UNCONDITIONALLY

By wendygoesaway

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L'amore salva, oppure uccide? ⚠️⚠️⚠️ Trigger warning ⚠️⚠️⚠️ Ci sarebbero un'infinità di motivi per cui inser... More

CAPITOLO UNO - silence
CAPITOLO DUE - rebirth
CAPITOLO TRE - tko
CAPITOLO QUATTRO - dawn
CAPITOLO CINQUE - wake up
CAPITOLO SEI - blind
CAPITOLO SETTE - hurricane
CAPITOLO OTTO - wonder
CAPITOLO NOVE - ruthless heart
CAPITOLO DIECI - rondini al guinzaglio
CAPITOLO UNDICI - monster
CAPITOLO DODICI - fra mille baci di addio
CAPITOLO TREDICI - only for the brave
CAPITOLO QUATTORDICI.1 - stand tall
CAPITOLO QUATTORDICI.2 - stand tall
CAPITOLO QUINDICI - point break
CAPITOLO SEDICI - ghost riders
CAPITOLO DICIASSETTE - fiori di Chernobyl
CAPITOLO DICIOTTO - treading water
CAPITOLO DICIANNOVE - farfalla d'acciaio
CAPITOLO VENTI - city of fallen angels
CAPITOLO VENTUNO - paper moon
CAPITOLO VENTITRE - if the world was ending
CAPITOLO VENTIQUATTRO - ENDGAME.
CAPITOLO VENTICINQUE - a forma di origami
CAPITOLO VENTISEI - angels and demons
CAPITOLO VENTISETTE - under my skin.
CAPITOLO VENTOTTO - till the last breath
CAPITOLO VENTINOVE (prima parte) - piccola stella senza cielo
CAPITOLO VENTINOVE (seconda parte) - piccola stella senza cielo
CAPITOLO TRENTA - loner
CAPITOLO TRENTUNO - interlude
for you
CAPITOLO TRENTADUE - la di die
CAPITOLO TRENTATRE - sweet lullaby
CAPITOLO TRENTAQUATTRO - TELL ME ABOUT TOMORROW
CAPITOLO TRENTACINQUE - YA'ABURNEE
CAPITOLO TRENTASEI - NEW MOON
!!!
EPILOGO - BANYAN TREE
GRAZIE

CAPITOLO VENTIDUE - l'arte di essere fragili

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By wendygoesaway

Ricordo a tutti che, se lo voleste, potete contattarmi in privato per entrare nel gruppo WhatsApp 🌸
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Buona lettura! 💘

🚨🚨🚨 WARNING FEELINGS 🚨🚨🚨
attenzione guysss il capitolo è ricco di emozioni, quindi godetevele tutte!!! love you so much <3

ci tenevo solamente a dirvi che i capitoli si fanno un po' più complicati e avrò bisogno di un po' di tempo in più per scriverli, quindi se vedete che non aggiorno settimana prossima non vi preoccupate, sono viva lo stesso, ho solo bisogno di un po' di tempo in più.
non sono al massimo delle mie forze per vari motivi, vi chiedo soltanto un po' di comprensione.
alla prossima, love you all
ila
x

CAPITOLO VENTIDUE – l'arte di essere fragili

Stava pensando alla misteriosa permanenza dell'amore, nella corrente mai ferma della vita.

Benjamin

Svegliarsi accanto a Victoria era sempre un'emozione che non aveva prezzo.
Sentivo il profumo dei suoi capelli invadermi le narici, la sua pelle che mi regalava costellazioni di brividi ed il suo caldo respiro mi coccolava in quel frangente in cui i raggi solari che regalava l'alba delle sei del mattino, la sfioravano appena, illuminando i suoi capelli corvini mentre aveva le lenzuola appoggiate sul ventre. Accarezzai la sua schiena nuda e mi voltai leggermente con il capo per baciarle la fronte, coperta dalla frangetta, e mi presi del tempo per osservare il suo viso stanco. Nonostante grazie ai farmaci avesse dormito abbastanza tranquilla, osservandola erano chiarissimi i segni di quanto stesse soffrendo e di quanto stesse anche provando a nasconderlo. Il suo viso pallido era solcato dalla stanchezza, dalle occhiaie scure e dalle costellazioni di dolorosi incubi per i quali si svegliava ogni giorno piangendo. La sua pelle, illuminata dai primi raggi sole dell'alba, aveva lo stesso colore della neve fresca, dei bianchi fiocchi che danzavano nel vento in pieno inverno, l'inverno che io sapevo perfettamente si portasse nel cuore. Le lunghe ciglia nere sfioravano la sua pelle con delicatezza, sfarfallavano ad ogni suo respiro e sfioravano la mia spalla, mentre io baciavo la sua fronte calda e accarezzavo con estrema delicatezza il suo viso. Dentro di me sapevo che tutta quella tenera fragilità che le vedevamo cucita addosso fosse in realtà frutto di un immenso dolore a cui nemmeno lei riusciva a dare pace, talvolta mi sembrava che si stesse lasciando consumare perché non riuscivo più a vedere la guerriera che era sempre stata, fin da quando l'avevo conosciuta.

Mio padre mi aveva insegnato che ciò che eravamo da bambini, lo saremmo stati per sempre. C'era chi fin da piccolo si portava la luce nel cuore, e cresceva portando con sé la luce per tutta la vita, regalandola a chi ne aveva più bisogno, qualcuno come Arthur. Lui mi aveva ceduto un po' della sua luce, per permettermi di illuminare il mio buio quel tanto che bastava a non perdersi, ma in quel momento desideravo cedere quel piccolo raggio di luce al fiocco di neve che giaceva al mio fianco. Lei aveva conosciuto solo il buio, non aveva mai visto nessun tipo di luce, tanto che ne era spaventata. Per quel motivo, e ne ero sicuro, si portava anche in quel momento il buio nel cuore. Mentre la stringevo fra le braccia mi domandavo come fosse possibile che una persona che pensava di avere così tanto buio dentro di sé, fosse in grado di donare così tanta luce. Era un paradosso così unico nel suo genere che non smetteva mai di stupirmi, e persino quando aveva detto di volermi regalare un piccolo pezzo di cielo, con tutte le sue stelle e la luce della luna, ero riuscito a pensare a quanto fosse unica. Stare con lei era come osservare il sole a mezzanotte, camminare sull'acqua e volare senza ali. Ogni volta che stringevo la sua mano era come se fosse l'unica in cui avrei potuto farlo, come se fosse la prima, ma anche l'ultima. Era come abbracciarla tre volte in una sola, tre volte all'alba, illuminati dai raggi del sole, e cullati da tutto l'amore che ero convinto si potesse percepire anche solo osservandoci.

La sentii sospirare e la osservai stringersi nelle spalle, raggomitolarsi al mio petto e strusciare la testa fino a sfiorare il mio viso con il naso. Aprì quindi gli occhi, regalandomi la bellissima visione dell'oceano nascosto nei suoi occhi, con le sfumature scure degli abissi e la luce dei raggi del sole che li rendevano di ghiaccio allo stesso tempo, per quanto paradossale e assurdo fosse. - Ciao capitano – Sussurrò stringendosi a me e sorridendo sulla mia pelle. - Buon compleanno – Disse poi sollevandosi leggermente puntellandosi sui gomiti, e regalandomi lo sguardo più dolce che potesse esistere.

Mi osservava dall'alto, accarezzandomi il viso e rendendomi la persona più felice del mondo. Battei le palpebre come se volessi accertarmi che fosse reale, che fosse davvero lì, e posai la mano sopra la sua, baciandone il palmo e osservandola di sottecchi, con la coda dell'occhio, mentre era ancora coperta soltanto dalle mie lenzuola. Chiunque avrebbe potuto definire volgare una vista di quel tipo ma mentre le scostavo una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la scrutavo con un sorriso, riuscivo solo a vedere l'eleganza delle stelle e la delicatezza della sua luce. Mi sollevai leggermente, quel tanto che bastava per allungare il viso e baciarla attirandola a me e facendola ridere divertita mentre la abbracciavo e le tempestavo la testa di baci. - Programma della giornata – Esclamai rotolando e invertendo la posizione per guardarla dall'alto. Victoria, per tutta risposta, mi cinse il collo con le braccia e allacciò le gambe dietro la mia vita senza smettere di sorridermi. - Stare nel letto con te tutto il giorno – Le dissi prima di posare la fronte sulla sua e baciandola.

Sentii le sue mani scorrere lungo la mia schiena e chiusi gli occhi godendomi quella bellissima sensazione, che mi regalava brividi e battiti accelerati ogni volta. Victoria non tardò di molto a ricambiare il bacio, ed io non riuscii ad evitare di accarezzarle la pelle nuda sotto le mie dita, sorridendole e stringendole, alla fine, la mano, quando lei l'aveva posata sul mio cuore. Ci eravamo mischiati pelle, anime e ossa, ancora una volta, e ogni volta sembrava come la prima, non mi stancavo mai di quella sensazione meravigliosa che mi regalava la mia pelle contro la sua. Pensai che si fosse presa la parte migliore di me e che non sarei mai più riuscito a trovare me stesso così come accadeva con lei. Ogni volta che pensavo di essermi perso, bastava il suo sorriso per ritrovarmi. Lei era davvero la parte migliore di me, la cosa più bella. I suoi sospiri mi facevano perdere un battito e mi uccidevano, soprattutto quando infilò le dita fra i miei ricci e mi attirò a sé sorridendo sulle mie labbra, ma i suoi baci mi facevano sentire così vivo che non avevo mai abbastanza.

Quando mi regalò nuovamente quella parte di lei in cui nessuno era mai arrivato, pensai che l'avrei amata fino alla morte, con ogni parte di me, con ogni singola cellula.

Credevo che fosse destino che l'incontrassi, che se non fosse stato in quel locale sarebbe successo ugualmente da un'altra parte, che comunque fossero andate le cose ci saremmo incontrati e che forse io l'avevo già amata, magari in un'altra vita. Qualsiasi vita avremmo vissuto io e lei, l'avrei amata, persino dopo la morte, se realmente c'era. Ci legava qualcosa che andava al di sopra di ogni limite che conoscevo e sentivo vibrare le ossa ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni sospiro, ad ogni brivido che mi regalava e che io regalavo a lei. Non pensavo che avrei amato così, non avevo mai voluto farlo, avevo passato la vita a stare attento a non amare, ma poi l'avevo incontrata e pensavo che lei, quei nostri piccoli momenti, fossero il mio regalo più grande.

Pensai che fosse la ragione per cui aprivo gli occhi ogni mattina, per cui vivevo, quella che mi aveva salvato la vita e la ragione della mia felicità.

Eravamo soltanto io e lei, lo saremmo sempre stati, mano nella mano, ad ammirare l'alba persi l'uno nell'altra come in quel momento, soltanto per tutta la vita.

***

Victoria mi stava accarezzando i capelli in religioso silenzio mentre ancora eravamo avvinghiati sotto le lenzuola. Tenevo sempre gli occhi chiusi, soprattutto in quei momenti in cui volevo godermi la nostra bolla al cento per cento, ma per il semplice fatto che ero convinto che le emozioni che provavo erano troppo forti, e che sarebbero state molto più intense vissute ad occhi chiusi.

- Ti giuro che starei anche nel letto tutto il giorno, ma dobbiamo parlare – Esordì Victoria facendosi guardare negli occhi. Fece un respiro profondo, in seguito, e notai soltanto osservandola quando i suoi occhi stessero fremendo e vagando ovunque nella stanza.

Assottigliai lo sguardo e piegai la testa di lato, deglutendo e tentando di non farle percepire la mia preoccupazione. Di certo non potevo mettermi a chiederle se stava vedendo qualcosa di particolare o qualcuno nello specifico alle mie spalle, ma ero certo che ci fosse qualcosa. Sembravano tempestati di ombre, i suoi occhi. - No ti prego – Replicai battendo le palpebre. - Non voglio rovinarmi il compleanno, qualsiasi cosa sia, non possiamo aspettare domani? - Domandai facendo gli occhi dolci e speranzoso. La invitai a guardarmi negli occhi posandole le dita sotto al mento e sperando che quel gesto la distraesse e la facesse concentrare soltanto su di noi e su quel momento, ma mi sentivo ugualmente pressoché inutile.

- No – Disse lei arricciando il naso e deglutendo puntellandosi sui gomiti. - Non possiamo davvero aspettare, avrei dovuto dirtelo ancora ieri sera. - La vidi rabbrividire leggermente e lanciare uno sguardo alla finestra, soffermandosi poi sull'ombra dei rami degli alberi proiettata dai raggi solari. In tutta onestà, a giudicare dal suo sguardo, avevo la sensazione che stesse seriamente vedendo qualcosa che non c'era, e dal modo in cui sobbalzò e rabbrividì, capii di avere ragione. Non sapevo se sentisse voci o vedesse ombre, ma qualcosa che la turbava c'era, per cui allungai il braccio e tirai la tenda, nascondendo i raggi del sole tornando a concentrarmi su di lei. Victoria mi sorrise, perché sapeva che avevo capito, e piegò la testa di lato invitandomi a baciarla ancora una volta.

Non ci pensai due volte, a ricambiare, e borbottai anche quando mise fine a quel bacio con un sospiro e posando la fronte sulla mia. - Grazie, riesci sempre a salvarmi – Mi disse mordicchiandosi il labbro inferiore.

- Sono un supereroe – Risposi tirando le lenzuola e coprendo entrambi con il grande telo bianco, facendola ridere e rotolare, baciandola ancora. - Ok basta, la smetto, mi metto a fare il serio. - Sussurrai mentre continuavo ad accarezzarle il viso e scrutarla, navigando nei suoi occhi. - Dimmi tutto, amore mio -

Victoria prese un respiro profondo e mi fissò attentamente, quasi come se pensasse che quello che aveva da dire mi avrebbe fatto uscire di testa. Un po' mi preoccupava quello sguardo, ma decisi di lasciar correre e attendere che parlasse. - Si tratta di quello che mi ha detto Michael, ieri. - Spiegò distogliendo lo sguardo e disegnando cerchi invisibili sul mio petto con l'indice, facendomi venire i brividi per giunta. Era così nervosa che stava tremando, e si era messa persino a giocare con il piercing alla lingua. Quando notò che la stavo fissando con gli occhi socchiusi, però, smise di farlo e roteò gli occhi mezza divertita. - Smettila di guardarmi così. - Borbottò infastidita.

- E tu smettila di giocare con quel piercing, mi turbi – Le dissi tossicchiando e leccandomi le labbra. - Continua prima che mi metta a gridare solamente per il fatto che tu ci sei andata da sola e per giunta chiudendomi a chiave in casa tua come se fossi un dannato cane. - Sbottai scuotendo il capo e fissando il soffitto ancora disturbato da quello che era successo il giorno precedente. Sam fu costretto a chiamare Nicole e raccontarle che ci aveva chiusi in casa per uscire per conto suo, anche perché Alexander era con Sean e Richie fuori con degli amici, senza però dirle che voleva andare da Michael per evitare di farla preoccupare. Il problema era giunto quando lei ci disse che non poteva tornare a casa prima dell'ora successiva e che eravamo obbligati ad aspettarla. Così, entrambi scocciati e soprattutto Sam, decidemmo di aspettare e finimmo di pulire il caos in cucina. Mi feci raccontare dal mio amico quello che era successo e per quale motivo c'erano vetri ovunque. Quando mi disse che l'aveva minacciata di tagliarsi a sua volta per impedirle di farsi del male gli tirai un ceffone dritto in fronte, lo insultai e scossi il capo gridandogli addosso quanto fosse stupido. Sam si giustificò dicendomi che, naturalmente, non lo avrebbe mai fatto e che sapeva benissimo fino a dove poteva spingersi quando si trattava di sua sorella. Aveva detto che era sicuro al cento per cento che glielo avrebbe impedito e che sarebbe riuscito ad innescare la reazione che desiderava, proprio perché la conosceva bene. Infatti fu quello che accadde: mi raccontò che diede di matto e lo insultò, reagendo proprio come lui si aspettava. Avevamo fatto anche un giro nella sua stanza, notando lo specchio rotto e i vetri a terra, deducendo che era con una parte di quello specchio che si fosse fatta del male. Avevo visto lo sguardo preoccupato del mio amico quando ci eravamo accucciati a terra a raccogliere i cocci e probabilmente era lo stesso che avevo io. Il dottor Dustin ci aveva detto che ci sarebbe voluta qualche settimana prima che le medicine iniziassero a fare effetto, che avrebbe avuto le allucinazioni ne più ne meno, che avrebbe ugualmente sentito le voci, anche se non lo diceva. Prima che tutto potesse rallentare sul serio, ci sarebbero voluti mesi e, in alcuni casi, anche anni. Eravamo stati avvisati, ma era comunque qualcosa che mi spezzava il cuore e mi privava di tutte le forze, persino in quel momento, sapere che probabilmente era circondata dalle sue allucinazioni, mi destabilizzava. Spesso mi domandavo se fosse una cosa permanente e continua, durante il corso delle sue giornate, oppure se aveva dei momenti in cui regnava il silenzio e non vedeva nulla. Avrei voluto chiederglielo, ma sapevo che non era il caso.

- Mi dispiace – Disse storcendo il viso in segno di scuse. - Era l'unico modo, volevo rendermi utile. - Sospirò abbassando il capo. - Lo sono stata fino ad ora, volevo soltanto aiutarti. -

- Mi basta averti vicina – Le risposi accarezzandola. - Non voglio che tu faccia wonderwoman, mi basta davvero averti accanto. Mi hai aiutata tantissimo, senza nemmeno sapere nulla di questa storia. - Le baciai la fronte e lasciai che si accoccolasse a me, tornando ad accarezzarla e pensando che me ne sarei stato nel letto ugualmente, anche dopo che mi aveva raccontato cosa sapeva. - Avanti, dimmi cosa hai scoperto. -

Victoria sospirò ancora una volta, si mordicchiò le unghie e posò la testa sulle sue mani, a sua volta posate sul mio petto. Ci guardavamo da quella strana posizione, persi l'uno nello sguardo dell'altra, senza perderci nemmeno una parola. - Gabriel non è quello che pensi – Spiegò vagando qui e là con lo sguardo. - Michael mi ha detto che si tratta di Gabriel Johnson, agente dell'FBI. - Disse alla fine battendo le palpebre.

Sollevai le sopracciglia e mi puntellai sui gomiti fissandola dall'alto, mentre lei storceva il labbro in una smorfia, aspettandosi una catastrofe, almeno così credevo. - Scusami? - Domandai sbattendo le palpebre allibito. - Ma in che senso scusa? -

Victoria mi raccontò tutto quello che Michael le aveva rivelato: le minacce che nessuno sapeva a chi fossero indirizzate, la guardia davanti alla sua cella, i sospetti su Vincent, di Gabriel e tutto il resto. - Michael mi ha fatto intendere che secondo lui Ryan non sa chi è davvero Gabriel. -

- Può darsi – Risposi rimanendo a riflettere sulle sue parole. - Può darsi che voglia scoprire cosa ha in mente Vincent e che sappia che l'unico modo per scoprirlo è mio fratello. Vincent si fidava di lui e forse, se davvero è morto, tutti gli affari che aveva sono in mano a Ryan. - Cercai di usare la testa il più possibile, per ricordare qualche dettaglio in più sulla nostra infanzia, magari qualcosa che il mio patrigno potrebbe aver detto o fatto di sospettoso, che mi fosse rimasto impresso, ma non mi venne in mente assolutamente nulla.

- Tu pensi che non sia pulito? - Chiese osservandomi al di sotto di quelle lunghe ciglia. - Credi davvero che sia uscito di prigione prima grazie a Vincent? -

Annuii e presi un respiro profondo distogliendo lo sguardo e sfregandomi gli occhi. - Vorrei non crederlo, ma a questo punto credo proprio che sia così. - Rimasi in silenzio a fissare il vuoto qualche istante, pensando a tutto quello in cui lo aveva messo in mezzo. Sospettavo che Ryan sapesse quale fosse il grande affare di Vincent, o che almeno fosse al corrente di qualcosa, di quale fosse il suo progetto iniziale e di cosa aveva intenzione di fare. Pensavo anche che fosse stato lui a farlo uscire, che Vincent si sentiva minacciato ed era scappato, cedendo tutto in mano a mio fratello. Speravo di tutto cuore che non fosse così, perché se davvero la situazione era quella allora significava che Gabriel, da agente dell'FBI, lo stava spiando e il suo compito era arrestare lui e tutte le persone coinvolte, probabilmente Katherine compresa. - V – Dissi mettendomi a sedere e osservandola mentre si tirava le lenzuola al petto e faceva la stessa cosa. - Se è davvero così allora significa che Gabriel farà arrestare tutti quanti, compresa Katherine. -

La ragazza alzò la testa e mi guardò dritto negli occhi, con il panico ad offuscare le sue iridi già colme di nuvole grige. Rimanemmo in silenzio per gli istanti successivi, ed io sperai di tutto cuore che Kat mi avesse detto la verità, che Ryan non le avesse rivelato nulla perché se fosse stato così allora lei diventava complice di un crimine e rischiava il carcere. Cominciai a pensare a tutto quello che ci eravamo detti in quei mesi, alle sue parole e a tutte le volte che gli avevo chiesto di dirmi la verità, pregandolo e supplicandolo di farsi aiutare, di dirmi cosa stesse accadendo. E ripensai anche a tutte le volte in cui mi aveva risposto rimanendo vago, senza darmi una vera risposta, oppure mi aveva detto e ripetuto che non poteva. Ogni cosa sembrava avere un senso, dopo quello che aveva scoperto Victoria, forse non me ne aveva parlato per tenermi fuori, forse voleva che le ragazze non si mettessero in mezzo perché nel momento uno di noi avesse scoperto cosa stava succedendo, sarebbe diventato un complice, sarebbe stato in pericolo. Allora perché aveva scelto di tenere all'oscuro tutti noi ma continuava a vedere Katherine ugualmente, nonostante fosse al corrente di ciò che rischiava? Nonostante mi sembrasse che tutte le parti della storia che conoscevo stessero formando un puzzle, molto lentamente, c'era ancora qualcosa che non mi tornava, un tassello mancante che mi permetteva di completarlo. Volevo scavare a fondo e in quel momento mi resi conto che non mi importava quello che c'era in gioco, volevo salvare mio fratello e liberarlo da tutti quei casini, ridargli la sua libertà.

Lanciai un'occhiata a Victoria che si stava mettendo la mia maglietta e mi alzai definitivamente dal letto, dandole un bacio sulla testa e scendendo al piano di sotto con l'intenzione di preparare la colazione. Vic si diresse in bagno, dicendomi che si sarebbe fatta una doccia, per cui mi presi tutto il tempo che avevo per me stesso. Scendendo lentamente le scale, con le mani nelle tasche dei pantaloni, m'imbattei nel pianoforte e lo osservai da lontano, pensando a tutto il tempo che era passato da quando lo avevo suonato l'ultima volta. Mi si strinse il cuore a pensare che ogni volta che accadeva qualcosa nella mia vita, abbandonavo la musica. Avevo fatto una promessa a mio padre e gli avevo promesso che qualsiasi cosa sarebbe accaduta il pianoforte sarebbe stato il mio rifugio per pensare a me stesso. Mi soffermai ad osservarlo, dopo essermi avvicinato lentamente ed essermi seduto sulla panca, sfiorai i tasti e mi passai una mano fra i riccioli, che ricadevano ribelli sulla mia fronte, infastidendomi parecchio. Sentivo le dita fremere dalla voglia di mettermi a suonare, dalla voglia di provare di nuovo quell'emozione che mi permetteva di restare chiuso nella mia bolla, al riparo da tutta la negatività della mia vita, l'unica certezza che avevo per sentirmi libero dal peso del mondo. Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo e lasciai che le dita mi guidassero in quel brano, in quella canzone e nel suono del mio pianoforte, l'unica cosa che mi ricordava ancora casa davvero. Ripensai alla mia infanzia, a mio fratello seduto al mio fianco che mi osservava suonare e canticchiare e poi mi batteva le mani, a mia madre che mi portava il vassoio con i toast all'avocado perché sapeva che avrei passato le ore a suonare senza stancarmi mai. Ripensai all'espressione di papà la prima volta che mi sentì suonare una canzone, a quando mi fece promettere che comunque fossero andate le cose lui sarebbe stato per sempre con me. Ripensai ai suoi ultimi giorni prima di andarsene, quando gli chiesi come voleva passarli, quando lui mi rispose che voleva solo ascoltarmi suonare per lui perché gli dava pace. Ripensai a quanto mi ero sentito solo, senza mio fratello, a quanto mi aveva distrutto vederlo chiudere gli occhi per sempre tra le mie braccia e a quanto fosse stato doloroso. Ripensai a quando mi rifiutai di suonare il pianoforte una volta arrivato dai Woods, alla reazione di Arthur quando mi aveva chiesto di farlo e alla sua espressione confusa. Gli avevo raccontato solo successivamente per quale motivo non lo suonassi più, però grazie a lui ero anche tornato a farlo. Aveva avuto una crisi, non riusciva a calmarsi, ero da solo in casa e non sapevo come aiutarlo, così mi ero messo a suonare la sua canzone, quella che mi aveva chiesto per mesi, e lui si era calmato. Suonando ero riuscito a dargli pace, come ne davo a mio padre, la stessa pace che il piano dava a me, la stessa libertà pura e genuina che provavo quando ripensavo a mio fratello e alla nostra infanzia, quella libertà che volevo ma non potevo più avere.

Ero così preso da quel momento, era così tanto che non mi dedicavo al piano, che sentii tutto l'amore che avevo, tutta la nostalgia, la gratitudine e la mancanza, colmare il cuore e farlo battere così forte e velocemente, che sentii gli occhi pizzicare. Non sapevo se in realtà stessi provando dolore o se fossi semplicemente felice di stare suonando di nuovo, ma ero così colmo di emozioni, così confuso, che alla fine tirai fuori anche la voce, e mi venne naturale cantare, nonostante sapessi che non ero nato per farlo. - As long as I watch over you, you don't need to run. As long as I watch over you, we don't need to say we're dead. -

Sentii due mani posarsi sulle mie spalli e scorrere sul mio petto, una testa posarsi sulla mia spalle e il profumo di Victoria, al cocco mescolato al tabacco, permeare la stanza. I suoi capelli solleticarono le mie braccia e, quando mi baciò la guancia, la invitai a sedersi al mio fianco con un gesto del capo e a cantare con me, nonostante sapessi che se ne vergognava terribilmente. La pregai con lo sguardo, osservandola farmi delle smorfie per farmi capire che non ne aveva intenzione, scuotere la testa e le mani dicendomi che si vergognava. - Avanti piccolo bruco, è il mio compleanno, fallo per me... - Le dissi senza smettere di suonare e lanciandole un'occhiata. La vidi rabbrividire e guardarsi attorno, come se sapessi che qualcuno le stesse dicendo di non farlo, che tutta quella timidezza non veniva da lei. Infatti, qualche istante dopo, si prese le gambe fra le braccia e strizzò gli occhi come se stesse provando dolore. C'era qualcosa, c'era qualcuno. - Guarda me – Esordii. Victoria aprì gli occhi nuovamente e incrociò il mio sguardo: le sue iridi trasmettevano così tanto dolore che mi venne voglia di rubare i sogni a chi era felice per regalarli a lei, per metterglieli dentro la testa. - Guarda me e canta con me. Non ascoltarle, canta -

Distolse lo sguardo, ma alla fine lo fece. Seguì le note, il ritmo scandito dalle mie dita sui tasti e la sua voce spezzata dalla paura, dall'ansia, dalla paranoia. Per un momento mi sembrò quasi che si stesse scusando, così la lasciai sfogare e, alla fine, tornò a guardarmi facendomi un timido sorriso e scompigliandomi i capelli. Aveva le gote arrossate, la leggerissima spruzzata di lentiggini mi ricordò una costellazione in quel momento e decisi di abbandonare la canzone e accarezzarle, collegando i punti e voltandomi verso di lei per prenderla in braccio e coccolarla. Sapevo fossimo soli in casa e che sarebbero rincasati soltanto dopo pranzo, perché Elizabeth stava organizzando una cena per quella sera per il mio compleanno ed era uscita a fare la spesa con Leonard, comunicandomi ancora la sera precedente che si sarebbero fermati fuori a pranzo, mentre Arthur era uscito con Amy e avrebbe pranzato da lei. Volevo soltanto passare quel tempo con lei, nonostante sapessi che avevo delle questioni in sospeso e non avrei potuto perdere tempo. - Pensavo ti fossi vestita – Le dissi allungandole la mano dopo essermi alzato per farla venire con me in cucina a fare colazione. Indossava una mia camicia, una bianca, che era di almeno tre taglie più grande di lei e la faceva sembrare ancora più piccola di quel che già era, più magra ancora. Portava le calze lunghe e nere sollevate fin sopra le ginocchia e mi ricordava tanto una piccola stella, soprattutto quando dopo le mie parole girò su stessa e sorrise osservandosi e passando le mani sulla camicia, fierissima di come era vestita.

- Ho scoperto dei comodissimi vestiti nelle tue camicie – Esclamò volteggiando davanti ai miei ed entrando in cucina. - Se me la fai tenere ti faccio un regalo più tardi – Disse fingendosi una ballerina e balzando a sedere sul tavolo mentre io versavo del caffè in due tazze.

- Me lo hai già fatto il regalo – Le risposi posando le labbra sulla tazza e osservandola al di sotto delle lunghe ciglia. Aveva i primi due bottoni slacciati e questo fece sì che la camicia ricadesse morbida sulla spalla, mettendo in mostra le due rose nere tatuate sulla sua spalla. - Non me ne serve un altro -

- Lo sapevo che lo avresti detto – Disse lei tossicchiando e bevendo in conseguenza il suo caffè – Ma ti vedo troppo triste -

- Victoria io... - Cercai di dirle che non era così, perché non volevo addossarle altri problemi ed altre preoccupazioni, non volevo caricarle altro peso sulle spalle.

- Oh andiamo Benjamin, non prendiamoci in giro, ok? - Esclamò roteando gli occhi al cielo e scuotendo il capo. Posò le mani sul tavolo e si allungò iniziando a far ciondolare le gambe e guardandomi di sbieco, come se volesse darmi uno schiaffo. - Non serve che fingi con me – Disse poi sospirando. - Voglio solo aiutarti come posso, e proteggerti da tutto proprio come tu fai con me. Vorrei essere il tuo luogo sicuro, vorrei che tu condividessi tutto con me, anche il tuo dolore, così pesa di meno. Ti meriti ogni cosa bella della vita Benjamin, voglio che tu questo te lo ricordi per sempre, ok? Porterei davvero io il peso del tuo dolore per non vederti soffrire, perché quando tu sei felice e sorridi io mi sento a casa. Non mi manca niente, se tu sei con me, e vorrei che fosse così anche per te. Lo so che sono una persona complicata e che non te lo dimostro mai, però quando ti dico che ti amo e che farei di tutto per te, sono seria. Quindi per favore, non nasconderti da me, perché voglio solo che tu ti senta amato nello stesso modo in cui tu mi fai sentire amata. - Concluse accarezzandomi il viso e posando la fronte sulla mia.

- Credimi che se c'è qualcuno dal quale non riesco a nascondermi, quella sei proprio tu – Le risposi sorridendole e accarezzando il suo viso. - Persino sorridere è più bello con te, e piangere non mi fa più paura se ci sei tu a tenermi la mano. -

Victoria stava per rispondere ma il nostro momento fu interrotto dal campanello che suonò improvvisamente rompendo l'atmosfera che avevamo creato e portandomi a sbuffare teatralmente. - Voglio una governante che vada ad aprire la porta ogni volta che suonano il campanello – Sbottai allontanandomi con la tazza in mano e camminando all'indietro senza distogliere lo sguardo da Victoria, che mi fissava sorridendo e scuotendo il capo. - Chiederò questo ai miei genitori per il compleanno. - Le diedi alla fine le spalle e andai ad aprire, trovandomi davanti la mia amica e suo padre. - Katherine ciao – Esclamai sorpreso. - Signor Joseph, buongiorno – Mi affrettai a dire quando sollevò il braccio e fece una smorfia. - Entrate pure, volete qualcosa da bere? -

Non feci in tempo a finire la frase, perché Kat mi saltò al collo e mi abbracciò teneramente rischiando anche di farmi cadere la tazza dalla mano. - Buon compleanno stronzo! - Urlò ridacchiando. Il suo profumo ai frutti di bosco e il suo caldo abbraccio mi fecero sorridere, e ricambiai l'abbraccio ringraziandola, e ringraziando anche Joseph che mi fece gli auguri subito dopo. - Scommetto che quell'ingrata della mia migliore amica è qui – Disse entrando in cucina come un uragano e seguita da me e suo padre. - Vedi che non mi sbaglio mai? Ciao vita mia – Esclamò lanciandosi su Victoria e facendola sbilanciare fino a schiacciarla con la schiena sul tavolo.

- Katherine – Tossicchiò Victoria agitando le braccia. - Mi stai schiacciando, non riesco a respirare – Ridacchiò la mia ragazza mentre io scuotevo la testa e versavo il caffè a suo padre.

- Dovevamo chiamarti Katrina io e tua madre – Borbottò Joseph osservandola mentre stritolava la sua migliore amica. - Come l'uragano -

- Sei così tanto simpatico che ti verserei il caffè in testa per ringraziarti – Tuonò verso il padre e sistemandosi la maglietta e sospirando esasperata. - Bando alle ciance, siamo qui perché ti dobbiamo parlare, papà ha novità. -

Guardai Victoria che balzò giù dal tavolo in un secondo, io presi posto su una sedia e lei si fece vicina sedendosi in braccio a me. Joseph arricciò il naso e piegò la testa di lato prendendo un respiro profondo, mentre Katherine batté le palpebre e annuì verso il padre, che tirò fuori una chiavetta dalla tasca e posò i suoi occhi verdi nei miei. - Hai un computer? -

Annuii e andai a prenderlo in camera, lo posai sul tavolo e dopo averlo acceso lascia che Joseph infilasse la chiavetta e aprì i vari file, catturando la mia attenzione e quella di Victoria. - Joseph forse è il caso che ti dica che abbiamo scoperto che Gabriel, l'amico di mio fratello di cui ti parlavo, è un agente dell'FBI -

L'uomo alzò la testa e arricciò il naso facendo una smorfia e un sorriso amaro, quasi isterico. - Lo so. - Sospirò alzando lo sguardo dallo schermo del pc. - Onestamente non mi stupisce l'intervento dei federali, mi sarei stupito se non lo avessero fatto – Il suo sguardo si fece piuttosto vacuo, ma nonostante ciò la sua voce era ferma e decisa. - Abbiamo a che fare con una grossa patata bollente Benjamin, trovo strano che tuo fratello sia ancora vivo, a dirla tutta. -

Spalancai e deglutii con forza mentre Victoria mi stringeva la mano più forte che poteva, sentivo la sua vicinanza in modo viscerale, in quel momento. - Dimmi tutto quello che fai, per favore -

Joseph guardò sua figlia, che lanciò un'occhiata a Victoria, che a sua volta circondò la mia testa con il braccio e lasciò che mi posassi contro al suo petto, stringendo la sua mano e beandomi delle sue carezze, sperando che in quel modo, qualsiasi cosa Joseph avesse detto, avrebbe fatto meno male. Con lei al mio fianco forse sarebbe stato più semplice. - Effettivamente secondo le informazioni che sono riuscito a trarre al distretto, pare che Vincent sia morto. - Esordì sospirando. - Il problema è che la morte di tua madre, Benjamin, è collegata in qualche modo lui. Sappi che queste sono solo teorie della polizia e dei federali, delle ipotesi non confermate perché non abbiamo testimoni, non ci sono stati più arresti dopo quello di tuo fratello quindi tutta questa rete di informazioni, per quanto i fatti siano reali, sono retti in piedi da una rete di ipotesi. Purtroppo le ipotesi non sono altro che piume, in questo caso fanno il solletico e possono valere poco e niente, così come possono essere confermate se per caso riuscissimo a ricavare testimoni. Ho chiesto di essere internato nel caso per dare una mano, ma non so dirti se mi inseriranno realmente oppure no, ma intanto posso dirti quello che so dopo essere praticamente intromesso. Ho scoperto di Johnson qualche giorno fa, perché dopo la mia richiesta sono riuscito a partecipare a una delle riunioni in cui discutono del caso, delle varie teorie e via dicendo, ma prima di venire da te avevo bisogno di più informazioni. - Spiegò tossicchiando e girando verso di me lo schermo del computer. - Dai tabulati telefonici risulta che l'ultima persona con cui tua madre parlò prima di morire fosse proprio Vincent. Io non so cosa sai tu riguardo la sua morte, non so cosa vi sia stato detto, ma tua madre è stata uccisa Benjamin, non è morta per motivi di salute o malori improvvisi. La morte di Vincent, invece, sembra un suicidio. Si suppone che questo grandissimo figlio di puttana avesse qualcuno alle calcagna che lo stesse cercando, qualcuno con cui avesse dei grossi debiti e che fosse stato ricattato. E indovina un po' cosa usavano per farlo? Tua madre. -

Scossi il capo confuso e sospirai rumorosamente passandomi le mani sul viso e cercando di capire cosa stesse realmente succedendo. - Non capisco, c'è qualcosa che non mi torna. - Esclamai alzandomi in piedi e scostandomi da Victoria. Mi presi la testa tra le mani e cominciai a riflettere, camminando avanti e indietro per la stanza come un pazzo. Non riuscivo comunque a far combaciare i pezzi, c'era qualcosa che non andava, mancava qualcosa, ancora. - Questo non è possibile. - Dissi poi osservando Joseph. - Era Vincent ad avere in mano tutto, era lui a gestire i giri di droga ad Hamilton, perché dovrebbe essere stato ricattato? Da chi? Potrei immaginare il contrario, ossia che fosse lui a ricattare qualcuno perché gli doveva dei soldi. E poi perché uccidere mia madre? Perché proprio lei? Voglio dire a lui non fregava nulla di lei, cosa avrebbe dovuto comportare la morte di mia madre? - Più venivo a scoprire, più domande mi facevo, meno i conti tornavano. Avevo sempre pensato che a Vincent non importasse di mia madre, che lei fosse solo oggetto dei suoi giochetti, che fosse il suo tappa buchi, la distrazione dalla noia.

- Benjamin... – Katherine si rivolse a me dopo aver lanciato un'occhiata a Victoria e aver osservato lo schermo del pc attentamente insieme a lei. - Quando tua madre è stata trovata, aveva una... - Deglutì rumorosamente e chiuse gli occhi qualche istante, riaprendoli e osservandomi vacillando leggermente. - Aveva una fede al dito. Sulla fede c'erano incisi i nomi di tua madre e Vincent, e c'era una data. - Dopo quelle parole rimasi a fissare la mia amica fermo ed immobile, ad occhi spalancati e con il respiro incastrato in gola. Non poteva averci fatto una cosa del genere, non poteva averci distrutto in quel modo. Ci aveva pugnalati alle spalle e nonostante in quel momento sapevo fosse un fantasma, sentivo la sua presenza più che mai. - Dieci settembre duemiladiciotto. - Concluse mostrandomi il computer e la fede sulla sua mano. C'erano chiaramente le foto del ritrovamento, non potevano non esserci, e per non mostrarmi lei aveva fatto lo zoom sulla mano sinistra dove era visibile, nonostante la foto fosse poco nitida, la fede nuziale sull'anulare.

- Si sono sposati – Dissi sentendo il cuore iniziare a battere più veloce e il respiro rimase bloccato. Iniziai ad agitarmi sempre di più, sentendo le lacrime che pulsavano, le mani tremare, il cuore impazzire. Sentii la presenza di Victoria al mio fianco, tanto che quando aprii gli occhi mi accarezzò il viso, piegò la testa di lato e una lacrima bagnò la sua guancia pallida come la neve. - Si sono sposati, e io non lo sapevo – Dopo quelle parole Victoria mi abbracciò così forte che non riuscii a trattenere le lacrime, e mi aggrappai a lei sperando che mi salvasse, nonostante sapessi che fosse disperata tanto quanto me.

- Benjamin ascoltami, c'è altro – Disse Joseph facendomi stringere i pugni, così asciugai le lacrime e mi voltai a guardarlo. Pensai di essere così spezzato da suscitare la pena di tutti quanti, ma quel pensiero fui costretto a tenermelo per me, perché dovevo rimanere lucido, perché dovevo ascoltare il resto e non potevo crollare, non in quel momento. - Se pensi che sia troppo mi fermo, ci vediamo in un altro momento, magari quando ho... -

- No – Esclamai tirando su con il naso e sfregandomi gli occhi. - No, sto bene. Continua – Deglutii e aprii la dispensa di Leonard, tirando fuori il whiskey e versandomene un bicchiere. Lo buttai giù tutto in un sorso e strinsi gli occhi quando il liquido scese lungo il mio esofago, bruciando e sperando che bruciasse tutto quel dolore che mi stringeva il cuore quando pensavo alla mia famiglia.

- Ben sono soltanto le... - La voce di Victoria mi invitò ad alzare gli occhi su di lei e scuotere la testa, sollevare la mano e chiederle, anzi pregarla, di lasciarmi fare con un gesto. Vidi brillare l'anello di famiglia sul dito e per un momento pensai di togliermelo e lanciarlo via, dargli fuoco, liberarmene, per quanto mi sentiti tradito e umiliato da tutti quanti. Versai un altro bicchiere e chiusi gli occhi buttando giù un altro sorso, tanto che la mia ragazza si avvicinò e prese di nuovo la mia mano, come se ci tenesse a ricordarmi e rimarcare il fatto che lei fosse lì per me, solo ed esclusivamente per me.

- Avete mai sentito parlare del jitters and bliss? - Domandò Joseph rivolgendosi sia a me che alle ragazze.

Mi lasciai sfuggire una risatina isterica e lanciai uno sguardo a Victoria, che abbassò la testa e tossicchiò leggermente, guardando a sua volta Katherine. - La vera domanda dovrebbe essere: chi non lo conosce? -

- Lo frequentate? - Chiese ancora.

- Direi proprio di sì, papà. È il locale più conosciuto della città, ci andavamo spesso. Ogni tanto vado ancora io, con... - Sbiancò totalmente quando si rese conto di stare per pronunciare il nome di mio fratello con suo padre che la guardava aspettando una risposta. - Con Sammy. Cioè sai che io e Sam usciamo spesso e ci capita spesso di andare nei locali, tra quelli che frequentiamo c'è quello. -

- Ti taglio la testa Katherine – Esclamò il padre. - Tu stai frequentando un locale clandestino -

- Che cosa?! - Esclamò Victoria spalancando gli occhi.

- Oh wow, dovrei esserne stupito, ma la verità è che non lo sono affatto – Mi versai un altro bicchiere e scossi il capo ridendo per la disperazione. Sbattei la bottiglia sul tavolo e tossicchiai per poi portarmi il bicchiere alle labbra, sorridere, e buttare giù l'alcolico di nuovo.

- Sì – Disse Joseph. - Sembra che ci sia una porta, in uno dei corridoi che danno sul retro, in cui dovrebbe essere vietato l'accesso e dove c'è appostato il buttafuori. In realtà, entrando scendi di un piano e sotto c'è un night club, o qualcosa di peggiore. Sembra che Vincent avesse in mano un giro di prostituzione -

La prima cosa che feci, dopo quelle parole, fu voltarmi verso Katherine e osservarla di sottecchi mentre mi portavo il bicchiere alla labbra, tanto per capire se sapeva qualcosa o, peggio ancora, se mio fratello l'avesse coinvolta in quel faccenda, anche se non credevo potesse esserne capace. Amava Kateherine, non avrebbe mai permesso una cosa di quel tipo, ma volevo capire se lei ne era al corrente. La sua espressione mi sembrò sinceramente sorpresa, non sembrava sapere che probabilmente mio fratello fosse coinvolto in un giro di prostituzione.

In quel momento, ad ogni modo, non riuscii proprio più a trattenermi e scoppiai a ridere posando entrambe le mani sul tavolo e sbattendoci sopra la testa, forse anche con fin troppa forza. Rimasi fermo quando una fitta di dolore mi provocò una smorfia e Victoria, al mio fianco, chiese alla sua migliore amica e suo padre di lasciarci da soli. Sentii la porta di casa chiudersi con un rumore, Katherine sussurrare che ci saremmo visti più tardi e Joseph farfugliare di chiamarlo in caso di necessità, oltre che un mi dispiace.

Mi stavo crogiolando nella mia disperazione, non sapevo più dove sbattere la testa e ogni volta che volevo avvicinarmi a mio fratello, sentirmi a un passo da lui, qualcosa mi faceva fare retromarcia. - Così non posso – Bisbigliai rimanendo con la testa posata sul tavolo. - Così non ce la faccio, questo è troppo -

- Non ti arrendere Ben – Disse Victoria, di nuovo al mio fianco dopo aver accompagnato Kat alla porta, infilando le dita fra i miei capelli e baciandomi la testa. - Il ragazzo che conosco io, quello che io amo, mi ha insegnato a non mollare mai, per nessun motivo. È la tua famiglia Ben, continua a provare. Prima o poi accetterà di farsi aiutare. -

Alzai improvvisamente la testa e mi morsi il labbro scrollando le spalle, soffermandomi su un punto fisso nel vuoto, lo stesso vuoto che mi stava prosciugando e stava risucchiando ogni cosa attorno a me. - Non conosci mio fratello – Risposi arricciando il naso e sorridendo amaramente. - Se si è messo in testa che non devo sapere niente, allora così sarà, non saprò mai niente da lui. -

- E allora non andare da lui – A quelle parole mi voltai di scatto ad osservarla, scrutando nei suoi occhi e cercando di leggere nei suoi pensieri. Victoria si allontanò cominciando a camminare per la stanza e osservando soltanto i suoi piedi, a volte sembrava avesse paura a fare vagare lo sguardo, non era più come prima, non da quando sentiva quelle maledette voci. Teneva sempre la testa bassa, aveva smesso di osservare i dettagli attorno lei; le spalle ricurve, come se fosse impaurita e sentisse il bisogno di proteggersi in quel modo e, soprattutto, osservava dei punti fissi, cercava degli appigli, qualcosa che le facesse capire cosa era reale e cosa no. - Vai direttamente al nocciolo del problema. - Continuò con voce tremante e senza alzare la testa.

- Vic? - Domandai quando la vidi sobbalzare e stringersi le mani per smettere di tremare. - Ehi, tutto bene? -

- Come? - Tremava, tremava come una foglia. Aveva degli spasmi alla mano destra e cercava di tenerla ferma con la sinistra, ma tremava così tanto che era impossibile. Fissò un punto alle mie spalle e rabbrividì improvvisamente stringendo gli occhi e agitandosi. - Non posso stare qui – Disse all'improvviso terrorizzata.

- Vieni, andiamo a fare un giro – Allungai la mano invitandola ad afferrarla, ma lei rimase ferma e immobile a fissare il vuoto ad occhi spalancati, e capii che non avrebbe mai preso la mia mano. Così mi avvicinai io, lentamente e cercando di mettermi in mezzo fra lei e ciò che stava osservando, sperando di riuscire a catturare la sua intenzione, portandola via dal incubo. Afferrai la sua mano e la strinsi forte, posai l'altra sul suo viso e cercai i suoi occhi persi, spenti, colmi di ombre. - Sono qui – Le dissi con voce ferma e decisa.

- Ben dobbiamo andare via – Esclamò lei sull'orlo del pianto. - Dobbiamo andare via adesso, non possiamo stare qui -

- Victoria – Presi il suo viso fra le mani, forzandola proprio a guardarmi negli occhi. - Guarda solo me, io sono reale. Io sono qui, ascolta la mia voce e guarda me. Guardami negli occhi: non c'è nulla di cui preoccuparsi, sono qui – La tirai poi al mio petto e le coprii il viso abbracciandola. Rimanemmo stretti l'uno all'altra finché non sentii il suo cuore rallentare i battiti, i suoi nervi sciogliersi e il suo respiro rallentare. Smise di tremare, fra le mie braccia, nonostante dopo la crisi arrivarono le lacrime e si aggrappò alla mia maglietta, stringendomi forte come se lei sapesse che le stavo cedendo tutte le forze che mi rimanevano. Avrei voluto che respirasse un po' della mia vita, o almeno ciò che ne rimaneva, e che smettesse di versare lacrime costantemente. Avevo una tremenda sensazione, avevo paura che mollasse perché non sopportava la situazione, che si abbandonasse, che si lasciasse andare e che si arrendesse.

Quando finalmente alzò il viso, si asciugò le lacrime e sospirò allungandosi poi sulle punte e baciandomi una guancia. - Sei l'unica cosa reale, in questo mondo di incubi -

Sorrisi e affondai la testa nel suo collo, inspirando il profumo della sua pelle, dei suoi capelli, e del sorriso che aveva in quel momento, grazie a me. - Dai andiamo -

- E dove? - Domandò sollevando le sopracciglia e correndomi dietro quando le lanciai i suoi dottor martens che aveva lasciato sulla soglia della porta la sera precedente.

- A cercare Gabriel, ovviamente – Replicai con tutta la naturalezza del mondo.

- E dove pensi di trovarlo? - Chiese alzandosi in piedi e stiracchiandosi dopo che aveva allacciato le scarpe ed io avevo fatto lo stesso.

- In qualche parco a passeggiare e fumare sigarette fingendosi misterioso, sicuramente – La informai prendendola per mano e uscendo di casa. Feci tre giri di chiave e battei le palpebre voltandomi ad osservare Victoria che, per tutta risposta, mi fissava perplessa e anche abbastanza contrariata.

- Benjamin ci saranno mille parchi in tutta Stratford – Sospirò lei incamminandosi. - E poi magari sta lavorando -

- Come sei esagerata – Borbottai di rimando. - Giriamo tutti i parchi, tanto siamo in macchina, e se non lo troviamo da nessuna parte andiamo alla centrale a cercarlo. Se non è nemmeno alla centrale allora torniamo a casa, promesso – Alzai la mano e mi baciai il mignolino speranzoso e allungandolo verso di lei che, dopo aver scosso la testa e alzato gli occhi al cielo, lo afferrò e mi seguì verso la macchina.

***

Era da quando eravamo usciti di casa che mi sentivo osservato. Era una sensazione strana: mi sembrava di avere degli occhi perennemente puntati addosso, tanto che mentre giravo per i parchi tenendo Victoria per mano e vicina a me, mi guardavo attorno cercando di capire se mi stessi immaginando tutto oppure no. Ogni volta che mi sentivo qualcuno alle spalle, però, quando mi voltavo non vedevo nessuno. Forse stavo impazzendo, eppure da quando il mese precedente ero stato seguito, ogni volta che uscivo o mi spostavo mi sembrava sempre di avere qualcuno al mio fianco, o alle mie spalle.

Fu dopo aver girato cinque o sei parchi che lo trovammo proprio in quello in cui lo avevo visto la prima volta. Se ne stava appollaiato su una panchina, fumando una sigaretta e fissando la nuvola di fumo che usciva dalla sua bocca, quasi meravigliato. Avevo la sensazione che stesse osservando la regnatela di pensieri che lo attanagliavano e la costellazione di segreti che taceva. Sapevo nascondesse qualcosa, ma non avevo immaginato che potesse essere una cosa del genere. Mi domandai come dovesse essere recitare costantemente un ruolo che non ti apparteneva, come si dovesse sentire a fingere di essere qualcuno che non era, e se si sentisse in colpa nei confronti delle persone a cui mentiva costantemente. - Mi sono sempre chiesto come sia fare l'attore – Esordii saltando sulla panchina dalle sue spalle e piombando al suo fianco come se nulla fosse. Victoria si sbatté la mano in fronte e scosse il capo in modo arrendevole, facendomi chiaramente intendere che sarebbe rimasta fuori dalla faccenda. Andò a sedersi sul muretto alle nostre spalle, accendendosi una sigaretta e mettendosi a giocare con il cellulare, lasciandoci soli. - Se riuscirei a fingere di essere qualcuno che non sono, più che altro – Dissi posando le braccia sullo schienale della panca.

Gabriel scoccò la lingua sul palato e sorrise ironicamente, poi si voltò ad osservarmi e lanciò il mozzicone a terra pestandolo con il piede un istante dopo. Arricciò il naso e piegò la testa di lato indicandomi, scosse il capo e alla fine sospirò incrociando le braccia al petto e deglutendo contrariato. - No – Esclamò dopo avermi analizzato a fondo con lo sguardo. - Decisamente non ne saresti in grado. Recitare è un'arte, un talento del quale purtroppo tu non sei particolarmente dotato. - Ridacchiò passandosi una mano sotto al naso e tornando a fissare il vuoto.

- Però tu potresti insegnarmi – Risposi voltandomi ad osservare i suoi biondi capelli che si muovevano nel caldo vento estivo di luglio. - In fondo sei bravo nel tuo ruolo, almeno così mi è sembrato di capire -

Gabriel tossicchiò e ridacchiò. Sembrava divertito, in tutta onestà, anche se non capivo cosa ci fosse di tanto divertente nell'essere scoperto in quel modo. - Questa roba non fa per te piccolo Walker, torna a giocare con le bambole -

- Dimmi un po' agente, come si sentirebbe mio fratello a scoprire che il suo migliore amico è uno 007 che lo sta spiando? - Domandai incrociando le braccia al petto senza smettere di fissarlo.

- Cosa ti fa essere tanto sicuro che tuo fratello già non lo sappia? Non è ingenuo come tu pensi – Replicò scrutandomi in viso per la prima volta dopo diversi minuti.

- Facciamo un gioco – Gli dissi posando i gomiti sulle ginocchia e fissandolo battendo le palpebre. - Tu ora mi dici tutto quello che sai su mio fratello e io non ti prendo a cazzotti, ok? -

- Stai minacciando un agente dell'FBI per caso? - Chiese sollevando le sopracciglia e rivolgendo di nuovo i suoi occhi verdi a me.

- Chiamala minaccia, ricatto, imprevisto del monopoli, avvertimento, come ti pare insomma. Basta che vuoti il sacco, perché sono stanco dei tuoi sporchi giochetti. - Sbottai assottigliando gli occhi ad una fessura.

- Lo vedi perché ho sempre detto che tu devi rimanerne fuori? - Esclamò lui ridendo e infilandosi in bocca una chewingam. - Questa è la dimostrazione che io ho sempre ragione, e su certe cose non sbaglio mai. Sei così stupido Benjamin. Sai perché non potresti mai essere al mio posto? - Domandò sorridendo e facendo ciondolare la testa. - Perché sei troppo impulsivo. Se tu riuscissi a controllare questa tua impulsività e questo tuo modo di essere irascibile, questa cosa che non riesci gestire la tua rabbia, allora forse, ma sottolineo forse, saresti più partecipe in questa cosa. Forse potresti riuscire a gestire la situazione, se solo avessi meno attacchi di rabbia. Controllo Walker, ecco cosa ti manca, il controllo. -

- Bla, bla, bla quante parole inutile – Roteai gli occhi infastidito e mimando il gesto con la mano e sbuffando scocciato. - Parla biondino, la mia pazienza ha un limite. -

- Te lo propongo io un gioco – Disse improvvisamente e accavallando la gambe. - Che ne dici se facciamo un gioco di ruolo e mi dicessi cosa faresti tu al posto mio, con le informazioni che hai? -

- Ma pensi che sia un imbecille per caso? - Tuonai sollevando le sopracciglia. - Se vuoi sapere quello che so basta chiedere, senza queste stronzate. So chi sei tu, so che mia madre è stata uccisa e si è sposata con Vincent e che pare che lui si sia suicidato. So dei ricatti mentre Ryan era in prigione, so del locale clandestino e del giro di prostituzione... So tutto, tanto vale vuotare il sacco. -

- Abbiamo fatto progressi vedo – Sospirò il ragazzo. - Ma io ti avevo detto che dovevi restarne fuori. Tu lo sai cosa succede adesso vero? Con tutte queste informazioni ora dovrò occuparmi pure di voi squilibrati che non fate altro che mettere il becco dove non dovete. Se vi ho chiesto di non immischiarvi un motivo c'è, ma tu no devi fare l'eroe e salvare tutti, ma lascia che ti dica una cosa piccolo Walker – Disse alzandosi in piedi e infilandosi le mani in tasca. Rimasi seduto ad osservarlo dal basso verso l'alto e cercai di captare il più possibile dalle sue parole, ma continuava a girarci intorno senza dirmi nulla, in sostanza. Era una perdita di tempo, almeno fino a quel momento, non sarei mai riuscito a farlo parlare, ero inutile. - Non puoi salvare sempre tutti e forse, prima di pensare a fare superman, dovresti iniziare a pensare un po' di più, a riflettere su quello che sai e quello che ancora devi sapere. Gli eroi non sono sempre quelli che vincono, a volte perdono, altre si fanno di parte, ed è per questo che si chiamano eroi. In questo momento, tu mio caro, sei soltanto un pagliaccio. -

Dopo quelle parole mi alzai di scatto e lo tirai per il colletto della sua maglietta, fino a farlo indietreggiare e sbattere contro l'albero. - L'unico pagliaccio qui sei tu – Sibilai a denti stretti. - Se fossi così bravo nel tuo lavoro non ti saresti fatto scoprire da me, uno povero stupido come pensi tu. -

Gabriel scoppiò a ridere e mi spinse via con un gesto così fluido che barcollai leggermente e fui costretto a fare attenzione a non inciampare nei miei stessi piedi perdendo l'equilibrio. - Forse volevo farmi scoprire – Disse alzando le braccia al cielo. - Forse perché ti ho sopravvalutato e ti credevo meno stupido di quel che in realtà sei. - Scosse il capo e portò il viso al cielo imprecando e calciando apparentemente il nulla. - Ti avevo detto che dovevi levarti dalle palle maledizione a te, non lo capisci che devi stare attento? Devi smetterla di cercare, smetterla di fare domande e piombare da me o tuo fratello credendo di sapere tutto quando non sai un cazzo! - Gridò indicandomi. - Ti ho avvertito, ti ho detto che c'era un pericolo e che dovevi guardarti le spalle e te lo ripeto per l'ultima volta. E anche lei, porca puttana! - Era su tutte le furie, sembrava impazzito, sembrava avesse tagliato il filo bocca cervello. - Cosa cazzo ci fa lei qui con te? Pensa a lei, resta con lei e lascia fare a me. Mi occuperò io di tuo fratello, stanne fuori. -

- Mi dispiace informarti che ormai è troppo tardi – Dissi deglutendo e sentendo di nuovo la sensazione che qualcuno ci stesse osservando.

- Che vuoi dire? - Domandò avvicinandosi di un passo e sollevando le sopracciglia.

- Che non posso più starne fuori visto che mi hanno seguito un mese fa. Vorrei almeno sapere a chi devo stare attento – Sospirai scuotendo il capo e provando a darmi una calmata. - E ho la sensazione che mi abbiano seguito anche adesso -

- Via di qua – Sibilò stringendo gli occhi ad una fessura e serrando la mascella respirando profondamente. - Ti dirò cosa farai adesso: ti allontanerai, fingendo che la conversazione sia finita, prenderai Victoria, la porterai a casa e festeggerai il tuo compleanno con la tua famiglia e i tuoi amici. Magari anche tuo fratello, mi faresti un favore -

- Non ho intenzione di fare la tua puttana, Gabriel – Gli dissi deglutendo e lanciando un'occhiata a Victoria che osservava la scena con la testa piegata di lato e una sigaretta tra le dita.

- Puoi fare una buona volta quello che ti viene detto senza rompere i coglioni? - Sbottò spintonandomi e guardandosi attorno freneticamente. - E magari rivolgiti a chi di competenza quando ti inseguono – Sospirò poi esasperato. - Vai adesso, veloce. E non guardarti attorno, fai finta di niente. -

Scossi il capo, con l'intenzione di rispondere, ma lui continuava e fissarmi con aria truce e a lanciare occhiate a Victoria, che in compenso lo fissava come se volesse dargli fuoco.

Alla fine, però, per una volta feci esattamente come mi aveva detto e presi Victoria per mano, portandola a casa e passando il resto della giornata con lei.

All'ora di cena, come previsto, tornammo a casa mia insieme a tutti gli altri, per festeggiare il mio compleanno come Elizabeth, Leonard e Arthur desideravano. Il regalo più bello che potessi ricevere fu proprio quella cena, con tutte le persone che amavo, perché riuscii a percepire l'amore che ci univa e, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sentii vivo e spensierato, libero.

La presenza di Ryan mi fece ripensare alla nostra infanzia, alla felicità infantile che avevamo e portavo ancora nel mio cuore.

Carter stappò lo spumante, frantumando un bicchiere perché il tappo ci sbatté contro e cadde a terra; Sam si preoccupò di lanciare torta in faccia in tutti, divertendosi più del dovuto e suscitando la rabbia di tutte le ragazze, che però alla fine si misero a ballare tra le risate e ritmo della musica, nonostante la panna nei capelli. Mentre osservavo Victoria ballare con Vanessa e Katherine, spensierata e fra le risate, mi resi conto di quanto quei momenti mi mancassero, di quanto fossimo in grado di perderci nell'effimera felicità che l'uno donava all'altro.

Mentre ridevo insieme ai miei amici e suonavo il pianoforte cantando a squarciagola immerso in quella bolla mi resi conto di quanto tutto ciò fosse fragile, e di quanta arte e purezza ci fosse in quel momento. Non sapevo quanto sarebbe potuta durare tutta quella gioia, ma con loro in quel momento riuscivo solo a soffermarmi su quanto amore ci fosse, su quanto ci mancasse sentirci così liberi.

Mi sentivo come quando correvo sulla spiaggia, con il profumo di salsedine e il rumore delle onde del mare, con la luna che mi donava libertà. Respirai a pieni polmoni tutte quelle emozioni, per una volta, forse perché mi aspettavo che sarebbe sfuggita presto tutta quella gioia e che sarebbe tornata la malinconia, la tristezza, l'ansia.

Osservai quell'opera d'arte creata dalle risate più pure, quelle che portano alle lacrime, e pensai a quanta arte ci fosse nell'essere fragili. Pensai a quanto fondamentale godersi il presente perché ogni volta che vivevamo quei momenti era come la prima, l'ultima e forse l'unica della nostra vita.

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