MUDDY PUDDLE

By AppleAnia

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Giuseppina ha ventiquattro anni, è stata lasciata dal fidanzato, non ha un lavoro fisso e pubblica online fan... More

PERSONAGGI
PREMESSA
1 • IL PARADISO DEL PERFETTO MISANTROPO
2 • LA PRIMA REGOLA DEL SUCCESSO
3 • IL MIO GIORNO FORTUNATO
4 • TI ANDREBBE DI BALLARE CON ME?
5 • LA FINESTRA
6 • UNO DI NOI
7 • UN PIEDE NELLA FOSSA
9 • CLASSE A
10 • IL GUFO
11 • PERCHÉ IO LA ODIAVO
12 • RODEO
13 • CHEMISIER
14 • GUARDRAIL
15 • ENGLISH SETTER
16 • EX
17 • CALCIO A OTTO
18 • DUE ETTI DI LONZA
19 • I COLORI DELL'ARCOBALENO
20 • UN ALTRO SOSPETTATO
21 • MASCHIO DA EXPO
22 • MA QUINDI PERCHÈ LA SCHIENA FELINA GUARDA SEMPRE IL CIELO?
23 • EFFLUVI
24 • UNICA COLPA? ESSERE PIÙ BELLA DI TE
25 • IL COLPEVOLE SARÀ LASCIATO SOLO
26 • INTO THE WOODS
27 • PASSEPARTOUT
28 • STORMYVENETIA
TRE MESI DOPO
RINGRAZIAMENTI

8 • LA COLONNA SONORA DELLA NOSTRA INFANZIA

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By AppleAnia

Mi rigiro tra le mani la lettera per il signor Davies mentre, vestita di tutto punto, aspetto che Peter mi venga a prendere per andare in ospedale da Suzy. Potrei chiedergli di accompagnarmi a consegnargliela e, con l'occasione, potrei rivedere Fox prima di tornare a Londra e, magari, fargli qualche domanda.

Il macchinone di Peter avanza su per il pendio e io ne approfitto per ravviarmi i capelli prima che lui sia qui.

«Ciao, Posy» mi dice, scendendo per venire ad aprirmi la portiera. «Sei veramente incantevole, questo pomeriggio».

Lo credo bene. Ho un trench molto avvitato, leggings neri pesanti, un paio di Timberland con pelliccia, un borsone in pelle e un ombrello leopardato che mi è costato una cifra che preferisco non ricordare.

Lui, dal canto suo, è semplicemente stupendo. Indossa un pratico giacchino di jeans sopra la sua iconica camicia a maniche corte e il consueto cappello da cowboy. Il suo macchinone sfreccia come un bolide fendendo la pioggia scrosciante e lui guida tenendo una mano sul volante e una sul cambio. Sfodera un sorriso devastante quando alla radio passano una delle sue canzoni e, in un impeto di modestia maledettamente sexy, allunga una mano per abbassare il volume.

«No, lascia, ti prego» gli dico, e lui mi lancia un'occhiata divertita quando alzo ulteriormente il volume per sovrastare il rumore della pioggia e inizio a canticchiare.

Potrebbe essere un appuntamento. Potrebbe essere il mio appuntamento con Peter Potato. E invece siamo arrivati proprio davanti all'ospedale in cui è ricoverata Suzy.

«Non devi preoccuparti» mi dice, una volta fermata la macchina nel parcheggio sotterraneo, slacciandosi la cintura. «Susan se la caverà, sono sicuro».

Raggiungiamo il piano in silenzio. O meglio, io sto in silenzio. Peter non fa che salutare ed essere salutato, stringere mani e scambiare parole cordiali con sconosciuti.

«Scusami, Posy» mi dice. «Anche quando la situazione non è delle migliori, non mi piace proprio essere sgarbato con i fan».

«Ci mancherebbe altro» rispondo e intanto sorrido con aria complice a un'infermiera che ci sta fissando.

L'infermiera, però, non ricambia il mio sorriso. Anzi, serissima in volto, si frappone tra noi e la porta tagliafuoco del reparto, sbarrandoci la strada.

«Qui non si può entrare, signori, mi dispiace» dice, e la sua voce mi suona insolitamente familiare.

«Sono sicuro che puoi fare un'eccezione» dice Peter, strizzandole l'occhio. «Dopo possiamo fare una foto insieme, magari».

La tizia non muta espressione e Peter sembra capire l'antifona.

«Oppure posso pagarti il disturbo» aggiunge.

«Il mio disturbo non è in vendita» risponde lei e, in quel momento, la riconosco.

«Wendy Woolford!» esclamo. «Sei tu, vero?»

«Ah, vi conoscete?» chiede Peter.

«Sì, eravamo in classe insieme» rispondo, poiché Wendy non sembra intenzionata ad aprire bocca. «Ti ricordi di me? Sono Giuseppina... Peppa».

«Sì, certo che mi ricordo» dice, e sorride appena.

O meglio, si sforza malamente di sorridere. In effetti, mi rendo conto, nonostante, per quel che mi ricordi, sia sempre stata molto carina, ha un aspetto terribile. I suoi capelli neri, che ricordavo lunghi, lisci e lucenti, sono ora lunghi fino alle spalle, opachi e sfibrati e sul suo volto pallido troneggiano due profonde occhiaie scure.

«Siamo venuti a trovare Susan» provo. «Puoi lasciarci passare?»

«No, Posy, lascia stare» interviene Peter. «Non vogliamo mettere la tua amica in condizione di dover infrangere le regole. Piuttosto, andrò a chiedere personalmente il permesso al primario. Sono certo che non ce lo negherà».

Finisce di parlare, mi dà un buffetto sulla testa e si allontana a lunghe falcate lungo il corridoio. Dio mio. È stupendo.

«Sono contenta di averti rivista» mento, tornando a voltarmi verso Wendy, dopo qualche imbarazzante momento di silenzio. «Ti trovo davvero...»

Uno schifo.

«Grazie» mi interrompe.

«E quindi, tu e Susan siete colleghe» riprovo. «C'eri anche tu alla festa, ieri sera? Non mi pare di averti vista».

«No» risponde, e mi sembra che stia iniziando a spazientirsi. «Non c'ero. Io e Susan non siamo amiche».

Non stento a crederlo, onestamente. Wendy non aggiunge altro. Una parola su quanto terribile sia ciò che è accaduto a Suzy, una frase di circostanza, una di quelle edificanti esclamazioni sulla precarietà della nostra permanenza su questa terra che le persone si sentono sempre in dovere di fare in casi come questo. O un commento incredulo e ammirato sul fatto che mi abbia appena vista entrare insieme al frontman del gruppo più famoso di questo decennio, anche. Ma niente.

Però neanche se ne va. È trasmutata in una statua di cera. Se ne sta lì, immobile, a sbarrarmi la strada senza perdere mai il contatto visivo come se temesse che, alla sua minima distrazione, io possa scattare in avanti, scartarla e intrufolarmi nel suo preziosissimo reparto con una sciarpa (meglio se del Manchester United) legata intorno alla faccia a mo' di passamontagna, pronta ad alzare cori, lanciare fumogeni e stappare birre con gli occhi.

L'eco di una serie di singhiozzi convulsi rimbomba improvvisamente per tutto il corridoio e, qualche attimo dopo, da quella stessa porta fuoriesce la signora Ellis, la madre di Suzy. Indossa un vestito rosa e ha i capelli chiari raccolti tiratissimi in un composto chignon.

«Giuseppina?» mi domanda, non appena il suo sguardo lacrimoso si posa su di me. «Sei proprio tu?»

Faccio in tempo ad aprire la bocca per rispondere che mi è già saltata al collo.

«Oh, Giuseppina!» singhiozza, e io tento di darle qualche confortante colpetto sulla schiena. «Peppa! Sono così contenta che tu sia qui! Susan mi raccontava sempre... mi raccontava sempre di quanto foste rimaste amiche, nonostante la distanza!»

Cosa?

«Tutti quei weekend che ha passato da te a Londra!» continua, tirando su con il naso. «E quella volta che avete fatto quel bel viaggio... dov'era? Parigi?»

«Berlino» rispondo, a casaccio, perché non ho idea di cosa stia parlando. Peter, per fortuna, sta tornando, insieme al primario.

«Tutto a posto, Wendy» dice quest'ultimo. «Puoi lasciarli passare».

La signora Ellis mi libera dalla sua morsa e Wendy si scansa con un espressione di puro disgusto sul volto emaciato.

«Passa a trovarmi alla villa, Peppa, ti prego» mi supplica la signora Ellis, prendendomi le mani. «Mi sento così sola, senza Susan!»

«Sì, certo» rispondo, sconvolta.

«Seguitemi» ci dice Wendy, secca. «Per entrare in terapia intensiva dovete indossare camice, cuffia e copriscarpe monouso».

Lì per lì non mi rendo conto della reale portata della mostruosità delle sue parole. Cioè, è possibile che mi sia lasciata distrarre dalla visione di Peter in camice bianco e niente sotto — esclusi un paio di jeans a vita molto bassa e uno stetofonendoscopio intorno al collo tatuato — che, in maniera del tutto indipendente dalla mia volontà, ha preso forma davanti ai miei occhi nel momento stesso in cui dalle labbra screpolate e senza rossetto di Wendy è fuoriuscita la parola camice.

Ma il camice monouso è un'altra cosa, miseriaccia. Il camice monouso è un'orribile corazza di tessuto non tessuto verde con gli elastici ai polsi, che si indossa sopra tutti i vestiti e si allaccia sulla schiena con una serie di agghiaccianti laccetti che, se stretti a dovere, sarebbero in grado di assicurare uno spiacevole effetto insaccato anche alla ragazza più magra e aggraziata di questo mondo.

Wendy mi fissa scocciata con il demoniaco indumento in mano, aspettando che io mi decida a infilarci le braccia.

«C'è qualche problema?» mi domanda.

«Certo che no» mi affretto a rispondere, poi mi faccio coraggio e lascio che lei mi aiuti a indossarlo.

Finisco in fretta e furia di insaccare i capelli dentro la malvagia cuffietta e poi, insieme a Peter (che è assolutamente meraviglioso e sembra che sia nato con un camice monouso addosso), seguo Wendy all'interno di una stanza.

«Letto quattro» dice lei. «Dieci minuti».

È... terribile. La stanza è molto spaziosa e pervasa da un'illuminazione così intensa che fa quasi male agli occhi. Ci sono almeno sei persone dislocate in altrettanti letti disposti in due file da tre. Ogni letto e, sopratutto, ogni paziente, è collegato a monitor e macchinari che producono ogni tipo di suono spaventoso, dall'angoscioso bip della frequenza cardiaca fino all'ipnotico rumore di autoclave dei ventilatori meccanici. L'intero ambiente è permeato da un forte odore di disinfettante che, unito a tutto il resto, mi fa venire subito il voltastomaco.

Suzy è lì. E io non riesco ad avvicinarmi.

«Stai bene?» mi domanda Peter, passandomi un braccio intorno alle spalle.

«No» singhiozzo, senza riuscire a contenermi.

Nelle mie orecchie, sopra i rumori bruttissimi dei macchinari, risuona la sua risata cristallina, la dolce colonna sonora della nostra infanzia.

Ho sbagliato. Non avrei mai dovuto mentire alla polizia. Qualcuno ha spinto Suzy giù dalla finestra, riducendola in questo stato. E tutti gli altri, per motivi che, per quanto mi sforzi, non riesco a immaginare, hanno deciso di coprirlo. E lei lo sapeva. Sapeva che qualcuno voleva farle del male e sapeva anche che nessuno sarebbe intervenuto in suo aiuto. Per questo mi ha invitata alla festa. Per questo ha voluto che fossi presente in quello studiolo in cui stava per rivelare qualcosa di scomodo per qualcuno. Per questo mi ha chiesto aiuto.

Quando la verità uscirà fuori farò la figura della bugiarda. Della codarda. Forse sarò addirittura indagata per falsa testimonianza. Ma non mi interessa.

Scoprirò chi è stato a spingere Suzy, fosse l'ultima cosa che faccio.

Insomma, Peppa si è messa in testa di scoprire il colpevole. Ci riuscirà? I mezzi per un'ottima riuscita ce li ha tutti, devo dire ahahahahaha no, scherzo, sarà un inferno ahahah

Baci baci

🦉AppleAnia🦉

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