UNCONDITIONALLY

By wendygoesaway

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L'amore salva, oppure uccide? ⚠️⚠️⚠️ Trigger warning ⚠️⚠️⚠️ Ci sarebbero un'infinità di motivi per cui inser... More

CAPITOLO UNO - silence
CAPITOLO DUE - rebirth
CAPITOLO TRE - tko
CAPITOLO QUATTRO - dawn
CAPITOLO CINQUE - wake up
CAPITOLO SEI - blind
CAPITOLO SETTE - hurricane
CAPITOLO OTTO - wonder
CAPITOLO NOVE - ruthless heart
CAPITOLO DIECI - rondini al guinzaglio
CAPITOLO UNDICI - monster
CAPITOLO DODICI - fra mille baci di addio
CAPITOLO TREDICI - only for the brave
CAPITOLO QUATTORDICI.1 - stand tall
CAPITOLO QUATTORDICI.2 - stand tall
CAPITOLO QUINDICI - point break
CAPITOLO SEDICI - ghost riders
CAPITOLO DICIASSETTE - fiori di Chernobyl
CAPITOLO DICIOTTO - treading water
CAPITOLO VENTI - city of fallen angels
CAPITOLO VENTUNO - paper moon
CAPITOLO VENTIDUE - l'arte di essere fragili
CAPITOLO VENTITRE - if the world was ending
CAPITOLO VENTIQUATTRO - ENDGAME.
CAPITOLO VENTICINQUE - a forma di origami
CAPITOLO VENTISEI - angels and demons
CAPITOLO VENTISETTE - under my skin.
CAPITOLO VENTOTTO - till the last breath
CAPITOLO VENTINOVE (prima parte) - piccola stella senza cielo
CAPITOLO VENTINOVE (seconda parte) - piccola stella senza cielo
CAPITOLO TRENTA - loner
CAPITOLO TRENTUNO - interlude
for you
CAPITOLO TRENTADUE - la di die
CAPITOLO TRENTATRE - sweet lullaby
CAPITOLO TRENTAQUATTRO - TELL ME ABOUT TOMORROW
CAPITOLO TRENTACINQUE - YA'ABURNEE
CAPITOLO TRENTASEI - NEW MOON
!!!
EPILOGO - BANYAN TREE
GRAZIE

CAPITOLO DICIANNOVE - farfalla d'acciaio

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By wendygoesaway

Ricordo a tutti che, se lo voleste, potete contattarmi in privato per entrare nel gruppo WhatsApp 🌸
Instagram: iamilaa_
Abbiamo creato delle pagine Instagram dei personaggi, vi lascio i nickname qui, se andaste a seguirli sarebbe bellissimo 💙
Vic: moonchild.vic
Ben: ben.oakwood
Sam: sam.stories
Buona lettura! 💘

🔴🔴 ATTENZIONE: TW!!! 🔴🔴
Mi spiace avvisarvi che, purtroppo, per questo capitolo è stato necessario mettere il TW. Ci terrei a dirvi che, nel caso aveste bisogno, potete tranquillamente fermare la lettura. Posso capire se non ve la sentiste di continuare, è delicato e confuso. Prendetevi tutto il tempo, leggete CON CALMA, cercate di capire al meglio che potete. Probabilmente alcune cosa saranno poco chiare ma sappiate che è tutto VOLUTO E FATTO APPOSITAMENTE IN QUESTO MODO. Se avete domande lasciatele pure a fine capitolo, risponderò appena possibile. <3
PS: nel caso in cui dovessero essere presenti errori di battitura, perdonatemi. Ho cercato di rileggere abbastanza velocemente per evitarli, ma potrebbero essercene ancora.

ci tengo ad aggiungere un'ultima cosa. ricordatevi: qualsiasi cosa stia accendendo, non siete soli. lottate e non arrendetevi, se cadete potete rialzarvi. dovete solo seguire la luce della luna, e ricordatevi che se per caso doveste sentirvi persi, non sarà mai troppo tardi per ritrovarvi. NON SIETE SOLI!
vi voglio bene, se aveste bisogno la mia chat è sempre aperta.
ila
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CAPITOLO DICIANNOVE – farfalla d'acciaio

"Si posa una farfalla sulla spalla, ed io non posso darle altro se non un addio. Che il suo destino è fragile come la forza, ma dice che oggi vola ed è li la ricchezza."

victoria

Quella mattina a darmi il buongiorno era stata una farfalla bianca che svolazzava delicata nel vento primaverile, quasi estivo, di Giugno. Quel tipo di farfalla, si poteva spesso intravedere quando sbocciavano i fiori: era bello ammirarle posarsi delicatamente sui petali colorati e profumati, era come se quella macchia bianca rappresentasse la purezza assoluta. Mentre osservavo le farfalle riuscivo a pensare a quanto troppo pure per il nostro mondo, quando delicati e forti al tempo stesso potessero essere. Il loro ciclo vitale era breve, forse il più breve fra tutti gli esseri viventi, ma la loro anima immortale donava delicatezza e purezza a chiunque si permettesse di prendersi del tempo per osservarle.

Era stato Sammy a parlarmi del significato metaforico delle farfalle per la prima volta. Secondo la cultura cinese, la farfalla è il simbolo dell'immortalità dell'anima, non importa di che colore siano. Una delle leggende legate a loro racconta che le anime delle persone che abbiamo amato e, purtroppo, non sono più in vita, sfruttino le farfalle per andare a fare visita ai propri cari. Quella bianca in particolare, invece, simboleggiava la rinascita interiore. Sammy diceva che vedere farfalle bianche era una cosa positiva e significava che qualcosa dentro di noi stava cambiando, che sarebbe andato tutto bene e che vederla essendo colti completamente alla sprovvista indicava che lei era lì proprio per noi. Fu per quello che osservare quella farfalla mi aveva fatto pensare che fosse lì per me ma, nonostante mi avessero detto che fosse simbolo di rinascita, io riuscivo soltanto a pensare che fosse venuta da me per mandarmi un messaggio, un segnale. Pensavo che mi stesse dicendo proprio che quella era la mia farfalla, nel senso che la mia anima presto sarebbe stata in quella fragile e bellissima creatura, perciò invece che essere felice di aver avuto una farfalla posata sul dito, riuscivo solo a pensare a quanto stanca fossi di continuare a scappare.

Credevo che dopo aver riavuto Benjamin al mio fianco i miei incubi sarebbero finiti, ma non era così. Credevo che stando con lui giorno e notte mi sarei sentita al sicuro, protetta, e non avrei più avuto la necessità di scappare, ma mi sbagliavo. I cavalieri continuavano a perseguitarmi, nonostante Benjamin, nonostante Sam e nonostante tutti quanti stessero cercando di farmi capire che non avevo alcun bisogno di sparire, non più. Sentivo la loro presenza alle mie calcagna, erano vicini ma lontani al tempo stesso, una costante nella mia vita da settimane, da un mese a quella e, nonostante i miei svariati tentativi, non riuscivo a liberarmene. Per quello ero molto stanca, perchè vivevo la mia vita fuggendo da loro ormai, e non ce la facevo più. Mi domandavo spesso cosa stessero aspettando, perchè non mi avessero ancora portata via e per quale motivo mi stessero torturando in quel modo spaventoso costantemente, tanto valeva farmi sparire. Sembrava quasi che si divertissero a sentirmi urlare per mandarli via notte dopo notte, temporale dopo temporale.

In quel momento, ad ogni modo, stringevo i pugni al petto e mi mordevo le labbra sdraiata sul lettino della studio medico del dottor Dustin. Stavo facendo ballare le gambe nervosamente, perchè mi sentivo terribilmente strana da quando avevo aperto gli occhi. Un paio di notti precedenti c'era stato un altro temporale e i cavalieri non avevo mancato di farmi notare quanto si divertissero a giocare con me, tanto che ero ancora turbata e, chiudendo gli occhi, riuscivo ancora a sentire l'eco delle loro risate, il rumore degli zoccoli, lo scoccare delle fruste.

- Allora – La voce roca del dottore mi portò a sobbalzare per lo spavento, anche se non ne sapevo il motivo. Probabilmente ero così distratta dai miei pensieri e agitata che l'improvviso richiamo della mia attenzione mi aveva colta fin troppo alla sprovvista. - Com'è andata la tua settimana, Victoria? - Domandò semplicemente.

Voltai il capo portando lo sguardo su di lui. Il dottor Dustin era un uomo ammirevole, degno di stima e molto paziente. Era tanto tempo che mi seguiva e mi aveva sempre portata sul palmo della mano, cercando di farmi sentire il più possibile a mio agio. C'era sempre stato il rapporto tra paziente e medico, aveva tentato di instaurarlo fin da subito, e proprio per quel motivo ormai riuscivo a parlargli liberamente senza sentirmi giudicata. - Stancante – Risposi sospirando e osservandolo con gli occhiali posati sul naso e le gambe accavallate.

Era seduto su una sedia accanto al divanetto sul quale mi aveva invitata a sdraiarmi, e mi osservava con attenzione, cercando di captare le mie emozioni anche dai miei movimenti. - Posso chiederti come mai? -

A quel punto mi tirai su a sedere e battei le palpebre portando lo sguardo nel vuoto, dritto davanti a me. Gli avevo già parlato dei cavalieri in precedenza, per cui non si sarebbe stupito se glieli avessi menzionati un'altra, almeno pensavo. Il fatto era che non c'era solo quello a preoccuparmi, mi aveva turbata anche quella farfalla e non riuscivo a capirne il motivo. - Mi devo sempre nascondere, quando piove. - Bisbigliai. Ripensando alla notte di qualche giorno prima, mi tornarono i brividi. Mi colsero così intensamente che sentii la necessità di chiudermi a chiocciola e abbracciare le mie stesse gambe, come se il solo ricordo di come avevo passato quella notte potesse essere in grado di farli tornare anche in quel momento in cui la luce avrebbe dovuto darmi un po' di pace. Con la luce del sole, senza temporale e senza pioggia, non avrebbero dovuto esserci, ma in quel momento li sentivo così vicini che avevo la sensazione che uno di loro stesse percorrendo la mia spina dorsale con il dito indice, tanto che sentii un intenso e spaventoso brivido percorrerla, costringendomi a rannicchiarmi di più, a chiudere gli occhi e a trattenere le lacrime. - Io ci provo a scappare per evitare che mi raggiungano, ma li sento sempre più vicini. - Sussurrai con voce tremante. - Arriveranno presto: quando si stancheranno di giocare con me e inizierò ad annoiarli invece che divertirli, verranno a prendermi e allora sarà inutile per me correre, mi prenderanno. Non importerà quanto correrò veloce, mi prenderanno lo stesso. -

- Chi è che arriverà presto, Victoria? - Mi chiese con voce ferma e decisa. Sembrava che non fosse più di tanto stupito dalle mie parole. Non lo potevo vedere, ma la voce era rimasta impassibile e, a differenza dell'espressione preoccupata che faceva Sam o del modo incredulo in cui mi guardava sempre Richie, o gli occhi vacillanti di Benjamin, sembrava mi credesse e per un momento non mi sentii più strana.

- I cavalieri. - Risposi soltanto. Alzai leggermente il capo, nascondendo il viso fra i capelli e guardando il dottore di sottecchi, quasi temessi la sua reazione. Era ovvio che nessuno li vedesse a parte me: se li avessero visti significava che sarebbero dovuto scappare anche loro, perchè avrebbero preso anche loro. Chiunque poteva vederli sapeva che prima o poi sarebbe toccato a lui, che sarebbe arrivato il suo momento. Da una parte ero contenta di essere la sola a vederli, almeno avevo la certezza assoluta che le persone che amavo avrebbero avuto una vita felice. Però io ero tanto stanca, mi sentivo sempre più senza forze, e se le avessi perse del tutto non mi sarei più potuta godere gli istanti che mi rimanevano accanto a Ben, a Sam, alle mie migliori amiche, ai miei genitori e a tutte le persone a cui volevo bene. Stavo cercando di resistere e tenerli lontano quanto più mi fosse possibile scappando e nasconendomi, per restare con loro più a lungo possibile ed imprimere nei miei ricordi il suono delle loro risate, il calore dei loro abbracci e la luce racchiusa nei loro occhi, ma mi risultava sempre più difficile, proprio perchè erano sempre più vicini e soprattutto perchè, dato che loro non li potevano vedere, non potevano comprendere quanto fosse fondamentale per ogni loro piccolo gesto. - Vogliono portarmi via. -

A quel punto prese un respiro profondo e si tolse gli occhiali, scrocchiando poi la schiena e posando i gomiti sulla ginocchia fissandomi più intensamente. - Ti hanno anche detto quando arriveranno? - Domandò assottigliando gli occhi ad una fessura.

In quel momento, la sua espressione, mi ricordò estremamente Sean, il padre di Sam. Non sapevo bene per quale motivo, ma il modo in cui entrambi mi ascoltavano sempre, il modo in cui osservavano ogni mio singolo movimento, faceva sì che li collegassi. Senza contare che avevano la stessa sfumatura negli occhi, lo stesso tipo di sguardo. Era come se non volessero mai perdersi nulla di ciò che veniva loro detto. - No – Gli dissi. - Loro non mi parlano mai. - Spiegai timidamente. - Ma stamattina una farfalla bianca mi si è appoggiata sul dito e io sono rimasta a fissarla finchè non è volata via, è stato lì che ho capito. -

Il dottore aggrottò le sopracciglia e battè le palpebre incuriosito. Arricciò il naso e piegò la testa di lato tentando di comprendere. Per un istante ebbi la sensazione che stesse tentando di leggermi la mente, attraverso quello sguardo, ma poi tossicchiò e si rimise gli occhiali, osservando il suo taccuino e sfilando la penna dalla tasca della sua camicia. - Ed è stata la farfalla ad aiutarti a capire che sarebbero tornati da te? -

Annuii lentamente e tornai a fissare il vuoto, perdendomi nel ricordo della farfalla che svolazzava fino a posarsi sul mio dito. Era stata così delicata che quasi non l'avevo sentita, se non fosse stato per il solletichio causato dalle sue zampette e perchè l'avevo vista pochi istanti prima che venisse da me, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorta. - Sì – Bisbigliai. - Mi hanno voluto mandare un messaggio perchè se c'è il sole loro non possono venire da me. - Gli spiegai senza smettere di pensare a quella farfalla. Il pensiero era così intenso che mi sembrava quasi che si fosse materializzata davanti ai miei occhi. Mi soffermai a guardare il dito della mano sulla quale si era posata, e fissandolo intensamente mi sembrava ancora di poter vederle le sue ali bianche sbattere leggermente davanti ai miei occhi. - La farfalla bianca indica la rinascita. - Continuai dando voce ai pensieri che mi avevano accompagnata nel suo studio e che mi avevano causato quella terribile sensazione di inquietudine. - Questo mi ha fatto pensare tanto. Ormai è più di un mese che mi nascondo sempre quando piove, ecco perchè penso che presto si stancheranno e arrivanno. Per rinascere devi prima morire, o comunque smettere di esistere. La farfalla voleva dirmi che sarei rinata, sì, ma di conseguenza prima dovrei sparire. Ciò vuol dire che loro stanno venendo a prendermi e che presto sarà come se non fossi mai esistita. Rinascerò come farfalla bianca, magari sarò proprio dentro di lei, per questo è venuta da me. -

- Stai dicendo che morirai? - Mi chiese con voce dolce e ferma.

- Sì – Replicai convintissima di quello che stavo dicendo. Ormai ero sicura che sarebbe accaduto, anche se purtroppo non mi era concesso sapere quando. - Quando i cavalieri mi prenderanno io morirò e sarà in quel momento che diventerò una farfalla. Dopo tutto le farfalle mi piacciono, anche se penso che sia una creatura troppo pura per una persona come me. -

- Ma lo sei anche tu. Tu sei una persona molto forte, riuscirai anche a liberarti dei cavalieri, ne sono sicuro. La farfalla voleva dirti che andrà tutto bene, non di certo che morirai. Non ricordi che vedere una farfalla bianca è un buon segno? - Mi disse sorridendomi dolcemente.

Lo stavo guardando negli occhi per tentare di capire se quelle cose le pensasse sul serio oppure se fossero parole di circostanza, dette solo per consolarmi. - Non puoi liberarti dei cavalieri della caccia selvaggia. - Dissi al dottor Dustin sperando che, almeno lui, mi capisse. - Una volta che li vedi, una volta che li senti, è solo questione di tempo prima che vengano a prenderti. È una caccia, prima si divertono a vederti scappare e poi, quando si stufano e scelgono una nuova preda, ti prendono e ti portano via. - Gli spiegai sospirando. - Hanno scelto me perchè sanno che io non sono poi tanto pura e innocente come sembro. Ho permesso a mio padre di portarsi via la mia innocenza, di sporcarmi per sempre. Ha quasi ucciso Benjamin, per colpa mia, senza contare che sono stata io a sparare il colpo che gli ha tolto la vita. Non sono tanto meglio di ciò che era lui, e loro lo sanno, ecco perchè mi hanno scelta e non mi lasceranno in pace finchè non sparirò unendomi alla caccia, oppure morendo, proprio come voleva dirmi quella farfalla. So di meritarmelo, lo merito così tanto che la sera prima di addormentarmi prego Dio per far sì che non mi svegli mai più. Vorrei semplicemente non essere me stessa, vorrei essere diversa da ciò che sono, ma la verità è che io sono questa, da sempre. La mia innocenza è morta, mi hanno sporcata per sempre. -

- Non è colpa tua Victoria. - Mi disse lui. - Niente di ciò che accade nelle nostre vite, in nessun modo, è colpa nostra. Quello che ti è successo ti ha portato tanto dolore, ma tu sei fortissima, sei una delle persone più forti che abbia mai conosciuto, supereremo tutto, vedrai. -

- Sciocchezze. - Una voce forte, scocciata e fin troppo famigliare mi fece perdere un battito. Distolsi lo sguardo dagli occhi del dottore e quando lo posai sulla soglia della porta, rimasi con il respiro incastrato in gola, tremante, senza riuscire più a muovere un solo muscolo. Sentii il sangue pompare al cuore con così tanta forza che tutto il resto sparì perdendo di significato e facendo sì che dimenticassi quello che il dottor Dustin stava tentando di dirmi. La pelle d'oca tornò a farsi sentire, più di prima, il cuore batteva così velocemente che non riuscivo a sentire altro, il rumore dei suoi battiti copriva persino la voce del medico davanti a me. Con la coda dell'occhio lo vidi voltarsi a fissare il punto che stavo fissando io, e mi chiesi come potesse essere possibile, una cosa del genere. Era tutto così assordante che mi fischiavano le orecchie. - Sono sciocchezze e tu lo sai, bambina mia. Sai benissimo qual è l'unico modo per salvarti, lo hai sempre saputo. - Mio padre entrò nella stanza guardandomi negli occhi e sorridendomi con un'espressione a dir poco crudele sul viso. Non sembrava per niente arrabbiato con me per avergli sparato, sembrava lo stesso Paul Illman di sempre. Il mio papà, era sempre lui ed era proprio lì, davanti a me. Aveva allungato la mano verso di me, dovevo solo afferrarla, ma ero talmente sconvolta che non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Guardandolo potevo ancora vedere il sangue di Benjamin sulle mie mani, la pozza di sangue da cui era circondato. Potevo ricordare i mesi di silenzio, il dolore insaziabile che si nutriva di me come un parassita e che sentivo ancora, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto. - Devi venire con me. L'unico modo per salvarti è afferrare la mia mano e venire via con me, lo sai. Lo hai sempre saputo, mia piccola e innocente regina. -

- Non può essere – Sussurrai con voce tremante e occhi spalancati. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi fissando la sua mano ancora tesa verso di me. Ero tentata di allungarla e provare ad afferrarla, stringerla per capire se fosse davvero lì. Se fossi riuscita a stabilire un contatto significava che era vivo, e onestamente avrei anche provato a farlo ma ero terrorizzata. Lui mi terrorizzava ancora. Il suo sguardo mi terrorizzava sempre, anche quando non c'era. Sarebbe stato vivo in eterno per me, non ci sarebbe mai stato modo di dimenticare quegli occhi, il modo in cui mi guardava, era impossibile. - Tu sei morto. -

- Forse – Replicò sorridendo. - O forse no. - Il sorriso si trasformò presto in una risatina che mi fece gelare il sangue nelle vene. Aveva lo stesse sguardo che aveva la sera in cui sparò a Benjamin, l'ultima sera in cui lo vidi, gli stessi occhi che fecero crollare il mondo di Sam, tutta la sua vita e tutto ciò che aveva.

A quel punto mi alzai di scatto e quando lui fece un passo indietro per afferrarmi, corsi via, uscendo dalla porta come una pazza e sentendo il dottor Dustin urlare il mio nome, seguito dal mio gemello che sapevo benissimo fuori dallo studio ad aspettarmi. Mentre correvo fuori come una disperata mi resi conto di stare piangendo e mi domandando come mi sarei dovuta sentire dopo averlo visto, non riuscivo a capire come mi sentivo, o forse non lo volevo capire davvero. Mi facevo paura da sola, a dire a verità, e scoprire o tentare di trovare una spiegazione, un motivo, mi spaventava più del dovuto. Non volevo mettermi a cercare cosa c'era nascosto nel mio cuore, pervchè avevo il terrore di essere diventata ciò che avevo sempre odiato, e non lo volevo affatto scoprire. Per tutto quel tempo avevo solo immaginato un'ultima conversazione con mio padre, una in cui si scusava per avermi rubato l'innocenza, in cui mi diceva che gli dispiaceva e che se fosse tornato indietro nel tempo sarebbe stato il padre che meritavo di avere, l'eroe che ogni bambina doveva avere. Volevo che mio padre fosse l'uomo della mia vita, come lo era di tutte quelle bambine a cui brillavano gli occhi quando parlavano del papà, ma a me invece che esplodere il cuore di gioia per avere avuto un padre meravoglioso, veniva solo voglia di morire di dolore. Per tutti quei mesi, nonostante ciò che mi aveva fatto, mi ero sentita in colpa per avergli sparato, per avergli tolto la vita, per averlo lasciato in una pozza di sangue mentre io fissavo il nulla, il vuoto totale, e l'ambulanza portava via Benjamin dalle mie braccia mentre i paramedici si occupavano di mio padre. Per tutto quel tempo pregavo dio che mi perdonasse per avere ucciso la persona che mi aveva dato la vita, ma lui era vivo. Sollevai le mani e le vidi ancora rosso scarlatto: il sangue di Benjamin, il sangue che aveva versato mio padre per colpa mia. Non avrei mai voluto sparare, non avrei mai voluto fargli del male come lui ne aveva fatto me, non lo avevo fatto apposta era stato un gesto inconscio. Non mi ero resa conto che quel colpo di pistola era il mio, non finchè Sam non aveva urlato il mio nome. Mi sentivo come se fossi tornata a quella sera, Sam dietro di me che mi chiamava in continuazione pregandomi di fermarmi, ed io che correvo, senza sosta, senza fiato, scappando da mio padre. E Sam continuava a urlare il mio nome anche in quel momento, coperto dalla voce di mio padre, provocando solo un enorme caos nella mia testa, un tormento al quale non riuscivo a mettere fine.

- Puoi correre quanto vuoi – Lo sentii al mio fianco ed era così vicino che la sua voce mi provocò brividi lungo tutta la spina dorsale. - Tanto sai che ti troverò sempre. -

- Victoria! - Sam mi chiamava a gran voce, disperatamente e urlando a pieni polmoni, così forte che temevo si lacerasse le corde vocali. - Fermati ti prego! -

- Dagli ascolto bambina mia – Ridacchiava invece Paul divertito. Non era cambiato: non sarebbe mai cambiato, sarebbe stato per sempre l'uomo crudele che conoscevo. - Fermati e vieni con me. Ti prometto che non soffrirai più. Ti porterò a scoprire un posto dentro te in cui non sei mai stata, ti porterò a scoprire quella che non sei e non sarai mai, se vieni con me. Staremo bene insieme, ti salverai. Devi solo prendere la mia mano. - Continuò mentre io respiravo affannosamente, nel panico, tremando come una foglia e singhiozzando. Avevo esaurito le forze, mi girava la testa. Ero viva o morta?

Continuavo a vedere le mie mani macchiate dei miei stessi peccati, non ce la facevo più. Come avevo fatto a ridurmi in quello stato? Come era possibile? Che cosa avevo che non andava?

Ero pazza. Ero soltano una povera pazza, non c'era altra spiegazione. Mi chiesi se ci fosse una soluzione a tutto quel disastro che avevo combinato, ma poi mi resi conto che l'unico rimedio contro la pazzia era la morte.

- Ti porterò in qualsiasi posto tu voglia. - Tentò di afferrarmi per il braccio ma io sfuggii alla sua presa scuotendo il capo e serrando i denti da quanto desiderassi mettermi ad urlare per scacciare il demonio. Perchè la verità era che lui era il diavolo in persona. Bruciava all'inferno fra le ceneri dei suoi peccati, per l'eternità, vivendo consapevole di sperare a vuoto nel mio perdono e sapendo che le fiamme degli inferi e le torture, non sarebbero mai state sufficienti, non sarebbero mai bastate come punizione, non erano nulla in confronto a quello che si meritava. Niente avrebbe perdonato le sue colpe, mai. Nemmeno la morte gli avrebbe dato pace: sarebbe vissuto affogando per l'eternità nei suoi peccati, nella sua malattia, nella sua cattiveria.

Mi fermai all'improvviso, senza respiro, con mio padre davanti a me che mi fissava. Aveva le sopracciglia sollevate, un dolce sorriso dipinto in viso e la mano tesa verso di me, ancora speranzosa che l'afferrassi e che scappassi con lui. - Basta – Sibilai singhiozzando. Avevo il fiato corto, le mani posate per terra, inginocchio davanti a lui, come mai mi sarei dovuta trovare. Ero ai suoi piedi, pronta a cedere, pregando di smetterla, perchè mi aveva portato alla pazzia. Ero esaurita, esausta, stanca, non sapevo nemmeno più se ero viva o morta. Dovevo mettere fine a quel circolo vizioso e se per farlo mi sarei dovuta inginocchiare ai suoi piedi e pregarlo, allora lo avrei fatto. - Basta ti prego, ti scongiuro, basta. - Presi un respiro profondo, cercando di calmarmi, ma senza risultato. Mi girava la testa per tutto quello che stavo provando in quel momento ed ero crollata a terra, volontariamente, priva di forze. - Lasciami in pace, vattene, smettila, vattene! - Mi misi le mani sul petto mi accovacciai in me stessa, sperando che vedermi così per lui sarebbe stato a fargli capire che per colpa sua, avevo oltre passato ogni limite. - Hai avuto quello che volevi, hai vinto, lasciami andare adesso, ti prego. -

- Victoria, guardami – Sentivo, nonostante la pessima scena, la presenza di Sam al mio fianco, ormai. Il suo respiro pesante, il suo profumo di casa, del mio Sammy, la persona che si sarebbe strappata il cuore dal petto e me lo avrebbe ceduto, se fosse servito a mettere una fine a tutto. - Victoria sono io, sono Sam. Torna da me amore mio, torna da me. Va tutto bene, guardami negli occhi. Sono qui. -

Non potevo alzare la testa: se lo avessi fatto avrei visto papà alle sue spalle e di sicuro gli avrebbe fatto del male pur di farmi andare via con lui. Non gli era mai importanto della parte di me che possedeva Sammy, lo avrebbe tolto di mezzo come se fosse stato un puntino insignificante, anche se lui era tutta la mia vita. - Vieni con me bambolina, ti porto al mare, ti piaceva tanto da bambina. - Volevo avvertire Sam e dirgli di scappare, di andare via e lasciarmi da sola con lui, di mettersi in salvo perchè era in pericolo, ma non riuscivo a fare altro che pensare che dovevo mettere fine a tutto quell'uragano che sentivo nel petto. Una tormenta di emozioni contrastanti faceva battere così velocemente il mio cuore che stavo pensando che sarei presto morta, se non mi fossi calmata.

- Stai zitto! - Urlai prenendomi la testa tra le mani e stringendo i capelli fra i miei pugni. Presi a tirare le mie ciocche nere, sperando che il dolore fisico che provavo strappandole avrebbe superato quello emotivo, ma nulla sarebbe mai stato anche solo lontanamente paragonabile. Ero un disastro. - Vattene via, lasciami in pace.- Continuai dondolando su me stessa e singhiozzando dolorosamente. - Non ce la faccio più, basta, basta, basta, basta. Non posso vivere così, basta. - Ogni respiro mi faceva male, ogni volta che il mio cuore batteva sentivo male, ogni lacrima salata che versavo mi faceva desiderare di morire. Morire e arrendermi.

Le mani tremanti di Sam si posarono sopra le mie e mi strinse a se così forte che il grido che feci venne attutito da quell'abbraccio. Sam mi stava salvando la vita nuovamente, come aveva sempre fatto, in quel modo in cui solo lui poteva fare ed io non lo meritavo. Non meritavo il suo amore perchè mentre lui provava a salvarmi io volevo solo morire. Nessuno lo sapeva, non lo avevo mai detto a voce alta, ma la verità era che ogni giorno mi svegliavo contro la mia volontà, rendendomi conto che sarei dovuta scappare ancora e che non ero morta. Pregavo che mi lasciassero morire nonostante si ostinassero a salvarmi la vita sempre e comunque. Nemmeno quell'urlo era in grado di spiegare come mi sentivo, le lacrime non rendevano la situazione nemmeno lontanamente comprensibile e mentre Sam mi stringeva tra le braccia donandomi ogni suo battito, cercando di regalarmi tutte le forze che aveva, io riuscivo solo a urlare, piangere e stringere una mano al petto sperando di strapparmi il cuore e chiudere gli occhi per sempre.

- Shh – Sussurrò Sam posando le sue mani sopra le mie e cercando di farmi sciogliere i nervi e mollare la presa. Riuscì a farlo solo intrecciando le sue dita alle mie e baciandomi la testa, mentre io mi lasciavo andare e crollavo per l'ennesima volta, con lui a sostenermi. Mi accovacciai chiudendomi in me stessa e appoggiando la testa sulle sue gambe, mentre lui mi accarezzava e mi coccolava in quel prato in cui avevo perso, di nuovo, me stessa. - è finita – sussurrò dondolando su stesso mentre io tentavo, per quanto mi fosse possibile, di calmarmi. - è tutto finito amore mio, va tutto bene. -

Mi sentivo completamente distrutta. Andata in pezzi: ogni volta era più doloroso di quella precedente, ogni caduta faceva più male di quella prima e non ce la facevo più. I pezzi di me stessa che perdevo piano piano sembravano farsi sempre più piccoli, ogni parte di me dispersa nel vento si frantumava a sua volta in altri milioni di piccoli frammenti e non c'era più modo per me di tornare come prima. Ero consapevole che mi sarei dissolta nel vento prima o poi, era solo questione di tempo. Di me non sarebbe rimasto più niente alla fine, in fondo non ero altro che un'ombra che vagava nel nulla in cerca dei pezzi di se stessa che continuava a perdere. Sembrava un continuo perdermi e cercarmi, perdermi e cercarmi, ma senza riuscire mai trovarmi. Non sapevo più da quale pezzo di me partire per ricomporre me stessa, perchè ero talmente persa che non avevo via di scampo. Che speranza c'era, per qualcuno che non era altro che polvere e ombre?

- Vieni con me, andiamo a fare una passeggiata intanto che aspettiamo Ben, ti va? - Domandò quando riuscii a calmarmi quel tanto che bastava per smettere di piangere. Mentre lui mi accarezzava il viso, una volta faccia a faccia, io annaspavo per cercare la regolarità del mio respiro, annuendo in risposta alla sua domanda, ancora tremante. Sam mi fece il sorriso più dolce che potesse esistere, mostrandomi le fossette e facendo sorridere anche me. Mi pulsavano ancora gli occhi, bruciavano intensamente e mi faceva male la testa ma averlo lì accanto a me mi aiutò a rialzarmi in piedi, a tornare a respirare normalmente e a regolarizzare il battito del mio cuore.

Una volta accertato che mi reggessi in piedi, mi prese per mano e mi baciò la testa, poi estrasse il telefono dalla tasca, compose un numero e se lo portò all'orecchio. Qualche secondo dopo, sorrise sollevato e sospirò. - Ehi Woods – Disse battendo le palpebre. - Senti io e Vic stiamo andando all'upper queen's park, raggiungici lì. - Rimase zitto qualche istante, mentre io mi presi un momento per osservarlo. Sam stava guardando un punto fisso dritto davanti a noi, indefinito. Nel riflesso dei suoi occhi potevo vedere tutta l'ansia, la preoccupazione e il dolore che gli causavo, e l'unica cosa che riuscivo a pensare era che una vita non sarebbe mai bastata per ringraziarlo, ma nemmeno per scusarmi. Da quando ci eravamo conosciuti, tutto per lui era cambiato. Aveva vissuto all'insegna degli incubi e degli attacchi di panico insieme a me, passava le giornate ad accertarsi che io mangiassi, prendessi le pastiglie, che dormissi quel tanto sufficiente e necessario a superare la fine della giornata. Le borse sotto i suoi occhi, i solchi scuri, sottolineavano la sua stanchezza e l'immensità del dolore che provava pensando a tutto ciò che aveva perso. La sua vita era perfetta, prima di me. Aveva un padre amorevole e sempre presente, una madre che nonostante tutto aveva fatto qualsiasi cosa per proteggero, una madre che lo aveva amato. Aveva degli amici che, fino a prova contraria, non gli davano altro che pensieri che un normale adolescente doveva avere, ma poi ero arrivata io. La sua vita era cambiata, aveva scoperto di avere una gemella, che suo padre non era suo padre e che il suo vero padre era un mostro, aveva perso il suo grande amore e si trovava sull'orlo di un precipizio. Sammy soffriva, ma non me lo diceva. Si teneva sempre tutto dentro, dando alla sua sofferenza la libertà di nutrirsi di tutte le sue emozioni positive e lasciandosi marcire da dentro. Gli avevo rovinato la vita e non riuscivo proprio a comprendere per quale motivo avesse scelto me, dato il disastro che ero. E io ero troppo egoista per lasciarlo andare, così egoista che senza di lui la mia vita non aveva un senso, perchè il motivo per cui andavo avanti e per il quale mi svegliavo ogni mattina scegliendo di affrontare le giornate al meglio che riuscivo, era lui. Era lui, era sempre stato lui, e io lo stavo deludendo anche solo pensando di lasciarmi andare. - No – Esclamò all'improvviso facendomi tornare con i piedi per terra. - Sì, esatto. - Disse di nuovo – No, poi ti spiego. - Ruotò gli occhi al cielo scuotendo il capo e mi lasciai sfuggire una risatina quando allontanò il telefono dal suo orecchio e sbuffò teatralmente. - Senti passa dagli Hastings e chiedi a Nicole o a chiunque ci sia in casa di darti le pastiglie di Vic, ci vediamo al parco. - Senti la voce di Ben borbottare dall'altro capo della cornetta e vidi Sam spazientirsi sempre di più. - Non mi sembra il caso. Senti non rompere, ci vediamo lì, ciao – Tagliò corto e buttò giù la chiamata infilandosi di nuovo il telefono in tasca e tornando a rivolgermi un sorriso. - Ti giuro che gli voglio bene, ma che palle – Sbuffò scuotendo il capo.

- Sammy, stamattina una farfalla mi si è appoggiata sul dito e ti ho un po' pensato. – Gli dissi posando la testa sulla sua spalla mentre camminavamo. - Tu ti penti di avermi conosciuto, vero? -

Sam si fermò all'improvviso e tolse il braccio da dietro al mio collo. Non si voltò a guardarmi, rimase fermo lì dov'era, come se si fosse fossilizzato. Abbassò il capo e chiuse gli occhi, strinse i pugni i fianchi e prese un respiro profondo. Non riuscivo a capire se stesse tentando di mantenere la calma, oppure se era più che altro ferito dalla mia domanda. - Non dire mai più una cosa del genere – Sussurrò a denti stretti. - Come puoi anche solo pensarlo. - Lo vidi arricciare il naso e, dopo quelle parole feci un passo indietro, vacillando per un istante e barcollando leggermente. Il senso di colpa mi travolse all'improvviso, soprattutto quando si voltò a guardarmi negli occhi. Le sue iridi verde smeraldo luccicavano ai raggi del sole, le pupille si erano strette a uno spillo, come se lo avessi sconvolto. - Cosa ho fatto per farti pensare a una cosa simile? -

Scossi la testa e rimasi a guardarlo negli occhi ancora un po', pensando di aver sbagliato tutto. Ogni cosa che facevo, nell'ultimo periodo, mi sembrava completamente sbagliata, sconnessa da quello che avrei potuto fare in altre occasioni. - Nulla – Risposi sconvolta dalla sua reazione e indieteggiando come se quella domanda fosse uscita dalle mie labbra senza il mio consenso. Ancora una volta mi chiesi cosa mi stava succedendo, ma mi resi anche conto che nessuno poteva darmi una risposta soddisfacente. - Mi dispiace – Dissi osservandolo avvicinarsi a me. In quel momento nel suo sguardo non c'era più rabbia, ma confusione. Mi sentii stupida, perchè mi aveva dimostrato tanto di quelle volte quanto il nostro rapporto contasse per lui, che capii di averlo ferito, con quella domanda. - Scusami, io non... -

- Da quando ci sei tu la mia vita è cambiata, radicalmente. - Mi disse afferrandomi le mani. - Prima di conoscerti era tutto così diverso. Non ero triste, o infelice, non mi sono mai reputato una persona infelice o con la tristezza cucita addosso. Vivevo la mia vita e le mie giornate al meglio che potevo, per l'età che avevo. Molte persone mi dicevano che ero insensibile, che sembrava quasi che non avessi un cuore per come mi comportavo a volte. Non pensavo di essere cattivo o cose simili e nemmeno mi comportavo come tale, non mostravo una faccia che non era la mia, anche perchè ero soltanto un bambino. Ero semplicemente apatico, all'incirca. Solo in questo periodo mi sto rendendo conto di quanto tempo fa, prima di incontrarti, non c'era nulla per cui valesse la pena, secondo me. - Avevamo ripreso a camminare e mi stava ancora tenendo la mano. Era tornato a sorridermi, ed era proprio bello. Era la mia luce, non c'era altro modo per definirlo.

- A volte credo di aver distrutto la tua possibilità di essere felice. - Bisbigliai interrompendolo. Eravamo arrivati al parco e, prima che lui potesse tornare a parlare, corsi verso l'altalena, seguita da lui che mi stava osservando mentre mi ci sedevo sopra e nel frattempo si inginocchiò davanti a me. - Quando ti guardo lo sento sulla mia pelle il tuo dolore. Tu non me ne parli, so anche il perchè e non serve che tu me lo dica, però non faccio altro che sentirmi in colpa per tutta la sofferenza che ti sto causando. Sei mio fratello, e riesco a percepire tutto quello che tu percepisci. Non è come con Katherine o con Vanessa, che posso vedere o sentire quello che loro mi danno la possibilità di vedere e sentire attraverso i loro gesti. Il tuo dolore è il mio, Sammy. Non me lo puoi nascondere, io lo sento, soprattutto quando ti guardo negli occhi. -

- Non c'era mai stato niente per cui valesse la pena soffrire, prima di incontrarti. - Rispose. - Hai ragione, sto soffrendo, per te, per Katherine, per mia madre e per mio padre, per tutto. La mia preoccupazione più grande è vedere quanto ti stai arrendendo a quello che ti succede, e non devi. Sean mi ha sempre detto che non mi può non provare dolore, non si può essere felici senza prima aver provato la sofferenza, quella vera. È la vita, Victoria, prende a calci parecchie volte, soffriamo in continuazione e non lo possiamo negare. C'è solo una cosa che è in nostro potere: scegliere per chi soffrire, scegliere per chi ne vale la pena. E tu, per me, ne vali la pena Victoria Illman. -

A quel punto gli sorrisi e scesi dall'altalena per abbracciarlo e farlo rotolare nell'erba. - Sei come una farfalla d'acciaio, Sammy. - Vedevo in Sam un persona molto fragile, da sempre, nonostante non sembrasse così. Eppure, come la farfalla, era la rappresentazione della forza assoluta. La farfalla resiste, cambia, vola, se ne va e ritorna, in continuazione. Nonostante la sua vita sia effimera, trova la forza dell'acciaio nel battito delle sue ali. Mi domandavo spesso come fosse possibile che una creatura così fragile possedesse tanta forza al tempo stesso, e quando guardavo Sam vedevo la stessa fragilotà e la stessa forza. Era magico, come solo lui poteva esserlo. - Sai sono tanto stanca di scappare così – Gli dissi. - Dovrei lasciare che mi portino via, dopo tutto. Non ce la faccio più. -

Vidi lo sguardo di Sam mutare un'altra volta. Una stranza sensazione prese a nutrirsi di me nuovamente: era come se la speranza stesse fuggendo dai suoi occhi, e mi chiedevo per quale motivo. Lui lo sapeva che stavo per andarmene, che era solo questione di tempo, glielo avevo già detto, ma mentre mi guardava sembrava quasi che se ne fosse dimenticato o come se non glielo avessi mai detto. - No – Sospirò alla fine tirandosi su a sedere nuovamente. - Tu devi lottare, fallo per me piccolo bruco, ti va? -

- Non ho più forze – Risposi. - E poi ridono sempre. Mi sentono quando li prego di lasciarmi altro tempo, ma ridono di me, perchè tanto sanno che posso pregarli in tutte le lingue del mondo e posso provare a sfuggirgli quanto voglio, ma tanto loro mi prenderanno alla fine, lo sappiamo tutti. Come con papà. -

Sam aggrottò la fronte ancora più confuso, e posò le mani fra i ciuffi di erba, strappandoli qui e là e lanciandomela addosso mezzo divertito. - Che c'entra papà? -

A quel punto sollevai la mano e assottigliai gli occhi ad una fessura, grattandomi la testa e sorridendo amaramente. Indicai prima lui, poi me stessa, poi di nuovo lui. - Ma... - Rimasi con la bocca dischiusa qualche istante e mi sfregai il viso, sempre più confusa. - Tu eri lì. - Sbattei le palpebre piegando la testa di lato. - Come... - Fissai il vuoto, all'improvviso, come se un'ombra si fosse intromessa tra me e mio fratello. - Non lo hai visto? -

Sam continuava a fissarmi, in attesa di spiegazioni e in stato confusionale. Fece per allungarsi e accarezzarmi il viso, ma la voce di Ben interruppe il momento e mio fratello balzò in piedi andandogli incontro. Rimasi nel prato da sola, una macchia scura immersa nel verde speranza, confusa e privata di forze e speranza. Sospirai cercando di capire cosa stesse succedendo, pensando a mio padre e a come fosse possibile che fosse ancora vivo. Mi domandavo perchè Sam non mi avesse ancora detto nulla, ma pensai che fosse per non turbarmi più del dovuto. Ero presa a giocare con un piccolo fiore, il non ti scordar di me, azzurro come il cielo, il mare e i miei occhi, finchè la mia attenzione non fu catturata dalla stringa delle mie scarpe slacciate. Non mi ero resa conto che il fiocco si era snodato, probabilmente mentre correvo fuori dallo studio, e quando presi le due estremità delle cordicine rimasi ferma ed imbambolata a fissarle. Mi resi improvvisamente conto di non essere in grado di fare il fiocco, e mi venne da piangere, senza un vero e apparente motivo. All'improvviso davanti ai miei occhi si palesò una figura: un paio di jeans chiari come i petali dei fiori che tappezzavano il prato, un paio di vans e, scorrendo con lo sguardo, i miei occhi si posarono sul volto di un totale sconosciuto dalle verde, un po' più scuri di quelli di Sam, e i capelli biondo cenere. Mi sembrava di stare osservando il fondale marino, quando il ragazzo si abbassò al mio livello e mi sorrise dolcemente. Avevo sempre collegato quel tipo di verde alle profondità del mare, infatti sperai di poter vedere le onde tra le screziature delle sue iridi, che sorridevano raggianti sotto alla luce del sole, così come sorridevano le sue labbra. - Serve aiuto? -

Osservai intensamente il ragazzo che, senza smettere di sorridere, prese le stringhe dalle mie dita e allacciò le scarpe al posto mio, vedendomi in difficoltà. Piegai la testa di lato, fissandolo intensamente e sbattendo le palpebre attontita. Solo Ben mi allacciava le scarpe alle volte, era strano vedere qualcun altro farlo al posto suo. - Tu saresti? - Domandai senza staccargli gli occhi di dosso mentre staccava un fiorellino dal prato e se lo portò di fronte al viso, sorridendo e rigirandoselo tra le dita.

- Chiamami pure Spiderman – Rispose divertito e tornando a guardarmi negli occhi. - Ho visto una damigella in difficoltà e sono accorso in suo aiuto. - Continuò lasciandosi cadere nell'erba. Era davvero bello, non lo si poteva negare, aveva un fascino pungente, senza contare che la sua sfacciataggine mi aveva fatta ridere.

- Non ero in difficoltà – Gli dissi incuriosita dal suo misterioso atteggiamento. - Stavo solo ammirando i fiori, mi danno pace. -

Il ragazzo sollevò di nuovo lo sguardo, scrutandomi in volto come se fosse affascinato da qualche cosa in particolare. Allungò il braccio e infilò i piccoli fiori che aveva raccolto fra i miei capelli, dietro il mio orecchio, posando poi le braccia sulle ginocchia e restando ad ammirarmi con fierezza, come se avesse appena completato un'opera d'arte. - Ti hanno mai detto che i tuoi occhi riflettono le onde del mare? - Domandò con un sorriso. - Senza contare che hanno lo stesso colore dei petali di questo fiore. -

Annuii portando lo sguardo sui fiori che ci circondavano e sospirai, accarezzandoli con delicatezza, come se un mio solo tocco potesse decretare la loro fine. - Ben me lo dice sempre – Risposi ripensando a tutte quelle volte in cui mi aveva ripetuto che nei miei occhi era racchiusa tutta la bellezza dell'oceano. - E a te hanno mai detto che non si strappano i fiori da un prato? Ora per colpa tua moriranno -

- C'era una bellissima fanciulla che aveva bisogno di fare un sorriso, non sono solito strappare i fiori. - Ammiccò senza smettere di osservarmi. - Cosa ci fai qui tutta sola? - Mi chiese poi incrociando le gambe e arricciando il naso.

Il modo in cui mi guardava non aveva nulla a che fare con il modo in cui guardava Ben. Lui sembrava che mi stesse studiando, e per un istante mi sentii come se avesse capito che qualcosa non andava in me, tanto che portai le gambe al petto e le strinsi, nascondendo il viso fra i capelli e fissandolo da sotto le mie lunghe ciglia. - Cosa ti fa pensare che io sia sola? - Sussurrai.

- Appunto – Sentii una voce e dei passi avvicinarsi, tanto che alzai la testa e m'illuminai nell'esatto istante in cui mio fratello e il mio ragazzo piombarono alle sue spalle. - Lei non è da sola e io adesso ti ammazzo. - Ben prese il biondo per la t shirt e lo strattonò facendolo alzare in piedi barcollare leggermente. - Ciao Gabriel – Sibilò a denti stretti e con la mascella contratta.

Sam impallidì seduta stante e io balzai in piedi nell'esatto momento in cui l'espressione di Gabriel si fece più sfacciata ancora, se possibile. Ero confusa: come faceva Ben a conoscerlo? Chi era? Da dove sbucava?

- Benjamin? - Domandò Sam dandogli una pacca sulla spalla. Il ragazzo strinse di più la presa sulla maglia di quello che, a quanto pareva, si chiamava Gabriel, e rimase a fissarlo in cagnesco. Se avesse avuto i super poteri, Gabriel sarebbe morto. - Lascialo andare, non mi pare il caso di dare spettacolo qui e ora. Non è il momento, lascialo. - Gli disse tirandogli indietro la spalla e spigendolo a mollare la presa.

- Ti ha mandato Ryan? - Tuonò spintonandolo. - Ti ha detto di seguirci e stare alle calcagna della mia ragazza? - Gridò a voce più alta.

- Cosa c'entra Ryan? - Domandai con voce tremante. - Se ti ha mandato lui allora tu sei... - In quel momento Benjamin sbiancò. Il suo viso prese lo stesso colore della neve fresca, il bianco e candido pallore, freddo in tutto e per tutto, gelido come il mio sangue nelle vene.

- Victoria... - Mentre guardavo il ragazzo indietreggiavo lentamente con le mani avanti, Sam avanzava verso di me e Ben spostò lo sguardo di nuovo da me, a me a Gabriel. - Hai visto che cosa hai fatto? Si era calmata porca di quella puttana ma voi dovete sempre metterci il becco, dovete sempre mettervi in mezzo e rovinare tutto. Dovete lasciarla in pace, dovete lasciarci in pace. Mi avete chiesto di starne fuori e lo sto facendo, quindi fatelo anche voi perchè altrimenti la minaccia che mi hai fatto ti si ritorcerà contro. -

- Che palle che sei – Sbottò il ragazzo alla fine scrollandoselo di dosso con un gesto quasi del tutto naturale. - Non mi ha mandato nessuno, ero qui per puro caso. L'ho vista seduta per terra che non riusciva ad allacciarsi le scarpe e ne ho approfittato, non avevo ancora conosciuto la principessa. -

- Non ti credo – Continuò.

Sam, ora al mio fianco, mi abbracciò da dietro e mi strinse con forza, mentre io mi coprivo il viso e scalciavo, spaventata, terrorizzata. - Non posso stare qui – Gli dissi con il cuore incastrato in gola e la voce tremante. - Sam lasciami andare – Continuai scrollando le spalle e tentando di allentare la presa per sguasciare via.

- No – Replicò stringendo più forte ancora. - Non succederà niente, sei al sicuro, ci siamo noi qui. Respira Victoria, respira. È tutto a posto, non c'è nulla che non vada. - Io, dal canto mio, avevo già ricominciato a tremare. Mi sentivo fatta di vetro, sentivo la mia pelle crepata e spezzata completamente. Desideravo che Sam si allontanasse, perchè temevo che se fossi andata in frantumi lui si sarebbe fatto male, e non era ciò che volevo. Sentivo gli sguardi di tutti e tre addosso, come se potessero vedere tutte le mie spaccature, come se potessero vedere ciò che stavo provando, e più ci pensavo, più mi spaventavo.

- Tu non capisci – A quel punto mio fratello, una volta che avevo iniziato a scalciare per liberarmi di lui, mi trascinò all'indietro fino a che non crollammo a terra tutti e due ed io, bloccata fra le sue braccia, continuavo a fissare Gabriel terrorizzata. Era amico di Ryan, era anche lui un cavaliere, era venuto per me, era venuto a prendermi. - Lui è venuto per me – Dissi stringendo i pugni e scuotendo il capo. - Sono arrivati, te lo avevo detto Sammy era solo questione di tempo. Se non mi lasci andarè io sparirò lo capisci, vi dimenticherete di me Sammy, devi lasciarmi andare. -

- V – Era Ben che stava parlando, con Gabriel in piedi dietro di lui, fermo come una statua. Sembrava confuso, e non capivo come fosse possibile dato che sapeva benissimo qual era il suo ruolo, o forse stava solo aspettando il momento giusto. Ben si fece più vicino, fino a inginocchiarsi davanti a me e Sam, prese la mia mano e baciò il dorso senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. - Amore mio nessuno ti vuole portare via, sei al sicuro qui, ok? Lui non è nessuno, fa come se non ci fosse, d'accordo? - Disse con voce dolce.

- Non ce la faccio più a scappare, non dovrebbe essere qui, è giorno, c'è il sole, perchè è qui? - Domandai confusa indicandolo. - Mandalo via Ben, forse ti da ascolto, mandalo via ti prego. -

A quel punto Ben si voltò e gli fece un cenno con il capo. Tappai gli occhi con le mani, perchè non volevo vederlo più, non volevo vedere il momento in cui mi portava via, non volevo vedere le espressioni sul viso di Sam e Ben, avrebbe fatto troppo male. Improvvisamente sentii Sam allentare la presa, due mani calde posarsi sulle mie e scostarle dai miei occhi. - Apri gli occhi, piccolo bruco – M'invitò Sam alle mie spalle. - Non c'è pericolo, puoi aprire gli occhi. -

Tremavo ancora, però lo feci. Aprii gli occhi e trovai ancora il viso di Ben, i suoi occhi dolci, e quel nero rassicurante che sapeva di casa, di amore. Il mio battito cardiaco, mentre intrecciava le mie dita alle sue, decelerrava piano piano. Per farmi smettere di tremare Sam tornò ad abbracciarmi e a baciarmi la testa. Mi sentivo così al sicuro, così protetta, che alla fine i miei nervi si sciolsero del tutto e mi lasciai andare fra le braccia del mio migliore amico, abbandonandomi alle lacrime stanca, confusa ed esasperata. Non capivo più niente, era tutto un caos totale, ma comunque per quel momento sentii che quello era l'unico posto in cui la mia fragilità poteva diventare davvero la mia forza.

Riaprii gli occhi e la vidi di nuovo, una farfalla bianca, svolazzare attorno a me e ai due ragazzi, che restarono in silenzio ad osservarmi, ad abbracciarmi e a coccolarmi in religioso silenzio, consapevoli che era l'unica cosa di cui avevo davvero bisogno. Il calore dei loro abbracci e l'amore nascosto fra i loro silenzi.

La farfalla si posò sulla punta della mia scarpa e rimasi ad osservarla in silenzio, pensando a quando quella mattina era sul mio dito. Non sapevo se fosse la stessa, probabilmente non era così, ma decisi di credere che lo fosse, perchè fu lì che mi resi conto di quello che effettivamente mi stava dicendo. Il segreto era pensare e vivere come una farfalla: sbattere le ali con la forza di un uragano e credere di farlo per l'eternità.

Era così che sarei dovuta essere: forte come una farfalla, come se le mie ali fossero fatte con la polvere dell'acciaio, come se fossi stata indistruttibile.

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