L'avvento dell'Imperatrice

By fanwriter91

13.5K 1.2K 9.1K

Il continente di Astréa è diviso tra tre grandi forze: l'Impero della Dea, le terre del Serafino e la setta d... More

Ringraziamenti e presentazione
Appendici
Copertina
Dura verità
Duello d'onore
Inganni
Indipendenza
Libertà
Potere
La capitale
Progetti
Leggende e realtà
Il nemico
Etica
Guerra
Diplomazia
Allenamento
Espansione
Sogni
Rivelazioni
Accoglienza
Ambizioni
Missioni
Alleanze
Rituali
Nuovo scopo
Trattative
Bellatrix
Le fate
L'arma
Mostro
Eroi e traditori
Rispetto
Alternativa
Conflitto interiore
Rovina
Trappola
Fuga
L'attacco
Battaglia
Faida
L'Imperatrice
Partenza
Saluti ai lettori
Bollini vinti
Sezione suggerimenti e correzioni (SPOILER!!!)
Addio o arrivederci?

La Dea

100 14 49
By fanwriter91

L'indifferente Sole era sorto sulla città di Alcyone.

Mintaka, Muliphein, Zadok e gli altri sopravvissuti attendevano l'arrivo degli invitati al funerale dell'Imperatore.

Non proferivano parola. Erano stanchi, sconfitti, umiliati. La vicinanza non poteva frenare il senso di colpa.

Erano state giornate terribili, in cui la giovane lady si era rinchiusa a piangere in camera. Acrux, paragonato agli dèi, era caduto. Come poteva guardare la sorella in faccia? Come poteva dirle che Acrux era morto sotto i suoi occhi e non era stata neanche in grado di uccidere quell'orrido mostro che aveva riso sguaiatamente? 

Non era nemmeno riuscita ad arrecare una piccola ferita all'Empusa Rossa. Quando l'aveva vista era rimasta paralizzata. Aveva pensato più volte di salvarsi dalla vergogna con un dignitoso suicidio. Il coraggio, però, le era mancato.

Strinse il braccio di Muliphein, turbato quanto lei. La barba era incolta, la schiena gobba. Erano morti migliaia di soldati, altrettanti avevano disertato, ucciso civili e saccheggiato. Zadok, l'uomo che amava, non solo era stato sconfitto dopo anni di preparazione. Aveva perfino perso un braccio e non c'era magia che potesse ridarglielo.

Gienah, Sabik e gli altri collaboratori erano ugualmente cupi. Crederci davvero, agire con intelligenza e dare tutto ciò che avevano era stato vano. Gienah, in particolare, aveva cercato di fracassare il cranio ad Alioth Dabih, il giovane nobile a cui imputava il fallimento dell'ultima resistenza. Attorno a lui si era creato un vuoto che il solo zio non poteva riempire.

Al danno si era aggiunta la beffa: dopo che il cocito aveva abbattuto la statua ed era penetrato, dei battaglioni, comandati dal mastro gladiatore Thuban e da un nobilotto di nome Alioth Atlas, gli avevano dato il colpo di grazia.

Un disastro. Non c'era altro modo per definire l'esito.

Una campana annunciò l'arrivo delle arche. I tre regnanti - Alnilam, Bellatrix e Rigel - si sarebbero presentati per rendere omaggio al più grande eroe dell'Impero.

Le trombe squillarono, gli stendardi garrirono: coperte di un unguento scuro, le navi volanti parevano delle nubi temporalesche. Spararono delle cannonate a salve, in segno di saluto, e atterrarono.

I ponti calarono e Mintaka si nascose parzialmente dietro Muliphein. Sentì i passi e Alnilam si affacciò. La giovane lady si sarebbe aspettata di ritrovarsi di fronte una maschera di collera, invece, benché avesse tentato di nasconderla col trucco, era di tristezza. La camminata era irrigidita, le mani nascoste sotto al kimono, la testa compiva movimenti impercettibili a un comune mortale, come se la corona fosse troppo dolorosa da reggere.

Alnilam si fermò davanti a loro. I suoi occhi erano tinti di una sfumatura di rosso.

Per interrompere quel cupo silenzio, Mintaka e Muliphein eseguirono il saluto con voci tremanti.

Alnilam non rispose e continuò a fissarli, mettendoli dinnanzi alle loro colpe. «Sono lieta che almeno voi stiate bene». Lo aveva detto con un filo di voce in cui era risuonata una nota di rabbia controllata.

La giovane lady era convinta che la sorella la odiasse ancor di più. Per la seconda volta era sopravvissuta al massacro in cui Alnilam aveva perso chi amava davvero. Il patimento non era per lei, Muliphein, Zadok e gli altri, bensì per Acrux.

Delle urla coprirono i suoi pensieri: re Rigel stava rimproverando rumorosamente Dabih e lo zio di questi. «Siete degradati, finirete in prima linea coi popolani, i vostri nomi saranno cancellati! Tu non sei mio figlio e tu non sei mio nipote!»

Thuban dei Megrez andò loro incontro. Spinse a terra Dabih e strinse calorosamente la mano al re degli Alioth.

La regina Bellatrix, invece, aveva salutato Gienah e si era presentata a lord Zadok, al quale stava facendo le sue più sentite condoglianze.

Alnilam fulminò quest'ultimo con lo sguardo. «Andiamo, fratelli miei. L'Imperatore ci attende».

Le campane suonarono a lutto. Non avendo recuperato il corpo, al suo posto portarono una statua in processione. Lo rappresentava in tutta la sua fierezza, armato di Pianto degli Angeli, mentre trafiggeva una ringhiante empusa a terra.

L'onore e l'onere di portarlo erano dei tre parenti più prossimi e di Zadok, uno degli uomini a lui più vicini.

Nel sollevare la statua, Mintaka ebbe l'impressione che pesasse come una montagna. Era il peso delle colpe che la piegava. Quella gloriosa scultura rappresentava l'uomo che l'aveva soccorsa e presa tra le sue braccia, il maestro che l'aveva ispirata e che conosceva i suoi più intimi segreti. Egli era stato fratello, padre ed eroe. "Ma ora egli non è più".

Muliphein e Zadok facevano altrettanta fatica, solo Alnilam mostrava disinvoltura.

I rintocchi continuarono a scandire la marcia. Benché servitori spargessero petali profumati e musicisti suonassero il requiem, pochi erano partecipi della sofferenza. Bellatrix covava vecchi rancori, Rigel lo invidiava e disprezzava anche da morto e molti Mizar avevano sperato in una sua sconfitta.

Mintaka non aveva mai provato quel desiderio. Acrux, a differenza di Alnilam, non era stato la figura che le incuteva timore e inadeguatezza. Non lo avrebbe mai voluto veder fallire, perché lo aveva sentito più vicino di chiunque altro. La sua grandezza le aveva mostrato fin dove potessero innalzarsi i mortali. 

Era una bambina. Una bambina che non voleva ammettere che anche gli eroi potevano cadere e non rialzarsi.

Senza la sua guida l'Impero sarebbe caduto a pezzi. Le empuse non si sarebbero accontentate di uccidere Acrux e di portarlo via per far scempio del cadavere. Volevano distruggere tutto ciò che aveva costruito.

I vermi oppositori non avrebbero sacrificato il loro potere. Perfino la morte del più grande di loro non bastava a porre fine a contrasti e rivalità.

La rabbia prese il sopravvento. Pur mantenendo la postura, Mintaka non riuscì a fermare i fiumi di lacrime. Singhiozzò fragorosamente senza vergogna. «Gloria eterna all'Imperatore, possa il suo sogno perdurare, possa la sua fiamma ardere per sempre!»

Gli altri portatori e la folla dietro di lei ripeterono le parole.

Mintaka rincarò. Era tutto ciò che potesse fare per lui. «Che i suoi nemici vengano sconfitti! Oh, caro fratello, io vedo il tuo spirito qui con noi, io vedo i nostri antenati marciare per rendere l'ultimo saluto a te, pari al primo Mizar!»

«Pari al primo Mizar!» urlò la gente per le strade. Pochi aristocratici lo ripeterono.

Mintaka era così sudata che gli abiti si attaccarono alla pelle. Il cielo non piangeva e aveva scelto di irradiare il suo pieno potere anche se era inverno. «Che le streghe temano la collera dei Mizar!»

La nobiltà ripeté con maggior vigore, al punto che la terra sembrò vibrare.

Molti popolani si unirono alla preghiera, poi dei vasi delle finestre caddero. La terra stava tremando davvero. I portatori si sforzarono di non perdere la presa e dovettero fermarsi.

Un colpo lontano e una colonna di fuoco multicolore volò verso il cielo. Salì a perdita d'occhio, poi vorticò a crescente velocità e plasmò una nube che brillava come argento.

Veniva dai quartieri alti. Solo un'entità era capace di una simile manifestazione.

Nobili e plebei si prostrarono e la statua venne adagiata a terra. La Dea in persona stava rendendo omaggio al più grande dei suoi fedeli.

Mintaka si commosse e si sentì scaldare il cuore. Acrux era morto, ma la sua anima era ascesa al Regno dei Cieli.

Un frammento si staccò dalla nube. Più si avvicinava e più la temperatura aumentava.

Il frammento si divise in globi che si disposero in una formazione d'attacco.

Come una pugnalata sferrata da un caro amico, una palla di fuoco colpì la statua e la frantumò. I frammenti volarono come proiettili, rompendo le ossa dei paesani o trafiggendoli, mentre i quattro portatori vennero sbalzati contro le pareti degli edifici.

Mintaka tossì e sputò. Non vedeva neanche a una iarda dal suo naso e riusciva a scorgere solo qualche confusa sagoma. L'odore bruciante del fumo e i miasmi le toglievano il respiro.

Non ricordò subito cosa fosse accaduto. Riusciva a figurarsi solo sfere incandescenti e un boato.

Agitò le mani per spostare la polvere: vide sagome nere in forma umana, edifici in pezzi, incendi che schioppettavano.

La testa decapitata della statua di Acrux era a pochi passi da lei. Si avvicinò e la guardò con raccapriccio. La raccolse e la strinse a sé, come se fosse ancora in vita.

Vita! «Muliphein, Alnilam, lord Zadok!» Non li scorgeva, nessuno aveva disperso le nubi. Era stata la Dea a colpirli. 

I raggi di Sole tracciarono i contorni di una sagoma. Era Muliphein, intento a sostenere Zadok. Erano sporchi di polvere e tossivano. Mintaka corse loro incontro e li abbracciò: era lei ad averne bisogno per prima.

Troppe delusioni, troppe sconfitte, troppi incubi che divenivano realtà. «Non ce la faccio più!»

Silenziosa come una pantera, Alnilam emerse dalle nubi. Benché fosse sporca, manteneva il suo portamento, anzi, lo aveva recuperato. La tristezza si era dissolta, il suo volto non tradiva emozioni. «La Dea ci ha mandato un chiaro messaggio».

Dette loro le spalle e camminò in mezzo alla devastazione. Nessun nobile era rimasto gravemente ferito, la loro forza li aveva salvati. Le uniche vittime erano state tra i popolani.

Mintaka adagiò la testa marmorea e provò per la Dea un terrore equiparabile a quello per l'Empusa Rossa. Il fuoco non era sceso per punire Acrux dei milioni di morti che aveva causato. 

D'istinto, paragonò la strage alla caduta di Regulus: il re, la sua corte, il popolo... erano tutti colpevoli, se non i pochi sopravvissuti. Zadok ne era la prova.

Mintaka non aveva neanche la forza di piangere. La composta marcia funebre si era trasformata in una calca confusa in mezzo a cui, per bellezza e forza, spiccavano Alnilam e Bellatrix. A loro confronto Rigel, curvo e tremante, pareva l'ultimo dei servi.

Finestre e porte si chiusero al loro passaggio. La Dea era più temuta di chiunque altro.

Procedettero fino al portone che dava accesso ai quartieri divini. Il meraviglioso palazzo era terrificante: i volti di eroi e fate arcigni, i mostri volgevano gli occhi alla folla, le luci arcobaleno accecavano.

L'ingresso alla torre si aprì come delle gigantesche fauci.

Gli alti signori si scambiarono occhiate. Si sarebbero dovuti presentare sporchi e laceri per ricordar loro che i più possenti dei mortali erano insetti, dinnanzi alla Dea.

I regnanti entrarono allineati, con Alnilam al centro - in qualità di parente prossima dell'Imperatore - e Zadok un passo dietro di loro. Vennero poi gli altri portatori e parenti.

Benché la torre contenesse una sola camera, questa aveva le dimensioni di una piccola città. L'immensità era interrotta da otto colonne in pietra fatata, lavorate per assumere l'aspetto degli eroi del passato: erano Ankaa e i Sette Fondatori, ma quattro di questi avevano i volti sfregiati, a simboleggiare la caduta dei loro discendenti.

Le otto sculture avevano i colli piegati e le mani protese verso l'alto, a reggere un affresco che, lontano dalle tragedie, avrebbe colmato Mintaka di euforia: cavalieri, fanti, draghi, cociti, angeli e qualsiasi altra creatura era raffigurata a grandezza naturale. Erano presenti a migliaia, forse decine di migliaia. A incutere l'autentica soggezione erano i volti: spaventati, mesti, arditi, non ce ne erano due che fossero identici. Era come se i due eserciti fossero stati intrappolati dentro al dipinto, in un'eterna, immobile, lotta.

Mintaka rimase catturata da quella visione e si domandò se non avesse il potere di risucchiare gli sventurati al suo interno. Sarebbe stato un bel modo per sfuggire alla realtà.

Muliphein la trascinò, facendola rinsavire.

Dall'altra parte della sala scintillava il trono divino. Era più imponente del cocito ed era stato lavorato per assumere la forma di due ali che si aprivano ai lati e di una testa di rapace dal becco affilato. Gli occhi della scultura erano sfavillanti gemme che davano la sensazione di trovarsi di fronte a una creatura vivente, pronta ad assalire chiunque avesse osato sfiorare colei che era accolta nel suo abbraccio.

La camminata fu lunga e frustrante. La Dea non era la giusta ma severa madre che pensavano. Era una padrona che li considerava alla stregua di pedine. 

Il trono della fenice si ingrandiva, facendo sentire Mintaka più debole e vulnerabile. Perfino Alnilam incurvò la schiena.

Bellatrix, invece, rimase eretta. Dove tutti i più potenti sovrani e maghi erano schiavi di un timore reverenziale, l'erede di Megrez restava la regina che aveva rifiutato la corte di Acrux.

I tre regnanti e il generale si fermarono e s'inginocchiarono. «Lode alla Dea!»

Il resto del seguito li imitò. 

Mintaka alzò lo sguardo intimorito. La Dea vestiva i suoi paramenti tradizionali: una veste con una profonda scollatura sul florido seno, un mantello che si legava ai bracciali e una gonna che lasciava scoperta una gamba. La storia asseriva che i suoi gioielli fossero stati forgiati con il sangue e le ossa dei nemici uccisi.

La giovane lady, con sorpresa, provò disgusto. Il corpo della Dea rappresentava l'ideale di bellezza del Popolo dei Deserti, a lei più affine, con una precisione che la faceva apparire come qualcosa di artificiale.

Una figura transumana, un innaturale simulacro vivente capace di sottomettere e stregare gli uomini con bellezza e potere.

Il respiro di Zadok era diventato più veloce, il suo corpo fremeva. La sua devozione lo aveva reso il più vulnerabile.

La Dea li scrutò in silenzio con le gemme vermiglie che erano i suoi occhi. Le labbra, strette per la collera, facevano presagire il castigo eterno.

La mente di Mintaka andò alla Pietra Grigia, che era stata riposta nella sua teca. Neanche con quell'arma avrebbe avuto speranze, se la Padrona avesse riversato la sua collera su di loro.

La voce della Dea riempì la sala e rimbombò sulle pareti, come se stesse provenendo da ogni direzione. «Prostratevi!» comandò.

Mintaka si sentì trascinare a terra da una forza spaventosa, ben superiore a quella dell'empusa che aveva tentato di dominarla. Sbatté il naso e represse un gemito. Muliphein, Alnilam e perfino Bellatrix si ritrovarono a strisciare.

La Dea sorrise beffarda. Aveva l'assoluto controllo e lasciò che la pressione li umiliasse. Mintaka non capiva quale colpa gravasse su di loro, se non il fallimento. 

La Dea allentò la presa. «Come avete osato? Esigo una spiegazione!»

In risposta all'offensivo silenzio, la Dea chiuse una mano a pugno. In lei Mintaka rivide l'Empusa Rossa: spietata, crudele, potente. Le streghe, però, non si vestivano di una bellezza ipocrita.

«Mia Dea, la colpa è mia e solo mia» ammise Zadok, ritrovando una traccia di coraggio.

Lo sguardo della Sovrana veleggiò sui dignitari. «Taci, Zadok. Benché la caduta di due statue sia un atto di lesa divinità, qualcuno ha commesso un peccato più grave».

Mintaka avvertì la forza comprimerle le membra e impedirle di respirare. Un essere così potente che torturava i mortali era come un infante che schiacciava le formiche per sentirsi grande. Una ridicola e sadica ostentazione di un potere già noto.

La Dea allentò leggermente la presa per non ucciderli. «Acrux ha cospirato contro di me». 

Gli ospiti trasalirono.

«N-nostra Dea, non ne sapevamo nulla» si affrettò a dire Alnilam. Era saggio non cercare di difenderlo.

La Dea si accarezzò le ciocche brune. «Eppure portavate la sua effige con orgoglio».

Zadok implorò di poter parlare. «Eravamo convinti che fosse un vostro devoto servitore, mai ci aveva dato ragione di dubitare del suo operato».

«Se non fosse che un piano così sapiente sarebbe al di fuori della tua portata, Figlio di Regulus, ti giudicherei suo complice. Ti concederò il dubbio e sarai condannato solo per il tuo fallimento».

Spezzò il sortilegio del dominio su Rigel e Thuban. «Portatelo in cella e che non ne esca mai».

Muliphein si dibatté. «Pietà, ha dato tutto sé stesso!» implorò.

«Ha fallito» ribatté la Signora, insensibile. 

Thuban e Rigel presero Zadok per le spalle. Muliphein strinse i denti, gli occhi lucidi per le lacrime, e tentò un'ultima risposta.

Zadok lo fermò con lo sguardo. Era duro e autoritario. «Accetto la mia condanna, purché questa non sia divisa tra i miei fidi collaboratori. L'errore è stato mio, non loro».

Muliphein si strinse la gola e Gienah singhiozzò.

«Puoi ancora fare ammenda» sottolineò la Dea. «Rivela dove si nasconde colei che ha creato le tue armi».

Zadok, ancora inginocchiato, tremò. «Perdonatemi, mia Dea. Sapendo che lady Adhil sarebbe stata oggetto dell'odio dei Mizar, le ho ordinato di fuggire. Non so dove possa essere andata».

La Dea era disgustata. «Fate sparire questo peccatore dalla mia vista».

Ghignando, Thuban e Rigel sollevarono e trascinarono Zadok fuori. Muliphein strinse la mano a Mintaka mentre l'uomo che amava e aveva servito per tanti anni veniva portato via come un criminale.

Nel vedere la sorte di Zadok, Mintaka comprese che un'esistenza al servizio della Dea era sprecata, schiava di un circolo che mai avrebbe avuto fine. 

Si professava protettrice dell'umanità, ma era troppo superiore per comprendere i sacrifici che i mortali compivano in nome suo. Vite brevi ed effimere che s'immolavano per un'entità immutabile e si piegavano dinnanzi a regole ingiuste, dettate dalla possanza. 

Pedine. Sacrifici. Schiavi.

Cercò di ribellarsi, ma la voce le morì in gola. In presenza della Dea, pochi mortali avevano la forza di parlare.

«Il nome di Acrux sarà cancellato dagli annali. Deciderò io chi sarà il nuovo Imperatore. Mizar Muliphein, a te il comando di Alcyone. Andate!» dichiarò la Dea sciogliendo l'incantesimo.

Mintaka fece fatica ad alzarsi e non osò guardare in direzione della Signora per timore di scatenarne la collera. 

Credeva alla sua rivelazione. Perché un essere così viscido meritava solo di essere distrutto. Acrux, nello sfidarla, era diventato più che un eroe. Perfino la morte di quei soldati Alioth poteva far parte del suo piano, volto a eliminare i devoti della Dea con cui non avrebbe potuto ragionare.

Non era stato il primo a muover guerra. Forse anche i cittadini di Regulus erano stati condannati per aver cercato di separarsi da quella partita a scacchi e non vedere più parenti e amici che cadevano per un ideale bugiardo.

La sua mente assemblò i tasselli: la pietra necromantica, il talento represso, il fratello da vendicare, la falsità della Dea... Se voleva essere coerente con sé stessa, le restava una sola scelta da compiere. 

Lasciò il braccio di Muliphein, camminò più in fretta, spinse da parte gli stranieri, aggirò un gruppo e tornò alla luce del Sole. Barcollò e si poggiò le mani sulle ginocchia mentre si riempiva i polmoni. Elaborò in fretta un discorso e frugò nella memoria alla ricerca delle leggi che le avrebbero permesso di agire.

Alnilam, pallida e silenziosa come un cadavere, fu tra gli ultimi a uscire. Il portone si richiuse senza produrre alcun suono.

La maggior parte dei presenti liberò sospiri di sollievo o silenziose imprecazioni. Mintaka, invece, prese la parola. «Sorella, anche se il suo nome verrà cancellato, dobbiamo vendicare Acrux e chiunque altro sia perito per colpa delle empuse!» Non avrebbe accusato la Dea. 

«A suo tempo, giovane lady» dichiarò Alnilam prima di lanciare un'occhiata grifagna a Muliphein. «A quanto pare i popolani hanno un effetto negativo su di noi».

«Sorella, non ti ci mettere anche tu» supplicò Muliphein, pallido. «Io...» si nascose il volto tra le mani. «Non ne posso più! Perché è andato tutto così male?»

Il possente guerriero che piangeva fece accapponare la pelle di Mintaka. «Sorella, mia regina, io...» Ingoiò la tensione e parlò ad alta voce. «In qualità di unica necromante dell'Impero, rivendico il cuore dell'Empusa Nera, appartenente al tesoro imperiale».

Chi aveva udito si girò verso di lei. I brusii mutarono in un vociare.

Mintaka si inginocchiò dinnanzi ad Alnilam. «Mia regina, ve ne prego, concedetemi di porre fine all'egemonia delle streghe. Non importa cos'accadrà alla mia anima, sono pronta al sacrificio di me stessa!»

La regina fece un cenno di diniego. «Sei troppo sconvolta, non parlare».

«Parlo, invece. La necromanzia ci permetterà di salvare delle vite e creare un esercito senza paura».

Alnilam diede l'ordine e delle guardie immobilizzarono la lady. «Il tuo comportamento scriteriato va corretto. Torneremo a Korban, dove riprenderai la tua educazione».

«Lasciatela andare!» si oppose Muliphein con un tono che non ammetteva repliche. «Siamo una famiglia e ci combattiamo tra noi?!»

I soldati tennero lo sguardo duro nonostante non avessero speranze contro di lui.

Mintaka trovò una soluzione. «In base alla legge, nei momenti di crisi, qualsiasi nobile è autorizzato a rivendicare un oggetto magico, a patto che nessun altro membro dei casati maggiori sappia padroneggiarlo meglio di lui». Sorrise. «Non vedo altri necromanti».

«Perché sono stati uccisi tutti» ribatté Alnilam, meno algida. «Il potere del Grendel è malvagio».

«Non mentirmi, sorella. La pena di morte non è l'unica soluzione, non da quando Wezen il Sanguinario fece una strage prima di essere ucciso da Alioth Achernar. Inoltre, se permetti, posso anche invocare il diritto alla custodia dell'oggetto proibito, essendo l'unica a poterne controllare il potere, nel caso si dovesse liberare. Lo dice la legge».

Alnilam strinse le labbra. «Io sono la tua regina e tua sorella maggiore, e io decreto che tu non farai nulla». Aveva sempre fatto leva sul suo senso di colpa per essere sopravvissuta. L'aveva denigrata per anni, facendola sentire indegna.

Il tempo, però, aveva dimostrato che le sciagure stavano per trovare il loro significato. Le erano servite a superare la vergogna verso sé stessa e a comprendere che l'errore non era in lei. «In tal caso invoco il Duello delle Stelle Gemelle!» La folla ammutolì. «Se vincerò, avrò la pietra e potrò vendicare Acrux. Se perderò... potrai fare ciò che vuoi farmi da tempo».

Muliphein cercò di fermarle, ma non lo ascoltarono: la sua autorità era sui soldati della capitale, non sul Regno dei Mizar.

Alnilam risucchiò l'aria. «Quali inusitate parole».

Mintaka le puntò il dito contro. «Nostro fratello è morto perché non ho potuto salvarlo. Col giusto addestramento ci sarei riuscita. Tu sei responsabile della sua fine!»

Rimasero in stallo. Alnilam la guardò prima con stupore, poi con rabbia. Infine venne un glaciale sorriso. «Tu lo hai scelto, sorella. Partiamo immediatamente!»

Continue Reading

You'll Also Like

16.9K 731 26
Marinette è una ragazza di 17 anni, è solare, molto carina, anche molto astuta e non si fa mettere i piedi in testa facilmente. Insieme ai suoi amic...
602 239 31
"ricordi quando mi hai salvato la vita? Bene,adesso tocca a me farlo. Perfavore,accetta il mio aiuto"
6.7K 762 43
Cosa succederebbe se una classica ficcyna trash avesse come protagonisti i grandi autori della storia?
80.3K 3.8K 124
{COMPLETA} Ariel e Lilith. Due ragazze completamente agli antipodi in tutto e per tutto. Ariel è una Nephilim, figlia biologica di Dio, metà angelo d...