MUDDY PUDDLE

By AppleAnia

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Giuseppina ha ventiquattro anni, è stata lasciata dal fidanzato, non ha un lavoro fisso e pubblica online fan... More

PERSONAGGI
PREMESSA
1 • IL PARADISO DEL PERFETTO MISANTROPO
2 • LA PRIMA REGOLA DEL SUCCESSO
3 • IL MIO GIORNO FORTUNATO
4 • TI ANDREBBE DI BALLARE CON ME?
5 • LA FINESTRA
6 • UNO DI NOI
7 • UN PIEDE NELLA FOSSA
8 • LA COLONNA SONORA DELLA NOSTRA INFANZIA
9 • CLASSE A
10 • IL GUFO
11 • PERCHÉ IO LA ODIAVO
12 • RODEO
13 • CHEMISIER
14 • GUARDRAIL
15 • ENGLISH SETTER
16 • EX
17 • CALCIO A OTTO
18 • DUE ETTI DI LONZA
19 • I COLORI DELL'ARCOBALENO
21 • MASCHIO DA EXPO
22 • MA QUINDI PERCHÈ LA SCHIENA FELINA GUARDA SEMPRE IL CIELO?
23 • EFFLUVI
24 • UNICA COLPA? ESSERE PIÙ BELLA DI TE
25 • IL COLPEVOLE SARÀ LASCIATO SOLO
26 • INTO THE WOODS
27 • PASSEPARTOUT
28 • STORMYVENETIA
TRE MESI DOPO
RINGRAZIAMENTI

20 • UN ALTRO SOSPETTATO

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By AppleAnia

Non so perché ma, ultimamente, tutte le volte in cui il telefono squilla mi ritrovo a sobbalzare. Forse perché una parte di me spera che sia Danny e l'altra teme che sia Peter. E, invece, sorprendentemente, stavolta non è nessuno dei due.

«Belinda?» domando, sconvolta. «È successo qualcosa?»

«No, niente» risponde. Ha una voce strana, sembra quasi... in imbarazzo. «Anzi, scusami per il disturbo. Volevo solo dirti che il tuo progetto di trasformare Ride Me in un teen mystery...»

«Sì?» chiedo, impaziente.

«... funziona» conclude, a sorpresa. «Missie Mouflon, l'amica d'infanzia della protagonista, la vittima che però è anche la prima colpevole, è un personaggio davvero interessante».

«Cosa?» domando, incredula. «Stai dicendo che il mio progetto... ti piace?»

«Sì» risponde, un po' seccata di doversi ripetere. «Mi sembrava di essere stata chiara. Il personaggio di Missie funziona. E anche Mottie e, in generale, l'idea di un'antagonista diretta per Ronja. Ma, in tutta onestà, la cosa che meno mi aspettavo e che più ho apprezzato è stata la svolta che ha preso il personaggio di Percival Parker-Potato: scaricato da Ronja per il maniscalco che le ha ferrato il cavallo del nonno. Un colpo di genio, devo ammetterlo».

Ho sentito bene?

«Hai fatto un ottimo lavoro» conclude. «Che, tuttavia, non credo sia in alcun modo conciliabile con il materiale di partenza. Cosa hai intenzione di fare? Intendi riscrivere il libro da capo?»

«Certo!» esclamo, euforica. «Certo, posso riscriverlo da capo, se dovesse essere necessario!»

«Non ne dubito» ribatte, non condividendo il mio entusiasmo. «Ma l'editore non lo accetterà».

«Cosa? Perché mai?»

«Perché intende farti uscire nel giro di pochi mesi, probabilmente a inizio anno nuovo» risponde. «Ma, soprattutto, perché sa che il vecchio Ride Me, per quanto faccia francamente schifo, ha avuto oltre tre milioni di visualizzazioni online e, quindi, venderà senza problemi».

«Ma il nuovo Ride Me sarà ancora meglio!» ribatto. «Venderà ancora di più!»

«Non è così che funziona l'editoria, mi spiace deluderti. E tu ormai hai firmato un contratto» risponde, non senza una certa dose di insofferenza. «Ma puoi tenere a mente tutte queste idee per il prossimo libro, magari. Sempre ammesso che qualcuno intenda darti una seconda possibilità come autrice, dopo aver letto quella merda di Ride Me».

Sto per aprire bocca e rispondere ma un avviso di chiamata mi interrompe giusto in tempo prima che cominci a piagnucolare.

«Scusami. Ho un'altra chiamata» dico, afflitta. «Possiamo parlarne dopo in chat, magari».

«Non è necessario, non ti preoccupare. Concentrati nel tagliare quelle quarantacinquemila parole» dice, ed è tornata al suo consueto tono antipatico. «E mandami quanto prima le tue idee per il sottotitolo».

Riattacco depressissima (Ride Me: afflizione?) e prendo l'altra chiamata.

«Ciao, Danny» dico, più avvilita di quanto vorrei sembrargli.

«Ciao, Peppa. Scusami ancora per ieri. Non ho proprio fatto in tempo a finirti la macchina».

«Non ti preoccupare» lo rassicuro. «Mi hai anche avvertita per tempo».

«Comunque, ora è pronta. Come sei organizzata nel pomeriggio?».

«Devo ancora organizzarmi. Ti faccio sapere più tardi, va bene?»

C'è un momento di silenzio di troppo, dall'altra parte del telefono.

«Se hai da fare non importa» mi affretto ad aggiungere. «Posso prenderla anche domani».

Anche dopodomani, in realtà. O il giorno dopo ancora. Perché, finché lui avrà la macchina, io avrò una scusa per continuare a sentirlo, con o senza l'approvazione della nonna.

«Ma no, figurati. Fammi sapere se hai modo di farti accompagnare da qualcuno. Altrimenti passo a prenderti io non appena stacco» dice, dopo qualche altro istante. «Ci sentiamo dopo, allora».

Riattacco e scendo al piano di sotto.

«Dove stai andando?» mi chiede la nonna.

«Non a circuire poveri meccanici di campagna, puoi stare tranquilla» rispondo, offesa. «Voglio andare a trovare la mamma di Suzy alla villa».

«Peppa...» dice, a disagio, asciugandosi le mani sul grembiule da cucina. «Non era mia intenzione... non volevo offenderti. Vorrei solo che nessuno rimanesse ferito».

«Ho capito, non ti preoccupare» taglio corto, perché non mi va di affrontare di nuovo il discorso. «Torno per cena».

La villa di Suzy, immersa nel silenzio della brughiera e alla luce fioca di un piovoso primo pomeriggio, sembra meno sfarzosa ma assai più elegante della prima volta in cui l'ho vista giganteggiare sulla collina con la sua illuminazione esagerata. È circondata da un enorme giardino curatissimo e, grazie alla sua strategica posizione rialzata, regala una vista mozzafiato sulle modeste alture circostanti.

Le mura di pietra e il tetto scuro in ardesia sprigionano un'energia antica, gotica e affascinante. È proprio in una villa come questa che immagino Ronja intenta a spassarsela con... sì, con Donny, il maniscalco sessualmente attraente del perverso circolo di equitazione che frequenta.

Le parole di Belinda, però, mi hanno buttata parecchio giù. E non solo perché Percival Parker-Potato si è rivelato un protagonista non all'altezza delle mie aspettative (Ride Me: sedazione?) ma anche e soprattutto perché Ride Me, così per come è stato scritto tre anni fa, non mi soddisfa più per niente. Cioè, per quanto ritenga che alcune delle parole scelte da Belinda (tipo schifo e merda) siano una vera esagerazione, devo ammettere che...

«Peppa, cara!» cinguetta la signora Ellis, facendo capolino dal portone. «Vieni dentro, ti prego».

Mi avvicino ma, nel frattempo, non posso fare a meno di cercare la finestra dello studio con lo sguardo. La trovo subito. Il vetro non è stato ancora sostituito e un telo di plastica ci svolazza davanti. Nella sfortuna di essere stata aggredita da uno dei suoi amici, forse, non le è neanche andata troppo male. Di tutte le finestre del piano superiore, infatti, è l'unica che affaccia sul terreno fangoso e non sul patio pavimentato.

Varchiamo insieme la soglia e lei mi fa strada all'interno di quel labirinto di corridoi, sale da pranzo e ambienti comuni perfettamente arredati nello stile severo e allo stesso tempo romantico del secolo scorso.

«Vieni, accomodiamoci qui» mi dice, quando giungiamo in una saletta stupenda piacevolmente riscaldata da un fuocherello scoppiettante all'interno di un caminetto rustico. Tappeti scoloriti, travi di legno a vista, pavimenti in pietra: è questo il casale di campagna che mi aspettavo, non quel volgarissimo salone giallo per le feste. «Ti dispiace se fumo?»

«No di certo» rispondo. «Come sta Suzy?»

«Ha già subito un intervento» risponde, mogia. «Ma la strada per la guarigione è ancora molto lunga. E non è da escludere che possa aver riportato danni permanenti».

«Sono sicura di no...» farfuglio.

«Ha avuto la frattura di due vertebre, oltre all'ematoma cerebrale che, per fortuna, pare abbia cominciato a riassorbirsi» dice, e ammiro il contengo composto e dignitoso che riesce a mantenere. «C'è il rischio che possa rimanere...»

«Non rimarrà...» la interrompo, ma io stessa non ho intenzione di pronunciare quella parola. «Suzy è orgogliosa e testarda come tutte le persone dello Yorkshire. Non si lascerà certo fermare da un paio di vertebre fratturate».

«Sì, lo penso anch'io. Grazie, Peppa» dice. «Si vede che tu la conosci meglio degli altri. Del resto, solo un'amicizia forte come la vostra avrebbe potuto sopravvivere al tuo trasferimento e alla distanza».

Sì, giusto. Perché la signora Ellis, non si sa per quale motivo, è convinta che Suzy ed io abbiamo continuato a frequentarci, in questi anni. Quando ci siamo incontrate in ospedale mi aveva addirittura parlato di weekend trascorsi a Londra e di un viaggio insieme in non ricordo quale capitale europea.

È quindi evidente che Suzy mi abbia usato come copertura. Resta da scoprire con chi abbia effettivamente passato quei weekend. Che avesse una relazione parallela? Che il povero Richard Rybakov, oltre alla bellezza mozzafiato, all'annaffiatoio e allo slippino abbia deciso di aggiungere al suo già ben fornito equipaggiamento uno scintillante paio di corna?

«... matrimonio da organizzare» conclude la signora Ellis.

Cazzo. Non ho sentito niente di ciò che ha detto.

«Matrimonio?» domando.

«Sì» conferma. «Non lo avevano ancora detto a nessuno, ma Susan e Richard avevano già cominciato a organizzarsi per la prossima estate. Pensa che avevano già fermato la chiesa. Susan era così entusiasta...»

La signora Ellis fa una pausa e io prego, invano, che non stia per porgermi quella domanda.

«Peppa...» sussurra, «una ragazza così contenta della sua vita, con così tanti progetti per il futuro... perché mai avrebbe dovuto tentare il suicidio?»

Lo sapevo, non sarei dovuta venire. Perché, ora, non sono in grado di sostenere lo sguardo della signora Ellis e di continuare a mentirle.

«Non stai bene, cara?» mi domanda. «Scusami. Da quando è successo sono così tormentata... ma non ho dimenticato che tu eri lì e che anche tu, certamente, sarai turbata tanto quanto me».

«No, sto bene, non si preoccupi» bofonchio e, fortunatamente, qualcuno suona al campanello liberandomi dall'impaccio.

«Scusami un secondo» dice la signora, alzandosi in piedi. «Arrivo subito».

«Faccia con calma. Posso usare il bagno, nel frattempo?»

«Certamente» annuisce, espirando il fumo verso il camino. «Esci da questa sala e attraversa l'arco, il bagno è la seconda porta a destra dopo le scale».

Sgattaiolo vilmente fuori dalla stanza a tiro un sospiro di sollievo. Devo risolvere questo caso e devo farlo al più presto. Mi dirigo mestamente verso il bagno seguendo le indicazioni che ho ricevuto. Poi, però, sento la signora Ellis parlare con qualcuno sulla porta e, non volendo, mi ritrovo a drizzare le orecchie.

«Ma... di nuovo?» la sento domandare. «Non ha saputo cosa è successo a mia figlia? Le sembra il caso di venirmi a disturbare?»

Chi è che disturba la signora Ellis? Non che siano affari miei, ovviamente. Non ho la minima intenzione di mettermi a origliare. Cioè, non di proposito. È solo che, casualmente, mi trovo a passare proprio qui. Mi affaccio per sbirciare dietro l'arco e lo vedo. Fermo sulla porta, con una ciocca di capelli bianchi sulla fronte in netto contrasto con il resto della chioma corvina, la sua divisa blu indosso e una lettera nella mano. Il padre di Zoe, il postino rincoglionito!

«Mi spiace molto» dice, anche se, così, a occhio, mi azzarderei a ipotizzare che non gliene possa fregare di meno e che la sua unica preoccupazione sia di rifilare alla signora Ellis l'ennesima lettera per il signor Davies in modo da concludere la giornata lavorativa e andare a spassarsela con l'amante. «Dovrebbe firmare qui».

«Se la firmi da solo e la smetta!» esclama lei e temo che stia per sbattergli la porta in faccia.

«Ha ragione, mi scusi, la prego» dice, e sfodera un sorriso sorprendentemente sexy. Non sembra più tanto rincoglionito, ora. «Certo che ho saputo cosa è successo a sua figlia. Come sta Susan, a proposito? E lei? Lei come sta, Sarah?»

«Oh, beh...» risponde lei che, di fonte al sorriso sexy ha perso tutta la verve e ora pare improvvisamente ammansita. «Ecco, vede, in realtà...»

Credo che il signor Zimmerman si sia reso conto con un secondo di ritardo di aver posto la domanda sbagliata. Arretra di un passo, forse inconsciamente, come primordiale meccanismo di difesa di fronte alla furia del fiume di parole che la signora Ellis gli sta vomitando addosso.

Miseria, le scale per il piano superiore sono proprio qui davanti a me. Ma no, non posso farlo.

No.

Cioè, forse. Anzi, no.

Mi guardo furtivamente intorno ma non sembra esserci anima viva.

Ok, lo faccio. Del resto la situazione è disperata.

Mi precipito al piano di sopra salendo le scale a due a due quasi senza respirare e, con il cuore il gola, mi affaccio in tutte le stanze da letto finché non incrocio quella di Suzy. E, quando la trovo, scivolo all'interno e mi chiudo la porta alle spalle.

L'ambiente è ordinato e signorile. Al centro delle stanza troneggia un imponente letto a baldacchino, di legno scuro intagliato e, alle sue spalle, c'è una parete quasi completamente ricoperta da fotografie, decine e decine di puntine che perforano la carta da parati a fiorellini fino a ricoprirla del tutto.

Sto facendo una cosa orribile. Faccio scivolare delicatamente la mano sul suo copriletto e mi avvicino alla parete piena di foto in punta di piedi, con deferenza. Eppure, per quanto mi sforzi di muovermi lentamente, in silenzio e con attenzione, mi sento in colpa come se avessi fatto irruzione nella sua vita sfondando la porta a calci. Ma, ormai, ci sono.

Uhm. Per lo più sono foto di lei e Richard. Però, guardando meglio, ne trovo anche altre: una con Paul e Danny (miseria, ma come fa a essere così bello?), una con Fox, un paio con Raisa e Zoe e... oddio. Sono io, quella?

Stacco con estrema delicatezza la foto dal muro per guardarla meglio. Sì, accidenti. È una foto di noi due più o meno dodicenni, felici e sorridenti nel giardino della vecchia casa di Suzy. Ricordo benissimo quella giornata di primavera. Ricordo la sua camicia a fiori e il profumo del giardino fiorito.

Cazzo, Suzy. Che accidenti hai combinato? Come ha fatto questa vita fantastica che avevi a finire sepolta sotto tutta quella merda?

Mi manca l'aria e, all'improvviso, voglio subito uscire da questa stanza. Eppure, mentre costeggio il letto gigantesco, noto un libro sul comodino.

Molto interessante. Questo potrebbe proprio essere l'elemento risolutivo dell'indagine. Adesso mi avvicinerò e scoprirò che si tratta di un libro di poesie. Lo aprirò esattamente alla pagina con il segnalibro (una striscia di fototessere di Suzy con il suo amante, se sono particolarmente fortunata) e leggerò il criptico sonetto che, con la dovuta interpretazione, darà un senso a tutta questa intricata faccenda.

La schiena felina guarda il cielo, è il titolo. Mi piace. Mi fa pensare a una spiritosa raccolta di ironici versetti scritti in dialetto.

Uhm, ok. Purtroppo il segnalibro non è una striscia di fototessere di Suzy con il suo amante ma un ignobile cartoncino rosso con il nome della libreria. Sono sicura che il sonetto, però, sarà decisivo per la risoluzione del caso. Così mi avvicino il libro agli occhi e leggo:

Il momento angolare di una particella è uguale al prodotto tra la lunghezza di r e il modulo della quantità di moto p della particella:
L = r p = r mv

Cioè... eh? Sfoglio rapidamente un paio di pagine avanti e indietro.

...si conserva nel tempo se è nullo il momento totale delle forze esterne che agiscono su di esso...

... il totale L del corpo rigido rispetto a O è la somma dei momenti delle tre particelle:
L = L1 + L2 + L3 =  m1v1r1+ m2v2r2 + m3v3r3

Beh... ok, ci ho provato. Mi toccherà cercare indizi da qualche altra parte. Scatto comunque una foto alla pagina con il segnalibro, giusto per mandarla a Belinda e farle vedere come è scritto un vero librodimerda. Poi chiudo la schifezza litografata in linguaggio alieno e la ripongo nuovamente sul comodino.

La schiena felina guarda il cielo, eh? Patetico. Patetico e fuorviante. Mi chiedo chi abbia mai potuto scrivere una simile...

Edison Oldroyd

«Ti serve qualcosa?» mi domanda una voce alla spalle, facendomi quasi infartare.

«Kate?» sobbalzo, con la faccia in fiamme.

«Che ci fai qui?»

«Niente... stavo cercando il bagno, ho visto la stanza di Suzy e mi è venuta un po' di nostalgia... sai...»

«Esci, per favore» mi intima. «La signora non sarebbe contenta di saperti qui».

«Sì... certo... ecco» balbetto.

Ho ancora la foto in mano e non credo proprio che Kate l'abbia vista. Non vorrei appropriarmene di nascosto, ovviamente. Ma non vorrei neanche che mi vedesse mentre tento malamente di riattaccarla al muro con la puntina perché potrebbe pensare... beh, potrebbe pensare che volessi proprio appropriarmene di nascosto.

Me la faccio quindi scivolare con disinvoltura nella tasca e ubbidisco. Lancio un'occhiata fuori dalla finestra e vedo il signor Zimmerman, completamente annichilito dallo sconcertante conciliabolo con la signora Ellis, allontanarsi barcollando.

«La signora ti sta aspettando» mi dice, non appena le passo di fianco. «Vi ho portato il tè».

Passo il resto del pomeriggio come se avessi qualcosa di incandescente nella tasca. È soltanto una foto ma io mi sento una ladra.

Così, quando abbiamo terminato il tè (che ho sorseggiato rievocando ricordi dell'infanzia mia e di Suzy, ancora molto vividi nella mia mente) e il whisky (che ho tracannato inventando di sana pianta i ricordi di tutti i viaggi che Suzy si è fatta con qualcun altro, usandomi come copertura) sono un po' alticcia e ben felice di alzarmi, scusarmi, ringraziare e tagliare la corda.

Raggiungo il cancello esterno della villa accompagnata dalle ultime luci del giorno. Solo a quel punto, abbassando l'ombrello per non correre il rischio di farla bagnare, trovo il coraggio di estrarre di nuovo la foto dalla tasca.

È capovolta. E, sul retro, c'è scritto qualcosa che prima non avevo notato.

È Wendy Woolford, Peppa. La persona con cui ho una relazione è Wendy Woolford.

Rileggo quelle poche parole una dozzina di volte. Ma perché ha scritto una cosa del genere? Perché si rivolge a me direttamente, come se, in qualche modo, sapesse che sarei finita per frugare in camera sua e trovare quella foto?

La ripongo nuovamente nella tasca e, con la mano leggermente tremante, prendo il telefono.

«Danny...» dico, non appena mi risponde. «Hai finito di lavorare? Potresti venirmi a prendere a casa di Suzy? No, va tutto bene... sì... sì, sono sicura... solo che... credo di avere un altro sospettato».

Ebbene, stimati colleghi... come state? Perché percepisco già una certa mosceria estiva?

Oggi non ho aneddoti da raccontarvi. Cioè, potrei parlarvi dell'apocalisse allergica che ho avuto ieri pomeriggio e che mi ha portata a fare una cosa tipo 70 starnuti di seguito (e delle conseguenti condizioni dermatologiche e sopratutto cromatiche del mio naso, quest'oggi), oppure potrei raccontarvi della cocente delusione che ho provato nel constatare che la cipria cinese che ho comprato su Amazon mi si infila nei pori e quindi è quasi inutilizzabile (ç_______ç) ma non lo farò.

Ps: comunque, siccome l'aver starnutito senza sosta per tutto il pomeriggio con gli occhi che lacrimavano e il naso a metà tra l'amaranto e il rosso pompeiano (Liza, appuntati questi due colori favolosi 😍) mi ha sfiancata, ieri mi sono abbioccata davanti a temptation island che, se amate il trash, DOVETE assolutamente guardarvi.

Pps: Bely mi ha chiesto più volte se tra i componenti della cipria cinese ci fosse l'aggrappante per pareti.

Baci baci

🦉AppleAnia🦉

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