Cinquanta sfumature di un'amn...

By Andromaca27

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I primi capitoli di questo racconto sono la traduzione, abbastanza fedele ma non letterale, di una ff in ingl... More

Capitolo primo
Capitolo secondo
Capitolo terzo
Capitolo quarto
Capitolo sesto
Capitolo settimo
Capitolo ottavo
Capitolo nono
Capitolo decimo
Capitolo undicesimo
Capitolo dodicesimo
Capitolo tredicesimo
Capitolo quattordicesimo
Capitolo quindicesimo
Capitolo sedicesimo
Capitolo diciassettesimo
Capitolo diciottesimo
Capitolo diciannovesimo
Capitolo ventesimo
Capitolo ventunesimo
Capitolo ventiduesimo
Capitolo ventitreesimo
Capitolo ventiquattresimo
Capitolo venticinquesimo
Capitolo ventiseiesimo
Capitolo ventisettesimo
Capitolo ventottesimo
Capitolo ventinovesimo
Capitolo trentesimo
Capitolo trentunesimo
Capitolo trentaduesimo
Capitolo trentatreesimo
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50

Capitolo quinto

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By Andromaca27

Sono appena uscito dall’ascensore e sto per andare via dall’ospedale. Fuori c’è Taylor che mi aspetta in macchina per tornare all’Escala, quando sento vibrare il mio cellulare nella tasca della giacca. Un’occhiata al display prima di rispondere. È Ana. La foto abbinata al suo numero mi sorride, dolcissima.

«Ana, hai chiamato?» Sono così contento che mi abbia telefonato, non riesco a nascondere la gioia nella mia voce, ma il mio sorriso svanisce di colpo.

«Cazzo! Sì che ho chiamato!»

È arrabbiata. Cosa può essere successo? Mi sento mancare l’aria.

«È venuto fuori che sono incinta. Quando cazzo avevi intenzione di dirmelo?»

Cristo! Chi cazzo gliel’ha detto?

«Io… volevo… non ho avuto il tempo…» Mormoro.

«Scusa, scusa, devo andare, Christian. Devo fare un’ecografia. Ciao… piccolo» Riaggancia prima che io abbia il tempo di rispondere. Le sue parole mi fanno gelare il sangue. Sa essere davvero terribilmente velenosa quando vuole e per un attimo la mia memoria ritorna alla sfuriata della mattina successiva alla mia sbornia, quando, urlando, mi ha accusato di comportarmi come un adolescente in crisi.

Respiro a fondo mentre mi passo le mani tra i capelli per tentare di riacquistare l’equilibrio e mi avvio di nuovo verso l’ascensore. Devo andare da lei, mi sono perso la prima ecografia, ma adesso devo esserci. Arrivato davanti alla porta dell’ambulatorio di ginecologia, la apro e mi precipito all’interno. I miei occhi vanno allo sguardo astioso di mia moglie. Tristezza, risentimento, rabbia, frustrazione si agitano in lei. Non ho il tempo di soffermarmi su questo perché la mia attenzione viene richiamata dalla grossa sonda con la quale la dottoressa sta effettuando l’ecografia. È disgustoso. E poi, finalmente lo vedo…

«È quello?» Chiedo.

Vedo qualcosa muoversi su quel monitor; in mezzo alla massa informe c’è un esserino, così piccolo che sembra un fagiolo e pulsa, pulsa, pulsa.

Dio! Sono senza parole. Sembra che il cuore voglia uscirmi dal petto per quanto sono emozionato. Gli occhi mi bruciano a causa delle lacrime che premono per uscire. Dannazione non mi riconosco più, sono così emotivo ultimamente. Non starò diventando come quegli uomini piagnucolosi e senza spina dorsale?

È il miracolo della vita. È mio figlio, nostro figlio. Mio e di Ana. È il frutto del nostro amore.

Sono stato così stupido. Sono stato un vero coglione ad infuriarmi con lei quando mi ha detto di esser incinta. E pensare che il mio comportamento potrebbe essere una delle cause dell’amnesia. Come ha detto mia madre?  “Un meccanismo di difesa”.

Basta, Grey, non andare lì con la testa, concentrati sul presente.

Sì, il presente. Il presente è Ana che non vuole la foto del nostro bambino. Non vuole il nostro bambino. Dice che la gravidanza non l’aiuterà nel processo di recupero della memoria. Il presente è Ana che, dopo la mia appassionata dichiarazione d’amore per lei e per nostro figlio, mi chiede chi sceglierei. Chi sceglierei tra loro due? Cristo Santo! Chi sceglierei? Ana, sempre Ana. Anche se non mi sembra più la mia Ana. La mia Ana non mi avrebbe mai messo di fronte ad un dilemma del genere, un dilemma così... crudele. Salvo poi dirmi che non cambia niente, che deve pensarci e devo andarmene. Fa male. Cazzo, se fa male. Non so che altro dire o fare. Con uno scatto esco dalla stanza e a grandi falcate mi dirigo verso il terrazzo che si trova a questo piano. Ho bisogno di respirare. Ho bisogno di aria. I miei polmoni sono del tutto sgonfiati e riarsi. Quando esco, un vento non troppo freddo mi colpisce sul viso e mi calma un po’. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Ancora e ancora. È così che si fa per regolarizzare il battito cardiaco. Devo imporre un ritmo normale al mio cuore, altrimenti finirà per scoppiare. Mi risuona nella testa una frase che Anastasia mi aveva detto più di una volta: “devi imparare a gestire l’ansia, a capire che non puoi controllare tutto, altrimenti morirai d’infarto prima dei quarant’anni e io ti voglio con me per molto di più”.

Se mi succedesse qualcosa, se mi lasciassi andare all’autocommiserazione e allo scoraggiamento, chi si prenderebbe cura di lei? Non posso permettermi debolezze! Anzi, devo essere forte per tutt’e due. Per tutt’e tre. Devo provvedere alla mia famiglia. Affronteremo ogni difficoltà e ce la faremo. Domani. Domani Ana tornerà a casa. E ricominceremo da lì.

__________________________________________________________________________

Nonostante l’ulteriore stress per la scoperta di essere incinta, Grace mi lascia andare a mezzogiorno.

Come prevede la prassi dell’ospedale, sono seduta su una sedia a rotelle con la quale mi accompagneranno all’uscita. Indosso un abito firmato che Christian ha mandato per le mie dimissioni. Grace mi sta ricordando le precauzioni che devo avere fintanto che non decido cosa fare con il puntino dentro di me.

«Non posso credere di essere incinta.» Mi lamento con Grace che in questi giorni è diventata la mia rete di sicurezza. Mi sento vicina a lei più di quanto non abbia fatto con l’uomo che, come mi dicono, è mio marito.

«Capisco quanto strano ti possa sembrare, quanto tu ti senta smarrita, ma se vuoi riacquistare la memoria dovrai affrontare anche questo.»

Lei non capisce, non ha perso la memoria, lei.

Prima è venuta a trovarmi Kate e abbiamo discusso su ciò che dovrei fare con puntino. Si è messa a gridare con me, dicendomi che sono una stupida, quando le ho detto che ho pensato anche all’aborto. Parlare con lei ha peggiorato le cose per me, mi sono sentita così in colpa e in ansia, così sola, che appena se n’è andata ho cominciato a piangere. Mi sento così sola. Neanche la mia migliore amica mi può capire. Questo mi fa venire in mente che dovrei telefonare ai miei genitori, ma non ne ho la forza. Non saprei come affrontare l’emotività di mia madre e l’apprensione di mio padre, in questo momento. Mi riprometto di chiamarli più tardi.

Dopo la nostra conversazione Grace esce dalla mia camera e ritorna poco dopo con Christian seguito da vicino da un uomo alto con i capelli castani dal taglio militare, a spazzola. Dopo i saluti, Christian mi presenta Capelli-a-spazzola, si chiama Taylor e si occuperà di noi fino all’arrivo a casa. Taylor mi rivolge un sorriso affettuoso. So che dovrei ricordarmi di lui, ma nonostante i miei sforzi non lo riconosco. Però la sua presenza mi rassicura: saranno i suoi modi professionali.

Con calma mi spinge fuori dalla stanza fino all’ingresso dell’ospedale. Grace si inginocchia davanti a me, mi bacia la fronte e mi sussurra vicino all’orecchio in modo che possa sentire solo io: «Se Christian esagera, basta solo che mi chiami.»

Perché tutti pensano che lui possa esagerare? Anche Kate mi ha detto le stesse parole. Che cosa ha fatto di sbagliato in passato? Lui non può essere una persona così cattiva.

Annuisco e la saluto mentre si allontana da me. Dopo un cenno di Christian, Taylor lascia la sedia a rotelle e si allontana di qualche metro. Così Christian mi aiuta ad alzarmi, sostenendomi delicatamente per non farmi male. Quando siamo entrambi in piedi, uno di fronte all’altra, lui avvicina le labbra al mio orecchio e sussurra: «Hai un aspetto incantevole, Ana.»

Quando si stacca da me, punta i suoi avidi occhi grigi nei miei, lo sguardo intenso, e io sono percorsa da un’onda di sensazioni in tutto il corpo, sento che una vivida pulsazione pervade dei muscoli che neanche sapevo di avere. Mi contorco, a disagio, cercando di controllare quella emozione inaspettata e borbotto: «Grazie.»

Poi fa un cenno con la testa a qualcuno dietro di me e Taylor riappare e si ferma di fronte a noi. Christian mi prende la mano, la stringe con fare rassicurante. Il suo gesto mi stupisce per un istante, ma subito dopo lo sento così naturale… così nostro e non riesco a spiegarmi perché, ma mi fa sentire al sicuro, protetta e allo stesso tempo esposta a lui: una calda energia passa tra di noi attraverso quel contatto. È come se non potessi più staccarmi da lui. Mentre rifletto sulle sensazioni che provo in questo momento, mi dice: «Chiudi gli occhi, renderà le cose più facili.»

«Renderà le cose più facili?» Chiedo.

Lui mi guarda e un meraviglioso sorriso illumina il suo bellissimo viso. «Vedrai.»

Taylor apre le porte e veniamo accecati dai flash e assordati dagli strilli di uomini e donne che fanno domande.

Christian mi aiuta ad attraversare la calca, avvolge un braccio attorno alla mia vita e restiamo stretti l’uno all’altra mentre camminiamo. «Non comment!» Grida con tutto il fiato che ha nei polmoni.

Non presto molta attenzione a ciò che dicono i giornalisti a causa del frastuono e anche perché mi sento inebriata dal contatto con Christian, però una domanda supera tutte le barriere e arriva alle mie orecchie. «Mrs. Grey, Mrs. Grey, quali erano i suoi sentimenti nei confronti di Jack Hyde prima del rapimento?»

Avrei voluto chiedere cosa volesse dire, ma Christian mi tira più in là. Alzo lo sguardo verso di lui e, calma, grido per farmi sentire: «Chi è Jack Hyde?»

Lui mi rivolge uno sguardo di ghiaccio che non riesco a sostenere, perciò mi volto da un’altra parte e decido di rimandare ad un altro momento. Finalmente riusciamo a superare la folla e a raggiungere un suv nero ed elegante. Io e Christian stiamo sul sedile posteriore, Taylor davanti, alla guida. Facendo un cenno nella sua direzione chiedo: «È il tuo autista?»

Incrocio il mio sguardo con quello di Taylor nello specchietto retrovisore e mi accorgo che la sua espressione sembra addolorata per le mie parole.

«Non è soltanto il mio autista, lui è il capo della mia squadra di sicurezza.» Risponde Christian guardando verso il finestrino.

«Perché hai bisogno di una squadra di sicurezza?»

I suoi bellissimi occhi grigi si fermano nei miei e sbotta: «Perché ci sono stati dei problemi e tu sei finita così. Ecco perché, Anastasia.»

Mi rannicchio nel mio posto, attiro le ginocchia al petto e abbraccio le mie gambe.

«Mi dispiace.» Dico e guardo fuori attraverso i vetri oscurati, solo per non dover sostenere il suo sguardo che mi sembra di rimprovero. Riesco a sentire i suoi occhi su di me per molto tempo, ma non ho il coraggio di girarmi verso di lui.

«Darei qualsiasi cosa per tenerti tra le mie braccia e baciarti in questo momento, Ana»

Come è inopportuno! Il mio subconscio sogghigna. Sì, non è opportuno, ma ad essere onesti, anch’io farei di tutto per poterlo baciare e per potermi rannicchiare nel suo caldo abbraccio. Quest’uomo ha un effetto molto forte su di me. Anche se l’ho incontrato solo un paio di volte, infatti non mi ricordo altro, sono così attratta da lui. La tensione sessuale tra di noi si potrebbe tagliare con un coltello.

«Dammi tempo.» Mormoro.

«Dopo l’intervista ci siamo incontrati per qualche appuntamento? Quando ci siamo baciati la prima volta?»

«Ci siamo incontrati altre tre volte. Poi una sera hai dormito nella mia suite all’Heathman Hotel e la mattina dopo ci siamo baciati.»

Rimango senza fiato: avevo appena conosciuto quest’uomo, ma ho dormito con lui nel suo albergo. «Abbiamo dormito insieme prima di baciarci?»

Christian scoppia in una risata fragorosa, porta la testa all’indietro. È bellissimo! Mi fa piacere vedere spazzata via dal suo viso quell’espressione preoccupata che ho visto in questi giorni. Sorrido anch’io.

«No, Ana. Tu ti trovavi in un bar e ti eri ubriacata, io ero venuto per portarti a casa, ma hai perso i sensi e non ho potuto fare altro che ospitarti. La mattina dopo ci siamo dati il nostro primo bacio.»

«Non posso crederci! Io non bevo mai, come posso essermi ubriacata?»

«Stai forse mettendo in discussione la mia parola? Non mi piace che si dubiti di ciò che dico.» Il suo tono è serio, quasi duro, un lampo di cattiveria attraversa i suoi occhi di ghiaccio.

«Eri andata a festeggiare la conclusione dei tuoi esami prima della laurea, eri in compagnia di Kate e del tuo amico Josè.»

Mi sembra di avvertire nella sua voce una nota di disprezzo sulla parola amico, ma non voglio soffermarmi su questo, non per il momento almeno. Mi importa di più del bacio.

«E il bacio è stato bello?»

Si sposta leggermente sul sedile nella mia direzione. «Straordinario. Sei un’ottima baciatrice, Ana. E poi, dopo aver passato ore e ore a guardarti dormire, anche se avrei voluto starti lontano, non ho resistito.»

Non capisco: ore e ore a guardarmi? Avrebbe voluto starmi lontano? Non ha resistito?

Deve essersi accorto del mio sguardo interrogativo, così risponde alla mia domanda inespressa.

«Penso di averti amata già da quella notte: eri così bella, dolce, innocente e io non riuscivo a credere di averti lì, accanto a me nel mio letto. Eri davvero un sogno.» Lui fa una breve pausa, come per soppesare le parole, mentre il battito del mio cuore si arresta, poi riprende con un’accelerazione tale che mi sembra debba scoppiarmi il petto, un calore mi pervade dalla testa ai piedi. Poi, continua.

«Avevo provato a starti lontano perché pensavo che tu fossi troppo… troppo bella, troppo innocente per me. Ma i miei… i nostri sentimenti hanno avuto la meglio.»

I suoi occhi sono lucidi, la sua espressione è seria, sincera, così intensa che sento una stretta nel centro del petto. Credo di non avere mai provato emozioni così forti come in questi ultimi istanti, di fronte a quest’uomo… mio marito… un uomo tanto bello da togliere il fiato, ma così tormentato e, come mi sembra, così bisognoso di sostegno, di amore. Perché non riesco a ricordare? In questo momento io non lo conosco, ma sento di potermi fidare di lui e di poter credere che mi ama. Sì, lo vedo quanto soffre per me, a causa di questa dannata amnesia. Posso anche capire perché mi sono innamorata di lui. Perché, se l’ho sposato così presto, se ho procreato un figlio con lui, devo essere… devo essere stata davvero innamorata. All’improvviso un dubbio mi assale. Il dubbio che mi abbia sposata perché sono incinta mi colpisce con la potenza di un maglio demolitore.

Calma, Ana. Respira, rifletti.

Faccio un profondo respiro e decido che forse sarebbe meglio affrontare l’argomento un’altra volta, quando Christian sarà meno turbato.

Quindi cerco di allentare la tensione e sposto la sua attenzione su un altro argomento.

«Forse dovremmo tornare a Portland. Potrei ubriacarmi di nuovo e permetterti di prenderti cura di me.»

«Forse.» Risponde «Mi sono preso due settimane libere dal lavoro per potermi occupare di te, ma preferirei che non ti ubriacassi.» Il suo sguardo si posa per qualche istante sulla mia pancia, poi la sfiora lievemente.

«Non è solo a te che devi pensare adesso.»

Oh, sì. Grazie, puntino…

Intanto il suv sul quale stiamo viaggiando entra in un garage e Christian, palesemente sollevato, dopo aver ritirato la sua mano, recita: «Casa, dolce casa.»

 

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