Lightning || Newtmas AU

De Jelsey23march

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Nella Londra odierna, Newt, un giovane padre, si ritrova a dover fare i conti con il destino che gli interpon... Mais

Prologo
Capitolo 1.
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Epilogo
Ringraziamenti
SPIN-OFF
SOON
NUOVA STORIA.

Capitolo 10

297 19 21
De Jelsey23march

«Ciao Tommy, sono sempre io. Ehm... Non so cosa dire se non che mi dispiace. Vorrei spiegarti se mi richiamassi. Ciao» disse Newt, smettendo di parlare dopo che il bip del messaggio vocale suonò. Chiuse la chiamata buttando il telefono sul sedile del passeggero, vuoto e freddo.

Da quel giorno, era passata una settimana, durante la quale Newt provò a contattare Thomas in ogni modo possibile, senza mai ricevere risposta. Era svanito nel nulla, portando con se quel briciolo di spensieratezza che Newt provava da quando lo conosceva. Thomas, durante quel mese, era riuscito a far rinascere il Newt adolescente, quello sarcastico, felice, e gioioso. Quella parte di se, che era scomparsa anni prima, aveva lasciato spazio al Newt padre, sicuro di se, premuroso e indipendente, che non aveva tempo di pensare alle cose futili, alle uscite e, soprattutto, all'amore. Il Newt adolescente si era fatto da parte troppo presto e se ne stava nascosto, aspettando che qualcuno lo portasse fuori da quel cunicolo buio e spoglio che era, ormai, Newt. Thomas era riuscito, in parte, in quell'impresa, facendolo sentire di nuovo adolescente, di nuovo spensierato e di nuovo infatuato di qualcuno a tal punto da pensarci costantemente. Perché si, Newt pensava a Thomas costantemente, da quando lo aveva visto andare via al ristorante, e la sensazione di averlo perso si era fatta strada nel suo petto, appesantendolo. Pensava a lui a lavoro, quando lo rivedeva nei disegni semplici ed eleganti. Pensava a lui quando usciva dall'ufficio per tornare a casa da suo figlio, e sperava che Thomas fosse davanti la macchina ad aspettarlo, per poter ridere insieme a lui di qualsiasi cosa. Pensava a lui quando tornava a casa, salutava suo figlio e lo abbracciava, e immaginava come sarebbero andate le cose se avesse scelto di presentarli prima. Pensava a lui quando si lavava il viso, e le mani finivano sulla bocca, che sentivano la tremenda e forte mancanza delle sue labbra sulle proprie, di quel tocco profondo ma delicato, della quale era ossessionato. Pensava a lui quando, finalmente, si metteva a letto, e continuava a controllare il suo accesso Whatsapp, sperando che le spunte diventassero blu, cosa che non avveniva mai.

Quella mattina, una settimana dopo quel pranzo, lo avrebbe rivisto. Si sarebbe diretto all'ufficio Edison-Wilson, che era stato ultimato e pulito e attendeva solo di essere arredato e decorato. I camion con parte dei mobili erano già arrivati, e Newt era ancora nel parcheggio della scuola di Caleb, che era appena entrato con i suoi amici. Non riusciva a partire, impaurito da quello che sarebbe potuto succedere. Thomas lo avrebbe salutato? Lo avrebbe anche solo guardato? Sperava di poter parlare con lui, di farsi perdonare per poter chiudere quella storia, che era stata una favola vissuta a occhi aperti. Una parentesi felice e impossibile che non avrebbe mai dovuto aprire, e che necessitava di chiudere. Thomas aveva bisogno di qualcuno che potesse dargli stabilità, una relazione solida e delle attenzioni. Si odiava per aver creduto di poter avere una storia, o anche solo un flirt con qualcuno senza combinare casini. Si odiava per aver deluso Thomas, per averlo illuso e portato a provare qualcosa per lui. Ripensò al primo giorno in cui l'aveva visto, e si chiese perché l'odio provato nei suoi confronti, non fosse continuato. Sarebbe stato tutto più facile. Ripensò al loro primo bacio, e alla rabbia che lo aveva invaso quando le loro labbra si erano unite, per la prima volta. Ripensò poi al giorno del suo compleanno, quando si era sentito per la prima volta impotente davanti a qualcuno. Ricordò di aver sperato che lo baciasse, desideroso che quel contatto diventasse sempre più intenso, perché Thomas riusciva a eliminare le complicazioni, a fargli dimenticare dell'ansia che tutti i giorni lo circondava. Quei pensieri lo portarono a una sola e unica soluzione, dimenticare quei momenti, dimenticare quelle sensazioni e lasciare che Thomas trovasse la persona giusta per lui.

Si fece coraggio e mise in moto la macchina, uscendo dal parcheggio e dirigendosi dove il navigatore lo avrebbe condotto, senza badare troppo a ciò che lo circondava. Guidava in modo meccanico, come se le strade fossero ormai memorizzate nel proprio cervello, e il suono del navigatore che parlava fosse lontano chilometri. Quando, in lontananza, vide i camion parcheggiati uno di fronte all'altro, e la ditta dei lavori che parlava in cerchio davanti uno di questi, capì di essere arrivato, perciò parcheggiò il più vicino possibile, per poi prendere il cellulare e tutte le cartelle di cui aveva bisogno. Scese dalla macchina e si diresse verso il gruppo di persone che parlava, fumando qualche sigaretta mentre dalle loro bocche usciva fumo misto a condensa.

«Buongiorno ragazzi» disse Newt, guardandoli di sfuggita, per poi aprire la cartella per capire cosa avrebbero dovuto fare quel giorno.

«Aspettiamo il Signor Edison o andiamo?» Chiese un uomo basso, paffuto, con la barba brizzolata di un nero scuro. Era Carl, il capo dei lavori.

«No Carl iniziamo, non ho mai visto come è venuto e voglio capire bene la metratura delle varie stanze»

«Okay capo. Andiamo ragazzi» disse Carl, girandosi verso i colleghi, dirigendosi a passo lento verso l'entrata, facendo passare poi Newt che avrebbe aperto il portone e, dopo le quattro rampe di scale, la porta dell'ufficio.

L'interno era vuoto e spoglio, ai lati della porta vari attrezzi da lavoro erano stati depositati, in modo tale da avere tutto a portata di mano. L'entrata affacciava su una stanza grande e spaziosa, che sarebbe diventata successivamente la reception e la sala d'attesa. Newt riusciva a vedere nella propria testa la stanza prendere forma e diventare uno dei migliori progetti che aveva mai fatto.

Fece qualche passo in avanti, accorgendosi delle due porte sulla parete principale, alla destra della sala d'attesa. Quelle porte conducevano ai due uffici, entrò nel primo, quello che sarebbe stato l'ufficio di Thomas. Guardò il progetto dalla cartellina, per poi alzare lo sguardo e immaginare ciò che aveva disegnato in quella stanza, e un sorriso leggero gli comparve sul viso. Immaginò Thomas, il ragazzo che aveva imparato a conoscere, quello che amava con tutto il cuore il lavoro che faceva. Lo immaginò lì, seduto davanti alla futura scrivania, posta davanti la finestra, ampia e grande, e ricordò perfettamente il motivo per cui gli era stata chiesta così. Ricordò il discorso che fece sull'importanza della luce esterna, della luce del sole, che gli ricordava l'estate, gli ricordava la sua stanza nella casa in Spagna dei suoi. Immaginò Thomas, nel suo mondo, a lavorare sodo per quello che aveva sempre sognato. Lo immaginò indaffarato, pieno di scartoffie da analizzare per far si che le ingiustizie della vita non ricadessero sulle persone sbagliate. E, in un attimo, le parole di Minho lo travolsero come un secchio d'acqua gelida: "Se tieni a questo ragazzo, allora stai sbagliando tutto". Quel ricordo gli strinse lo stomaco e gli fece scomparire il sorriso. Era vero, aveva sbagliato tutto, dall'inizio. Aveva sbagliato a desiderare di vederlo, ad accettare di uscire con lui e di conoscerlo, aveva sbagliato a desiderare di passare del tempo con lui, ad aspettare una sua chiamata, a desiderare di vederlo fuori dall'ufficio o, semplicemente, di vederlo sorridere. Come aveva fatto a pensare che sarebbe potuta durare, o anche solo iniziare tra loro? Due mondi divisi, distinti. Impegni diversi e successi distanti. Thomas avrebbe voluto diventare il miglior avvocato d'Inghilterra, lavorando sodo e continuando a studiare. Voleva aiutare le persone a superare lotte, traumi e ingiustizie, continuando a farsi spazio nel mondo. Newt, lavorava con passione, nella speranza di mettere da parte abbastanza soldi per concedere a Caleb una buona vita. Pensava a come riuscire a iscriverlo a una scuola privata, a come riuscire a portarlo per il mondo, per fargli conoscere culture diverse. Pensava al futuro, e si chiedeva se sarebbe riuscito a comprargli una buona macchina o a mandarlo in un buon college. Faceva i conti, tutti i giorni, con l'abbandono, e lavorava sodo per non far sentire a Caleb la mancanza della madre. Continuava a sperare di essere abbastanza per lui, di non arrivare un giorno a rimpiangere di non averlo lasciato a una famiglia completa, che sicuramente gli avrebbe dato più di quanto lui potesse solo immaginare. Come avrebbe potuto, quindi, pensare che la sua vita potesse combaciare con quella di Thomas? Si sentì uno stupido ad averlo solo immaginato, e pensò a quanto potesse aver sbagliato a trasportare anche solo una piccola parte di Thomas dentro il proprio mondo, non potendo dargli niente, se non complicazioni.

I suoi pensieri, che continuavano a tormentarlo, vennero interrotti dal rumore della porta d'entrata che si aprì, e una voce che spezzò il silenzio.

«Buongiorno, pensavo ci saremmo visti fuori dall'ufficio» disse Thomas, entrando dalla porta rimasta aperta, rivolgendosi a Carl, che si stava legando alla vita una cintura portattrezzi.

«Newt ha detto che aveva bisogno di salire prima» disse Carl, per poi spostare lo sguardo sul suo capo. Thomas spostò lo sguardo su Newt, che era appena uscito dalla stanza e che sentì il cuore iniziare a battere incredibilmente forte. Thomas aveva la mandibola serrata e uno sguardo duro rivolto verso di lui.

«Si, colpa mia. Ragazzi inizieremo con la verniciatura, andate a prendere le vernici per le stanze e tutto l'occorrente» disse Newt, guardando verso Carl che mostrò il pollice in segno di consenso, per poi uscire dalla stanza seguito dal resto dei lavoratori.

Dalla porta entrò Mark, con il solito sorriso raggiante sul volto, e affiancò Thomas.

«Ciao Newt» disse, alzando la mano, per poi girarsi a guardare l'amico, che aveva ancora il volto serio.

«Ehm si, volevo farvi vedere come inizieremo a decorare» disse Newt, in imbarazzo e con le mani tremanti, per poi avvicinarsi a loro aprendo la cartellina. Ne tirò fuori due fogli, che riportavano l'intera struttura disegnata in pianta.

«Abbiamo pensato d'iniziare con la verniciatura di ogni stanza, in modo tale da fare le passate necessarie e poi di lasciarle asciugare» disse, bloccandosi per osservare con la coda dell'occhio i loro volti.

«Subito dopo, credo domani, inizieremo a montare la reception e la sala d'attesa, con i mobili principali, e subito dopo con gli uffici. Il bagno, come avete visto è già utilizzabile, va solamente decorato. Le decorazioni secondarie, quindi i quadri e i soprammobili arriveranno la settimana prossima» concluse, chiudendo la cartellina e sistemandosela al petto.

«Direi che è perfetto, no?» Chiese Mark, rivolgendosi all'amico.

«Si, perfetto» disse secco Thomas, per poi alzare lo sguardo su Newt, che era rimasto immobile ad aspettare. Lo guardò per qualche secondo, per poi girarsi pronto per andare via.

«Thomas aspetta» disse Newt, facendo un passo in avanti per essere più vicino a lui. Lo vide voltarsi nuovamente con le spalle basse.

«Che c'è Newt?» Chiese, avvicinandosi anche lui.

«Voglio parlare»

«Thomas io vado, ho un'udienza tra un'ora. Ciao Newt grazie» disse Mark, consapevole della conversazione che sarebbe avvenuta, e volendo lasciare spazio all'amico di sistemare quella situazione. Uscì dall'ufficio lasciandoli soli.

«Di cosa vuoi parlare? Di quanto sei stato stronzo. Perché se è per questo che mi chiami e mi scrivi tutti i giorni puoi anche smettere, so benissimo che sei stato stronzo» disse, rimarcando la parola stronzo in modo tale che suonasse forte e chiara.

«So di esserlo stato, ma volevo scusarmi con te perché-» si interruppe, vedendo tornare tutti, con in mano i vari secchi di vernice.

«Capo da dove iniziamo?» Chiese Carl, rivolgendosi a Newt, mentre sistemava le mani sui manici che reggevano due secchi di vernice diversi.

«Iniziate con gli uffici, vi lascio la piantina dei colori» disse Newt lasciando, a un uomo calvo e tozzo, il foglio con le disposizioni dei colori nelle varie stanze.

Aspettò che tutti fossero indaffarati con lo scotch carta da mettere sugli angoli per non sporcare i battiscopa, per prendere la mano di Thomas, sentendo le farfalle farsi strada nel suo petto, e trascinarlo verso il balcone.

«Volevi scusarti con me perché?» Disse subito Thomas, intrecciando le braccia al petto, lasciando che la giacca che portava gli stringesse le braccia muscolose, creando una linea di tessuto dritta su di essi.

«Volevo scusarmi per non avertelo detto, ma avevo paura che potessi decidere d'interrompere tutto perché ho un figlio e non volevo perderti, ma ho capito di aver sbagliato, ho provato a dirtelo giorni fa ma avevo paura e non ci sono riuscito. Non volevo lo scoprissi così» disse, tutto d'un fiato, respirando solo quando le parole nella testa iniziarono a mischiarsi tra loro, e formulare una frase diventò impossibile.

«Per la paura di perdermi non mi hai detto una cosa così importante? Newt hai un figlio, è la prima cosa che devi dire a qualcuno se ti chiede di uscire, perché io devo poter scegliere se innamorarmi di te o meno, consapevole che implicherebbe la presenza costante di un bambino. E, pensa un po', a me non interessa, sarei pronto a stare con te in qualsiasi modo, ma tu hai preferito mentire. Odio chi mente, perché fidarmi delle persone è una cosa che non mi riesce, e di te mi fidavo. Vedevo in te una persona diversa, genuina ma forse mi sbagliavo» disse Thomas, alzando il tono della voce, per poi poggiare le mani alla ringhiera, cercando di scaricare la tensione.

«Thomas, ti chiedo scusa. Essere padre per me è la cosa più bella del mondo, non potrei desiderare altro. Ma è anche la cosa più importante, non sceglierei mai nessuno prima di mio figlio» disse Newt, con voce tremante.

«Non te lo sto chiedendo Newt, e non te lo avrei chiesto nemmeno prima. Non sono arrabbiato perché hai un figlio, non cambia ciò che provo per te, ma sono arrabbiato perché non me lo hai detto. Se tu me lo avessi detto, le cose sarebbero andate meglio e non saremmo qui, a discutere»

«Lo so, ma avevo paura. Non sono fatto per avere una relazione Thomas, l'ho sempre creduto. Poi sei arrivato tu e hai stravolto ogni cosa, e io non posso permettermi stravolgimenti di nessun genere. Ti chiedo nuovamente scusa per non avertelo detto, ma forse è stato meglio così, l'abbiamo chiusa prima che iniziasse e potrai cercare qualcuno che sappia darti ciò che meriti» disse Newt, abbassando lo sguardo

«Io non voglio cercare nessuno. Tu mi piaci più di chiunque altro Newt, mi piaci così tanto, e sarei disposto a stare con te in ogni modo, in ogni situazione, a ogni condizione. Perché con te sto bene, mi diverto e riesci a tirare fuori la parte di me che cerco di nascondere. Lo fai con naturalezza e mi piace la persona che sono quando sono con te. Hai un figlio? Benissimo, vorrei conoscerlo per conoscere meglio anche te. Vorrei sapere ogni cosa di te perché con nessuno ho sentito questa connessione, questa complicità che ho con te» disse Thomas, avvicinandosi prendendo una mano di Newt, per poi portare l'altra sulla sua guancia, accarezzandola. Newt si beò di quel contatto, forse troppo intimo, per poi tornare in se.

«Thomas, tutto ciò che hai detto vale anche per me, mio ho troppe cose a cui pensare, due vite a cui badare e non posso scombussolare la vita di mio figlio così tanto. Lui è il mio mondo, e io non credo di essere adatto ad avere una relazione. Tu hai bisogno di qualcuno che possa darti stabilità, che possa giurarti amore e non una persona che non sa come badare a suo figlio, perché lavora e basta per potergli dare tutto ciò di cui ha bisogno. Non avrei tempo per te, non avrei tempo da dedicarti e non voglio che tu perda tempo» disse, abbassando lo sguardo e osservando le loro dita intrecciate, sentendo il cuore stringersi talmente tanto da fare male.

«Newt, lascia che le cose abbiano un loro corso, lascia che tutto avvenga in modo naturale, senza preoccuparti delle conseguenze per una volta» disse Thomas, avvicinandosi ancora a guardandolo negli occhi, nella speranza che cambiasse idea.

«Non voglio che ti innamori di me Thomas, non posso permetterlo» disse Newt, continuando a guardarlo.

«Credo che sia troppo tardi» disse Thomas, slacciando le loro mani e facendo un passo indietro.

Newt lo guardò per l'ultima volta, per poi girarsi pronto a tornare dentro.

«Carl, torno nel pomeriggio» disse, per poi prendere le proprie cartelline uscendo dall'ufficio, diretto alla macchina. Arrivò davanti la portiera e si girò, guardando Thomas con i gomiti poggiati alla ringhiera e la testa bassa.

Nel cuore, sentiva una stretta talmente forte che gli mancava il respiro, ma era sicuro di aver fatto la scelta giusta. Thomas non aveva bisogno di uno come lui, nonostante lui, avesse totalmente bisogno di Thomas.






Spazio autrice:

Ciao! Come va? Spero tutto bene!! Cosa ne pensate di questo capitolo? Newt capirà che Thomas può amarlo? e Thomas perdonerà Newt? Fatemi sapere cosa ne pensate e a chi date ragione haha.

Io vi mando un bacio, alla prossima.

Letizia <3

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