Laminae [SEQUEL di OPERA]

By Dragonfly_Ren

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***ALERT*** Questa storia è il SEQUEL di OPERA. Se potete scegliere di leggere OPERA come storia autoconclus... More

DOORS TO HEAVEN
1.1 A strange place called home
1.2 And you let her go
1.3 Colorblind
1.4 Bittersweet memories
1.5 Don't play with fire
1.6 Love is Colder than Death
1.7 Someone like you
1.8 Universal tongue
1.9 Guilty pleasure
1.10 Sadness is but a wall between two gardens
1.11 Spare parts
1.12 Know who you are
1.13 As long as you loved me
1.14 All water has a perfect memory
1.15 Dancing on the edge
FIX YOU
2.1 Gazing across the wasted years
2.2 How to save a life
2.3 Trouble in Paradise
2.4 Demons
2.5 Innocence lost
2.6 Trying to get back to where it was
2.7 Happy families are all alike...
2.8 Message in a bottle
2.9 Read your Tarots well
2.10 Back to black
2.11 In need of repair
2.12 Tower's Callin'
2.13 The Star
2.14 Falling slowly
2.15 The Moon
STAND MY GROUND
3.1 Time to call your bluff
3.2 Into the darkness
3.3 Come Hell or High Water
3.4 Excuse me while I kiss the sky
3.5 The Sun
3.6 Soul has weight
3.7 Hush, little baby, don't say a word
3.8 What lies beneath
3.9 What strength I have's mine own
3.10 The driving force of all nature
3.11 Judgement / The World
3.12 Chains of silver and chains of gold
3.14 Hopefully
3.15 Pigeons
I THINK WE'RE ALONE NOW
Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò

3.13 All of you

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By Dragonfly_Ren

L'aveva pronunciato come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.

Rebecca. Quel nome. Il suo nome.

Swan non riusciva nemmeno a contenere i due elementi, il concetto e il possessivo, all'interno della stessa frase. Le sembrava ancora di fare qualcosa di sbagliato. D'altronde non avevano più utilizzato quei nomi dal giorno in cui il mondo stava per crollare loro addosso, così il suono stesso dell'appellativo fu sufficiente a trasmetterle un brivido. Rilassò le braccia, abbandonò le mani sulla stoffa raffinata del tovagliolo e rimase a fissare Eagle senza fare un fiato. Lui si scostò una ciocca di capelli dal viso con un gesto distratto e si portò più vicino a lei.

"Ti ho invitata a cena perché voglio sapere tutto di te", proseguì, come se quello fosse stato davvero un primo appuntamento. Quel primo appuntamento che non avevano mai immaginato di poter avere, dopo una vita trascorsa insieme. "Cosa ti piace, che progetti hai...".

Swan sbatté le palpebre un paio di volte. Eagle non sembrava ubriaco, non aveva mai fatto uso di droghe e non si era nemmeno avvicinato a una sigaretta in vita sua. Se escludeva l'alcol, gli stupefacenti e la pazzia improvvisa, non le restavano molte spiegazioni.

Era senza dubbio affascinata da quella stramba situazione ma, allo stesso tempo, non riusciva a credere che fosse reale. Le sembrava solo un gioco. Un gioco che poteva diventare crudele. Certo, non era da Eagle divertirsi a quelle condizioni, ma chi può dire di cosa è capace una persona? Chi può prevedere gli intrecci del risentimento e della gelosia?

"Sei... serio?", chiese a mezza voce.

"Serissimo".

Swan esitò. Si scostò dal tavolo, si abbandonò contro lo schienale morbido della seduta e si concentrò sul movimento nervoso delle proprie dita. Pensò che forse, in quell'assurda finzione che li rendeva due sconosciuti, avrebbe infine trovato il coraggio per raccontarsi.

"Be'...", iniziò imbarazzata, "mi sono laureata in biochimica qualche anno fa, ma non ho mai lavorato... finora".

"E ti piacerebbe farlo?", si informò lui, tagliando un altro boccone dal piatto.

Lei sollevò le ciglia, lasciò vagare lo sguardo attorno, poi lo rivolse oltre le vetrate, come se qualche luce misteriosa e lontana lo avesse calamitato.

"S-sì", balbettò. "Credo di sì. Mi piacerebbe restare a Londra e fare ricerca".

Eagle le rivolse un'occhiata intensa, difficile da decifrare, e smise di mangiare.

"Perché non l'hai fatto?".

Swan schiuse le labbra senza riuscire ad articolare una risposta. Nella sua testa si era affacciata la familiare scelta già troppe volte operata in passato: dire la verità o glissare, scivolando su una qualche confortevole scusa?

Scrutò quel volto così familiare come se volesse trovarvi un segno nuovo che potesse indirizzarla. Eagle... o forse dovrei dire Damian? Qualunque fosse il nome giusto da usare, lui la stava ascoltando. Al di là di quella che poteva apparire una frivola messa in scena, sembrava interessato a ciò che aveva da dire. Forse, se fosse stata al gioco fino alla fine, sarebbe stato più facile. Magari era proprio ciò che le stava offrendo: una finzione nella quale sentirsi talmente a proprio agio da riuscire a essere vera.

Una casa di bambola, insomma. Costruita su misura per lei.

Tirò indietro i capelli argentati e prese fiato. Tornò ad appoggiarsi al tavolo e finalmente lo fissò.

"Il mio... compagno?", azzardò, cercando il suo consenso.

Eagle annuì, accettando che si riferisse a lui in modo indiretto, e Swan proseguì più sicura.

"Vedi, lui era uno che viaggiava. Ci spostavamo sempre in posti nuovi. Era un po' difficile fare progetti in quelle condizioni, anche se in cuor mio ho sempre sperato che un giorno saremmo tornati a Londra".

Eagle chinò lo sguardo a sfiorare il bicchiere. Osservò la luce che galleggiava sulla superficie color paglierino, poi carezzò il vetro con le dita, con la stessa attenzione con cui avrebbe sfiorato un viso di donna.

"Viaggiare, a volte, serve a chiarirsi le idee, aiuta a conoscersi. Ci si confronta con tutto ciò che è altro da sé per riuscire a definirsi interamente. Forse il tuo compagno aveva bisogno di trovare il proprio equilibrio".

Swan soffocò con la mano una risatina che le era salita spontanea alla gola.

"Lui è già la persona più equilibrata del mondo".

Le iridi dorate di Eagle si rivolsero a lei di scatto, cogliendola impreparata.

"Non è così", mormorò talmente piano che la ragazza dovette sforzarsi per udirlo. "Non lo era".

Il sorriso di Swan si spense del tutto e lei si ritrasse nuovamente, cercando in quella distanza una sorta di rifugio dal silenzio che si era stabilito tra loro.

"È questo che hai fatto, in tutti questi anni?", domandò in un soffio.

Quell'interrogativo rimase sospeso e si dissolse. Un cameriere si avvicinò per portare via l'ultimo piatto. Eagle finì il vino rimasto e poggiò il calice con cura. Swan percepì in quel movimento qualcosa di secco e forzato che la fece sussultare. Sembrava che lui stesse lottando contro se stesso per riuscire a continuare quella discussione.

"O magari desiderava solo poter passare del tempo con te", proseguì il ragazzo, ignorando la sua domanda. "Senza doverti sempre dividere con qualcun altro".

L'aveva detto con la stessa rapidità con cui aveva vuotato il bicchiere, come per eliminare un residuo avanzato per errore. Lei increspò le labbra e guardò altrove. Era quello l'argomento che lo agitava tanto? Scosse il capo, poi si tese verso il tavolo. Poggiò la mano calda su quella che lui teneva sulla tovaglia candida e gli cercò gli occhi con insistenza.

"Raven farà sempre parte della mia vita", scandì con voce dolce e decisa insieme. "Perché lui è la mia anima gemella, ma allo stesso modo in cui Phoenix è la tua".

Eagle si lasciò sfuggire una smorfia di disappunto che incrinò definitivamente la sua maschera di tranquillità. Con sua enorme sorpresa, era stata proprio Swan a mandare in frantumi la sospensione dalla realtà che li aveva protetti fino a quel momento.

"Non è sempre stato proprio lo stesso modo", commentò amaro.

Cercò di sottrarre la mano al contatto con quella di lei, ma Swan glielo impedì.

"Io e Raven abbiamo parlato a lungo e alla fine ci siamo chiariti. Hai ragione: talvolta ci siamo fatti ingannare da sensazioni sbagliate. Abbiamo tradito quella che avrebbe dovuto essere la corretta natura del nostro legame, ma non è dipeso tutto dalla nostra volontà. C'è qualcosa che vorrei raccontarti, che risale a quando eravamo piccoli e che tu devi conoscere".

A dispetto della passione che Swan aveva cercato di infondere alle proprie parole, ciò che seguì fu un silenzio che somigliava a una frattura. Eagle allontanò la mano e quella volta lei la lasciò scivolare via con un sospiro impercettibile, confusa e delusa al contempo.

"Non vuoi sapere cos'è successo?".

"No".

L'espressione di Swan si fece incredula. Non capiva perché lui si fosse irrigidito così repentinamente. Dove aveva sbagliato?

"Perché no?".

"Perché, di qualsiasi cosa si tratti, è accaduta prima".

"Prima?".

"Prima che io e te condividessimo un segreto. Prima che ci facessimo una promessa. Qualunque cosa Raven abbia fatto è sempre successa prima, per questo non mi importa. Dopo ci siamo stati noi, e noi abbiamo sovrascritto qualsiasi altro evento... almeno fino a quando abbiamo tenuto fede a quella promessa".

Swan chinò le ciglia. Le sembrò di rivivere lo stesso dolore provato l'ultima volta che avevano discusso nell'appartamento di Raven, la stessa scissione: il significato delle sue parole era dolce come il miele, ma il tono con cui erano state pronunciate era duro come il marmo.

Non si sorprese quando lo vide alzarsi e abbandonare il tovagliolo sul tavolo. Avrebbe dovuto prevedere quel finale dall'inizio. Non poteva credere ancora alle favole. Fingere di essere due sconosciuti al primo appuntamento? Ricominciare da capo? Mettere da parte il passato? No, non poteva funzionare.

Ancora una volta stava ascoltando il suono di lui che se ne andava. Sarebbe rimasta sola con quel dolore nel cuore. Si abbandonò contro la sedia e serrò le palpebre per non sentire la delusione che le scivolava addosso come una lacrima.

Quando li riaprì, Eagle era di nuovo davanti a lei e la osservava con la fronte aggrottata e lo sguardo perplesso.

"Sono andato a pagare il conto", la informò dolcemente ironico, mentre le tendeva una mano. "È ora di andare".

֍

Passeggiarono fianco a fianco lungo i vialetti di Hyde Park, una coppia simile a tante altre che incrociarono in quella notte fredda e lucida di novembre.

Il silenzio tra loro sembrava infinito, ma non era pesante. Il fruscio delle piante, il profumo delle foglie umide, la quiete del posto si erano fatti strada, ricostruendo una tregua, un'attesa che non era ansia, ma infinita gamma di possibilità.

D'un tratto le dita di Eagle scivolarono tra le sue e le strinsero.

"Vieni", disse, tirandola verso il prato che stavano costeggiando. "Togliti le scarpe".

Lei si lasciò sfuggire un urlo strozzato e lo fissò sconvolta. Lui rise apertamente della sua reazione, ma continuò a serrarle la mano, impedendole di sfuggirgli.

"Togliti le scarpe o lo faccio io", le intimò, mentre lasciava la presa per compiere lo stesso gesto che le aveva ordinato di fare.

Lei obbedì, più per stupore che per reale volontà di farlo, continuando a chiedere a bassa voce cosa avesse in mente. Eagle la zittì attirandola nel suo abbraccio. Intrecciò la mano alla sua e iniziò a muoversi piano con lei in quel fazzoletto d'erba.

Swan rise per l'imbarazzo e insieme per la sorpresa di essere stata trascinata in quel ballo improvvisato, ma subito realizzò che quella era solo l'ultima stranezza di una serata assurda. Decise di lasciarsi cullare, per una volta, senza opporre ragioni o revisioni a ciò che lui aveva deciso. Chiuse gli occhi e si abbandonò contro il suo petto, spegnendo ogni altro pensiero.

Eagle avvertì quel mutamento. Adagiò la guancia sui suoi capelli profumati di fiori e di rugiada, e le sfiorò l'orecchio con le labbra.

"Te la ricordi, Swan?", sussurrò. "Quella canzone che ascoltavi sempre anni fa? Me la facevi sentire mille volte al giorno... era un tormento!".

Lei ridacchiò contro la stoffa della sua giacca.

"Quale delle tante?".

Lui cominciò a canticchiare il ritornello. La voce, d'un tratto, gli venne meno e si trasformò in un bisbiglio quando sentì una lacrima di Swan precipitargli addosso, silenziosa e invisibile. Le sollevò il viso con un dito e la osservò brillare in quella luce notturna, poi pronunciò le ultime parole della canzone sulle sue labbra. Le sfiorò come se stesse chiedendo il permesso per farlo e lei si lasciò carezzare, si lasciò cercare, si lasciò scoprire prima di aprirsi a quel bacio.

Proprio come se fosse stata la prima volta.

Quella sensazione bastò a spezzare ogni fibra nel corpo di Eagle. Si staccò piano da lei e la fissò senza più curarsi di nascondere le proprie emozioni.

"Riavvolgiamo il nastro", la implorò con dolcezza e con violenza insieme, come se non riuscisse a trovare un equilibrio tra le parti. "Possiamo farlo, l'hai visto anche tu. Ripartiamo da zero, annulliamo il tempo".

Lei si lasciò sfuggire una risata leggera, nel tentativo di contrastare quel groviglio di passioni che le stringeva la gola e le inumidiva le ciglia.

"Il tempo non è un Elemento che puoi controllare a tuo piacimento", scherzò.

"E chi l'ha detto? Magari qualcuno, da qualche parte, sa farlo. Io e te siamo le persone meno indicate per dubitarne, ti pare?".

Lei gli sorrise con la stessa commozione e con lo stesso trasporto, e Eagle si sentì sommerso dall'azzurro di quegli occhi che rischiava di farlo annegare.

"Sai che abbiamo perso tre mesi di abbracci?", mormorò.

"Allora dovremo vivere tre mesi in più per recuperare", suggerì lei.

La curva della sua bocca si distese nell'espressione dolce che lui amava e che credeva di aver smarrito da tempo, sbiadita in un ricordo così vago da fargli dubitare che fosse stato vero. Temendo di poterla perdere una volta ancora, Eagle pensò soltanto ad afferrarla. Senza darle il tempo di completare la frase, si chinò verso di lei e le cercò ancora una volta le labbra, catturandole in un bacio che le tolse il fiato.

Non era cauto come il primo, e non voleva essere delicato. Swan si lasciò travolgere dalla tempesta che li aveva accerchiati, ma il suo cuore ebbe un sussulto irregolare, che cozzava con la perfetta armonia di quel momento. Provò un'acuta fitta di tristezza, come se una lama sottile le stesse attraversando il fianco. Gli appoggiò le mani sul petto e lo allontanò con delicatezza. Sembrava di nuovo sul punto di piangere.

"Che c'è?".

"Prima...", gli rispose con voce esitante, "devo chiederti scusa. Per tutte quelle volte che non ti ho parlato, che ho stabilito che non mi avresti capita, che ho creduto di non aver bisogno del tuo sostegno. Mi sono convinta che nascondere non equivalesse a mentire, che non era grave, ma mi sbagliavo".

Eagle trasalì: non si era aspettato quella dichiarazione. Swan non era mai stata molto propensa a chiedere scusa o ad ammettere le proprie responsabilità. Valutò la possibilità di godersi quella piccola vittoria, ma subito cambiò idea quando un pensiero più grande prese il sopravvento su ogni altra considerazione.

"Anche io ho sbagliato", ammise. "Non sono stato sincero: vorrei un figlio da te. L'ho sempre voluto".

A quelle parole Swan si irrigidì e cercò di sottrarsi al suo abbraccio. Spiazzato da quella reazione, Eagle reagì d'istinto e cercò di stringerla ancor più a sé. Credeva, con quella confessione, di aver detto qualcosa che l'avrebbe resa felice, invece era riuscito solo a ferirla.

"Swan, mi dispiace", tentò di rimediare. "Io non...".

Lei nascose il viso contro il suo petto.

"Che succede se qualcosa va storto?", lo interruppe. "Se i Maestri avessero avuto ragione? Se venisse fuori qualcosa di... innaturale?".

Di fronte alla fragilità di quella domanda, Eagle sentì scivolare via ogni paura. Le sollevò il mento e la obbligò a guardarlo.

"Non vedo Maestri in giro che possano più esprimere un'opinione su di noi", scandì con dolcezza. "E in ogni caso... qualunque cosa lui o lei sia... l'ameremo lo stesso, non credi?".

Lei non rispose. Gli circondò il volto con le mani, si sollevò sulla punta dei piedi e gli sigillò la bocca con tutta la decisione di cui era capace, con un trasporto tale che Eagle vacillò e non riuscì a trattenere una risata.

"Ok, ok...", esclamò divertito, allentando la stretta. "Non dobbiamo mica farlo adesso".

"Ah, no?", lo provocò lei ammiccante.

Il ragazzo la fissò con una lieve aria di sfida, le labbra atteggiate a una smorfia perplessa.

"Prima vediamo se accetti questo", dichiarò.

Infilò la mano in tasca ed estrasse una scatolina. La forma e le dimensioni non lasciavano molto spazio alla fantasia. Swan si ritrasse e si allontanò, tesa e preoccupata.

"Avevamo detto che non avremmo fatto queste stupidaggini", protestò, lanciandogli un'occhiataccia che Eagle ignorò beatamente.

"Aprilo".

"No, Eagle... ti prego...".

Sventolò le mani nel tentativo di allontanare la scatola, come se al suo interno ci fosse stata una bomba, e lui si lasciò sfuggire un lieve sospiro che mescolava impazienza e rassegnazione.

"Aprilo, ho detto!", ribadì deciso.

Le afferrò la mano e vi depose a forza l'astuccio. Lei sbuffò contrariata, ma si arrese. All'interno trovò davvero un anello, ma di certo non del tipo che si era aspettata: era piccolo, di banale metallo e il suo unico scopo era evidentemente quello di fermare una chiave. La chiave di un appartamento. Swan la sfilò dalla scatola e la sollevò, studiandola con vivo stupore. Eagle non poté fare a meno di osservarla e sorridere, mentre la rigirava tra le dita come una bambina.

"Magari, con un po' di fortuna, mi inviterai a salire", commentò.

Swan smise di osservare la chiave, come se si fosse accorta solo in quel momento di non essere sola, e gli rivolse un'occhiata maliziosa.

"Sicuramente ti inviterò ad accompagnarmi, visto che non ho idea di dove sia!".

Lui annuì e le tese la mano. I loro sguardi si accarezzarono una volta ancora, illuminando il buio che li circondava.

"Allora andiamo?".

"Andiamo".

__________________

SOUNDTRACK:

Devo davvero spiegare perché io abbia scelto All of me di John Legend per questo capitolo?!?

No, non vi serve davvero, lo so. E so anche che è, in assoluto, il pezzo più smielato che abbia mai inserito in una mia playlist (orrore!).

Dopo tutte le pene che ci hanno fatto passare questi due, non si meritavano altro che questo, da me! :P

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