Il Mal Riuscito

By Elle_Jenny

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Motivi principali per il quale sono il figlio Mal Riusciuto: sono l'ultimo, non sono per niente etero e odio... More

1. Il pisello è una verdura?
2. Arricciati con Jeremy
3. Spilla arcobaleno
4. Tutto merito delle paillettes
5. Un whisky di troppo
6. Vuoi un Oreo alla vaniglia?
7. Che schifo il lunedì
8. Cosa ti turba, Akihiro?
9. Mutande viola e pigiama da squalo
10. Super inetto con il mantello paillettato
11. Cuore di zucchero
12. Sono in crisi!
13. Sushi vegano
14. Il mio +1
15. Mistero delle mutande viola svelato
16. Mistero delle mutande viola svelato (Parte 2)
17. Benedizione di Florence Davis
18. Uragano Silas
19. Saltello della felicità
20. Bel gattone
21. Percy ha sempre bisogno dei suoi tempi
22. Pancakes pornografici
23. Lingua orientale
24. Barbie Boy
25. One kiss
26. Fottuta diva
27. Il maniero del terrore dei McCallister
28. Percy sarà il tuo Cupido
29. Ansia di vivere
30. Mission Unicorn
32. Zuccherini colorati
33. Vorrei cambiare colore ai capelli
34. Capelli rosa, würstel vegani e... Hannah Montana
35. Quel figlio di...
36. Teste di piombo
37. Sano come un pesce
38. Gli opposti che si attraggono
39. Voulez-vous...
40. Muffin ai mirtilli
41. Chi dorme non prende pesci
42. Non sono un Mal Riuscito
43. It's the fu**ing epilogue
Extra #1
Extra #2
Extra #3

31. Ehi, ma non sei geloso?

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By Elle_Jenny

«Ehi, prof Percy! Finalmente sei ritornato! Per caso ti eri dimenticato di noi poveri, sfigati gay de La casa degli unicorni?»

Akihiro, non appena mise piede all'interno di quell'edificio dalle pareti interne colorate sui toni pastello che andavano dal giallo, al lilla e al celeste, osservò un ragazzino, il quale doveva avere al massimo sedici anni, ma fisicamente sembrava averne molti di più, andare incontro al suo ragazzo, che allargò le braccia per poter abbracciare quel ragazzino alto e robusto.

Percy era alto, ma aveva un fisico longilineo per quanto potesse avere più muscoli di Akihiro, però, quel ragazzino dalla carnagione color caffè era davvero forzuto e superava Percy almeno di un paio di centimetri. Ricambiò il suo abbraccio e lo sollevò da terra senza particolari sforzi fisici.

«Mio Dio, Ashon!» esclamò Percy, ridendo. «Ti perdo di vista per scarso un mese e mi cresci di mezzo metro? Ah, i benefici dell'adolescenza!»

Il ragazzino - Ashon - sghignazzò, mostrando un leggero diastema tra gli incisivi superiori, e riportò Percy con i piedi per terra.

Percy si mise le mani sui fianchi, il sorriso gioioso non gli si era ridotto di un millimetro dalle labbra. Quella sera, tra l'altro, sembrava più radioso e colorato del solito. Era davvero felice di essere lì.

Esibiva una salopette di jeans, al di sotto una T-shirt a sfondo bianco con tante piccole fette di anguria stampate sopra; ai piedi portava dei vistosi calzini giallo banana infilati in un paio di Vans a scacchi neri e bianchi. Da una spalla gli pendeva una tracolla di stoffa fucsia dove aveva inserito il suo grembiule da pasticceria personale.

Indossava per l'ennesima volta tutto ciò che Akihiro non avrebbe mai indossato in vita sua. Però, c'era da confessare che il chirurgo trovava adorabile quell'abbigliamento eccentrico solo se era Percy ad indossarlo perché, come ci teneva sempre a ribadire quell'impiccione di Silas, oramai Akihiro guardava solo con gli occhi dell'amore.

Nonostante per Percy non fossero stati giorni particolarmente semplici, partendo dallo scontro con la sua famiglia, continuando con le offese ricevute e terminando con la confessione di Karol sulla sua gravidanza, Percy non aveva mai fatto uscire fuori un briciolo di tristezza o malessere. Dopo quel giorno non aveva più aperto il discorso famiglia McCallister.

Akihiro aveva il presentimento che il suo ragazzo stesse accumulando tutto all'interno. Aveva il timore crescente che, a lungo andare, Percy sarebbe esploso.

Percy aveva una bell'anima colorata, un'anima che non sempre era stata apprezzata. Percy dispensava un sorriso gentile a tutti, ma spesso quei sorrisi non erano stati ricambiati, soprattutto dalla sua famiglia e ciò gli aveva causato tante cicatrice sul suo cuore troppo buono.

Forse era quello, il suo "problema principale": Percy era troppo buono per quel mondo pieno di oscurità.

«Allora, prof Percy... Cosa ci farai cucinare oggi? Ehi, ciao... Chi sei?» domandò Ashon, cambiando tono, trasformandolo in diffidente, quando si accorse di Akihiro, una presenza sconosciuta all'interno di quello spazio sicuro, che doveva essere il luogo più vicino ad una casa per lui e per tutti gli altri adolescenti che quella struttura ospitava.

Percy ruotò il capo e spostò i suoi occhi truccati su Akihiro, il suo sorriso si allargò e qualcosa si smosse nello stomaco del chirurgo, il quale non si sarebbe mai stancato di essere guardato in quel modo così intenso dal suo ragazzo.

«Lui è il mio ragazzo, Ashon. Si chiama Akihiro».

Akihiro, preso in causa, si avvicinò all'adolescente. Ci pensò un attimo prima di porgergli la mano, ma alla fine allungò il braccio verso Ashon. Il ragazzino scrutò la mano di Akihiro quasi come se fosse stata una bomba, ma dopo qualche istante e con ancora un po' di diffidenza, strinse la mano di Akihiro. Nonostante la ritrosia iniziale, quella di Ashon fu una presa salda e vigorosa, la presa di un ragazzino rifiutato ma che voleva farsi vedere forte e sicuro di sé.

Akihiro notò un livido violaceo sulla sua guancia che si camuffava un po' con la carnagione scura di Ashon. La sua deformazione professione per poco non lo spinse ad afferrargli il viso per controllarlo più da vicino, ma riuscì a trattenersi.

«Da dove vieni?» gli domandò Ashon con curiosità.

Akihiro gli accennò un sorriso cordiale, apprezzò il fatto che quel ragazzino non aveva dato subito per scontato che Akihiro fosse cinese. Gli occhi a mandorla causavano spesso cecità culturale.

«Sono nato vicino Osaka, in Giappone, ma mi sono trasferito negli Stati Uniti con la mia famiglia quando avevo quattro anni», gli raccontò.

«Figo!» esclamò Ashon. «C'è Brenda che è in fissa con lo studio di qualcosa. Quando saprà che sei giapponese ti farà un sacco di domande! Io, comunque, sono Ashon, i miei genitori vengono dalla Somalia, ma io sono nato qui a Savannah e la Somalia non l'ho mai vista», chiacchierò.

Percy osservava quel ragazzino che da diffidente era diventato euforico con occhi ricolmi di affetto ed Akihiro, istintivamente, poteva dire di essersi già affezionato a lui.

«Forse, volevi dire studio Ghibli

Ashon iniziò ad annuire. «Sì, quello! Non me ne intendo molto, preferisco il baseball».

«Bene, bene», affermò improvvisamene Percy. «Ora che hai conosciuto il mio ragazzo, puoi dirmi...» bloccò il suo discorso per afferrare il viso di Ashon così da poter scrutare il livido sulla sua guancia come avrebbe voluto fare Akihiro poco prima. «Cosa hai combinato, qui?»

Ashon provò a fuggire dalle grinfie di Percy, ma Percy era molto determinato e non perse la presa sul viso del ragazzo.

«Cosa hai combinato, Ashon? Devo chiederlo ad Isabella?» insistette Percy.

Ashon guardò Percy con lo stesso sguardo che doveva avere un topo caduto in trappola. «Perché dai per scontato che sia stato io a combinare qualcosa?»

«Perché c'è un livido sulla tua faccia che mi sta cantando questa canzone e perché sai di essere a volte una testa calda», replicò Percy, picchiettò leggermente con l'indice il punto sensibile e Ashon fece una smorfia.

«È venuto questo nuovo tipo e potrei averci discusso», borbottò il ragazzino.

Percy assottigliò lo sguardo e allontanò le mani dal viso dell'adolescente per rimettersele sui fianchi.

«Non avrai fatto a pugni con Kia?»

Ashon fece vagare lo sguardo altrove e quella per Percy ed Akihiro fu una risposta silenziosa senza che lo esponesse con le parole.

Percy emise un lungo sospiro, Akihiro, invece, iniziò ad avvertire la curiosità di sapere per quale motivo Kia ed Ashon avessero fatto a botte.

«Ashon ti stava raccontando del suo ultimo guaio, Percy?» parlò una voce femminile.

Akihiro incontrò lo sguardo di una donna formosa, con dei lunghi capelli neri acconciati in tante onde morbide; probabilmente, era di origini sudamericane, a giudicare dalla sua carnagione più scura e dal suo accento ispanico. Doveva essere Isabella, la direttrice de La casa degli unicorni.

Percy si avvicinò subito alla donna per poterla abbracciare e salutare con due baci sulle guance. «Ciao, Isabella! Mi puoi dire tu cosa è successo? Perché ad Ashon sembra non funzionare più la voce improvvisamente. Ah, lui è Akihiro, il mio ragazzo».

Akihiro venne squadrato dalla donna dalla testa ai piedi, fin quando, al termine della sua occhiata, Isabella non annuì, soddisfatta. «Sembri un tipo a posto», asserì, come se avesse appena terminato di leggere ogni pensiero nella sua mente. «Sono Isabella», si presentò.

«Akihiro, piacere», il chirurgo strinse anche la sua mano, poi pensò che a volte le donne sapevano essere davvero... inquietanti.

La direttrice guardò Ashon e il ragazzino provò, per quanto potesse visto che era già una piccola montagna, a rimpicciolirsi per potersi nascondere dietro Percy.

«Kia sta facendo fatica ad ambientarsi, ma in fin dei conti è normale, considerato che si trova qui solo da una manciata di giorni e per quello che ha dovuto affrontare. Ognuno ha il suo percorso da dover intraprendere. Ad Ashon non è andato giù il fatto che non avesse voluto giocare a baseball insieme a lui e agli altri e che non rispondesse quando lui gli parlava. Ora non conosco bene le dinamiche perché nessuno dei due ha voluto dirmi quale sia stato il fattore scatenante che li abbia spinti a prendersi a pugni. Per fortuna, Patrick è riuscito a separarli prima che si rompessero come minimo il setto nasale. E poi, credo che al signorino sia stato ferito anche nell'orgoglio, dato che Kia è riuscito ad assestargli un bel pugno in faccia».

«Non essere così soddisfatta, Isabella. Sarà la prima è l'ultima volta», brontolò Ashon, fissando la direttrice di traverso.

Isabella si aggiustò gli occhiali dalla particolare montatura bianca e squadrata sul naso; inarcò un sopracciglio nero ed incrociò le braccia contro il petto prosperoso. «Ah, sì? Perché tu sei il capitano di questa ciurma di pirati gay, vero?»

In quel preciso istante, Ashon mostrò agli occhi divertiti di Akihiro tutta la sua giovane età. «Fino a prova contraria, sono stato cacciato di casa proprio perché mi piace l'uncino. Sono un ottimo capitano».

Akihiro sorrise, Isabella alzò gli occhi al cielo ma era visibilmente divertita. Quella donna aveva dei modi affabili e alla mano, ma allo stesso tempo, considerato il leggero timore che aveva trapassato lo sguardo di Ashon, doveva farsi rispettare ed incuteva la giusta quantità di timore negli adolescenti.

Percy scoppiò in una delle sue risate squillanti e circondò le spalle massicce del ragazzino con un braccio. «Ah, ti adoro, Ashon! Ma evita di fare di nuovo a pugni con Kia, altrimenti, sappi che sono un mago nel far venire la diarrea a chi mi fa arrabbiare».

Ashon sgranò gli occhi. «Non oseresti, Percy».

Percy gli fece un occhiolino giocoso. «Oserei, oserei. Mi basterebbe qualche goccia di lassativo nei cupcake che vi farò preparare stasera».

Ashon incrociò le braccia al petto e roteò gli occhi, prima di borbottare: «Che vita di merda. Letteralmente».

Sì, Akihiro aveva iniziato ad affezionarsi troppo velocemente ad Ashon e non era da lui legarsi così rapidamente ad una persona. Aveva voglia di scoprire la sua storia, voleva sapere da dove prendesse tutta la forza che gli serviva per continuare a sorridere e a scherzare.

Guardò Percy, quella bomba di colore e stravaganze che era esplosa nella sua vita pressoché lineare e monotona. Lo guardò e poté dare solo la colpa, anzi, il merito a lui; Akihiro stava rivoluzionando il suo modo di vedere tutto ciò che lo circondava, tutti quei particolari e sfumature di colore che aveva sempre ignorato.

Ora le vedeva, e vedeva perfettamente anche il futuro che lo aspettava con Percy vicino.

Il chirurgo scosse il capo ed abbozzò un sorriso. Da quando elaboro pensieri così sdolcinati? Ah, se Silas potesse ascoltare i miei pensieri... Ma per fortuna non può.

«Patrick!» esclamò di colpo Percy quando passarono dinnanzi ad un piccolo studio, più piccolo dello studio che Akihiro aveva in ospedale, la cui porta era stata lasciata aperta.

Con quell'unico nome esclamato, Percy ebbe la capacità di far sobbalzare contemporaneamente Akihiro, Patrick ed Isabella. Ashon, invece, corrucciò la fronte, poi sbadigliò.

«Ciao... Percy», rispose Patrick con voce esitante.

Percy si infilò nel piccolo studio di quello che aveva scoperto essere l'amante di Karol e padre del bambino che si pensava fosse di Richard.

«Hai bisogno di qualcosa?» gli domandò Patrick.

L'uomo di cui Karol era sempre stata innamorata aveva tutta l'aria di chi aveva passato gran parte della sua vita a dedicarsi allo sport. Aveva un fisico muscoloso ed atletico, i capelli corti e biondi con qualche striatura di argento sulle tempie e gli occhi verdi con delle leggere rughe di espressione attorno, come se sorridesse spesso. Era indubbiamente un bell'uomo.

Percy appoggiò i palmi sulla scrivania e si sporse con la schiena verso l'uomo. «Oh, Patrick, io avrei bisogno di tante cose, come, ad esempio, mi servirebbe qualcuno che pagasse al posto mio i conti della pasticceria di famiglia o l'assicurazione dell'auto oppure un nuovo paio di stivali rossi di-vi-ni che ho visto al centro commerciale. Ma devo accontentarmi di quello che ho e... e credo di aver divagato come al mio solito. Cosa volevo chiederti?»

Patrick accennò un sorriso divertito. «Se non lo sai tu, Percy. Ancora non ho ricevuto il dono della telepatia», rispose, sarcastico. «Anche se mi piacerebbe molto».

Percy allungò un braccio e gli diede un pugnetto contro la spalla. «Il solito spiritoso».

Patrick finse di essere stato ferito a morte, portandosi una mano sul punto colpito da Percy e gemendo debolmente. «Non farlo mai più. Sono un uomo debole».

«Debole un corno. Guarda che spalle e che braccia e che gambe e che mannaggia alla miseria mi sono distratto di nuovo».

Akihiro distorse le labbra in una smorfia, avvertendo una nuova fitta allo stomaco, quella volta alla bocca dello stomaco, per la precisione, e lui, che era sempre stato molto analitico, non seppe in quel momento comprendere al volo la natura di quella fitta.

Sentì una presenza al suo fianco, poi Ashon si schiarì la gola. «Ehi, ma non sei geloso? Io sarei geloso», gli bisbigliò il ragazzino.

Il chirurgo fissò prima Ashon di sfuggita, poi riportò i suoi occhi a mandorla su Percy e lo trovò a ridacchiare con Patrick. Storse di nuovo le labbra in una smorfia.

«Oh, sei geloso», quella volta a commentare lo status di Akihiro fu Isabella.

Era mai stato geloso di qualcuno? No, non che lui ricordasse.

Era geloso di Patrick?

Sentì nuovamente Percy ridere.

Sì, cazzo. Sì, lo so. E ora ho voglia di tirarmi Percy per un braccio ed allontanarlo da quell'uomo.

«Dici che chi tace, acconsente, Isabella?» parlò Ashon.

«Penso proprio di sì, Ashon», confermò Isabella.

Lo penso anche io, si disse Akihiro nella mente.

«Ero venuto solamente per chiederti se ti andasse di partecipare alla mia lezione serale di pasticceria vegana», sentì Percy chiedere a Patrick.

Patrick osservò velocemente i documenti sparpagliati sulla scrivania, poi riportò gli occhi verdi su Percy, il quale gli stava dedicando uno dei suoi sorrisi tutto denti alla Percy.

Avvertì una nuova fitta alla bocca dello stomaco.

«Beh, ma sì, dai... queste scartoffie posso controllarle anche domani», rispose Patrick.

Percy sbatté le mani e compì uno dei suoi saltelli della felicità.

Ne stava tramando una delle sue; Patrick quasi sicuramente non era interessato agli uomini, ma lui... lui era geloso lo stesso.

Non appena Percy ritornò al suo fianco, fece una cosa che non aveva mai fatto in vita sua: marchiò il territorio.

Afferrò una mano del suo ragazzo e la strinse della sua. Percy inarcò un sopracciglio mentre osservava le loro mani unite, poi lo guardò e nei suoi occhi color nocciola Akihiro vide tanti punti interrogativi.

Non lo so nemmeno io cosa mi prende, Percy.

«Percy?»

Percy girò di scatto la testa verso quella nuova voce. Anche Akihiro si girò e poco più avanti, nello stretto corridoio de La casa degli unicorni, c'era un ragazzino dalla corporatura più piccola di quella di Ashon. Doveva essere alto all'incirca un metro e settantacinque, con una chioma corta, riccia e scompigliata di capelli color cioccolato, aveva la carnagione olivastra e gli occhi scuri sgranati in direzione di Percy, che sciolse la stretta delle loro mani per correre ad abbracciare quel ragazzino.

«Mio Dio, Kia...» sospirò il suo ragazzo racchiudendo tra le braccia il ragazzino che aveva salvato qualche giorno prima.

Al suo fianco, sentì Ashon borbottare qualcosa che non capì.

«Hai detto qualcosa, Ashon?»

Ashon lo guardò, appariva infastidito. «No, niente».

I niente degli adolescenti erano sempre un mondo insidioso da scoprire.

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