguardo mi bloccò. La sua attenzione glaciale era rivolta all'uomo che raggiunse a grandi falcate. 

Lo afferrò per la maglia e lo sbattè contro all'esterno della pensilina. La schiena dell'uomo provocò un rumore sordo. Quel suono mi fece risvegliare i muscoli e andai con le gambe tremanti verso di loro. 

Seth stava schiacciando il suo avambraccio contro il collo dell'uomo, ora la sua faccia era rossa e faticava a respirare. 

«Fermo. Lascialo.» Dissi in preda al panico. 

Non lo fece ma gli bloccò ancora l'ossigeno premendo il braccio. «Pensi non abbia visto cosa stavi facendo?»

«Seth.» Mi avvicinai supplicante, mettendogli una mano sulla spalla. «Andiamo via, ti prego.»

Mi ascoltò, non so cosa lo avesse spinto a dare retta alla mia voce, ma allontanò il braccio e l'uomo si portò una mano alla gola mentre respirava in modo affannato. Tuttavia, non aveva finito perchè gli assestò un pugno sulla faccia che mi fece sussultare per la velocità e la forza, ma anche per il sangue che iniziò a sgorgare a fiotti dal suo naso. 

Poi, si girò e mi afferrò un braccio facendomi voltare dall'altra parte e mi trascinò verso la sua macchina. In un rigido silenzio, aprì la portiera e mi fece entrare. Accompagnò la portiera per chiuderla e mentre lui faceva il giro della vettura, io guardai ancora l'uomo dal finestrino che barcollava mentre si tamponava il naso sanguinante con la manica della felpa. La sbattere della sua porteria, invece, attirò la mia attenzione. Lo guardai, le guance ancora bagnate e il battito ancora accelerato per tutto quello che era successo in così poco tempo.

Si stava stropicciando gli occhi con le dita, poi, si passò una mano tra i capelli, emettendo un forte sospiro. Fissò davanti a sè mentre teneva il gomito contro il finestrino e si pizzicava il labbro con le dita con fare annebbiato. Ero certa che se anche l'avessi chiamato non mi avrebbe sentito. L'oscurità nei suoi occhi era priva di calore, era un tunnel ghiacciato e senza luce. 

Ritrovò da solo una vita d'uscita dai suoi pensieri ma era distante. «Vuoi andare dalla polizia?» Chiese, mettendo in moto la macchina, senza guardarmi.

Mi guardai le dita. «No. Voglio solo andare a casa.»

Non disse nulla. Fece un'inversione a U che mise sottosopra il mio stomaco e poi premette l'acceleratore, scaricando la tensione su esso.

Mi affacciai per la prima volta ad un lato di Seth che non avevo mai visto. La rabbia nei suoi occhi era troppa, troppa per provenire solo da quell'evento. Ancora adesso stringeva il volante, le nocche bianche attorno ad esso, temevo potesse disintegrarlo. Con quella presa ferrea le vene spingevano contro la pelle del dorso.

Tornai a guardare verso le mie mani. Scorsi un segno rosso attorno ai miei polsi e scostai il polsino col pollice. Vidi l'impronta delle dita dell'uomo e abbassai di scatto la manica, puntando lo sguardo fuori dal finestrino e trattenendo le lacrime.

Cosa sarebbe successo se non avessi chiamato Seth? Cosa sarebbe successo se Seth non fosse arrivato in tempo? Cosa avrei fatto io se non fosse arrivato nessuno? La risposta la conoscevo bene e la odiavo. Odiavo sentirmi debole. Odiavo che non riuscivo ad avere la forza di respingere. Odiavo essere il loro burattino. Per una volta avrei voluto avere la forza, il coraggio, di reagire. Di urlare. Di fare qualcosa che non fosse solo piangere. Ma il mio corpo si bloccava, era lui a non reagire. Mente e corpo si scollegavano, la mente pregava al corpo di fare qualcosa, ma era come bloccato da un veleno interno che gli impediva di muoversi. E io stavo lì. Ferma a  subire. Ferma ad essere un pezzo di carne. Ferma a smettere di essere persona e diventare un semplice oggetto da usare a proprio piacimento, da sfruttare. Chiusi gli occhi e una lacrima calda rigò la mia guancia. Mi odiavo.

Quando rallentò mi accorsi della via del mio palazzo. Parcheggiò e spense la macchina.

Nessuno aveva ancora aperto bocca. Non lo feci nemmeno quando slacciai la cintura imitata da lui. Scese insieme a me e probabilmente lo fece per accompagnarmi all'entrata del palazzo ed essere sicuro che entrassi.

Avevo infilato le chiavi nella porta della portineria quando mi fermai dal girarle e ruotai leggermente il busto per guardarlo. Lui stava scrivendo rapidamente al telefono.

«Vuoi--puoi rimanere?» Sputai in un soffio agitato. Sollevò i buchi neri dallo schermo a me. «Le ragazze non ci sono e io...io non me la sento a stare da sola.»

Infilò il telefono in tasca mentre gonfiava il petto, prendendo un sospiro, e fece un passo verso di me. «Va bene.»

Sentivo l'energia negativa sprigionare dal suo corpo ma lo ringraziai mentalmente per aver accettato.

Una volta entrati nell'appartamento, lasciai la borsa sul tavolo e andai verso il lavello della cucina. Il cucinotto era proprio vicino all'ingresso e Seth si era appoggiato al bancone, osservandomi. 

Sentivo le sue pupille infiammate seguire i miei movimenti meccanici e tremanti. Avevo recuperato un bicchiere da un'anta in alto e ora lo stavo riempiendo con l'acqua del rubinetto. Avevo bisogno di qualcosa di fresco che mi abbassasse il calore nel mio corpo creato dall'agitazione ma, allo stesso tempo, l'idea di ingerire qualcosa mi dava la nausea.

Fissai il bicchiere con l'acqua. Fissai l'acqua tremante in superficie. Le mie dita stavano stringendo il bicchiere con forza per non lasciarlo cadere ma quell'energia stava svanendo. Ero stanca. Umiliata. Ancora.

Bastò un suo semplice tocco. Una stretta alla spalla--un invito a girarmi verso di lui, che mi fece abbandonare alla debolezza e stanchezza. Un singhiozzo riempì il silenzio e, mentre lui si faceva più vicino per stringermi, le mie mani lasciarono la presa sul bicchiere che scivolò nel lavandino.

Mi fece ruotare in modo tale che potesse avvolgere le braccia dietro al mio collo e stringermi a sé. Aggrappai le mie mani dietro alla sua schiena e tenni la guancia premuta al suo petto. E piansi. Mi lasciai completamente andare. Diedi sfogo alle mie emozioni che si accumularono tutte in lacrime, singhiozzi e sussulti.

Lui non capiva. Lui non poteva capire quanto per me fosse un'altra battaglia persa. Non poteva sapere quanto quell'evento mi avrebbe indebolito ancora di più. Lui non sapeva e non poteva capire. Ma per un istante, nel modo in cui aumentò la stretta come a volersi sorreggere e la premura con cui premette le labbra tra i miei capelli, mi sembrò potesse comprendere il mio dolore e se lo fece un po' suo, lo assorbì per alleggerirmi.

Mi lasciò la libertà di piangere ancorata a lui, come se al momento fosse l'unico appiglio per non scivolare nel baratro sotto i miei piedi. E forse era proprio cosi. Restò lì, ad accarezzarmi la schiena, i capelli, a darmi forza senza dire una parola, con dei semplici gesti ma sentiti. Voleva farmi sentire al sicuro. Lo percepii questo.

Ma il fatto che non avesse detto nulla mi allarmava. Era lì per me ma ero certa che la sua mente fosse un po' altrove.

Strinsi la maglia all'altezza del suo petto e aprii le palpebre umide. Vedevo tutto appannato. La sala di fronte a me era sfocata dalle lacrime salate. In gola era come se avessi un nodo di spilli e fiammiferi accesi. La testa martellava incessantemente. Mi morsi il labbro tremante per trovare la forza di parlare.

«N-Non essere arrabbiato con m-me, ti prego.» Gracchiai.

Seth risucchiò un respiro e si scostò indietro. «Guardami.» Ordinò.

Restai aggrappata alla sua maglia e sollevai il mento. Lui agguantò il mio viso tra le sue mani grandi e sicure. I suoi occhi neri erano segnati da emozioni private ma la sincerità trapelava in superficie.

«Non sono arrabbiato con te.» Disse, alternando con attenzione lo sguardo nei miei occhi.

Lo guardai, gli occhi ancora lucidi. «Ma sei arrabbiato.»

«Non con te.» Passò un pollice sotto al mio occhio, raccogliendo una lacrima. «Non è colpa tua. Non hai fatto nulla.»

Distolsi lo sguardo e tirai su col naso. «Dovevo stare attenta. Avrei dovuto--»

«Nyxlie.» Mi richiamò con severità, sollevandomi il viso con autorevolezza. Le schegge di onice erano taglienti. «Non è colpa tua, chiaro?»

Annuii meccanicamente. Era forse la prima volta che mi richiamava col mio nome.

«Dillo.»

Il mio cuore accelerò. «N-Non è colpa mia.»

I suoi occhi si assottigliarono. «Non mi sembri convinta.»

«Non è colpa mia.» Ripetei, meno indecisa ma comunque non convinta.

Lui se fece andar bene lo stesso con un sospiro rassegnato. Fece dei cerchi sui miei zigomi con i pollici e poi chinò il capo, facendo scontrare le nostre fronti. Deglutii e chiusi gli occhi, ascoltando il battito irregolare del mio cuore.

«Ti ha toccata?»

«N-non nel modo in cui intendi.»

«Ci ha provato?» La sua voce si indurì.

«Si.» Sussurrai.

Inspirò a fondo e poi si allontanò leggermente. Incrociai i suoi occhi cupi, ma non erano per me, erano per la situazione.

«Vuoi farti una doccia?» Domandò con premura.

Annuii. Ne avevo bisogno.

Abbozzò un sorriso mentre mi accarezzava la guancia «Ti preparo una tisana per dopo?»

Il mio cuore si scaldò. «Si, grazie.»

«Non ringraziarmi.»

Era venuto in mio soccorso dopo che non ci parlavamo da due settimane. Come potevo non ringraziarlo?

Gli dissi dove poteva trovare le cose per preparare la tisana e di mangiare o bere quello che voleva. Prima di aprire la mia stanza per recuperare i vestiti e farmi la doccia, mi fermai nel corridoio e mi voltai. Lui stava aprendo il confetto con le bustine di tisana.

«Seth?» Lo richiamai.

Girò la testa di scatto. 

Mi torturai ancora le dita. «Grazie per esserti fermato dal fargli male. Cioè--lo hai colpito ma non sei andato oltre e ti ringrazio.» Buttai fuori con agitazione mentre lui serrò la mascella. «Non mi piace la violenza.» Soffiai.

Qualcosa attraversò i suoi occhi. Una luce che non decifrai. Poi, annuì e abbozzò un sorriso per nascondere qualsiasi cosa avesse pensato dopo le mie parole.

«Frutti di bosco o menta?» Chiese, sollevando due bustine colorate.

Sorrisi. «Frutti di bosco.»

Terminata la doccia mi nascosi in una felpa di diverse taglie più grandi e un paio di leggings, delle calze con dei limoni disegnati sopra arrivavano fino a metà stinco. Mi sentivo un po' meglio. L'acqua aveva portato via quella sensazione di sporco che avevano lasciato le sue mani. Aveva portato via anche le mie lacrime, che rigarono silenziose e calde le mie guance mentre osservavo i segni ancora visibili sui miei polsi. Avevo sempre avuto la pelle molto delicata e uscivano lividi dal nulla. Questi però sapevo da dove venissero. Mi tirai le maniche della felpa oltre la mano prima di raggiungere Seth, il quale si era accomodato sul divano. Una tazza fumante era appoggiata sul tavolino.

«Grazie.» Mormorai, stringendola e accomodandomi vicino a lui. Piegai le ginocchia e mi rannicchiai contro allo schienale. Girai il cucchiaio nella bevanda bollente e colorata di rosso.

«Dove sono le tue coinquiline?»

«Zara dorme dal suo ragazzo mentre Phoebe è andata a trovare sua cugina in città.» Mi schiarii la gola. «Se ora vuoi andare via--»

«Vuoi che vada via?»

Sollevai lo sguardo e negai con la testa. Non volevo stare sola.

«Allora resto.»

Abbozzai un sorriso e poi portai alle labbra la tazza. Soffiai un po' prima di berne un sorso.

«Hai cenato?» Domandò.

«No.» Dissi. «Ma non ho fame. Tu? Vuoi qualcosa da mangiare?»

«Sono a posto.»

La manica destra scivolò verso il basso, scoprendo il mio polso. Seth trovò immediatamente i segni che avevo provato a coprire. Feci per tirare su il polsino e nasconderli ancora.

«Non farlo.» Ammonì.

Afferrò la mia mano, costringendomi a tenere la tazza in quella sinistra, e se la portò sopra alla sua, avvicinandola al suo corpo. Con le dita della mano destra sfiorò i lividi.

«Non fanno male.» Deglutii. «È che ho la pelle delicata. Escono fuori facilmente.»

«Non mentire.» Non mi guardò nemmeno in faccia. Non riusciva a togliere lo sguardo di rabbia da quei segni. «So che fanno male.»

Il mio labbro prese a tremare ma non mi diedi il permesso di piangere. Non avevo più le forze.

«Per un secondo ho avuto paura che non venissi.» Confessai sottovoce, stregata dal tocco sensibile delle sue dita. «Lo avrei capito.»

Dopo quelle parole sollevò il mio polso e risucchiai un respiro tremante quando appoggiò le labbra su uno dei lividi. Il mio cuore impazzì e la testa prese a girare come bloccata in un vortice. Poi, girò la testa e mi inchiodò con i suoi occhi.

«Mai rifiuterei di aiutare qualcuno in certe situazioni.» Disse serio. «Puoi anche odiarmi, Peach, ma non pensare che non venga ad aiutarti se hai bisogno di me.»

«Non ti odio.» Mi ritrovai a dire con gli occhi lucidi. «M-ma dopo quello che ti ho detto, pensavo che tu non volessi più vedere me.»

«Sono qui, no?»

Tirai su col naso e annuii, in un timido sorriso. Era qui. Abbassai lo sguardo quando riprese a strofinare il pollice sopra alle ombre livide. 

«Non sono una brava persona.» Disse con sguardo vacuo ma fisso in basso.

«Perchè lo dici?»

«Perchè quello che sto pensando di fare a quel bastardo non è bello.»

«Sto bene.» Dissi. «Non pensarci più.»

Sbuffò col naso con ironia. «Io non dimentico.» Gracchiò roco. «E odio questi segni.»

Non seppi cosa dire. Lui continuò a strofinare il pollice sulla parte delicata del mio polso.

«Solo i baci possono marchiarti. Tutto il resto non lo accetto.»

Sapevo bene che quel marchiarti andava molto più a fondo del semplice significato. E proprio per questo che rimasi senza respiro per diversi secondi. Mai mi sarei aspettata da Seth una frase del genere.

«I tuoi?» Soffiai col cuore in gola, spingendomi di colpo davanti ad un precipizio senza fine.

Accennò un ghigno sbieco e amaro. Poi mi guardò e socchiuse gli occhi. «I miei fanno male, Peach. È meglio non desiderarli.»

Affondai le unghie nel labbro mentre arrossivo profondamente.

«Ma un giorno, forse.» Sospirò, distogliendo lo sguardo. «Quando impazzirò del tutto.»

«Cosa?» Chiesi ingenuamente.

Tornò a guardarmi con una scintilla. «Ti bacio.»

Quelle semplici paroline mi bloccarono la capacità di respirare. E lo stomaco si aggrovigliò violentemente mentre credevo che il mio cuore avrebbe raggiunto picchi di pressione mai avuti prima.

«Perchè dovresti impazzire?» Soffiai.

Perché non puoi baciarmi adesso?

«Sono già pazzo.» Disse. «Ma per fare quello, devo essere completamente andato.»

Non mi offesi a quelle parole perché compresi che il loro significato fosse più profondo e che non l'avrei capito non conoscendo le motivazioni.

Sentii le mie labbra incurvarsi in un sorriso timido ma perplesso. «Sei proprio strano, Seth.»

«Tutti hanno dei pregi, no?»

Mi rubò un vero sorriso con tanto di una breve risata ma presto tornai seria e sospirai. Tolsi la mano dalle sue perché mi dovevo abbassare il calore corporeo, e prendere le distanze da lui era ciò di cui necessitavo.

«Mi dispiace, comunque.»

«Per cosa?» Chiese.

«Quel giorno...in biblioteca.» Lo guardai di striscio. «Non ti ho nemmeno lasciato parlare.»

Sbattè le palpebre e guardò altrove, passandosi una mano tra i capelli. «Hai tutto il diritto di decidere con chi avere a che fare e perchè.»

Mi mordicchiai il labbro. «Q-Quel fatto ci ha portato molti problemi in quel periodo.» 

I suoi occhi si oscurarono. 

«Non dico che non sia giusto, perchè non è giusto ciò che è stato fatto a quella ragazza ma abbiamo avuto i riflettori addosso per molto tempo, e non erano di quelli positivi.» Raccontai. «A scuola soprattutto, molti mi trattavano male per questo. Se la prendevano con me. Solo perchè pensavano di sapere la verità. Alcuni mi lasciavano dei biglietti anonimi in cui mi auguravano che mi accadesse quello che era successo a lei.»

Per questo mia madre, dopo tutto quello, voleva a tutti i costi che le cose filassero liscio. Riportare la buona immagine di famiglia che, per vari motivi, non avevamo mai avuto davvero.

«Non augurerei a nessuno qualcosa del genere.» Replicò rauco. Poi, deglutì. «E ti chiedo scusa per come ci siamo comportati. Anche se fosse vero--»

«Non è vero.»

Si pizzicò il naso e guardò altrove. «Be', anche se lo fosse, tu non c'entri nulla.»

Non c'entravo nulla, no.

Accesi la televisione per riempire il silenzio successivo. Sorseggiai la dolce tisana mentre un film che avevo già visto illuminava la stanza. Di tanto in tanto spiavo Seth con la coda dell'occhio, teneva le braccia incrociate e lo sguardo penetrante sullo schermo, lo avevo capito che non stava prestando attenzione al film ma pensava ad altro. Purtroppo, non sapevo cosa ma non mi intromessi e non glielo chiesi. Ringraziavo solamente che mi stesse facendo compagnia.

Poi, il mio sguardo cadde sulla mano destra. Non me n'ero accorta prima. 

«Dio.» Lasciai la tazza vuota sul tavolino e mi girai. «È-È per prima?»

Gli avevo afferrato la mano e lui sciolse le braccia. Immediatamente spostai gli occhi anche sull'altra mano. Le nocche erano distrutte. Aveva dei tagli e diversi lividi, erano anche gonfie. Tirai su il mento e lo guardai attendendo una risposta.

«Non è niente.» Disse. «Ho fatto boxe senza guantoni.»

«Sei idiota?» 

Ruotò gli occhi e accennò un sorriso. «Sto bene.»

«Non sembrano niente.»

«Sopporto il dolore.»

«Quindi sei idiota.» Schioccai.

Ridacchiò e io abbassai lo sguardo. Ero attratta dai suoi tatuaggi e avere questa visuale delle sue mani e delle macchie d'inchiostro, che già avevo spiato, era per me molto intrigante. Infatti, mi ritrovai a tracciare l'indice sopra allo scorpione sul dorso sinistro. Percepii il rigonfiamento dovuto alle vene e deglutii piano. Oltre alla lettera D e al lucchetto aveva anche una piccola rosa lungo il pollice e delle foglie che sbucavano ai lati del polso, come se fossero attorcigliate. Su quella destra invece, c'era questa rondine che prendeva parte del polso e sopra alle nocche una scritta che la prima volta che la osservai non la capii. Era arabo.

«Nessuna pietà.»

«Mh?» Lo guardai timidamente e confusa. «Nessuna pietà?»

«La scritta...» Guardò la sua mano. «Dice 'nessuna pietà'.»

«Oh.» Sbattei le palpebre. «Non è una cosa di Karate Kid?»

Seth scoppiò a ridere. 

No?

Si pizzicò il naso quando smise di farmi sentire una deficiente. «Si, penso.»

«Quindi non è per quello.»

Perchè uno si dovrebbe scrivere 'nessuna pietà' sulla mano?

«Non proprio, no.»

Il silenzio successivo mi fece intuire che non mi avrebbe detto la motivazione e cercai di lasciare da parte la curiosità.

«Domani è Halloween.» Disse, girando la testa per guardarmi.

Ero tornata contro lo schienale del divano e mi abbracciai le ginocchia.

«Yep.» Schioccai. «E voi avete organizzato una festa.»

«Non una festa. È la festa.» Disse con uno strano luccichio. «Adoro Halloween. »

«Davvero?» 

«Tu no? Hai paura delle cose horror, Peach?»

Sbuffai. «Ad essere onesta, no. Sangue, musichette inquietanti, botole, persone mascherate che ti fissano fuori casa...no, decisamente non fanno per me.»

Mi scrutò per un tempo che era troppo lungo. «Be', da cosa ti travestirai?»

«Chi ti dice che ci sarò?»

«È impossibile che le tue coinquiline non ti trascinino.» Disse con fare ovvio. «Forza, sputa il rospo.»

Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo. «I costumi li ha scelti Phoebe.»

«Quale cartone animato siete?» Chiese con fare annoiato.

E quel suo tono mi infastidì. 

Tornai a guardarlo con fare offeso e altezzoso. «Le Trix. Un po'...zombie.»

Aggrottò la fronte. «Chi?»

«Le Trix. Le cattive delle Winx.»

«E ti aspetti davvero che io le conosca?» 

«Tutti conoscono le Winx.» Ruotai gli occhi. 

«Scusa, Blake, ma la mia infanzia è stata leggermente diversa dalla tua.» Chiarì. 

Con un sospiro pesante, tirai fuori il telefono dalla felpa e digitai su internet il nome del trio per farglielo vedere.

«Sono loro.» Mostrai una foto presa a caso.

Le osservò scettico. «E tu chi saresti?»

«Io sarò lei, Icy. Phoebe sarà Darcy, questa qui...e lei, Stormy, sarà Zara.» 

«Icy sembra cazzuta. Mi piace.»

«Grazie.» Lasciai il telefono sul divano e poi lo guardai. «E tu? Ti travestirai?»

«Sarò solo me stesso.» Disse con voce arrocchita.

Quella frase mi lasciò un momento perplessa ed ero sul punto di chiudere il motivo quando guardò l'orologio dal suo telefono.

Erano quasi le undici di sera. Il tempo era passato molto velocemente e non me n'ero nemmeno accorta.

«Devo andare.» Disse, l'espressione più distante rispetto a poco fa.

«Oh. Si, certo.» Abbozzai un sorriso e mi alzai.

Lo accompagnai alla porta nonostante il dispiacere. 

«Grazie per essere rimasto.» Dissi mentre usciva.

Rimanendo sull'uscio, mi scrutò e poi si sporse in avanti, cingendo un braccio dietro alla mia vita e premendo le labbra sulla mia fronte. Chiusi gli occhi a quel contatto inaspettato e dolce mentre chiedevo al mio cuore di fare un po' più piano.

«Riposa, Principessa.» Mormorò.

Gonfiai il petto, sentendo un piacevole calore diffondersi proprio al centro. «Si.»

Ci avrei provato, ma probabilmente non sarei riuscita.

Quando si staccò mi regalò uno dei suoi soliti sorrisetti insolenti. «A domani, Icy

Riuscì a strapparmi una risata ma quando chiusi la porta tornai a sentirmi sola, e chi mi tenne compagnia furono solo incubi.




S/A.

Ehi👽❤️ Come state?

Questo è un capitolo all'apparenza tranquillo ma non lo è, è sicuramente un passaggio fondamentale per entrambi i personaggi.

Il prossimo capitolo sarà tema 🎃 e ne vedremo delle belle...👀

Lasciate un voto e un commento se vi è piaciuto!

A presto, Xx

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