Laminae [SEQUEL di OPERA]

By Dragonfly_Ren

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***ALERT*** Questa storia è il SEQUEL di OPERA. Se potete scegliere di leggere OPERA come storia autoconclus... More

DOORS TO HEAVEN
1.1 A strange place called home
1.2 And you let her go
1.3 Colorblind
1.4 Bittersweet memories
1.6 Love is Colder than Death
1.7 Someone like you
1.8 Universal tongue
1.9 Guilty pleasure
1.10 Sadness is but a wall between two gardens
1.11 Spare parts
1.12 Know who you are
1.13 As long as you loved me
1.14 All water has a perfect memory
1.15 Dancing on the edge
FIX YOU
2.1 Gazing across the wasted years
2.2 How to save a life
2.3 Trouble in Paradise
2.4 Demons
2.5 Innocence lost
2.6 Trying to get back to where it was
2.7 Happy families are all alike...
2.8 Message in a bottle
2.9 Read your Tarots well
2.10 Back to black
2.11 In need of repair
2.12 Tower's Callin'
2.13 The Star
2.14 Falling slowly
2.15 The Moon
STAND MY GROUND
3.1 Time to call your bluff
3.2 Into the darkness
3.3 Come Hell or High Water
3.4 Excuse me while I kiss the sky
3.5 The Sun
3.6 Soul has weight
3.7 Hush, little baby, don't say a word
3.8 What lies beneath
3.9 What strength I have's mine own
3.10 The driving force of all nature
3.11 Judgement / The World
3.12 Chains of silver and chains of gold
3.13 All of you
3.14 Hopefully
3.15 Pigeons
I THINK WE'RE ALONE NOW
Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò

1.5 Don't play with fire

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By Dragonfly_Ren

Phoenix sembrava un treno in corsa, quella mattina. Raven aveva detto addio ormai da anni alle militaresche abitudini di quando era ragazzo. In fondo, non c'erano minacce che potevano sconvolgere il pianeta da un momento all'altro. Non avvertiva, come un tempo, la necessità di essere perennemente vigile e attento fin dal primo battito di ciglia della giornata. In più, la permanenza a casa di Phoenix, così lontana da Fulham e dalla città, lo faceva sempre sentire in vacanza e lo rendeva più pigro, se mai era possibile. Gli tenne dietro con fatica, sbuffando e chiedendosi perché avesse già tanta voglia di fare a quell'ora.

Quando raggiunsero il capanno degli attrezzi, Phoenix lasciò cadere brutalmente lo scatolone sull'erba e si girò a squadrare Raven che era ancora a qualche passo da lui, portandosi i pugni sui fianchi.

"Quello cos'era?".

"Cosa?", ribatté Raven, sollevando il sopracciglio di fronte all'immotivata bellicosità dell'altro.

"Tu e Swan. In cucina", smozzicò l'altro sbrigativo e fosco. "Che cos'era?".

L'inglese sollevò gli occhi al cielo, allargò le braccia e si lasciò sfuggire un'esclamazione di insofferenza.

"Dio, Phoenix! Per una volta in tutta la mia vita ti ho concesso il privilegio di una confidenza. Non penserai di mettermi in croce per i prossimi tre giorni?".

L'altro sembrò placarsi, anche se non del tutto. I muscoli contratti delle braccia gli si rilassarono, ma gli occhi verdi erano ancora freddi e indagatori. Si avvicinò all'amico di qualche passo e lo fronteggiò.

"No", scandì deciso, "non ti metterò in croce, ma te lo chiederò una volta soltanto, Pigeon: che cos'era?".

Raven prese fiato e tempo per rispondere. Il suo viso si compose nella stessa espressione seria che aveva il suo interlocutore.

"Qualcosa di molto, molto stupido", ammise infine con fatica, la voce velata da un sottile senso di colpa.

Phoenix se ne infischiò beatamente di quell'atteggiamento così poco consono a Raven e di ogni sua possibile manifestazione di contrizione. Serrò la mascella con fare intimidatorio e gli puntò l'indice contro il petto.

"Tieni l'uccello dentro i pantaloni, Raven, o stavolta giuro che te lo faccio ingoiare!".

Raven considerò che, se non si fossero conosciuti tanto bene, quella discussione sarebbe certamente finita in una rissa, visto il carattere focoso dell'irlandese e la propria esigenza di avere sempre l'ultima parola a ogni costo.

Phoenix sembrava davvero fuori di sé, come se il solo pensiero che potesse accadere un danno di tale portata, per giunta in casa sua, lo stesse mandando fuori di testa.

Ma non accadrà, non accadrà mai, quindi...

Litigare per un evento impossibile era oltremodo stupido e inutile a suo parere, così Raven mandò giù quella minaccia e allontanò la mano con calma.

"Pensavo di avertelo già detto, irlandese: io voglio solo vederla felice. Sono il primo tra noi che vuole che lei sia felice. È chiaro? È sufficiente?".

Phoenix sbuffò, si passò le mani sul viso e le lasciò scorrere tra i capelli. Si tirò indietro di un passo, girò in tondo per un paio di minuti come per far sbollire quell'accesso di rabbia, mentre Raven lo seguiva paziente con uno sguardo indecifrabile.

Quando si fermò e tornò nuovamente a fissarlo, la sua espressione non era più aggressiva. Piuttosto era incredula, come se l'uomo che aveva di fronte fosse stato uno strano oggetto incomprensibile e la sua stessa esistenza assurda da concepire all'interno della realtà.

"Io non ti capisco, Raven, davvero! Ok, Swan, va bene. Ne abbiamo parlato, posso immaginare ogni cosa... ma Eagle? Tu ci pensi mai a Eagle? Non gli vuoi bene? Siete cresciuti insieme, praticamente siete fratelli".

Silenzio.

Raven lo guardava con una luce singolare negli occhi grigio-azzurri. Quegli occhi che sembravano assorbire le emozioni degli altri e non restituirne mai nessuna. Quegli occhi che, in quel momento, fecero quasi paura a Phoenix.

"Non ti importa di Eagle?", insistette, ma a voce più bassa, come se si dovessero scambiare un segreto.

Finalmente Raven distolse lo sguardo. Si rivolse distratto verso qualcosa che in realtà non vedeva davvero. Gli sembrava la Fine del Mondo, quella. Anzi, nemmeno. Perché la Fine del Mondo l'aveva vissuta e se la ricordava fin troppo bene. Era stata terribile, caotica e straziante, eppure nulla a confronto di quel momento, in cui sembrava che il Polo Magnetico della sua anima stesse oscillando pericolosamente verso un punto che non avrebbe dovuto occupare. Un Polo interno, profondo, nascosto, ben distante da quello della Terra sulla quale poggiava i piedi.

"Certo che mi importa di Eagle".

"E allora?".

"Tu non puoi capire".

"Già", sbottò l'irlandese scocciato. "Comodo archiviare ogni pratica così, con me che non posso mai capire nulla".

"Perché è impossibile non amare Eagle", riprese Raven, con il tono pacato e insieme rassegnato di chi tenta di spiegare qualcosa che sa di non poter comunicare come vorrebbe. "Ed è impossibile non odiarlo. Perché è quello che ce l'ha fatta. E no, non è una questione di chi ha avuto la meglio tra me e lui. Parlo di tutti noi, di tutti e tre. Eagle è il solo che è riuscito davvero a sopravvivere a Fulham...".

"Fulham", lo interruppe Phoenix con una vena di disappunto. "È sempre per colpa di quel dannato posto se adesso siamo qui, vero? Be', sono contento! Magari stavolta riusciremo a chiarire questa faccenda una volta per tutte. E magari potremmo chiarire anche qualcos'altro".

"Senti, Phoenix: io e Swan...".

Il trillo del cellulare tranciò di netto la frase che stava per essere pronunciata. Raven si interruppe, sfilò l'apparecchio dalla tasca quel tanto che gli permetteva di leggere il nome sullo schermo ed esitò. Restò a fissare le lettere che lampeggiavano mordicchiandosi il labbro inferiore con fare nervoso, mentre il suono continuava a rimbalzare ritmico e fastidioso tra lui e Phoenix. Con una smorfia di disappunto, si allontanò dall'amico e si portò infine il telefono all'orecchio. Rispose, mormorò un paio di frasi incomprensibili, poi restò in ascolto, annuendo di tanto in tanto. Totalmente assorto in quella misteriosa conversazione, iniziò a muoversi in tondo, calpestando l'erba distrattamente.

L'espressione del suo viso si era fatta di colpo cupa. Sollevò la testa di scatto e i suoi occhi sfiorarono le finestre della casa. Un raggio di sole colpì i vetri e fu costretto a distogliere lo sguardo. Abbassò il capo a fissarsi le scarpe, fece scivolare la mano dall'orecchio con un gesto stanco, poi chiuse la telefonata. Da quella distanza rivolse a Phoenix un'occhiata strana.

"C'è un imprevisto".

L'altro gli restituì un'espressione interrogativa.

"Devo tornare a Londra immediatamente. Mi dispiace, non potevo saperlo. Ma farò in fretta. Si tratta solo di rimandare la nostra discussione a domani, sarò di ritorno in mattinata".

Sembrava teso come la corda di un violino e il tono avrebbe spento ogni possibile protesta. Phoenix si limitò ad annuire, a guardarlo mentre rientrava a casa.

Osservandolo al di là delle vetrate, intuì che recuperava il giubbotto, il casco e i guanti, e che cercava frettolosamente le chiavi abbandonate la sera prima sopra qualche ripiano del salotto.

Ailleann comparve nella stanza, alle sue spalle. La sua figura sottile si avvicinò a quella di Raven. Lui ebbe un sussulto avvertendo la sua presenza, come un ladro colto alla sprovvista. Si girò verso di lei, scambiarono qualche frase che Phoenix non poteva sentire. Ailleann smise di sorridere, Raven le lasciò un bacio veloce sulla guancia, poi uscì.

Phoenix udì il rumore lontano della ghiaia nel vialetto, il motore che borbottava, gli pneumatici che si adattavano alla strada. Quando ogni suono si spense, rimase a guardare il giardino. Non era mutato nulla, in quei pochi minuti. Le siepi, gli alberi, la piscina, gli arredi. Tutto era esattamente al proprio posto. Eppure sentiva che c'era qualcosa di diverso. Che un equilibrio si era alterato.

"Non giocare con il Fuoco, Pigeon", mormorò. "Lo sai che è pericoloso. Lo sai benissimo, dannazione!".

֍

Ailleann aveva un'espressione pensierosa quando fece il suo ingresso in cucina, dove Swan era ancora seduta a rimuginare, fissando la tazza vuota da un pezzo.

"Che succede?", domandò.

Ailleann sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio e non rispose immediatamente, come se le occorresse un po' di tempo per ordinare i pensieri.

"Non lo so. Raven è andato via in tutta fretta per sbrigare una faccenda urgente".

Swan sgranò gli occhi, come se quella notizia fosse incredibile. Anzi, inaccettabile.

"Che significa che è andato via?".

Saltò giù dallo sgabello facendolo stridere sul parquet e strinse le mani sul bordo della penisola come se avesse voluto spezzarla.

"Raven non può fare sempre il cavolo che gli pare!", sbottò di fronte all'espressione indecisa di Ailleann, che oscillava tra l'intraprendere una qualsiasi difesa di Raven o il tacere.

"Ci ha fatti scapicollare qui dall'altro capo del mondo e lui che fa? Ha i suoi affari da sbrigare altrove? Cos'è? Una delle sue amanti aveva il marito in trasferta e la casa libera?".

L'altra ragazza le indirizzò un'occhiata eloquente.

"Sembrava molto preoccupato, Swan".

Quella semplice frase ebbe il potere di zittirla più di quanto non avrebbero fatto mille proteste. Ailleann si limitò a seguire quel repentino dietro front senza commentarlo. Non aveva nessuna intenzione di mettere Swan in difficoltà giudicando le sue reazioni.

"Andiamo", la esortò, sforzandosi di apparire allegra, "non è una tragedia! Dirò ai ragazzi di preparare una grigliata in giardino. Godiamoci un giorno di vera vacanza, ti va?".

Swan biascicò un che per Ailleann assunse un valore definitivo e, ancora prima di poter aprire bocca, si trovò immersa fino a collo nei preparativi. Come se quella fosse una qualsiasi giornata della loro vita e un barbecue all'aperto, in un cottage immerso nella campagna inglese, facesse parte della sua normalità.

Come se Raven non fosse mai passato di là, lasciando dietro di sé la sua abituale scia di risposte non date e la sua aria da corvo-tempesta.

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