Capitolo 39

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Sono passati cinque giorni da quando Christian se n'è andato, lasciandomi nell'enorme attico all'Escala, dopo che io gliel'ho chiesto. Dopo che io l'ho preteso. Mi sono sentita come se la terra si fosse spaccata e io fossi precipitata per decine, centinaia, migliaia di chilometri nelle tenebre. Sono rimasta tutto il giorno a casa, chiusa in camera, rannicchiata sotto le coperte, spaventata anche di allungare le gambe. Non riuscivo ad alzarmi dal letto. Non riuscivo a smettere di piangere. Non riesco a smettere di piangere. Non riesco a non sentire il sapore dei baci di Christian. Non riesco a non sentire il calore delle sue carezze o il suo corpo sopra il mio. Non riesco a togliermi dalla mente il suo sguardo. Il suo sguardo innamorato o divertito, protettivo o possessivo o autoritario, esasperato o arrabbiato. Ma soprattutto non riesco a dimenticare lo sguardo straziato quando gli ho detto che non potevamo stare insieme e il suo viso solcato dalla pena più grande mentre lo costringevo a lasciarmi. Se potessi cancellare quel dolore dal suo cuore, lo farei, ma non posso tornare con lui.

Dal giorno che mi sono risvegliata dal coma, è stato così naturale e facile amarlo. In poco tempo mi è entrato nell'anima tanto prepotentemente che non riesco più a mandarlo via. A un certo punto mi sono convinta di avere davanti agli occhi la persona perfetta per me, ma adesso so che non potrò averlo mai, se non a costo di rinunce e privazioni per lui. È come uno scherzo crudele giocato dal destino. Se penso a quanto sono stata bene con lui, a quanto mi sono sentita protetta, desiderata, amata, è terribilmente difficile accettare che non ci sarà un noi, ma io non posso fargli questo. Non posso condannarlo all'infelicità.

Non c'è più luce nella mia vita. Sono come in uno stato vegetativo. Il cuore mi è stato strappato dal petto e la mia anima sembra aver abbandonato il mio corpo. Sono un guscio vuoto. Vuoto e informe. E non ho idea di come io possa ricominciare ad affrontare la vita. L'unico motivo che mi costringe a mangiare, a bere, a prendermi cura del mio corpo è il mio bambino. Lui deve crescere sano e forte. Non mi perdonerei mai se dovessi causargli problemi di salute. Questa settimana ho anche la visita con la dottoressa Greene e anche con il neurologo. Forse devo informare Christian e chiedergli se vuole venire.

Oh, mio Dio! Come farò? Non sono abbastanza forte per sostenere un incontro con lui e il suo sguardo triste e arrabbiato.

Sto aspettando che arrivi Kate. Dopo che abbiamo parlato al telefono, ieri e oggi, ha detto che ha sentito dalla mai voce che non sto bene. A nulla sono valse le mie proteste e le giustificazioni, ha preteso che mi facessi trovare in casa. Naturalmente sa che Christian non è ancora rientrato dal Fairmont Olympic Hotel, ma vuole sapere, parole sue, se deve andare a spaccargli la faccia. Chissà come la prenderà quando scoprirà che, invece, sono io quella a cui bisognerebbe spaccare la faccia. Ma ecco che Sawyer entra per annunciare l'arrivo della mia amica.

«Ana!»

«Ciao, Kate.»

Ci abbracciamo, ho tanto bisogno di un po' di calore umano, di affetto vero e incondizionato. Mi crogiolo nella sua stretta attardandomi più del normale, così, appena ci stacchiamo, Kate mi scruta come se volesse farmi una radiografia. Non riuscirò a nasconderle il mio stato emotivo, sento già quel terribile nodo alla gola.

«Ana?»

«Kate...»

«Cosa succede? Dov'è? Cosa ti ha fatto quel... quel...?»

«Oh, Kate... lui non ha fatto niente di male.» Intanto ci sediamo sul divano una di fianco all'altra.

«E cosa succede allora? »

«Sono stata io a chiedergli di stare lontani.»

«Credo di non capire...»

«Tu sai quali erano i suoi gusti... in... camera da letto.»

Cinquanta sfumature di un'amnesiaHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin