Laminae [SEQUEL di OPERA]

By Dragonfly_Ren

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***ALERT*** Questa storia è il SEQUEL di OPERA. Se potete scegliere di leggere OPERA come storia autoconclus... More

DOORS TO HEAVEN
1.1 A strange place called home
1.2 And you let her go
1.3 Colorblind
1.4 Bittersweet memories
1.5 Don't play with fire
1.6 Love is Colder than Death
1.7 Someone like you
1.8 Universal tongue
1.9 Guilty pleasure
1.10 Sadness is but a wall between two gardens
1.11 Spare parts
1.12 Know who you are
1.13 As long as you loved me
1.14 All water has a perfect memory
1.15 Dancing on the edge
FIX YOU
2.1 Gazing across the wasted years
2.2 How to save a life
2.3 Trouble in Paradise
2.4 Demons
2.5 Innocence lost
2.6 Trying to get back to where it was
2.7 Happy families are all alike...
2.8 Message in a bottle
2.9 Read your Tarots well
2.10 Back to black
2.11 In need of repair
2.12 Tower's Callin'
2.13 The Star
2.14 Falling slowly
2.15 The Moon
STAND MY GROUND
3.1 Time to call your bluff
3.2 Into the darkness
3.3 Come Hell or High Water
3.4 Excuse me while I kiss the sky
3.5 The Sun
3.6 Soul has weight
3.7 Hush, little baby, don't say a word
3.9 What strength I have's mine own
3.10 The driving force of all nature
3.11 Judgement / The World
3.12 Chains of silver and chains of gold
3.13 All of you
3.14 Hopefully
3.15 Pigeons
I THINK WE'RE ALONE NOW
Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò

3.8 What lies beneath

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By Dragonfly_Ren

Un passo.

Non doveva fare che un passo e aprire una porta.

Poi, in un modo o nell'altro, sarebbe giunta la fine.

Phoenix prese un profondo respiro che gli sollevò il petto e aprì gli occhi. Non aveva idea del tempo che aveva trascorso a fissare quell'ultima barriera. Forse un'inutile eternità, forse solo un banale istante.

Chiedersi, a quel punto, se avrebbe avuto la forza di portare gli eventi fino all'estremo non aveva più senso, così non se lo chiese. Afferrò la maniglia con tutta la sicurezza che possedeva e spalancò il battente di legno antico.

Davanti ai suoi occhi apparve esattamente la scena che si era figurato nella mente: i Maestri, i Segretari, i rappresentanti delle Quattro Colonne. Tutti i vertici della Congrega erano schierati al centro della stanza e stavano aspettando proprio lui. Lo capì immediatamente dai loro occhi, dagli sguardi di sfida che incrociò sui loro volti. Entrò e si richiuse la porta alle spalle con un gesto studiato e innaturale.

"Spero di non avervi fatto attendere troppo, signori", esclamò sarcastico, mentre le sue iridi verdi scandagliavano uno per uno gli uomini che aveva di fronte.

Per un momento provò a immaginare se stesso come Errol Flynn in uno dei film cappa e spada che suo padre gli faceva guardare da bambino, dove l'eroe si sbarazzava agilmente di un numero quasi incredibile di nemici senza mai smettere di sorridere beffardo. C'era un'unica nota stonata nella sua ardimentosa fantasia: quello che stava vivendo non era un film. La voce dura, calma e inflessibile del Primo Maestro ebbe l'effetto di ricordarglielo con allarmante immediatezza .

"Buonasera, Phoenix", lo salutò con una cortesia forzata che si sposava perfettamente con la sua espressione. "Era ora che tornassi a casa".

L'irlandese piegò le labbra in una smorfia.

"Casa?".

L'anziano mosse qualche passo nella sua direzione, staccandosi dal severo consesso che riempiva la sala.

"Mi duole che tu non sia mai riuscito a considerarla tale. Sarebbe stato più facile per tutti, ne convieni?".

Gli rivolse un oscuro sorriso e proseguì senza attendere una risposta che non sarebbe comunque arrivata, dal momento che Phoenix continuava a seguirlo in silenzio, troppo sdegnato per raccogliere quel blando guanto di sfida. Voleva ascoltare l'intero discorso.

"D'altra parte, Eagle e Swan sono sempre stati troppo condiscendenti con te, e Raven... deduco che non si sia mai impegnato quanto avrebbe dovuto. C'è così tanto che non sei riuscito a capire della tua missione!".

"Dovrete mettervi in fila, Maestro", ribatté l'altro, lasciandosi sfuggire una risata. "Siete già in parecchi a rimproverarmelo".

L' ironia, però, non sortì nessun effetto sul suo interlocutore. L'uomo continuava a fissarlo con uno sguardo serio, nel quale si coglieva a tratti una punta di pietà, come se in fondo al cuore provasse dispiacere per quel ragazzo che non riusciva a cogliere l'importanza o il valore di ciò che la vita gli aveva offerto.

"Non hai mai compreso davvero il tuo ruolo", proseguì impassibile, ignorando la provocazione. "La Congrega esiste da secoli. Migliaia di uomini hanno consacrato la propria vita a questa causa".

"Quale causa? Il controllo delle vite degli altri?".

"La facoltà di intendere non è per tutti, Phoenix. Il discernimento, il vero sapere, l'illuminazione non sono doni comuni a tutti gli esseri umani". 

Il Maestro mosse ancora un paio di passi mentre scandiva quelle frasi, poi il suo movimento si interruppe e così la sua voce. Chinò appena il capo, come seguendo un pensiero interiore. La sua espressione, per un istante, si accese di una luce così inconsueta da far rabbrividire il Custode.

"Tuttavia abbiamo bisogno del progresso, di scelte capaci di indirizzare il mondo", riprese, tornando a fissare il ragazzo con intensità. "Qualcuno deve prendersi carico di questa responsabilità e, se ci pensi, così è sempre stato fatto, da quando esiste l'uomo su questa Terra. Qualcuno ha dovuto operare la distinzione tra il bene e il male, gestire il potere della parola, suscitare o placare gli istinti emozionali della specie. Il controllo non è che una conseguenza, un male inevitabile posto al servizio dell'evoluzione. Serve a impedire che la natura abbia la meglio sulla nostra civiltà, che le risorse del pianeta vengano sprecate, che il potere della singolarità finisca annacquato nell'ordinario collettivo. La Congrega esiste per questo: per innalzare i migliori e far sì che la loro superiorità venga preservata, a beneficio di tutti".

Il cipiglio duro sul viso di Phoenix si fece ancora più evidente mentre ascoltava ciò che, alle sue orecchie, suonava come pura farneticazione. Per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a vedere quale fosse quel beneficio di cui parlava il Maestro. Se anche fosse esistito sul serio, gli sembrava destinato a pochi, troppo pochi per un intero pianeta. Persino se fosse stato vero il contrario, le condizioni poste dalla Congrega non sarebbero state comunque accettabili, a suo parere.

"E non ha nessuna importanza se, per ottenere questo, avete scelto per secoli di allevare dei ragazzini per farne dei meri strumenti di potere?".

"Vedi che ho ragione, nel dire che non hai compreso? Non c'è nulla di più nobile che essere uno strumento dell'Opera. La Magna Opera. Il processo di purificazione e perfezione che l'uomo ha cercato e agognato da sempre".

Il ragazzo chinò lievemente lo sguardo e scosse la testa.

"Sono spiacente, ma io non ci trovo nulla di nobile nell'essere ammazzato. O nell'essere strappato via alla mia famiglia, alla mia vita, ai miei affetti. E non vedo nulla di nobile nel servire ai vostri scopi. Se l'Opera è davvero questo, allora è pura follia".

Il Maestro lasciò scivolare gli occhi di ghiaccio sulla figura del giovane con aria distratta, come se a quel punto non avesse più alcun valore. Piegò appena il capo da un lato, come a cercare l'attenzione di qualcuno.

"Se è questo che pensi, Charles, allora...".

Essere chiamato con quel nome gli trasmise un brivido gelido che lo colse di sorpresa. Di colpo si sentì come se lo avessero spogliato, come se gli avessero strappato via la pelle.

Non credeva fosse possibile, per lui, provare un simile sentimento. Aveva preso in giro Raven innumerevoli volte, scherzando sulla sua paura di perdere lo scettro di Custode. Solo in quel momento, in cui stava accadendo a lui di essere privato del suo titolo, si accorse di quanto ormai vi si sentisse legato. Nel profondo, nelle viscere. Quel nome, Phoenix, era nel suo sangue e nella sua carne, scorreva nelle sue vene, batteva assieme al suo cuore. Era più fuso con la sua natura e con il suo potere di quanto lui stesso non avesse mai ammesso.

"... allora dovremo risolvere la questione diversamente", concluse l'anziano signore, sollevando elegantemente una mano.

A quel gesto, qualcosa si mosse alle sue spalle e l'intero consesso parve perdere la propria compostezza. Phoenix, sul momento, non riuscì a comprendere se quel cambiamento era mirato a un attacco o a una fuga. Reagì a ogni possibile minaccia nell'unica maniera che gli veniva dettata dal suo essere.

"Conflăgra", mormorò.

Due linee di fuoco si disegnarono sul pavimento e si innalzarono a formare delle sottili pareti di fiamma, che iniziarono ad ardere contenute ai lati della stanza. Phoenix continuò a indirizzarle nel tentativo di farle congiungere sul fondo della sala. Aveva visualizzato idealmente un semicerchio, una barriera che impedisse a quegli uomini di scappare. Se il loro intento era, invece, quello di aggredirlo, sarebbero stati costretti ad affrontarlo faccia a faccia. Niente mosse sleali. Niente sorprese. Almeno era ciò che sperava di ottenere.

Era totalmente assorto in quello sforzo, quando il pavimento tremò.

Con un sussulto nervoso, la pietra si incrinò in una spaccatura che si interruppe sotto i suoi piedi. L'irlandese perse l'equilibrio e insieme la concentrazione. Il fuoco non si spense, ma la lingua rovente che stava delimitando la sala smise di propagarsi senza completare il disegno ordinato dal Custode. Con un'espressione che mescolava stupore, dubbio e risentimento, questi sollevò lo sguardo verso i suoi oppositori.

C'era una sola persona capace di creare una simile frattura nel terreno. Per quel che ne sapeva, non era in quella stanza e, in ogni caso, non avrebbe dovuto avere alcun motivo valido per bloccarlo e attaccarlo a quel modo.

Proprio mentre cercava una spiegazione logica di quel fenomeno, la terra gli trasmise un'altra vibrazione potente.

"Che diavolo...?", gli sfuggì dalle labbra.

Un lieve tramestio agitò il gruppetto che lo fronteggiava, attirando la sua attenzione: alcuni uomini si erano fatti da parte per far passare qualcuno che, fino a quel momento, era rimasto al riparo, lontano dalla sua vista. Lo stesso Maestro si scostò per lasciare spazio a un ragazzo che si era fermato al suo fianco.

Phoenix osservò stupito quello sconosciuto: tredici o quattordici anni al massimo, capelli neri come ali di corvo e occhi di metallo. L'irlandese avrebbe potuto scommettere qualsiasi cifra senza timore di perderla: quello doveva essere stato grossomodo l'aspetto di Raven una ventina di anni prima.

Il ragazzino lo osservava intensamente, con uno sguardo fin troppo sfrontato e sicuro per l'età che mostrava di avere.

Pezzi di ricambio...

La voce dell'inglese, cupa come l'inchiostro, gli risuonò in testa. Phoenix sarebbe dovuto rabbrividire, e forse una parte di lui lo fece, al pensiero del disegno che cominciava a intravedere con chiarezza disarmante. Eppure si limitò a scuotere il capo e a rispondere con una risatina di scherno.

"Notevole, ragazzino", commentò. "Certo, non all'altezza del nostro Peacock, ma in una trentina d'anni potresti anche farcela a eguagliarlo".

L'altro, per tutta risposta, ruotò la mano con un colpo secco e una violenta scossa si diffuse come un'onda sul pavimento, correndo incontro al suo avversario.

Questo è decisamente troppo!

Dover perfino avere a che fare con la versione adolescente e psicopatica di Raven era più di quello che poteva sopportare la sua già scarsa pazienza. Senza quasi controllarsi, lasciò che una vampata di fuoco si irradiasse tra di loro, arrivando a lambire i suoi due oppositori, costringendoli a indietreggiare.

Quando gli parve che un qualche equilibrio si fosse ristabilito, Phoenix gli rivolse nuovamente la parola.

"Senti, non ho nulla da discutere con te. Esci da questa stanza e vattene".

Il ragazzino lo squadrò con una strana luce negli occhi grigi, come se non comprendesse la sua offerta.

Sollevò le dita con fare minaccioso e Phoenix sbuffò. Non aveva intenzione di fargli del male. Capiva che l'avevano portato li a bella posta, per metterlo in difficoltà. Per mettere in crisi la sua coscienza. Perché non aveva nessuna colpa di essere ciò che era. Conosceva a sufficienza la storia per sapere che, al pari degli altri, quel ragazzino malato era solo una vittima. Anche se non lo capiva. Anche se in quel momento il suo obiettivo sembrava solo quello di minacciarlo e di scagliargli contro la forza del suo elemento.

Cercò di pensare a una soluzione per non ferirlo, ma la ragione continuava a fornirgli un'unica risposta: in quella situazione non poteva cercare di salvare tutti. Soprattutto, non poteva salvare chi non sceglieva di essere salvato. Doveva trovare un modo per convivere con quell'idea, anche se faceva male da morire.

"Te lo ripeto per l'ultima volta: vai via adesso e io mi dimenticherò della tua esistenza".

Quasi gli avesse dato un segnale, le pietre si mossero e si innalzarono ai piedi del ragazzino, dirette come una freccia a colpire Phoenix. Lui intuì quel movimento e lo anticipò. Si scansò di lato, evitando di essere colpito in pieno da quell'onda. Le caute fiamme che aveva evocato prima si fecero più alte e più intense.

Phoenix stava per ordinare loro di avvolgere l'intera sala, quando un rumore acuto e assordante lo colse di sorpresa, obbligandolo a coprirsi le orecchie con le mani.

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