Solo se balli con me

By Imperfectworld01

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Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissut... More

Cronologia.
Prologo.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Sei.
Sette.
Otto.
Nove.
Dieci.
Undici.
Dodici.
Tredici.
Quattordici.
Quindici.
Sedici.
Diciassette.
Diciotto.
Diciannove.
Venti.
Ventuno.
Ventidue.
Ventitré.
Ventiquattro.
Venticinque.
Ventisei.
Ventisette.
Ventotto.
Ventinove.
Trenta.
Trentuno.
Trentatré.
Trentaquattro.
Trentacinque.
Trentasei.
Trentasette.
Trentotto.
Trentanove.

Trentadue.

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By Imperfectworld01

Per distrarmi da ciò che mi aveva raccontato mia sorella, passai gran parte del pomeriggio a leggere il libro che mi aveva regalato Filippo. L'autrice aveva un modo di scrivere così pulito e leggero che mi catturò e mi travolse fin da subito. Era probabile che l'avrei finito in meno di una settimana se mi ci fossi messa davvero d'impegno; se non avessi avuto altri impegni quali la scuola e la danza, probabilmente anche meno.

Erano passati davvero tanti anni da quando avevo letto la versione riadattata del grande classico di Louisa May Alcott, pertanto avevo rimosso quasi ogni ricordo a riguardo. E forse aveva ragione Filippo: i classici riadattati per l'infanzia non avevano mai lo stesso impatto e lo stesso valore dei romanzi originali, infatti non l'avevo mai considerato una grande lettura fra le tante che avevo fatto in quegli anni, eppure il libro che avevo fra le mani ormai da ore mi stava piacendo tantissimo.

Avrei continuato volentieri a divorarmi quelle pagine fino all'ora di andare a dormire, ma non mi fu possibile. Dovevo prepararmi per uscire a cena per il compleanno di Benedetta.

Intanto, mentre io ero in cameretta a cercare di capire cosa mettere, Benedetta se ne stava come al solito al telefono con Maurizio, a borbottare frasi smielate e vomitevoli e ridere sommessamente. Ne approfittai per prepararle una piccola sorpresa, complice anche mia madre.

Quando finalmente tornò in camera dopo aver riattaccato la cornetta, le porsi un sacchetto dalle dimensioni piuttosto abbondanti: «Tanti auguri!» esclamai.

Lo afferrò subito, curiosa e anche un po' sospettosa, e iniziò a esaminarne il contenuto. Sgranò gli occhi e poi mi fissò di sottecchi, nel mentre che si adoperava a tirare fuori dal sacchetto magliette, pantaloni, calzini, gonne, maglioni... in pratica tutto ciò che era suo e che io avevo fatto sparire dai suoi cassetti in quei mesi per metterli al posto suo senza averne il permesso. «Sai, non si tratta di un regalo, se in realtà sono tutte cose già mie e che tu mi hai rubato, brutta ladruncola!» blaterò con quel solito tono altezzoso e superbo.

«Lo so, ma lo scopo dei regali è anche quello di sorprendere chi li riceve, perché in genere sono cose che non ci si aspetta, o sbaglio? Sorpresa!» urlai quindi, prima di allargare le braccia in attesa di un suo abbraccio. Come prevedibile, mi lasciò con le braccia sospese a mezz'aria e proseguì a guardarmi male. «Intanto perché non lo svuoti tutto?» la incalzai poi, e lei andò avanti a togliere fuori gli indumenti dal sacchetto, finché le sue mani non toccarono qualcosa di diverso, di solido, e di nuovo.

Assunse un sorrisetto compiaciuto, intuendo già cosa teneva sottomano. E allora il suo sorriso si allargò maggiormente non appena ebbe la conferma che cercava: «Il profumo che volevo! Non ci credo!» esclamò a gran voce, fissando il profumo che desiderava da mesi e che avevano tutte le sue amiche tranne lei, a quanto diceva. Paris di Yves Saint Laurent, che oltre a essere impronunciabile, secondo me non aveva neanche tutto questo buon odore, era troppo dolce e nauseabondo per i miei gusti, e quindi perfetto per quelli di Benedetta.

A quel punto aprì con frenesia la confezione del profumo e cominciò a spruzzarsene addosso quintali e quintali, tanto da riuscire a far assumere in pochi attimi quell'odore all'intera stanza. Dopodiché uscì e andò in cerca di mia madre per andare ad abbracciarla e ringraziarla.

Iniziai intanto a raccogliere da terra e a ripiegare i vestiti che Benedetta aveva lasciato cadere con noncuranza man mano che li estraeva dal sacchetto che le avevo dato. Li appoggiai sul suo letto in maniera ordinata, poi mi avvicinai ai miei cassetti e iniziai a cercare qualcosa da mettermi.

Eravamo ormai a ottobre e a Milano iniziava a fare troppo freddo per continuare a mettersi maglie di cotone e felpe leggere. Così scelsi un maglione turchese, che avrei messo sopra una maglia intima, e un paio di pantaloni neri di lana che vestivano un poco attillati.

«Ma davvero vuoi vestirti così, Nina? Sembri una barbona» ci tenne mia sorella a evidenziare una volta tornata in camera.

«È autunno inoltrato e quindi ormai è finito il tempo in cui ci si può vestire in maniera decente» risposi con tono acido. «Che poi non dovrei neanche giustificarmi con te» aggiunsi, incrociando le braccia al petto.

«Su, Nina, avresti anche un bel fisico se la smettessi di coprirlo così tanto con tutti questi strati e questi indumenti larghi.»

Strabuzzai gli occhi, incredula e anche un po' risentita, perché era chiaro che mi stesse prendendo in giro, pur sapendo quanto ci stessi male a riguardo. «Un bel fisico? Io?» ripetei le sue parole, aggiungendo una certa dose di scetticismo.

«Be', perché no? Almeno non sembri più una scopa che cammina e hai qualche forma in più.»

«Ho le spalle troppo larghe e le gambe troppo magre» mi lamentai, assumendo un tono meno duro e più rassegnato. «Vedi? Non c'è niente di femminile in questo.»

Benedetta inarcò le sopracciglia e increspò le labbra, fissando a lungo la mia figura con attenzione. «Ma smettila, Nina, stai ancora crescendo. Le tue spalle sono più piccole delle mie, quindi non sono così larghe, è solo che hai il bacino stretto. Inoltre hai una bella schiena, una buona postura. E le tue gambe sono magre ma toniche e muscolose. Sei fortunata, se continuerai con la danza magari ti eviterai la cellulite e il culo cadente ancora per molto. Anche se comunque non mi spiego come sia possibile che dopo tutti questi anni in cui la pratichi, tu non abbia acquisito un minimo di grazia e quando cammini sembri ugualmente un bisonte.»

Rimasi in silenzio, tanto le sue parole non avevano alcun effetto su di me. Ormai non facevo che paragonarmi con chiunque mi capitasse davanti, e alla fine ero sempre io a perdere il confronto.

Tuttavia mia sorella sembrava non essersi ancora arresa. Prese i lembi del mio maglione e me lo sollevò, lo stesso fece con la maglia intima che indossavo sotto, per potermi scoprire la pancia. «Non hai un filo di pancia, e guarda il tuo punto vita: è minuscolo! Solo che non si nota molto perché hai i fianchi stretti. Se imparassi a vestirti, riusciresti di certo a valorizzarti e a piacerti anche di più.»

A quel punto emisi un piccolo sorriso spontaneo. Apprezzai molto quello che disse, soprattutto la parte finale.

"Riusciresti a piacerti di più".

Normalmente Benedetta avrebbe detto cose come: «Così finalmente qualche ragazzo inizierà a notarti», ma quella volta non lo fece. Incentrò il discorso su di me, perché sapeva che conquistare qualcuno era l'ultima fra le mie priorità.

Finalmente l'aveva capito. E le fui grata per quello, aveva detto le cose giuste al momento giusto. Mia sorella ogni tanto, le poche volte in cui voleva, sapeva essere davvero gentile e amorevole verso il prossimo.

Alla fine mi fece cambiare. Mi permise di tenere il maglione, dato che aveva lo scollo a V e secondo lei mi stava molto bene, ma sotto mi fece mettere dei jeans a vita super alta e che vestivano larghi, per dare più volume ai fianchi, a detta di Benedetta.

«Ecco, così va molto meglio» esclamò soddisfatta. «Che ore sono?» domandò poi, e io andai un attimo in salotto per leggere l'orario sull'orologio a cucù.

Poi tornai in camera. «Le sette meno un quarto» riferii a Benedetta, la quale strabuzzò gli occhi: «Merda! Avrei dovuto prendere la pillola un quarto d'ora fa» esclamò disperata, prima di chinarsi a terra e frugare nel suo zaino per tirare fuori la confezione di pillole anticoncezionali.

La dottoressa le aveva detto che avrebbe dovuto prenderla ogni giorno sempre alla stessa ora, specificando anche che in realtà non c'era bisogno di essere per forza così fiscali: l'importante era che non tardasse nel prenderla oltre le dodici ore, caso in cui avrebbe perso la sua efficacia. Pertanto un quarto d'ora non avrebbe influito affatto, ma mia sorella non voleva comunque saperne ed era impossibile farla ragionare.

Andò in cucina a versarsi un bicchiere d'acqua e poi in quattro e quattr'otto mandò giù la pillola.

«Mannaggia a me, dovrei prendermi un orologio da polso per controllare sempre l'orario. E comunque tu potevi avvertirmi!» mi rimproverò, ancora in preda all'agitazione.

Non le risposi nemmeno. Quando faceva così era inutile darle corda, ma conveniva piuttosto lasciarla farneticare finché non si stancava di farlo a vuoto.

«Maurizio cosa ne pensa?» chiesi a un certo punto.

Benedetta scrollò le spalle. «Non è che ci capisca molto di queste cose, e poi figurati se aveva una vaga idea di cosa fosse l'ovaio policistico!» replicò con una piccola risata.

In effetti non mi aspettavo una risposta tanto diversa da quella. E poi non è che Maurizio fosse proprio una cima.

Poi, quasi per caso, mi sorse spontanea un'altra domanda. «Come hai fatto a capire che provavi qualcosa per lui? Cioè, insomma, che ti piaceva più di come ti piace un amico» domandai, mentre dentro di me mi interrogavo su cosa mi avesse portata a chiederglielo.

Però in effetti non gliel'avevo mai chiesto. Benedetta era fin da subito stata molto chiara, ma non le avevo mai domandato da cosa venisse quella certezza in merito ai suoi sentimenti.

Benedetta mi fissò stupita per qualche istante, prima di rispondere. «Non lo so, Nina, ecco... non c'è una ragione sola. Al contrario, io penso che non ce ne sia nessuna realmente valida: è una cosa che non si riesce a spiegare a parole, la si sente e basta.»

Mi sembrava un po' buttata lì a caso come risposta... avevo sempre pensato che ci fossero un miliardo di ragioni che portavano una persona a interessarsi a un'altra, e non che accadesse e basta.

«E si sente che cosa? Le farfalle nello stomaco?»

Benedetta scoppiò a ridere fragorosamente. «Assolutamente no! Mai sentite, neanche all'inizio. Ma dai Nina, tu credi davvero a queste cretinate? Le cosiddette "farfalle nello stomaco", scientificamente parlando, non sono altro che un sintomo d'ansia. Perché dovrei avere ansia mentre sono in compagnia di qualcuno che amo? Mi sono sempre sentita a mio agio con lui. Secondo me se provi ansia in presenza di qualcuno è perché non è quello giusto.»

Come discorso filava, in effetti, sebbene contrastasse in pieno tutto ciò che si era sempre detto a riguardo dell'amore. Fu interessante come nuovo punto di vista, ma in realtà, invece che chiarire i miei dubbi, mi confuse ancora di più.

Subito dopo qualcuno bussò alla porta della nostra cameretta. «Ragazze, siete pronte? È ora di andare» annunciò Vittorio.

*

La cena fu piacevole. Da quando era iniziata la scuola, erano diminuiti i momenti che trascorrevamo tutti insieme. I nostri genitori si alzavano prestissimo e tornavano tardi, noi ragazzi pranzavamo quasi sempre in orari differenti, poi ci isolavamo per studiare, Vittorio appena riusciva a liberarsi usciva con gli amici.

Solo a cena riuscivamo a ritrovarci tutti e cinque, ma comunque non era mai qualcosa di memorabile. I dialoghi erano spenti e poveri, sia perché eravamo stanchi e stressati durante la settimana, sia perché non c'era un granché da raccontare. Inoltre mia sorella appena finiva di mangiare si alzava e tornava alla svelta a riattaccarsi alla cornetta del telefono, e poco dopo anche io e Vittorio la seguivamo e ci rintanavamo nelle nostre stanze.

Ma quella sera fu diverso. Non eravamo mai usciti fuori a cena al ristorante da quando ci eravamo trasferiti, e c'era un'atmosfera diversa.

Eravamo tutti sereni, di buon umore, il che era insolito per essere domenica: normalmente, specie alla sera, ci affliggeva sempre il pensiero che il giorno seguente era lunedì, che segnava l'inizio di una nuova settimana ricca di fatiche e impegni. Eppure quella sera sembrava ce ne fossimo dimenticati.

In più mangiai la pizza dopo tantissimo tempo, escludendo quella che preparava mia mamma in casa di tanto in tanto il sabato sera ma, nonostante le buoni dote culinarie di mia madre, non si avvicinava neanche lontanamente a quella della pizzeria.

Era davvero stata una serata perfetta, e anche la giornata in sé, nel suo complesso, per una volta aveva avuto più alti che bassi.

Il tutto mi sembrava difficile da credere, considerando specialmente la velocità con cui si era capovolta la situazione rispetto al giorno precedente. Ma finalmente stava andando tutto per il verso giusto, per il meglio.

Quando ritornammo a casa, sebbene fossero già le undici di sera e il mattino dopo mi sarei dovuta alzare presto per andare a scuola, non potei comunque fare a meno di riprendere in mano il libro per continuare a leggerlo.

Dovetti spostarmi in salotto a farlo, poiché mia sorella mi cacciò dalla nostra stanza, perché voleva dormire e non sopportava che tenessi la luce accesa ancora a lungo.

Sapevo che il giorno dopo sarei stata stanchissima e avrei risentito di quelle ore di sonno perse, ma era più forte di me, così proseguii a ignorare l'orario riportato sul cucù appeso al muro.

Alla fine, inevitabilmente, mi addormentai, con il libro in grembo e la luce ancora accesa.

*

Mi svegliai di soprassalto, sentendo un forte rumore nelle vicinanze e un'imprecazione subito dopo.

Mi guardai intorno e mi ritrovai sdraiata sul divano.

Ma che era successo? Stavo leggendo, sì, ma... diamine, erano le tre e mezza di notte! E poi chi aveva spento la luce? Che cos'era stato quel rumore? Era forse Giuseppe? Impossibile, perché era a dormire nella sua cuccia di fianco al divano. C'erano dei ladri in casa?

No, probabilmente si trattava di Vittorio, che stava per svignarsela da casa per uscire con gli amici nonostante il divieto di Claudio.

Decisi di alzarmi e andare a scoprirlo, sebbene fossi un po' timorosa.

Cercai di dirigermi verso i rumori, che erano in corridoio. A quel punto ebbi la conferma che cercavo: per via del buio non ero in grado di distinguere la figura davanti a me, ma c'era effettivamente qualcuno lì.

Una volta trovato il coraggio, premetti l'interruttore e accesi la luce.

Spalancai la bocca, nel vedere mia sorella che mi dava le spalle, intenta a chiudere la porta dello sgabuzzino, con una valigia alla sua destra.

Per via della luce, Benedetta in un primo momento si immobilizzò, forse terrorizzata dall'idea di essere stata scoperta, infine ebbe il coraggio di voltarsi e affrontare la situazione. Affrontare me.

«B-Benni, ma che diavolo stai facendo a quest'ora e con questa valigia?» domandai, anche se non era difficile da intuire.

«Nina, torna a dormire» tentò di liquidarmi, ma se lo poteva scordare: «Rispondimi!» ordinai, alzando un poco il tono di voce.

«Shh, abbassa la voce, cretina! Che è notte fonda e rischi di sve...»

«Di svegliare tutti?» la interruppi. «E che male ci sarebbe? Sei così codarda da andartene di notte senza dire niente a nessuno e preferisci che se ne accorgano tutti la mattina appena svegli?»

Non potevo credere alle mie orecchie, né a ciò che mi stavano mostrando i miei occhi. Non solo se ne stava andando e ci stava lasciando, mi stava lasciando, in più aveva avuto la faccia tosta di non dirci quali fossero le sue intenzioni.

Poi mi tornò in mente una cosa. «Io non resterò qui per sempre, Nina. La mia vita è a Torino, con l'amore della mia vita. Quando avrò diciotto anni tornerò da lui, e nessuno potrà dirmi niente né impedirmelo stavolta» aveva detto tempo prima.

Non c'era perciò da stupirsi. Sapevo quanto Benedetta fosse testarda e quanto fosse seria quando aveva pronunciato quelle parole, solo che non pensavo che sarebbe accaduto così in fretta e per di più in quel modo. Speravo di poter ritardare l'inevitabile il più possibile, invece era probabile che avesse già architettato tutto da tempo.

Ecco anche perché non mi aveva risposto quando le avevo detto che comunque sarebbero andate le cose, io ci sarei sempre stata per lei così come sapevo che lei ci sarebbe stato per me.

Benedetta non era stupida. Aveva evitato di proposito di rifilarmi una bugia, per evitare di illudermi, pensando forse che ci sarei rimasta meno male.

Eppure il mio cuore era ugualmente in frantumi.

«Credi che per me sia facile? Questo è il modo migliore che ho trovato, e ora spostati» disse, scansandomi e ritornando in salotto insieme alla sua valigia, prima di spegnere la luce del corridoio e lasciandomi al buio.

La seguii e mi parai di fronte alla sua figura per sbarrarle la strada. «Il modo migliore per chi? Per te? Perché così mamma non potrà dirti niente e non potrà fermarti, ammettilo!» ribattei.

Rimase in silenzio. Era ovvio che avessi ragione. Era una codarda, non aveva neanche il coraggio di salutarci tutti. Si sarebbe limitata a scappare, a sparire come sempre.

«E poi non potevi aspettare?» continuai con la mia invettiva, sentendo la rabbia mista al risentimento crescere sempre più dentro di me. «Hai diciotto anni da un giorno appena!»

«Vuoi abbassare quella cazzo di voce sì o no?» rispose e basta, sussurrando.

«No, al contrario, voglio che sentano tutti e ti colgano in flagrante» ribattei.

«Sei davvero una stronza, Nina! Non riesci a capire quanto sia importante per me Maurizio?»

Sgranai gli occhi, incredula. Io ero una stronza? Perché non riuscivo ad accettare il fatto che mi stesse abbandonando per stare con lui? Allora forse sì, ero una stronza ed ero anche egoista. Non mi importava un fico secco di Maurizio, volevo solo rimanere con mia sorella, pur sapendo che lei sarebbe stata più felice insieme a lui.

«Ti rendi conto che la mamma non ti perdonerà mai?» chiesi, anche se al momento nostra madre era l'ultimo dei miei pensieri. Ero io quella che non l'avrebbe mai perdonata se avesse varcato quella porta.

Benedetta mi scansò ed evitò di rispondermi, dirigendosi verso l'ingresso. Le afferrai il polso per fermarla e lei si voltò verso di me spazientita: «Basta, Nina, ormai è deciso! Io non ho niente che mi trattenga qui, lo vuoi capire?»

Niente.

A quel punto, seppur contro il mio volere, i miei occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. Mi gettai addosso a lei per abbracciarla e anche per cercare di trattenerla.

Mi restava solo un'ultima carta da giocare. E avevo una paura tremenda che non sarebbe servita lo stesso a farla rimanere. «Ti prego, Benni, non puoi farmi questo. Non mi puoi lasciare. Tu... tu sei la mia sorella maggiore, dovresti essere il mio punto di riferimento e... e io senza di te non sono niente. Non valgo nulla. Anche se non andiamo d'accordo e litighiamo di continuo, e non ti capisco appieno, e ti rubo sempre i vestiti di nascosto, anche se... anche se non sono la sorella che vorresti, e anche se forse non la volevi nemmeno una sorella e ti sei ritrovata me fra i piedi a tre anni... io ti voglio bene e non posso stare senza di te.»

Benedetta rimase in silenzio per tutto il tempo in cui parlai e anche oltre. Trascorsero forse cinque minuti senza che nessuna delle due dicesse qualcosa.

Mi illusi seriamente che ci stesse riflettendo, che le mie parole avessero fatto leva sui suoi sentimenti e che avesse deciso di rimanere qui, di rimanere con me.

A un certo punto la sentii tirare su col naso. Si era messa a piangere.

Mi allontanai leggermente per guardarla negli occhi e averne conferma, ed era così: si era commossa.

Non appena incrociò il mio sguardo, tuttavia, si irrigidì e la sua espressione si indurì. «Tanto non cambio idea, quindi mettiti l'anima in pace e lasciami andare» disse con un tono che mi gelò il sangue nelle vene.

Mi allontanò con una gomitata e poi in men che non si dica aprì la porta di casa e poi uscì, richiudendosela alle spalle.

Mi sentii mancare tutte le forze e infatti caddi a terra sulle ginocchia, non riuscendo più a reggermi in piedi.

Anche se dentro di me mi ripetevo che dovevo alzarmi e rincorrerla, impedirle di andarsene e farla restare con me, non feci nulla se non continuare a piangere a dirotto fino a che il mio respiro divenne sempre più affannato e credetti di morire.

Ero ancora in tempo. Sentivo il rumore dell'ascensore che giungeva al nostro piano, segnale che Benedetta era ancora lì, tuttavia non mi mossi di lì, per almeno venti minuti rimasi lì quasi inerme, se non per le lacrime che continuavano a uscire a fiotti dai miei occhi.

Non riuscivo a calmarmi.

A un certo punto, una volta tornata più lucida, appurai che non potevo restare lì tutta la notte. Così, praticamente gattonando, con molta fatica e affanno mi diressi verso la mia stanza.

*

Era stato un sogno stranissimo. Così reale da sembrare quasi surreale.

Quando riaprii gli occhi il mattino seguente avvertii un forte dolore alla testa.

L'ultima cosa che ricordavo era che mi ero addormentata sul divano mentre leggevo.

E poi avevo fatto quel sogno assurdo, del quale ricordavo solo qualche piccola parte, era tutto molto confusionario.

Però che ci facevo di nuovo nel mio letto? Non ricordavo di essermi risvegliata e di essere tornata in camera mia.

Comunque era inutile continuare a farsi domande a cui non avrei trovato risposta, anche perché dovevo alzarmi per andare a scuola.

A giudicare dal letto vuoto e già rifatto di mia sorella, sembrava che Benedetta si fosse alzata prima di me per una volta e che si stesse già preparando per andare a scuola.

Quanto diavolo avevo dormito? Speravo solo di non fare tardi a scuola.

Mi alzai con uno scatto dal mio letto e attraversai il corridoio, diretta verso la cucina. Ma mi fermai prima.

Appena misi piede in salotto, iniziai a sentire dei brusii sottovoce, e riconobbi la voce di mia madre e quella di Claudio, il che era strano, perché solitamente uscivano presto di casa e non riuscivo quasi mai a incrociarli.

Incuriosita, seguii le loro voci e giunsi davanti a loro, seduti sul divano mentre in piedi, in un angolino lì accanto, c'era anche Vittorio.

Mia mamma sembrava sconvolta, aveva una serie di fogli fra le mani, davano l'idea di essere una lettera di diverse pagine. Claudio le cingeva le spalle e cercava di tranquillizzarla.

Quando si accorsero della mia presenza, i tre sollevarono lo sguardo e lo puntarono sul mio. Mia madre aveva gli occhi lucidi, Claudio sembrava agitato e Vittorio dispiaciuto.

A quel punto mi fu tutto più chiaro. Così si spiegava la mancanza all'appello di Benedetta, c'eravamo tutti tranne lei.

Non era stato un sogno.

Se n'era andata per davvero.

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