Sanem
Apro pian piano gli occhi dopo aver registrato intorno a me rumori che non mi sono per niente familiari, quello che vedo spostando lo sguardo da un lato all'altro è l'arredamento asettico di una stanza d'ospedale. Come ci sono finita qui?
La sensazione successiva che registro è il calore di una mano che stringe la mia. Abbasso lo sguardo e ciò che vedo mi riporta in un istante all'ultimo fotogramma che ricordo prima che il buio totale mi investisse: Can Divit, al cancello della mia nuova casa a Gölcük , che mi chiede se possiamo parlare. Istintivamente ritraggo la mano dalla sua attirando così la sua attenzione che era del tutto concentrata ad accarezzare il dorso della mia mano con il pollice della sua. Dopo più di un mese mi trovo a incrociare lo sguardo di quegli occhi castani che hanno sempre saputo come farmi tremare le ginocchia, ma quel tempo è passato, ora non posso permetterlo, non più. Devo essere forte, ricordare a me stessa che devo proteggermi da colui che ormai sta per uscire definitivamente dalla mia vita.
"Sanem?"
La sua voce, Allah quanto mi è mancata la sua voce! La notte mi è capitato di sognarla quella voce calda e sensuale che mi dice"Sanem aşkım, amore mio", non riesco in nessun modo a dimenticare le parole e il tono che ha usato in quelle poche ore in cui ha finto che fossi veramente importante per lui. Ma anche questo fa parte di ciò che devo dimenticare, sensazioni e sogni che devono essere accantonati per sempre. Mi guardo intorno confusa.
"Cosa è successo? Cosa ci faccio qui? O meglio, cosa ci fai tu qui?".
Lo vedo abbassare lo sguardo un attimo, come ferito dalle mie parole, poi torna ad alzarlo per spiegare. "Sei svenuta, ho fatto appena in tempo a prenderti prima che cadessi a terra. Non riuscivo a farti rinvenire in alcun modo così ho chiamato i soccorsi che ti hanno portato qui, all'ospedale di Gölcük". Nel momento in cui finisce di parlare entra nella stanza un medico seguito da un'infermiera.
"Bene, si è ripresa signora Divit, l'infermiera ora le prenderà tutti i parametri vitali. Per questa notte rimarrà qui, collegata a una flebo che avrà il compito di reidratarla, domani poi le spiegheremo come alimentarsi e quali farmaci prendere quando le crisi di nausea saranno più violente. Non deve assolutamente ridursi più in questo stato di malnutrizione e disidratazione, potrebbe mettere a rischio l'incolumità sua e del suo bambino".
Sono così concentrata su ciò che mi sta dicendo il medico che impiego qualche istante a realizzare che sta parlando della mia gravidanza. Il mio sguardo saetta a incontrare quello di Can. Lo sa, sa che aspetto un bambino, suo figlio. Devono averglielo detto i medici e a conferma lo vedo annuire impercettibilmente come in muta risposta alla mia domanda inespressa, tuttavia non riesco a decifrare la sua espressione che rimane impenetrabile.
E' arrabbiato?
Deluso?
Non saprei dirlo mentre il medico che continua a parlare richiama la nostra attenzione su di sè. "Domattina la dimetteremo, ma le fisso un appuntamento per la prossima settimana nei nostri ambulatori, voglio che segua alla lettera le mie istruzioni e che torni almeno ogni 15 giorni qui per controllare la situazione tamam, va bene?"
Annuisco mentre invece, con mia enorme sorpresa, è Can a rispondere.
"Non si preoccupi dottore, mi assicurerò che mia moglie faccia tutto ciò che è necessario per stare bene, può esserne certo". Mentre parla non distoglie per un attimo lo sguardo da me, quasi sfidandomi a contraddirlo. Di certo in questo momento, davanti al medico, non posso dire niente, ma non gli permetterò di venire a disporre di me e della mia vita a suo piacimento, non ne ha alcun diritto.
Lascio che l'infermiera mi prenda la pressione, la temperatura e faccia un prelievo di sangue per poi salutare lei e il medico e riportare tutta la mia attenzione su Can.
E' il momento della resa dei conti, metto subito in chiaro ciò che più mi preme.
"Non avevo intenzione di nascondertelo, finito il mio lavoro qui a Gölcük sarei tornata a Istabul e nei documenti per il divorzio avremmo stabilito i tuoi diritti di visita. Non ho mai pensato di negarti tuo figlio".
Lo vedo annuire con calma mentre con mia enorme sorpresa sento le sue mani prendere la mia per portarla alle labbra e posarvi un bacio leggero.
"Lo so Sanem, neanche per un istante ho pensato che lo potessi fare, il mio rammarico è che a causa di ciò che è successo tra noi non ho potuto esserti vicino in questo momento così difficile della gravidanza".
Scuoto le spalle minimizzando. "Non fa niente, non avresti comunque potuto cambiare lo stato delle cose, a quanto pare questo tipo di disturbo è normale nei primi mesi". Come poco prima sento il suo pollice accarezzare piano il dorso della mia mano, è una sensazione troppo piacevole ed è proprio per questo che cerco di ritrarla, ma la sua presa che si accentua me lo impedisce mentre mi rivolge uno sguardo che potrei definire accorato. "Ora non stai bene, hai bisogno di riposare, mi prometti però che domani potremo parlare?"
Mi irrigidisco, non posso permettergli di esercitare il suo fascino su di me, in qualche modo, da quando ci siamo conosciuti, ho lasciato che decidesse ogni cosa, ora è arrivato il momento di imporre il mio di volere.
"Credo che non ci sia nulla di cui parlare Can, come ti ho detto dobbiamo solo stabilire quando potrai vedere tuo figlio, per il resto, per noi e per il nostro matrimonio, non c'è nient'altro da dire".
Libero con decisione la mia mano dalla sua presa e mi riavvio i capelli in un gesto nervoso.
"Va bene Sanem, non voglio farti agitare, devi riposare e stare tranquilla, riprenderemo poi con calma il discorso". In effetti mi rendo conto di essere tanto, tanto stanca. Non ho la forza in questo momento per un confronto con lui, dovrò farlo presto, ma non ora. Sento le palpebre pesanti, chiudo gli occhi scivolando pian piano nel sonno anche se prima di farlo mi pare di sentire ancora una volta la sua mano stringere la mia e il tocco leggero delle sue dita che spostano una ciocca di capelli caduta sul mio viso.
Solo molto tempo dopo, quando ormai dalle tende comincia a filtrare la prima luce del mattino, riapro gli occhi sulla stessa stanza d'ospedale e lui è ancora lì, seduto accanto al mio letto, che nel sonno tiene ancora una volta la mia mano stretta nella sua con la testa riversa all'indietro contro la spalliera della scomoda poltroncina per gli ospiti. Mi concedo di osservarlo liberamente per qualche istante. Come può essere così perfetto il profilo di un uomo adulto? Mi chiedo con una stretta di tenerezza al cuore se anche il mio bambino avrà i tratti perfetti di suo padre e se la mia condanna sarà rivedere in lui, ogni giorno della mia vita, l'uomo che mi ha rubato il primo bacio ed ho amato già prima di scoprire quanto bello fosse il suo viso. L'ingresso dell'infermiera nella stanza strappa all'improvviso me dalle mie fantasticherie e lui dal suo sonno profondo. "Günaydın, buongiorno, devo prendere la pressione della signora poi, dopo colazione, verrà il medico per darvi le indicazioni da seguire a casa".
La colazione consta di tè, fette biscottate e marmellata ma io capisco che non è il caso toccare nulla, già solo l'aroma del tè mi disturba. "Non mangi?" Scuoto il capo. "In questo momento non riesco, ho capito che è inutile tentare, è meglio aspettare un momento in cui la nausea è meno forte". Mi lancia uno sguardo preoccupato. "Vuoi che vada a comprare qualcos'altro?". "No, tranquillo, in questo momento non riuscirei a mandare giù niente".
Poco dopo mi ritrovo vestita e pronta per lasciare l'ospedale con l'appuntamento fissato per la settimana successiva e tutte le indicazioni da seguire . "Mi raccomando, il riposo è la prescrizione più importante, poi niente sforzi o forti emozioni, alimentazione sana e una passeggiata di mezz'ora ogni giorno, tamam? ".
Scendiamo con l'ascensore al piano terra. "Sanem, aspettami qui davanti all'ingresso principale, arrivo subito" Poco dopo eccolo raggiungermi con il suo fuoristrada dal quale scende per aprire la portiera del passeggero invitandomi a salire.
Sono indispettita dal suo modo di fare che sembra decidere ogni cosa al posto mio.
"Non c'è bisogno, posso prendere un taxi".
"Sanem, non essere assurda, sali per favore". Con riluttanza faccio come dice, anche se rimango in un silenzio ostinato per tutto il breve tragitto fino a casa mia mettendo bene in chiaro che non mi piace questo suo atteggiamento dispotico.
Prima di scendere mi volto per ringraziarlo. "Grazie per il passaggio. Prometto di seguire le indicazioni del medico alla lettera, riposerò e mangerò sano. Puoi tornare tranquillamente a Istanbul, mi farò viva io tra un paio di mesi per definire la pratica di divorzio".
Lo vedo mettersi comodo sul sedile incrociando le braccia. "Io sono tranquillissimo Sanem, perché non ho nessuna intenzione di lasciarti da sola in un momento così delicato della gravidanza". Lo guardo sbalordita. "Cosa vuoi dire? Dove vorresti stare scusa?".
"Come dove voglio stare? Con te" Ogni sua parola aumenta il mio sgomento. "Cosa? Non se ne parla proprio, tu con me non puoi stare. Siamo separati l'hai dimenticato?".
Mi lancia uno sguardo sarcastico.
"Partiamo dal presupposto che "noi" non ci "siamo" separati, sei "tu" che te ne sei andata, è diverso. Comunque sono tuo marito e tu mia moglie di fronte al mondo e alla legge quindi tecnicamente casa tua è anche casa mia. Ora vieni, entriamo, devi riposare".
Scende dal fuoristrada e viene ad aprire lo sportello dal mio lato, si allunga a liberare la mia cintura di sicurezza porgendomi poi la mano per aiutarmi a scendere. "Vieni ti aiuto, fai piano".
Sono incredula.
"Can, credo tu stia esagerando, non sono invalida, sono solo incinta".
Sorride di quel bellissimo sorriso a cui il mio stupido cuore sa bene di essere anche troppo sensibile. "Esatto, di mio figlio ed io ho tutta l'intenzione di evitare che ti stanchi o faccia sforzi, vieni". Scendo dall'auto senza accettare il suo aiuto e quando arrivo davanti al cancello mi fermo allungando la mano verso di lui.
"Dammi le chiavi di casa mia". Lo osservo con sgomento avvicinarsi a me, anche troppo per i miei gusti, mi sovrasta sfiorando il mio corpo con il suo, il viso che si avvicina pericolosamente e le sue labbra che quasi toccano le mie, trattengo il fiato mentre mi chiedo che cosa abbia intenzione di fare quando sento il rumore della chiave aprire la serratura del cancello e il suo alito caldo sul viso quando sussurra. "Prego, entra pure". Lancio uno sguardo dietro di me per scoprire che tutta la manovra era finalizzata ad aprire il cancello senza dovermi consegnare le chiavi.
"Can, restituiscimi le chiavi di casa mia".
Mi passa di fianco per raggiungere la porta che apre come se ne avesse tutto il diritto. "Caaaannn, cosa pensi di fare?" Si gira sorridendo per prendere le mie mani nelle sue ed entra in casa camminando a ritroso fino a condurmi nella mia camera da letto. Lì mi lascia e torna verso la porta lanciando le chiavi e riprendendole al volo mentre dice rassicurante: "Fai una doccia e riposati, esco un attimo a fare un po' di spesa, ma non devi preoccuparti, ho le chiavi per entrare quando torno".
Mi strizza l'occhio con fare impertinente ed esce richiudendo la porta dietro di sé. Rimango immobile al centro della stanza da letto della casa che pensavo fosse mia e che ora, a quanto pare, è diventata nostra senza che nessuno abbia chiesto il mio parere al riguardo.
Mi spoglio per infilarmi sotto la doccia borbottando fra me e me " Ok che faccia pure la spesa, ma quando tornerà metterò bene in chiaro che deve andarsene, non può pensare veramente di fermarsi qui". Devo rimanere ferma e irremovibile nei miei propositi, ho ceduto troppe volte con lui ed ho visto a com' è andata a finire. Can Divit ha dimostrato di poter essere solo fonte di delusione e dolore nella mia vita. Se voglio sopravvivere ho capito che non posso permettergli più di farne parte, non c'è altra scelta.