Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

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Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

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By _ariannabianco

Haywood

Edith corse verso la porta di casa ed uscì, ma non la rincorsi.
Rimasi fermo, immobile vicino al divano, con i palmi delle mani aperti e gli occhi sgranati. Cosa avevo appena fatto?

Abbassai lo sguardo sul pavimento, lentamente, e lo puntai sulla fotografia ricoperta di frammenti di vetro: i due ragazzi felici ed innamorati erano ancora lì, tutti interi e sorridenti. Nessun angolo bruciato. Nessuna piega tra i volti.

Mi gettai in ginocchio e sospirai sollevato.

Con le mani tremanti ma frenetiche, la raccolsi e la strinsi al mio petto.
Oh Dio, grazie. Per poco non mi venne da piangere quando realizzai di aver salvato dalla cenere l'ultimo ricordo che mi era rimasto di Gyles.

«Grazie» Sussurrai portandomi alle labbra la foto.

Non ero pronto a perderla per sempre.
Sarei morto dentro, se fosse successo. Ringraziai infinite volte il controllo che Edith aveva avuto su se stessa, risparmiandola, risparmiandomi.

Spostai lo sguardo sul camino, tra le fiamme e la cenere sul fondo, e presi dei profondi respiri per calmarmi.

Non ti è successo nulla, è tutto a posto. Stai tranquillo. La foto di Gyles è qui, la lista è sul tuo tappeto. Tutto è a posto. Continuai a ripetere come un mantra. E allora perché mi sento ancora così patetico e disperato?

E poi, all'improvviso, capii.

Le parole di Edith, che per un puro istinto di negazione avevo rimosso, tornarono a galla e fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. «Era il diario di mia madre. È morta»

Spalancai gli occhi e la bocca, lasciai cadere a terra la foto e mi portai le mani tra i capelli. Le dita si incastrarono tra i nodi, ma ciò non mi impedì di tirare le ciocche fino alla radice, fino a sentire male. Poi le passai sul viso, sconvolto, incredulo, in preda ad una crisi emotiva.

«No, non posso averlo fatto davvero»

Mi trascinai fino al camino e rimasi lì immobile finché l'ultimo pezzo di legna non fu arso, e poi aspettai ancora.
Attesi finché il sole non si indebolì, iniziando a sfumare all'orizzonte.
Persi il conto dei minuti, delle ore, la cognizione del tempo stesso. Riuscivo soltanto a pensare quanto fossi stato subdolo, meschino, insensibile con
Edith. Come mi ero permesso?

Come avevo fatto a perdere le staffe?

Quando, di preciso,mi ero trasformato nel mio peggior incubo?

«No» Scossi il capo e ripulii il camino dalla cenere. Devo sistemare le cose.

Scavai nel contenitore, presi in un pugno la polvere grigia nella speranza di poter riesumare i fogli arsi, ma questa mi scivolò tra le dita come sabbia.

Ero stato io a ridurli così.

Mi venne quasi da vomitare, in un misto di vergogna e di umiliazione, però mi andava bene così. Era giusto che soffrissi per ciò che avevo fatto, che pagassi le conseguenze delle mie azioni. Anche se mi sentivo soffocare e se sembrava mi avessero tirato un calcio sul torace, strinsi i denti e respirai forte.

Me lo meritavo.

Ero un fottuto pezzo di merda.

Colto da un impeto improvviso, lanciai il contenitore della cenere in un angolo e soffocai un urlo.

Avrei voluto spaccare ogni cosa, ribaltare il salone, colpirmi con un pugno il viso fino a sfregiarlo, ma provai a controllarmi.

Sono una persona di merda, non violenta.

Quindi mi alzai in piedi e, sebbene fossi traballante, oltrepassai i cocci di vetro, presi il laptop e mi sedetti sul divano. Mentre aspettavo che si accendesse, prima mi passai le mani tra i capelli e poi sfilai la lista dall'elastico dei pantaloni. La aprii sulle mie gambe, la osservai a lungo in cerca di alterazioni possibili e, anche se l'impulso di bruciarla era forte, la riposi sopra la tastiera del computer.

Sono una persona di merda, ma non sono codardo. Mi dissi mentre digitavo il nome di Dez Stone sul database per la milionesima volta.

Magari Edith c'entrava qualcosa con lui e io non avevo controllato bene, e una volta confermata la mia ipotesi avrei potuto sentirmi meno in colpa.
Perché se non l'avessi odiata, avrei dovuto fare altro, e quell'altro era proprio quello che cercavo di ignorare gettandomi a capofitto nel lavoro.

Ero una macchina da guerra, un cavallo con i paraocchi, e non mi sarei fermato
finché non avessi trovato qualcosa. Qualsiasi prova mi andava bene. Tutto, pur di portare a galla le menzogne di Edith.
Perché ero un uomo di merda, ma anche orgoglioso, e se davvero avessi sbagliato con lei, sarebbe stato difficile mandare giù il boccone amaro e tornare con la coda tra le gambe da Edith.

Che poi, che diavolo c'entrano i miei colleghi? Mi domandai quando chiusi il portale della polizia e il desktop si illuminò con una foto mia e di Lyle risalente al Natale scorso.

Lei non mi avrebbe pugnalato alle spalle, conosceva troppe parti della mia storia, e Duncan Gemini mi aveva guidato come un padre avrebbe fatto con un figlio, ed entrambi sapevano quanto il lavoro fosse importante per me, quindi non mi avrebbero mai ostacolato. Era Edith ad essere bugiarda, e quelle parole facevano parte delle sue mille cazzate.

Punto.

Aprii internet e cercai un sito che producesse anagrammi inserendo le parole principali. Scrissi Dez Stone e mi uscirono tre risultati, anche se uno solo attirò la mia attenzione: Zed Ontes.

Chiusi di colpo il computer e mi presi la testa tra le mani. Edith mi aveva raccontato la verità e io, troppo sopraffatto dal lavoro e dalle emozioni, mi ero comportato come un idiota.

Come aveva fatto a scoprirlo?

Allora, se lei aveva ragione e io torto, questo significava anche che i miei colleghi mi stavano sabotando davvero?

E adesso? Mi dissi spostando il computer di lato per alzarmi.

Ai tradimenti ci ero abituato, ma questo non voleva dire che non mi facessero male.
E sì, non avevo prove a sufficienza per sostenerlo, soltanto le parole di Edith, però se fosse stato vero?

Iniziai a camminare in circolo.

Pensa, pensa, pensa.

Non sapevo cosa fare, se continuare ad indagare, se chiamare Lyle e Duncan per chiedere spiegazioni o se mollare tutto e correre dalla ragazza che avevo ferito senza battere ciglio.

Perché ero consapevole di averle fatto del male, e adesso avevo solo voglia di chiarirmi.

Ripensai all'accaduto, al dolore nel suo sguardo, alla mia indifferenza, ai sentimenti repressi, e se per le mie azioni non potevo fare nulla, per le parole dette avrei ancora potuto rimediare, no?

Avevo rovinato quello che avevamo costruito, respingendola in quel modo, e lo sapevo. Dannazione, se lo sapevo!
Ma come avrei dovuto sentirmi dopo aver scoperto che mi avesse rubato la lista, sabotando così anche il mio lavoro?

Che poi, il problema non era quel dannato pezzo di carta. Il problema era che avesse preso la parte più profonda di me, quella che avevo deciso di regalarle, e l'aveva usata per pulirsi le scarpe. Avevo tutto il diritto di essere furioso, no?

Andai in bagno, mi lavai il viso con l'acqua fredda e sollevai lo sguardo. Incontrai i miei occhi nello specchio e mi guardai come da anni non facevo più: prima i capelli ricci e lunghi, poi la mascella squadrata, quindi la barba incolta, i tatuaggi che uscivano dalla t-shirt e che mi coprivano le braccia.
Non c'era più nulla dell'Haywood che ero stato un tempo: i lineamenti morbidi e puerili avevano lasciato spazio ad una forma più spigolosa e dura, la pelle incontaminata si era macchiata di nero, e sotto la pelle indossavo cicatrici indelebili.

Il mio riflesso parlava un'altra lingua, ormai. Così come le mie emozioni si raccontavano con altre parole. E la cosa più incredibile, era che avessero iniziato a rivelarsi soltanto dopo Edith.

La sua franchezza aveva sbloccato serrature che mi ero premurato di tenere chiuse, perciò adesso mi trovavo a combattere con i sentimenti repressi di anni interi, con l'orgoglio, a trovare un compromesso con i sensi di colpa e ad avere il cuore pieno di vita.
Tutto ciò che era rimasto chiuso in una scatola per anni, oggi era uscito, e non sapevo come gestirlo.

Avrei voluto solamente buttare fuori ciò che provavo, eppure non potevo. Avevo fatto terra bruciata intorno a me, non avevo più nessuno con cui potermi sfogare, e la colpa era solo mia.

Lo capii soltanto quando prestai attenzione al mio sguardo stanco e disperato, di essermi giocato male la seconda opportunità che la vita aveva deciso di offrirmi.
Pensavo di aver creato l'opera d'arte perfetta, incastrando meticolosamente ogni tessera del mosaico, invece avevo sbagliato su tutta la linea.
La perfezione non esisteva, era solo un concetto creato dagli uomini che non avevano il coraggio di accettare le proprie debolezze, e solo adesso realizzavo di aver combattuto inutilmente contro la parte più bella e forte di me.

Sospirai e mi allontanai dallo specchio.

Avrei provato a cambiare le cose, anche se non avevo idea di come fare, da dove partire. C'erano troppi buchi da cucire e non esistevano toppe abbastanza grandi per coprirli: avevo combinato un bel casino.

Complimenti, Haywood Gideon Atkinson.

Tornai in salone ma, invece di lavorare, ripresi in mano la foto di Gyles.
La guardai di sfuggita e la infilai nella tasca dei pantaloni: non mi andava più di vederla. Mi ricordava di essere stato vile e mi faceva sentire colpevole, quindi mi chinai sul tappeto, raccolsi sotto il tavolino un rotolo di banconote che Edith non si era accorta di aver perso, e lo posai sulla mensola della libreria.
La mia attenzione si spostò su una vecchia edizione dell'Amleto, che ripresi tra le mani, e pensai subito al nostro viaggio in macchina per Chicago.

Lei mi aveva riempito di domande sull'arte e sulla letteratura, e se allora mi aveva dato fastidio la sua curiosità, adesso imparavo ad apprezzarla.
Perché quella volta, in quell'abitacolo, mi ero sentito per la prima volta un ragazzo normale, e quello non lo si poteva cancellare. Non lo si poteva dimenticare nemmeno davanti a tutte le liste del mondo rubate.

Adesso come si fa? Come faccio a trovarla e a dirle che mi dispiace, che pur di pareggiare i conti, le permetterei di bruciare la foto di Gyles?

Posai il libro e ripensai ad Edith, a come mi aveva guardato quando le avevo messo i biscotti con gli smile davanti al naso, al modo in cui mi aveva stretto quando sapeva che Lyle non ci avrebbe più disturbato.

Mi sei mancato, mi aveva detto.

Anche a me era mancata, cazzo.

Ma come avrei potuto crederle?

Io lo sapevo che ci eravamo promessi di rispettare uno lo spazio dell'altra, però avrei anche mentito se avessi detto di non aver sperato in una sua chiamata dopo Chicago. Anche solo per chiedermi come stessi, per aggiornarsi sulle rispettive vite, perché a prescindere dal
resto noi eravamo diventati amici.

Eppure non l'aveva fatto.

Sarei stato disposto ad essere la sua famiglia, ma lei non ne aveva voluto sapere e con il senno di poi avevo capito il perché: Edith aveva preferito altre persone a me.
Aveva cercato Ivor, Heath, Montgomery e mi andava bene. Mi andava bene sul serio, soltanto non riuscivo ad accettare di essere stato così stupido.

Avevo voglia di gridare e di buttare tutto fuori. Perché mi stavano strette, le cose che sentivo dentro. Stavano lì, a pesare sul mio stomaco, a bruciare sotto la pelle, a livello del petto, e io ero stanco di sopportare.
Se avessi potuto avrei preso una gomma e me la sarei passata sopra il cuore per cancellare ogni sentimento, fino a lasciare le cicatrici e le sbavature di un disegno venuto male.

Avrei voluto dimenticare, eppure decisi di non farlo. Perché ero cresciuto. Perché ero diverso. Quella volta l'avrei gestita in modo diverso, come un essere umano imperfetto e vincibile: avrei chiesto aiuto.

Presi le chiavi di casa ed uscii.

N/A

Buongiorno raggi di sole! Come state?
È da gennaio che non ci sentiamo, molti di voi mi hanno scritto per chiedere dove fossi finita, quindi eccomi qua. Sono ancora viva e sono ancora intenzionata a continuare questa storia. Sono solo stata molto impegnata.

Questo capitolo è di passaggio, ma è importante per Haywood, che comincia per la prima volta il suo viaggio introspettivo che continuerà nei capitoli seguenti.

Hay ha riconosciuto il suo errore ed è consapevole di aver ferito Edith. Sa di aver toccato il fondo e sa di averla persa per sempre. Tuttavia, la cosa più importante, è che finalmente riesce a capire il perché del suo modo di essere. Comprende di non aver superato il suo passato e che ha bisogno di aiuto per farlo. Perché da solo si è rovinato. Da chi andrà?

Secondo voi, qual è stata la molla che lo ha fatto scattare?

Quale motivo ci sarà mai alla base del momento più basso della sua vita condiviso con Edith?

Ed Edith, riuscirà a perdonarlo?

Tutto questo lo scoprirete nei prossimi capitoli che, fidatevi, saranno davvero intensi. Haywood esplorerà il suo io in un modo totalmente inedito. Sono certa vi piacerà!

Infine, ringrazio chiunque abbia deciso di restare. Ve ne sono grata, anche perché ci ho messo anima e corpo in questa storia!

A presto,
Ari✨

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