PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

57 Questo non può essere peggio

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By JennaG2408

Sulla poltroncina del camerino erano ammassati strati su strati di sete e cotoni, paillettes e vouland, mille sfumature di rosso, pennellate di nero, fantasie sgargianti e pizzi eleganti.

E nessuna di quelle opere d'arte sartoriali si era guadagnata il mio sì.

Sbuffai appoggiando l'ennesimo abito sulla pila di scelte sbagliate.

«Ti sto facendo impazzire, scusami.»

Ely era andata in magazzino almeno cinque volte, in cerca di qualcosa che nemmeno io sapevo descrivere. Nonostante le avessi sputtanato il pomeriggio di lavoro non aveva perso il sorriso, e nemmeno la pazienza. Mi sentii profondamente in colpa, conscia del fatto che poi quella povera ragazza avrebbe dovuto rimettere tutti quegli abiti al loro posto.

«Potrei esserti più utile se mi potessi dire qualcosa di più sul luogo, sull'ora, sugli altri invitati...»

Vado a Londra, dal più bel criminale mai visto, per fargli una sorpresa davanti a giornalisti e assassini.

«Non so molto, a dir la verità. Potrei riassumere così la mia ipotesi di serata: gente ricca, gente noiosa, gente pettegola. Molto alcol, cibo sprecato, sguardi crudeli.»

«Quindi vai per lavoro?»

In effetti, era la conclusione più ovvia, per quanto sbagliata. Sorrisi. «No, vado per... amore.»

Ely s'illuminò. «Oh, allora è un'occasione davvero importante, Lea. In quella scatola ci sono le scarpe che vuoi indossare?»

Annuii, raccogliendola da terra e sollevando il coperchio. La commessa le guardò come se stessi aprendo una reliquia.

«Tesoro mio, hai avuto un gran gusto.»

Richiusi la scatola, abbattuta. «Sì, ma non posso mettere addosso solo queste. Mi serve qualcosa di elegante ma... che si noti, ecco. Vorrei che mi vedesse. Anzi no, vorrei che mi guardasse. Mi serve un abito che lo costringa a girarsi per me, capisci? Mi serve un abito raffinato ma appariscente. Lo so che è un controsenso.»

Ely mi prese la scatola dalle mani, e ne tirò fuori una delle due scarpe. «Lea, la vedi questa?»

«Certo.»

«Quante ce n'erano in vetrina?»

«Le ho prese on line...»

«Quante ce n'erano in home page?»

«Non saprei... decine, credo.»

«E queste erano le più strane? Elaborate? Appariscenti?»

Le guardai di nuovo. Erano sinuose, semplici, prive di fronzoli. Delle decolleté Valentino Garavani, una griffe che non avevo mai posseduto, di raso rosso, con un sottile e semplicemente perfetto nastrino sul lato del tallone. Niente plateau, niente cristalli, niente decorazioni in rilievo o a contrasto. «No, erano solo le più...» non trovavo la definizione.

«Le più giuste per te.»

«Sì.»

«Allora, Lea, vuoi l'abito che gli altri si aspettano che tu indossi, o l'abito più giusto per te?»

«Ma lui mi ha già vista in abito da sera un sacco di volte e...»

«Ha visto te dentro un abito, non un abito addosso a te.» Pausa. «Ma credo ti abbia vista anche fuori dagli abiti, giusto?»

Sorrisi. «Sì.»

«Vuoi davvero che ti noti, Lea?»

«Sì.»

«Allora perché vuoi che noti anche l'abito?»

Stavo per chiederle quando avesse trovato il tempo di prendere una laurea in psicologia, quando mise fine a tutti i miei conflitti. «Ho il vestito giusto. Giusto per te.»

Tornò dal magazzino. Ma lo guardai con disappunto. «Roba già vista» lo liquidai.

«Non su di te. Non con quelle scarpe. E non con la voglia di limonartelo stampata sulla faccia.»

Sospirai. Lo provai, davvero poco convinta.

Poi mi guardai allo specchio e cercai di vedermi con gli occhi di Trevor Baker.

C'era un motivo se io vendevo fondi d'investimento ed Ely abiti da sogno. Io avevo fiuto, lei aveva occhio.

Uscii dal suo negozio per l'ultima volta nella mia vita, con la sportina che conteneva l'abito giusto per me. Quel pomeriggio, in ufficio, mi premurai di mettere il futuro della commessa al sicuro dalla tempesta perfetta che avrei scatenato nelle settimane successive.


 ***

«Vengo con te.»

«Senza offesa, ma no.»

Denis mi seguiva come un cane anti droga segue un narcotrafficante imbottito di cocaina, mentre facevo avanti e indietro tra cabina armadio e valigia. Avrei potuto portare la valigia nella cabina armadio, ma sarebbe stato troppo normale.

«Lea, è pericoloso.»

«No, non lo è. Ci saranno celebrità, influencer, cantanti, giornalisti...»

«E serial killer, terroristi, ergastolani... »

«Lupi mannari e Voldemort come special guest star. Dai, Denis, non mi spareranno in mezzo alla folla.»

Mi prese per un gomito, con delicatezza, ma mi costrinse lo stesso a fermarmi. Avrei dovuto evitare il suo sguardo ma non ci riuscii. Il suo tocco sulla guancia sciolse ogni mia resistenza.

«Non puoi andare in mezzo a quella gente da sola.»

«Dubito che Trevor abbia inserito i Volkov nella lista degli invitati.»

«Ma ci sarà suo padre.»

«È solo un vecchio, ormai.»

Mi guardava come se stesse per perdermi per sempre. Per un attimo temetti avesse ragione.

«Denis, sono con Trevor. E con Andrey. E con Dimitri. Sai che a volte il modo migliore di nascondere qualcosa è metterla in bella vista, no?»

«Non è il mio metodo preferito, lo sai bene.»

Lo sapevo eccome.

«Stai tranquillo. Torno presto.»

«Vengo anch'io.»

Sbuffai. «Non serve. E Trevor non gradirebbe.»

«Trevor può succhiarmi il cazzo, se vuole.»

«Denis!» Ero al confine tra lo sconvolto e il divertito.

«Anche in senso letterale, eventualmente.»

«Stai facendo allusioni oscene sull'uomo di cui sono innamorata?» chiesi, un po' divertita e molto scandalizzata.

«Sì. Quando non spara minchiate non è malaccio. Soprattutto con in bocca il mio c...»

«Può bastare, Denis» lo fermai. La sua preoccupazione era legittima, ma non era necessario avere un'ulteriore guardia del corpo: Trevor aveva i suoi uomini. E io avevo Trevor. «So che lo fai per me. Ma l'unico che può uscire morto da un incontro con Trevor a Londra, sei tu.»

Sulla bocca gli si dipinse un ghigno beffardo. «Sì, ha l'aria di essere uno cui non piace condividere la sua roba.»

«Non sono roba sua.»

«Allora dovresti dirglielo.»

«Lo sa.»

«Allora vengo con te.»

Scossi la testa, esasperata. «Tu ti occupi del Sweety in mia assenza. Posso assicurarti che anche Trevor nutre un insano desiderio di incontrarti. E non credo abbia intenzione di farti un pompino, in quell'occasione.»

«Se ti succede qualcosa...»

«Non mi succederà niente.»

«... lo uccido.»

Lo guardai con rassegnazione. Perché nessuno mi credeva capace di salvarmi da sola?

Il giorno dopo Denis mi accompagnò in aeroporto, ma non prese il volo con me. Mi imbottii di Xanax per affrontare uno stupido volo da due ore.

Ottobre è un mese del cazzo. Lo è ovunque, ma a Londra di più.

Ottobre è il mese in cui l'estate scende giù per lo scarico, il mese in cui le giornate si accorciano e le rotture di coglioni si allungano.

A Londra sbiadisce l'oro e aumenta il grigio, nonostante la stagione autunnale suggerisca colori caldi. Ma sono stronzate: l'autunno non ha nemmeno il vantaggio di poter vantare il Natale, non può contare su vacanze degne di questo nome e l'unica cosa tiepida sono le caldarroste che comunque anche qui costano un rene e che a me fanno pure cagare.

Non c'è proprio un cazzo da festeggiare, quindi io quell'hotel di merda non lo volevo inaugurare, porca puttana, in quel giorno di ottobre.

«Hai la faccia di uno che sta andando a un funerale.»

«Se, magari.»

Vidi Andrey ghignare dallo specchio, mentre cercavo di aggiustarmi addosso quella camicia che non mi convinceva neanche un po'.

«Magari a tuo padre va di traverso un gamberetto e diventa un funerale davvero.»

«Non farmi sognare, che poi resto deluso dalla dura realtà e dalla sua apparente immortalità.»

Sospirai, allacciando l'ultimo bottone della camicia. Mi voltai e presi la giacca dalla sponda del letto.

«La cravatta» mi suggerì Andrey.

«Non la metto.»

Parve sinceramente stupito. «Hai proprio deciso di far incazzare quella mummia di Sebastian.»

«Gli ho ammazzato Alan e non gli ho nemmeno restituito le ossa da seppellire. Direi che ha già del materiale per cui mangiarsi il fegato.»

Si accese una delle sue sigarette puzzolenti. «Senza cadavere coltiva la speranza, però.»

«Senza cadavere coltiva solo la rabbia di non potermi accusare ufficialmente. Dai, andiamo a inaugurare quel covo di mignotte e imbecilli.»

«Ti raggiungo là.»

Mi bloccai sulla porta. «Prego?»

«Arrivo in tempo, stai tranquillo che non ti lascio da solo in mezzo ai lupi.»

«Vaffanculo. Cosa devi fare?»

«Ho una vita anche io, sai?»

«No, non lo so e comunque non ce l'hai una vita. Hai un lavoro e il tuo lavoro sono io.»

«Cos'è? Non ti fidi?»

Mi fidavo. Mi fidavo ciecamente. Ad Andrey avrei affidato non solo la mia vita, che non valeva un cazzo, ma anche quella di Lea, che valeva tutto. Avevo avuto qualche dubbio dopo avergli spiegato cos'avevo acquistato e scoperto al Demons, ma Andrey aveva tenuto la bocca cucita. Non approvava la mia immobilità in merito, ma evidentemente anche lui si fidava di me. E visto quello che ci aspettava, quello che gli avevo chiesto e il rischio che correvamo entrambi, potevo ben dire di amare Lea al di sopra di tutto, ma di fidarmi di Andrey al di sopra di chiunque. Sì, anche di Lea, che mi mentiva, e alla quale mentivo, entrambi consapevoli dei nostri vincoli e delle rispettive omissioni, spaventati dai confini nei quali eravamo sopravvissuti.

«Se non mi fidassi saresti appena morto.»

Mi guardò e parve volermi dire qualcosa, ma non lo fece. Fu meglio così, perché io non feci altre domande e quel mio atto di fede rese tutto quello che sarebbe avvenuto in futuro più sopportabile per entrambi. Per uomini come noi, non c'è niente di più consolante dell'avere qualcun altro su cui contare senza doversi preoccupare della sopravvivenza di uno dei due.

«Allora ti raggiungo là. Ok?» ribadì.

«Ok. Porta con te l'ultimo cellulare che ti ho dato.»

«Lo porto. Ma non servirà. Rilassati, cazzo.»

«Sono rilassato.»

«Come una spranga di ferro. Vai a inaugurare il nuovo bordello di lusso, io arrivo prima che ti venga voglia di strangolare Sebastian.»

«Per quello sei in ritardo di una trentina d'anni. Ci vediamo sul red carpet del cazzo. E porta...»

«...l'ultimo cellulare che mi hai dato. L'hai già detto. Adesso levati dai coglioni, dai.»

Mi levai dai coglioni, senza cravatta e con indosso una camicia che non mi convinceva.

***

«Trevor, dove hai messo la cravatta?»

Lo sguardo truce di mio padre non scalfì la mia apatia, in quella serata miracolosamente tiepida. Mi aveva parlato in un sibilo, celando il suo profondo disappunto dai flash dei paparazzi che si accalcavano dietro le transenne che tutelavano il red carpet.

«L'ho lasciata nel cassetto. Stasera non tollero costrizioni, papà. Sopporto a fatica anche questa camicia di merda con i polsini troppo rigidi.»

I suoi occhi da roditore isterico divennero pietre focaie. «C'è gente importante a questa serata, ragazzo, e tu ti presenti come se dovessi andare in edicola.»

Mi guardai intorno. «Mi distinguo dalla massa, Sebastian.»

«La massa, come la chiami tu, non è sul red carpet ma al di là delle transenne, e tu sembri uno che passa di qua per puro caso.»

La voglia di stringergli le mani intorno al collo aveva già raggiunto livelli talmente alti che dichiarai Andrey ufficialmente in ritardo. Sbuffai guardando l'orologio, che per tutta la giornata mi aveva trasmesso un battito cardiaco incredibilmente altalenante della mia cosina preferita. Aveva avuto un paio d'ore di riposo, in tarda mattinata, ma prima e dopo mi aveva mostrato un grafico nervoso, che mi aveva preoccupato.

Lea mi aveva rassicurato, ma era pur sempre una bugiarda del cazzo e non avevo creduto a nessuna delle scuse che aveva malamente cercato di accampare al telefono.

Volevo solo salire su un cazzo di aereo e andare da lei, rovesciare il mondo con tutte le sue regole di merda e sparire per sempre insieme alla mia queen.

Mio padre, come suo solito, non capiva un cazzo di quello che mi succedeva.

«È questo che succede quando non si esercita il giusto controllo sui propri uomini.»

Alzai lo sguardo su di lui, incapace di comprenderlo tanto quanto lo era lui nei miei confronti. «Di che cazzo parli?»

Regalò un paio di sorrisi finti ai primi ospiti che scendevano da limousine pacchiane per venire a scolarsi fiumi di champagne a spese mie. Io non mi presi lo stesso disturbo, dato che non avevo invitato nessuno di loro: il Baker Hill era un'idea idiota di Alan e Sebastian, e la mia presenza lì era frutto della per nulla prematura scomparsa di Alan, che era sopravvissuto anche troppo a lungo.

«I miei uomini sono tutti al loro posto, Trevor» disse, non appena ebbe la possibilità di cancellare dalla faccia la sua espressione di falsa accondiscendenza nei confronti di soubrette e produttori. «Non si può dire lo stesso dei tuoi. Credi non mi sia accorto della mancanza di Andrey?»

«Sta arrivando» tagliai corto.

«Doveva essere già qui.»

Inghiottii un vaffanculo vedendo un paio di invitati avvicinarsi. Li avevo già visti entrambi, lui era senza dubbio uno sportivo, ma poteva essere un giocatore di basket tanto quanto un calciatore, per quanto ne sapevo. Lei era una figa spaziale, dai tratti sudamericani. Un'attrice, forse. O una cantante, magari, che ormai parevano uscire dal catalogo di Intimissimi pure quelle.

«Che onore, tutti i Baker in una sola serata! Non vi si vede quasi mai insieme fuori dai vostri uffici.»

Cercai di non abortire il sorriso di circostanza che sentivo lottare per affiorarmi sulla faccia. Sebastian fece la prima e probabilmente ultima cosa utile di quella serata: prese parola anche al posto mio.

«L'onore è nostro: vedervi l'uno lontano dalla pista di atletica e l'altra dalle passerelle ha del miracoloso. Mio figlio è appena tornato dall'Italia, come lei, signorina Jhensen.»

Lei mi rivolse un sorriso magnifico, che illuminò per un breve istante il logorio di quella serata fastidiosa. Ma fu un istante troppo breve, che venne ben presto soffocato dal chiacchiericcio che andava crescendo sia sul red carpet che sulla scalinata che portava all'entrata del Baker Hill.

Le voci erano ronzii nelle orecchie, segnali statici che non trasmettevano niente ai miei neuroni. Ero nel posto sbagliato e con le persone sbagliate, sotto un cielo scuro che quella notte non mi faceva nemmeno la cortesia di offrirmi la vista di qualche stella luminosa. Non brillava nulla, a Londra, quella notte: si era nascosta chissà dove anche la luna, forse perché timida, o forse perché stronza.

«Trevor...» Mio padre richiamò la mia attenzione, e gliela concessi solo perché sentivo di non aver poi molto di meglio da fare. «La signorina Jehnsen ti ha fatto una domanda.»

Non mi curai dell'occhiata carica di disapprovazione di mio padre, ma colsi una nota di imbarazzo in quello della ragazza e un po' mi dispiacque.

«Mi perdoni, signorina Jehnsen, stasera sono distratto. Attendo notizie da mio cugino, che non si fa sentire da qualche giorno, la preoccupazione mi ha reso maleducato.»

La piccola ruga che le si era formata tra le sopracciglia si distese, e mi concesse un altro piccolo sorriso. Che un po' brillava, ma non abbastanza. «Mi spiace, non ne sapevo niente. Allora forse la mia richiesta è giunta in un momento inopportuno... »

L'atleta le passò una mano sulla schiena. Parve volerla rassicurare.

«La signorina ti ha chiesto se ti è possibile organizzarle il viaggio di ritorno verso l'aeroporto a fine serata, Trevor.»

Spostai lo sguardo sul tizio che accompagnava la modella. Mio padre ebbe il buon gusto di chiarire la situazione, dato che io non avevo ascoltato una sola parola di quello che si erano detti quei tre fino a quel momento. «Il volo della signorina è stato anticipato...»

«... e io devo essere in pista domattina, quindi stasera non posso restare a lungo» concluse il ragazzone.

«Organizzerò lo spostamento per la sua fidanzata» accordai, e sperai che la discussione finisse lì. I volti sconcertati della coppia unita allo sguardo spazientito di mio padre mi suggerirono di aver appena pestato una merda.

«Sono fratelli, Trevor.»

Li guardai con scarso interesse. «Non si direbbe.»

Sebastian si schiarii la voce, liberandomi dalla necessità di riportare il dialogo su binari meno imbarazzanti per lui. Lo sentii mettere in fila un paio di frasi di scuse, mentre io tornai a guardare l'orologio, che vibrava segnalandomi un battito cardiaco tutt'altro che rassicurante di Lea.

Dovevo allontanarmi e chiamarla, scoprire cosa le stava succedendo. Ma quello fu l'attimo in cui tutto cambiò, l'attimo in cui il vento mi sussurrò il suo nome, l'attimo in cui l'aria mi portò il suo profumo, l'attimo in cui Londra parve rallentare, e l'umanità abbassare la voce, e l'universo fermarsi per osservare, e il tempo dilatarsi per consentirmi di cogliere ogni sfumatura di quell'attesa snervante: era stato un bagliore ramato dietro un vetro oscurato a rivelarmi che qualcosa stava per accadere? Forse. Non lo saprò mai, con certezza. Ma quell'auto io la riconobbi subito, e sapevo che non doveva essere lì. Avevo speso un capitale per farla arrivare a Londra, dove guidarla era un casino dato che aveva il volante dalla parte sbagliata. Quella era l'auto con la quale avevo portato Lea al Demons. Avevo esplicitamente vietato di pulire l'interno dei finestrini, perché potevo vedere l'impronta del passaggio delle sue dita quando si appannavano. Le sue stelline. I suoi cuoricini. La scritta "free Britney". L'auto, che sarebbe dovuta rimanere parcheggiata al sicuro nel mio garage da seicento metri quadrati, rallentò fino a fermarsi davanti al red carpet, e io avevo sceso la gradinata del Baker Hill senza nemmeno accorgermene, attendendo con il cuore a mille che lo sportello mi rivelasse che quella notte valeva ancora la pena di essere vissuta. Dal sedile anteriore scese Andrey, che mi guardò con un ghigno stampato sulla faccia. Aprì la portiera posteriore e la vidi. Scese con l'aiuto di Andrey.

E fu come un fuoco d'artificio colorato in un cielo di velluto nero.

La.mia.bambina.

Pallida e preziosa come una perla in un nido di carbone, illuminò tutta la fottuta città con la sua sola esistenza, suprema concessione di una creatura divina, irraggiungibile perfezione per sguardi immeritevoli.

La notte scomparve, perché Lea divenne la notte, rubò la scena a Londra e io vidi solo lei. Solo la mia cosina preferita, con le sue spettacolari scarpe rosse, i suoi capelli morbidamente abbandonati sulle spalle, e il suo sguardo spaventato. No, non spaventato, terrorizzato.

Il polso mi vibrava come un motore di formula uno, segnalando che il suo panico non dimorava solo nei suoi occhi verdi, ma le pompava da dentro con furia.

Mi persi forse un paio di secondi, folgorato da una visione inaspettata, miracolosa apparizione in una notte che chiaramente aveva rinunciato a tutte le sue stelle per consentire a Lea di spandere meglio il suo bagliore sulla mia esistenza.

Il suo sguardo implorante incrociò il mio e la sua muta supplica mi stritolò il cuore.

Abbandonai tutto e tutti, attraversando quel cazzo di tappeto rosso in senso inverso, trovando quella distanza misera comunque eccessiva, comunque inopportuna, comunque inappropriata, perché mi costrinse ad attendere un'ulteriore manciata di attimi prima di poterla toccare, prima di sentire di nuovo la sua pelle rubare calore alla mia, prima di sentire di nuovo il profumo dei sogni avverati nelle narici.

Il mondo si privò di tutti i suoi inutili suoni, ammutolendo completamente nell'istante in cui le mie mani circondarono il suo viso e la mia bocca si appropriò della sua, ritrovando esattamente ciò che aveva lasciato: morbida perdizione e piccante ossessione.

Quelli che mi parvero centinaia di lampi furiosi piovvero su quel bacio disperato, come stelle epilettiche a impreziosire il nostro ritrovarci, il nostro completarci ancora.

Ma erano i flash dei giornalisti, centinaia di occhi luminosi e curiosi, gelosi della mia meraviglia, desiderosi di rubare la nostra unicità. Quello fu il bacio che ci rese immortali, il bacio che ancora trovate su Google digitando i nostri nomi, il bacio che ancora stampano sulle magliette. Quello fu il bacio che diede vita al nostro essere " i Levor", Lea e Trevor, nuova coppia del secolo: lei sconosciuta fino a un attimo prima, io scapolo d'oro dalla pessima reputazione. Quella notte battezzammo la nascita della nostra celebrità, senza saperlo.

La mattina dopo, eravamo già più cliccati dei Bennifer e dei Ferragnez. I Levor, Cristo di Dio. E io e lei forse il dubbio che avremmo combinato un casino mondiale lo avevamo, ma voi no, vero?

Voi non lo sapevate che avremmo incasinato tutte le vostre vite in una qualche misura. Non immaginavate che tra una scopata e l'altra ci prendevamo il tempo di inseguire la libertà abbandonando il potere e la ricchezza, modificando la composizione dei vostri averi, scombinando le vostre certezze, sputtanando ogni singola priorità del mondo evoluto.

E io quel bacio lo tenni in vita il più a lungo possibile, lo stimolai a resistere alla nostra umana necessità di respirare, lo incoraggiai ad andare oltre quello che era il limite della sopravvivenza. Quel bacio me lo tenni stretto come mi tenni stretto il visino angosciato della mia bambina, lo lasciai fiorire ed esplodere davanti a un pubblico non invitato, indifferente a qualunque altra cosa, immerso nel mio amore, sopraffatto dalla mia dipendenza da Lea, abbracciando con disinvoltura la mia condanna nel derivare da lei, nel non poter vivere senza la sua presenza nelle immediate vicinanze, il mio respiro subordinato al suo, il cuore in condivisione, due corpi e una sola anima. Proprio io, che un'anima e un cuore nemmeno sapevo di averli, in quel momento scoprivo che a custodirli entrambi era Lea.

Non avrei mai, mai, mai e poi mai voluto allontanare le mie labbra dalle sue, ma fui costretto a farlo, probabilmente per esercizio del potere coercitivo del mio corpo sfinito sulla mia volontà. La mia lingua si arrese all'impellente necessità di liberare la sua, ma le mie mani si guardarono bene dall'allontanarsi del suo viso magnifico, e la mia bocca non ebbe proprio facoltà di prendere le distanze da lei, e le seminò piccoli baci affettuosi in ogni centimetro di pelle non occupato dalle mie mani.

E poi Lea fece quell'altra cosa favolosa, sapete? Quella che aveva dato un senso al mio resistere trentacinque anni a una vita che mi ero appiccicato addosso con la forza dato che non mi apparteneva abbastanza; Lea fece quella cosa che non ha prezzo ma ha un valore inestimabile: mi sorrise. Mi sorrise con le labbra, con gli occhi, con il cuore, con lo sguardo commosso, con tutto. Forse mi sorrise anche Londra, quella stronza di una città che mi ospitava senza accogliermi.

«Hai preso un aereo, Lea.»

«Sì.»

«Avevi detto che lo avresti fatto solo una volta, e che sarebbe stato per non tornare mai più.»

«Sì, lo avevo detto. Hai una memoria prodigiosa, signor Baker.»

«Solo quando si tratta di te.»

I nostri nasi quasi si sfioravano, perché avevo deciso che non avrei mai interrotto il mio contatto con lei, che avrei visto l'alba senza smettere di toccarla, e nell'incertezza le mie mani erano ancora la migliore cornice per il suo viso da bambolina. Non volevo proprio che la notte me la portasse via, che le stelle la rapissero.

«Ti ho scombinato i piani per la serata.»

«Sì. Te ne sono grato, amore mio.»

Si morse il labbro in quel modo erotico che solo lei, solo lei può fare con tanta naturalezza.

«Il mio inglese è pessimo.»

«Ho la soluzione, bambina.»

Soffocò una risatina. «Devo tacere fino a domani?»

«No. Mi devi baciare fino a domani. Così nessuno sentirà quanto è pessimo il tuo inglese.»

Si strinse nelle spalle prima di affondare nel mio corpo, in un abbraccio che avrebbe voluto difenderla e salvarla da tutto.

«Stai con me? Sono venuta ma adesso so che non so affrontare questa serata da sola.»

«Non ti lascio più, amore mio, ok? Andiamo a casa. Non me ne frega un cazzo di questo posto.»

Appoggiò il mento al mio petto, regalandomi una smorfia birichina. «Tu sei fuori di testa. Io non me ne vado finché non ho sentito J-Ax, signor Baker.»

Il rapper filosofo. Avevo rimosso. «Va bene, bambina. Allora dobbiamo entrare, mangiare, bere e sopportare fiumi di parole inutili pronunciate da persone noiose. Te la senti?»

Annuì, convinta.

«Com'è andato il volo?»

Si morse di nuovo il labbro e bruciai per il desiderio di poter fare altrettanto.

«Ho dormito.»

Le passai le dita tra i capelli. «Hai preso dei tranquillanti?»

«Un paio.»

«Ok, allora niente alcol stasera.»

Lea sbuffò, e la trovai irresistibilmente buffa. «Una serata del genere è inaffrontabile senza alcolici» si lamentò.

«Hai affrontato Viktor, senza alcolici. Questo non può essere peggio.»

«Invece sì.»

Mi abbassai per sussurrarle all'orecchio una promessa. «Se fai la brava, bimba mia, ti faccio sentire quanto sono comodi i letti delle mie suite, quanto sono fresche le nostre lenzuola di seta, e quanto può essere eccitante farti scopare in un hotel di lusso nuovo di zecca, mentre di sotto quattrocento persone mangiano gamberetti e bevono Champagne...»

«Quante suite ci sono?»

Le piantai un bacio sulla fronte. «Quattro. E ho intenzione di testare i materassi di ognuna di esse.»

Non le diedi nemmeno la possibilità di replicare. La presi per mano, lanciai uno sguardo pieno di gratitudine ad Andrey, e percorsi di nuovo il red carpet, con lei accanto, che camminò con convinzione verso l'uomo che aveva collaborato alla morte di sua madre. Sfilò davanti a mio padre senza indugio, con una disinvoltura che non era mai appartenuta nemmeno a me.

Ma sentii la sua mano stringere più forte la mia quando la distanza con Sebastian divenne quasi nulla. E sciolsi il nodo delle nostre dita per passarle un braccio intorno ai fianchi, posandole un bacio sulla tempia nell'esatto istante in cui lo sguardo di mio padre incrociò il mio.

Quella notte accaddero parecchie cose. 

SPAZIO AUTRICE

Sarà una lunga notte, ma l'idea è di concedere a sti poveri disgraziati un po' di sesso prima del trauma e del sangue. 

Così, giusto per non accrescere nemmeno un po' le vostre aspettative ahaha!

Che dire? Ho sonno. 

Se vi va, una stellina un commento bla bla bla farebbero comodo.

Ho troppo sonno per scrivere qualcosa di più sensato,

Notte!

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