Pitch Black - Ereri/Riren

By Ackerbitch

16.1K 1.1K 1.6K

II COMPLETA ll ⚠️II TEMATICHE DELICATE II⚠️ Dal testo: Non se ne era mai accorta. Eppure nella vita aveva s... More

⚠️AVVISO IMPORTANTE⚠️
Prologue
Golden Cage
North Sea
Hide and Seek
Sugarcoat
The Dark Side of the Moon
Carousel
Edge of the Knife
Lay me Down
The In-Between
Freedom Chains
Minefields
Whore
Dark Omen
Sweet Sacrifice
The Escapist
Creep - pt.1
Creep - pt.2
Golden Cage, II
EPILOGO (+ Ringraziamenti)

Chasing The Dragon

620 51 55
By Ackerbitch




Questo capitolo stava venendo eterno; in realtà, lo è già ma questi sono dettagli. Così, per evitare di portarvi un mega-capitolone di 15-16k parole, (e tagliare introspezione e azione) l'ho diviso. Qualcuno mi faccia dono della capacità di sintesi, abbiate pietà di me.

Buona lettura!





Giovedì 19 aprile 2018, fra le 15:00 e le 16:30 del pomeriggio

Si guarda allo specchio e si vede diverso. Ha perso peso, ma quel maglioncino borgogna in cashmere riesce comunque ad abbracciare il suo corpo e non a farlo sembrare enorme sotto felpe e pullover oversize; quella lana morbida è letteralmente quel poco che è riuscito a nascondere dal marito, l'unico capo d'abbigliamento che gli piace che ancora sopravvive nel suo guardaroba, ben nascosto nel cassetto della biancheria intima. Metterlo in valigia per stare a L'Aia era stato necessario, perché Levi era sicuro che pure quel piccolo agglomerato di tessuto avrebbe sofferto nel rimanere a respirare l'aria mefitica e asfissiante dell'appartamento di Rotterdam; portarlo con sé era stato una specie di dovere morale, ma mai si sarebbe sognato di indossarlo di nuovo. La stoffa trema appena sotto i battiti martellanti del suo cuore, così come i palmi aperti che vi passa sopra; il vecchio e unico orologio da polso che possiede pare talmente vistoso e pesante da scavargli la carne.

È esattamente morbido come lo ricordava, odora di chiuso ed è impregnato della fragranza del pot-pourri che è solito tenere in ogni scomparto della cassettiera del guardaroba, ma non se ne cura. Lo indossa e si sente un po' più sé stesso, meno un fardello per il mondo. Quel colore è appariscente e gli piace il modo in cui crea contrasto con la carnagione pallida e i capelli nerissimi, una nuance che pare creata apposta per lui; sa che osa troppo quando si concede uno spruzzo di acqua di colonia, fredda sulla carne morbida e immacolata del collo. Le dita gli tremano mentre tiene la boccetta incriminata, la guarda come se fosse veleno, rimpiange di essersene permesso qualche goccia.

Cosa sto facendo?

È quella l'unica eco che gli rimbomba fra le tempie, talmente martellante da insonorizzare il rumore degli alti pensieri come spugna fonoassorbente, capace di disorientarlo e di farlo dubitare. Cosa sta facendo? Dove pensa di andare coi capelli pettinati, indossando quel maglione, col profumo addosso? Dove pensa di poter andare, cosa pensa di poter fare? Che colore strano che hanno i suoi occhi, quanto è stravolto il suo viso, un insieme di sguardi slavati e assenti e labbra contratte in una smorfia sottile. Forse ha deciso di mettere l'acqua di colonia perché il puzzo della paura attorno a lui è troppo forte, talmente pestilenziale e sulfureo che teme che gli altri lo sentano, che appena abbandonerà quella casa da solo, verrà assalito da troppe cose indicibili.

Dove, ma dove vuole andare in quel modo che lo fa sembrare una caricatura del vecchio sé stesso e con gli occhi che cominciano a minacciare pioggia? Fuori splende un Sole meraviglioso che lo renderebbe ancora più misero e nero. Cosa crede di poter fare?

Quanto è stato limpido il sorriso di Kuchel quando ha visto il bouquet immenso che Erwin gli ha fatto arrivare; oh, quanto le si è illuminato il volto per la commozione perché Erwin è perfetto, è prezioso, siete così fortunati.Ma dov'è la fortuna? Il collo di Levi non è livido, ma la sua anima è completamente violacea e martoriata dagli ematomi. Cosa c'è di bello in fiori che nascondono minacce, in petali innocenti che portano parole troppo crude e pesanti incastrate dentro, in premure che nascono da sbagli e da grida, da dita violente, da paura tachicardica, da segni indelebili. Quei fiori sono arrivati puntuali, se li è trovati la mattina dopo sul tavolino della cucina e se avesse voluto confessare a sua madre quanto l'amore fa male, il suo volto commosso glielo ha impedito. E poi c'era Mikasa, Mikasa che aveva storto il naso e gli aveva chiesto la sera stessa di quell'orrido dono se ci fosse qualcosa che non andava, del perché fosse stato l'unico a portare addosso tanti granelli di sabbia la domenica che era andato col marito a guardarla allenarsi, che l'aveva implorata di raccontargli perché i suoi occhi fossero così spenti e lontani, i movimenti delle iridi persi e scoordinati verso qualcosa che non c'è, una misera fiammella inesistente a cui aggrapparsi per non perdersi.

Dio se le avrebbe parlato, se le avrebbe raccontato tutto e dato dritte sul come non arrivare a quel punto, se le avrebbe detto di scappare da Jean e che la felicità non è per forza nascosta fra le braccia di un uomo, ma che è fatta anche di altro; è intessuta di soddisfazione personale, di carriera, di piccoli successi, può avere l'odore acre della palestra ma anche quello delicato e che sa di futuro di un piccolo appartamento comprato con i propri soldi. Può essere elettrica come l'ansia di un nuovo lavoro o statica come una routine ben consolidata, può avere tante facce e non ne esiste una universalmente giusta; tutto quello che avrebbe voluto fare in quei giorni, era guardare negli occhi dalla cugina e implorarla in lacrime di non dare tutta sé stessa a Jean, di non abbandonarsi al cento per cento a qualcun altro e rischiare di perdersi, perché quello che sente lui è indicibile a parole. Gli pare che qualcuno gli abbia rubato l'anima e l'individualità allungando le mani nel suo cuore e strappandovi le corde, recidendo il filo rosso e sottile che glielo legava all'anima. Levi in quei giorni ha capito di essere diventato un involucro vuoto e la cosa lo spaventa; davanti a quei fiori, ha solo sospirato mestamente e finto un sorriso per sua madre.

Ma parlare quanto costa? Quanto è difficile ammettere che non si sente al sicuro con Erwin, che trema ad ogni respiro, che perde troppi battiti ad ogni sguardo ceruleo, che ha paura di essere sé stesso perché le sue buone intenzioni non bastano a ricoprire di zucchero lo sbaglio che è e a renderlo più tollerabile? Cosa gli direbbe - farebbe -Erwin, se venisse a sapere che ha raccontato qualcosa a sua madre o a sua cugina? Levi se le sente ancora le dita strette al collo e fanno male.Non vuole parlare, non in quel modo, non rinnegando il passato col marito e tutti gli abbracci profondi, i baci scambiati a fior di pelle, – quelli talmente intensi da far venire i brividi – le giornate vissute assieme e la sensazione meravigliosa di confidarsi l'un l'altro fra lenzuola sporche di passione. Come può cancellare dalla memoria Erwin che lo accetta e che gli confida le sue debolezze, che lo rende migliore e gli regala un po' di stima in sé stesso quando lo guarda come se fosse l'unica cosa bella della sua realtà, che gli si inginocchia davanti e decide di sposarlo insieme ai suoi difetti perché ama tutto di lui? Ama Erwin, lo ama in un modo talmente intenso che lo corrode, che lo strazia, che lo ha fatto urlare dentro quando la sera precedente hanno fatto l'amore, che gli cuce le labbra e sostituisce urla di terrore con sorrisi di plastica; eppure, non gli importa.

Quanto è marcio e malato lo sguardo che si rivolge allo specchio mentre ride amaramente, vedendo lividi dove la sua carne nivea è perfettamente immacolata o coperta dai vestiti e fa scivolare la mano nella tasca dei jeans, lì dove giace display completamente in frantumi del telefono che gli graffia il pollice, quanto è malato per essere arrivato fino a questo punto. Incapace, totalmente incapace di tenersi le sue emozioni per sé, distoglie lo sguardo dalla sua immagine riflessa, perché guardarsi ancora lo farebbe solo esitare ulteriormente e rovinerebbe quello che la disperazione gli ha fatto iniziare; e poi, con quel magione addosso sembra troppo simile alla foto che Eren aveva sbirciato nel suo annuario scolastico, quella in cui i suoi capelli lunghi erano talmente belli e lucidi da far impallidire il taglio corto che ha cercato di sistemare un po' meglio del solito, in modo che le ciocche d'inchiostro più ribelli non gli diano fastidio sugli occhi.

È silenzioso quando esce dal bagno; a fare rumore ci pensa quell'unico interrogativo che gli rimbomba nella testa e che lo fa sentire come un ladro, come una preda troppo esposta che deve nascondersi, che farebbe meglio a tornarsene nella sua tana e a non esporsi. Le scale che portano al piano superiore e alle quattro mura sicure della camera lo chiamano e lo tentano come mai prima d'ora, l'uscio poco lontano lo repelle in un gioco sadico a ruoli invertiti; trema, trema di sudori freddi e rimane paralizzato col cuore che non vuole dargli tregua, con la mente che pretende aria e le gambe che vogliono trascinarlo al sicuro per imporgli di non farsi del male. E forse, realizza con un fremito che gli scuote la spina dorsale, non è stato silenzioso come aveva immaginato.

"Ehi, Levi?"

La voce di Eren che lo chiama dal salotto è spossata e tesa di preoccupazione, ma sempre calda e Levi proprio non sa come le due sillabe del suo nome riescano ad avere sempre un suono tanto dolce pronunciato da quelle labbra. Ingoia a vuoto un paio di volte, le ginocchia che quasi gli cedono quando trascina i piedi a terra e si fa strada verso di lui; e quanto sono belli i suoi occhi verdi, sono meravigliosi pure con la stanchezza glieli spegne. Quanto è bello e luminoso il sorriso che gli rivolge, snudando i denti perfettamente bianchi in contrasto con la carnagione naturalmente olivastra. Stargli vicino lo carica sempre di una sensazione strana.

"Esci?"

Sono fuoco quegli smeraldi, gli carezzano il corpo da capo a piedi come se stessero cercando di ricordarne la consistenza alle mani che fremono, bevono avidi ogni dettaglio e si soffermano un istante di troppo sulla curva dei fianchi messa in risalto dalla lana aderente; chissà che pensa nel vederlo vestito in quel modo. Oltre ad essere attillato, quel maglioncino delizioso gli lascia anche troppo scoperta la pelle immacolata del collo e brucia il ferro rovente del giudizio che si avvicina a quelle carni tenere e cedevoli. Forse avrebbe dovuto optare per i soliti capi oversize, perché sta iniziando a sentirsi ridicolo; si schiarisce la voce prima di parlare, le corde vocali che tremano instabili e gli consentono a stento quei sussurri mentre raggiunge lo smartphone in frantumi nella tasca e lo mostra all'amante.

"Vado a comprare un telefono nuovo. Isabel me lo ha lanciato a terra durante la crisi di prima e si è rotto..."

"Oh... Non me ne sono accorto. Scusami, non sono riuscito a calmarla in tempo."

E allora Levi vorrebbe baciare via la smorfia da quel viso, massaggiare coi pollici fino a far scomparire il solco che gli aggrotta le sopracciglia folte perché Eren è, in un qualche modo che ancora non riesce a spiegarsi, troppo puro; non dovrebbe star male e mostrarsi dispiaciuto di fronte alle sue bugie, ai suoi misfatti. Isabel è soltanto il capro espiatorio migliore e quello che lo fa sentire più in colpa di ogni altra cosa, l'essere più viscido del mondo. Non avrebbe mai pensato di sfruttare una crisi di sua sorella in quel modo, di fingere e recitare la sua parte così bene, scrivendosi da solo il copione per quella pantomima fino all'ultimo dettaglio. Isabel può anche aver rotto un paio di bicchieri e fatto saltare la plastica del telecomando poche ore prima, ma mai ha scagliato dall'altra parte della stanza il suo telefono. Quello che l'ha fracassato sul pavimento e inveito contro i cristalli liquidi del display fino a sentire il vetro sgretolarsi e fare attrito sotto la suola degli anfibi, è stato Levi.

"Ma no, figurati, non è colpa tua. E comunque era vecchio, avrei dovuto cambiarlo prima o poi."

Sarebbe troppo difficile per il corvino raccontare la verità, ammettere di come abbia aspettato l'ultima videochiamata di Erwin fra i sudori freddi ma facendosi trovare in camera e recitando tranquillo; l'ultima cosa che aveva fatto prima di scagliarlo a terra – sperando che Eren fosse ancora indaffarato con Isabel per badare al rumore – era stato inviare un ultimo messaggio a Petra col cuore martellante, dandole un luogo ed un orario per vedersi.

"Sì, ma... Mi dispiace di non aver gestito la situazione al meglio, Levi."

Si ripete che non importa che Eren porti in viso un'espressione tanto colpevole e afflitta, che quello a dover la situazione al meglio è lui ora più che mai; ha i minuti contati per uscire e incontrare l'amica che non vede da troppo, per raggiungere davvero un negozio di elettronica e comprare un nuovo telefono per coronare la sua recita. È l'unico modo che ha per placare quella voglia di parlare, per zittire quella voce che gli impone di gridare a pieni polmoni al mondo come si sente, di sprecare tutto il fiato e raschiarsi la gola per la paura, di sputare emozioni tossiche che non riesce più a sentire dentro; il display danneggiato è l'unico modo che gli garantirà la debita distanza da Erwin, che ha preso a videochiamarlo studiandosi i turni di lavoro di Mikasa e Kuchel in modo di sorprenderlo sempre a casa da solo. Quel telefono rotto è il suo alibi perfetto, la sua scusa per agire, l'input all'abbraccio che rivolgerà a Petra e al pianto con cui gli bagnerà la spalla che già cova in petto. Non ha tempo, giusto poche ore a disposizione; l'orologio segna impassibile le tre del pomeriggio e sebbene il marito rincasi tardi, inizierà sicuramente ad insospettirsi dopo la prima videochiamata senza risposta, a spazientirsi e macerare rabbia. Levi sa che sta giocando col fuoco e rischiando di ustionarsi talmente gravemente da macchiarsi il corpo perennemente di cicatrici, ma quello è l'unico modo che ha. L'unica via d'uscita, l'unico respiro lontano dalle mura di casa che gli consentirà di parlare e che non gli farà rimanere il fiato bloccato in gola. E poi, Kuchel e Mikasa staccheranno entrambe verso le sei, ed è meglio non invischiarle nel suo ennesimo misfatto. Se continueranno a comportarsi in maniera circospetta e scostante, Erwin se ne accorgerà di nuovo e Levi non vuole sentire ancora quanto è amara e asfissiante la stretta ferrea del marito sulla gola.

Scuote il capo in direzione di Eren, abbozza un sorriso tirato per non farlo preoccupare; prova a eseguire i movimenti con calma mentre raggiunge l'attaccapanni vicino l'uscio e indossa la sciarpa, ma l'insofferenza gli fa tremare le dita e la fretta gli scalpita martoriandogli la bocca dello stomaco tanto che il castano se ne accorge e lo aiuta ad indossare il cappotto. Quella piccola premura gli scalda il cuore come non dovrebbe, ma Levi non lo dà a vedere; è troppo schiavo delle catene del tempo che stringe, che è tiranno di ogni secondo e rischia che di schiacciarlo, per mostrare ad Eren quanto i suoi piccoli gesti siano preziosi e risultino diversi da quando glieli regala Erwin. Non sembra mai esserci niente di malizioso o di riparatore dietro a quelle moine. È impaziente e i suoi piedi scalpitano per bearsi del profumo dell'aria fresca e dei raggi insolitamente caldi del Sole.

"Davvero, Eren, non preoccuparti... Come sta Isabel adesso?"

"Dorme, è crollata poco dopo che sono riuscito a portala in camera e a calmarla. Starà bene."

"Questo è l'importante."

Le comprerà un peluche, pensa; è l'unica cosa che può fare per sdebitarsi di aver usato come il peggiore degli sciacalli una sua crisi per giustificare il telefono rotto, come se da solo non potesse fare di meglio e avesse bisogno viscerale di aggiungere ulteriore carico sulle spalle della sorella. Levi non avrebbe mai voluto farlo e se ne pente un numero indicibile di volte mentre tira la zip del giaccone con gli occhi di Eren fissi addosso. Sono maledettamente scomodi e salvifici al tempo stesso.

"Mi piace questo maglione. Non te lo avevo mai visto addosso."

Freme, freme da capo a piedi per quel complimento che lo infiamma, che gli gonfia il petto e allenta la fretta spasmodica che vuole gettarlo fuori dall'uscio il prima possibile; sono cibo per lui, ingordo di attenzioni, il sorriso di Eren e le mille sfumature oceaniche delle iridi che lo fissano calme e stanche. Gli fa bene all'autostima quella frase, lo fa sentire meno misero, gli conferma di essere riuscito nell'intento di risultare meno sciatto come invece è di solito, gli strappa un sorriso genuino dalle labbra; il castano glielo restituisce.

"Grazie. Io vado, allora."

Quanto è disgustoso il suo essere così avido di occhi addosso, riflette, mentre si volta per salutare Eren un'ultima volta; ha paura di cadere di nuovo in tentazione se non abbandona quella casa il prima possibile, ha paura di fare nuovamente un torto mortale ad Erwin, Kuchel e Mikasa, perché le braccia del castano chiamano e forse non gli sono mai state più invitanti. Promettono conforto, carezze che sanno sostituire le parole più dolci, il buon profumo di bagnoschiuma vanigliato misto a brezza di mare che le caratterizza e che Levi adora sentirsi sulla pelle. Lo fa sentire estraneo a sé stesso, come se stesse vivendo la vita perfetta di qualcun altro, e la cosa stranamente gli piace.

Ma Erwin, lui che direbbe? La sua voce sarebbe roca e profonda quanto il tonfo dell'uscio che Levi si è lasciato alle spalle, frenetica come i suoi passi sul marciapiede, passi di preda braccata che gli ricordano di quando da adolescente giocava ai videogiochi e doveva concludere delle prove a tempo che erano vere e proprie missioni. E forse si sente anche in quel modo, come il personaggio principale di un videogame mosso da un insieme di joystick e schede grafiche, perché non c'è modo che sia la sua volontà a fargli quello, a farlo uscire di casa come un ladro, a costringerlo a guardarsi le spalle per difendersi da inseguitori invisibili che hanno le sembianze dei suoi sentimenti e sono capitanati da Paura.

Non può essere lui ad aver disobbedito ancora, ad aver sbagliato così tanto e ad essere ricorso a metodi estremi per avere la scusa di poter uscire di casa, ad aver tradito per davvero e non essersene mai veramente pentito del tutto perché quella consapevolezza fa male, ma non più di lividi e dita attorno al collo. O forse Levi non è più Levi e sta iniziando a ragionare in maniera diversa a causa delle attenzioni che riceve. Il biondo glielo ripete sempre di non dare nell'occhio e di comportarsi a modo, di non essere stravagante in qualsivoglia ambito o sfumatura della sua vita quotidiana, eppure c'è stato un tempo in cui ad Erwin, lui piaceva così com'era. Passava minuti interi a rigirarsi fra le dita le lunghe ciocche carbone dopo che avevano fatto l'amore, lo guardava mordendosi il labbro inferiore quando indossava pantaloni o camicie attillate, gli ripeteva di essere orgoglioso quando riusciva a soddisfare le aspettative dei clienti in agenzia; che fine abbia fatto tutto quello, il corvino non lo sa. Sa solo che fanno parte di un passato dalla stessa consistenza evanescente e fatua delle nuvolette di condensa che si levano veloci dalla sua bocca seguendo il ritmo serrato dei suoi passi e che macchiano l'aria fresca.

E forse, che ne sa lui. Magari anche Eren è come Erwin e ha semplicemente sbagliato a definire i gesti del castano come puri e dettati dalla gentilezza che pare parte fondante e fondamentale del carattere di Eren stesso; magari pure le sue moine hanno l'incastro fisso dietro qualcosa di marcio, nascondono polveroni sotto tappeti troppo piccoli e lui è il solito ingenuo capace di credere nella bontà delle persone, in grado di illudersi che in chiunque possa risiedere un animo buono. Levi di certo non è puro per essersi gonfiato al complimento che ha ricevuto e che è stato pura adrenalina in vena; Levi è sporco come poche cose, più del sudiciume che porta accatastato sull'anima. Non può sapere cos'è Eren, non può definire se il suo volto è lo stesso che sfoggia la doppia faccia di Libertà.

E magari, Erwin invece è come Levi. Forse non sono opposti, ma immensamente simili e maledettamente complementari per il modo che hanno di fondere i loro caratteri e coesistere assieme, di amarsi nonostante tutto e di includere troppe emozioni nella loro relazione, le stesse che iniziano a stare strette nel minuscolo spazio soffocante che si ritrovano ad occupare, quel poco che le gabbie toraciche gli lasciano fra cuore e polmoni. In fondo, il biondo non è una persona che sbaglia e che chiede scusa a modo suo, anche se spesso non verbalmente come fa Levi? Cosa sono se non tentativi di farsi perdonare i bouquet di fiori troppo colorati, le cene al ristorante e gli anfibi che porta ai piedi e macinano velocemente metri su metri sui mattoncini rossastri del marciapiede? Non sono forse scuse, quelle? Non sono mai gesti gratuiti, mai gentilezze o ringraziamenti; c'è sempre un motivo dietro ogni prelibatezza culinaria che gli tocca il palato e polline sottile e profumato che talvolta gli fa affondare il naso fra i petali in cerca di conforto, talvolta starnutire.

O forse ancora e più probabilmente, quei sillogismi non sono altro che congetture senza senso e gli stanno facendo perdere il senso dell'orientamento; è il contatto col display rotto del cellulare a riscuoterlo e ad impedirgli di continuare dritto per la sua strada dopo essersi guardato un paio di volte alle spalle, forse temendo gli occhi cristallini di Erwin come quelli del Grande Fratello. Non può sapere che Levi è uscito di casa e non sta obbedendo alle sue direttive, eppure c'è qualcosa che lo fa fremere, una sensazione scomoda che gli sussurra ghignante che il biondo lo verrà a sapere.

Quello che importa davvero però, è che non sappia mai di Petra, che non legga mai la chat che ha avuto premura di cancellare prima di rompere il telefono e garantirsi qualche ora senza videochiamate con Libertà che lo trascina per la strada tirandolo per il braccio e correndo veloce. Non vuole che Erwin sappia quanto ha pianto nel ricevere una risposta al messaggio che aveva inviato alla rossa alle sei del mattino, non appena il biondo era uscito di casa; gli era parsa una speranza vana quella di riuscire a contattare l'amica utilizzando il vecchio numero di telefono che ricordava a memoria, eppure lei aveva risposto neanche un'ora dopo strappandogli un pianto si inconsolabile sollievo dal petto. "Posso chiamarti?" era stato il secondo messaggio che l'amica gli aveva inviato, ma Levi si era ritrovato a dover rifiutare, nonostante ogni singola fibra del suo corpo gridasse in agonia per riascoltare la voce di Petra dopo tanto tempo; probabilmente, in chiamata con lei non sarebbe stato in grado di far uscire altro che singhiozzi dalla sua bocca. Forse era meglio così, era meglio aver rifiutato di anticipare quel momento nella paura che Erwin lo chiamasse e lo cogliesse in flagrante col telefono occupato.

E quanto era stata dolce nel rispondere alle poche righe che Levi le aveva rivolto, quelle che aveva scritto con la disperazione che le muoveva le dita e Paura seduta sul petto con le sembianze di una bambina ribelle intenta ad allungargli sadica giocattoli per vederlo giocare; forse è stata proprio lei a sussurrargli di indossare quel maglione, scimmiottandolo per il modo in cui Petra l'avrebbe guardato se le si fosse mostrato schiavo del passare degli anni, trascurato di quella sciatteria che Erwin e il tempo gli avevano cucito addosso. Forse, il suo è solo il tentativo vano di un folle di riavvolgere il nastro ingiallito del tempo per potersi concedere un assaggio polveroso del passato, per poter rendere più tangibili i giorni in cui Erwin lo baciava dolce e lo toccava in un modo tutto fremiti e passione e lui usciva ancora con la rossa per fare shopping e le pagava il biglietto del cinema e i pop-corn per strapparle un sorriso. È utopistico quello che Levi prova ma per poche, labili e insignificanti ore, vuole provare ad essere il sé stesso di una volta, fingere di non essere un fantasma.

Guarda l'orario sull'orologio da polso ed è nostalgica la sensazione che prova quando realizza che manca poco meno di un quarto d'ora al loro appuntamento e Petra sarà ormai alla guida verso Scheveningen per raggiungerlo, perché lui le ha detto di non avere un'auto, il suo quartiere dista almeno sei chilometri dal centro di L'Aia dove l'altra vive e prendere i mezzi pubblici è una cosa di cui Erwin gli ha messo troppa ansia addosso e non si fida. Tutto quello che prova sono un insieme di stilettate allo stomaco, cuore che corre, ansia frenetica che ancora gli impone di guardarsi le spalle e petto leggero come mai lo è stato ultimamente. Perfino il fantasma delle dita di Erwin attorno al collo scompare e diventa un ricordo lontano, un incubo mai vissuto.

C'è spazio solo per la nostalgia nella sua forma più pura, cruda e strappalacrime quando intravede il piccolo edificio dello Starbucks dove lui e Petra hanno condiviso tanto, dai pomeriggi di studio ad ansie e preoccupazioni per il futuro, poi ancora segreti e stati d'animo. Quel piccolo edificio, quelle quattro mura che odorano di caffè e dolciumi, sono il contenitore della sua adolescenza e il palcoscenico che ha accolto la loro amicizia e l'ha vista sbocciare; è stato in quel luogo che si sono dati il primo appuntamento per studiare, che hanno riso a crepapelle e mangiato decisamente troppo, sfiorando troppe volte l'overdose di caffeina dopo le nottate insonni che passavano a giocare in coppia ai videogiochi e che li rendeva troppo simili a zombie quando di trovavano a doversi trascinare per forza d'inerzia nei corridoi della scuola.

Se non fosse stato costretto a cancellare quel poco di informazioni che si erano scambiati quella mattina per messaggio, Levi rileggerebbe all'infinito la loro conversazione, si lascerebbe di nuovo investire dalle parole nerissime sul display che lei gli aveva inviato; le prime, quelle dolcissime, quelle disperate, quelle da cui Levi aveva assaggiato il sapore delle lacrime dell'altra e che lo avevano fatto crollare. Forse lo aveva sempre saputo e sospettato che Petra fosse in grado di perdonare, ma non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti e confessarle quanto non avesse voluto urlarle contro, che tutto ciò di cui l'aveva accusata lui non l'aveva mai pensato ma aveva semplicemente dato fiato ai pensieri del marito come un automa per non venire guardato in quel modo allucinante dalle sue iridi cerulee che da sempre erano state capaci di dargli i brividi. Levi aveva urlato e insinuato cose non vere per evitare di subire grida e insulti in prima persona, poi semplicemente era stato troppo codardo per scusarsi e provare a recuperare i brandelli dell'amicizia che aveva distrutto; ora per quello si ritrova a tremare da capo a piedi, a fremere.

E chissà com'è cambiata, lei, chissà cos'ha fatto il tempo al suo volto e al suo corpo minuto. Chissà cosa fa, ora che gli ha detto di essersi trasferita in centro e di aver abbandonato a malincuore Scheveningen, se lavora o se anche lei ha un compagno e può capire l'inferno che vive, se può vedere le macchie violacee. Chissà quanto non sa di lei, chissà se il suo ordine preferito è ancora il caramel macchiato e mangia gelato alla stracciatella quando è giù di morale, se le sue mani sono ancora sempre fredde e fresche di manicure ed odia truccarsi gli occhi perché gli ombretti e gli eyeliner glieli fanno sempre lacrimare, se ogni dieci di agosto guarda il cielo in cerca di meteore in quella tradizione che Levi ha segretamente mantenuto intatta.

"Levi?"

Non c'è più tempo per processare l'ansia e cercare di calmare i tremori quando la voce fioca e spezzata di lei lo investe ed è più dolce di qualsiasi nettare o ambrosia; è un sussurro il suo nome, il bisbiglio più perfetto che i timpani del corvino abbiano mai assaggiato. E diamine, se Petra non è bellissima più di una volta in un modo che pare farla risplendere di luce propria e che lo costringe a smorzare un singhiozzo sul dorso del pugno chiuso mentre la guarda; non c'è nulla che Levi possa fare per sopprimere le lacrime calde che gli lasciano solchi sulla pelle, maledettamente simili a quelle che rigano il viso dell'altra e che lascia cadere senza vergognarsene.

È meravigliosa anche in quel modo, col viso scosso dal pianto e gli occhi d'ambra stranamente truccati con un'impeccabile linea di matita scura e abbondante mascara che macchia quelle gocce impastate di sale, nostalgia e sollievo e chissà che pensano i passanti nel vederli mentre si guardano da lontano e singhiozzano forte, gli occhi fissi sull'altro come a voler assorbire ogni singolo dettaglio.

Ecco cosa si è perso, Levi. Si è perso il momento esatto in cui Petra ha iniziato ad indossare le scarpe col tacco che prima tanto odiava e la banalità di quando ha trovato una marca di make-up che non le facesse quella brutta reazione allergica, il giorno in cui ha deciso di farsi crescere i capelli e di far allungare il caschetto ramato che portava prima fin sotto le spalle ed enfatizzarne i riflessi con una tinta. Si è perso il momento in cui l'altra ha iniziato ad indossare tailleur che le danno un'aria da donna in carriera e che le stanno divinamente, è stato assente quando l'altra si è probabilmente laureata e pure quando gli è stata legata la promessa di matrimonio all'anulare sinistro con quell'oro bianco abbacinante.

"Oddio, Lee..."

Petra è cambiata tanto, ma allo stesso tempo è come se quegli anni che li hanno separati non fossero mai esistiti quando Levi affonda il naso fra i suoi capelli e scopre che odorano ancora di zucchero filato; la sua pelle è ancora morbida e liscissima come velluto quando le prende il viso fra le mani per sincerarsi che sia reale e non l'ennesimo sogno troppo lucido che lo lascerà a stringere di nuovo un pugno di emozioni artificiali fra le mani. È sempre piccola fra le sue braccia, più minuta di lui che è sempre stato esile anche quando si allenava in palestra, sempre calda quando la stringe forte e le sue mani piccole sono fuoco sugli zigomi mentre gli asciugano le lacrime. Il suo cuore pompa talmente veloce che Levi si sente quei battiti possenti addosso filtrare attraverso la stoffa dei vestiti; chissà se Petra si è accorta che anche lui ha la tachicardia.

"Mi sei mancata così tanto..."

Sono le uniche parole che gli escono a fatica dai polmoni, che vibrano tese e strozzate sulle sue corde vocali e che strappano un singhiozzo acuto all'altra; Petra gli butta le braccia al collo e rimangono così, con lei che gli ripete quanto avesse desiderato rivederlo nel corso degli anni e Levi immobile mentre le cinge la vita, i pensieri turbolenti di troppe cose. Si chiede come possa una persona mostrargli così tanta compassione che non si merita, come la rossa possa ripetergli come un mantra che è felice di essere con lui e di poterlo riabbracciare quando tutto quello che aveva fatto era stato ferirla e tagliarla fuori dalla sua vita da un momento all'altro. È meraviglioso vederla piangere di gioia, poggiarle un lungo bacio sulla fronte calda che gli scalda le labbra e rimette al proprio posto qualche ingranaggio nell'anima di Levi. È a casa per il modo in cui la rossa si scioglie al suo gesto, si asciuga le lacrime coi palmi e gli rivolge il sorriso più bello su cui le iridi del corvino si siano mai posate; non è cambiata la curva deliziosa che assumono le sue labbra, nemmeno la presa morbida della mano quando Petra intreccia le loro dita e lo incoraggia ad entrare, la voce che ancora gli trema e la rende adorabile con gli zigomi e il naso arrossati.

"Vieni. Come ai vecchi tempi?"

E allora Levi vorrebbe piangere ancora perché Petra forse è più cieca nei suoi confronti di Kuchel, non vede quanto è sporco e quanto poco si meriti di essere trattato in quel modo, come se valesse qualcosa e fosse meritevole del perdono; si lascia trascinare dentro come un automa, le gambe che sembrano gelatina quando l'odore fragrante e pungente della caffeina gli investe le narici. Per qualche motivo che all'inizio non riesce ad afferrare, è strano mettere piede di nuovo in quel posto che li aveva accolti talmente tante volte che entrambi erano arrivati a conoscerlo come il palmo delle proprie mani e a considerarlo parte della loro quotidianità, ma gli basta guardarsi intorno per rendere quella strana sensazione allo stomaco più chiara.

Il locale è stato completamente ristrutturato, il concept minimal di qualche anno prima rimpiazzato con arredi in legno chiaro che gli ricordano le linee precise dello stile scandinavo miste al calore e alle rifiniture poco omogenee dell'industrial; il tavolino in fondo all'angolo a sinistra, quello nascosto in fondo al locale a cui erano soliti sedere, non c'è più. Al suo posto, è stata piazzata una specie di lunga appendice del bancone centrale e parecchi sgabelli per consumare un caffè al volo, completamente illuminata da faretti. Non esiste più il loro posto al riparo dagli occhi di tutti, a lavorare al bancone non c'è più quella biondina dal viso gentile che conosceva già i loro ordini e li accoglieva sempre col sorriso, perfino l'odore del locale pare diverso, quasi fosse più stantio. O forse sono gli anni passati a farglielo percepire in quel modo slavato e poco nitido, come se tutte le sue percezioni fossero irrimediabilmente ovattate.

È strano quando Petra lo invita a sedersi ad uno dei pochi tavolini vuoi, uno troppo esposto e vicino la grossa finestra a parete che la rossa non avrebbe mai scelto se avesse avuto più opzioni a disposizione; è strano ma familiare, perché quello è lo stesso locale che frequentavano e la rossa seduta di fronte a lui, ancora col viso sconvolto e le ciocche fulve fuori posto, è sempre Petra, eppure... C'è qualcosa che manca, qualcosa che il tempo ha irrimediabilmente sconvolto e messo fuori posto. È come se dovesse abituarsi da capo alla nuova atmosfera del locale e conoscere di nuovo l'amica ripartendo da zero. È sempre lei, sempre bellissima, dolce e preziosa come nessun'altra persona, ma è diversa. È cambiata in tante cose che Levi ancora non sa anche se quegli occhi d'ambra sono sempre uguali e il bene che le vuole gli manda in pappa il cervello.

Lei lo guarda e Levi si rende conto che dovrebbe parlare, rompere quel silenzio che fa un rumore assordante misto ai suoi pensieri, ma dare fiato alle poche parole che vorrebbe pronunciare gli pare una sfida impossibile; opta per prendere tempo togliendosi il giaccone e la rossa lo imita, sfilandosi il lungo cappotto nero dalla linea sartoriale e riponendolo con cura sulla spalliera della sedia in modo che non tocchi terra.

È un attimo e quella quiete tiranna viene rotta, la bolla crudele che lo intrappolava e che gli strozzava mille parole di scuse in gola viene infranta in mille pezzi dallo sguardo gentile di Petra, un sorriso malinconico e dolcissimo sulle labbra e un dito puntato addosso al maglioncino dell'amico.

"Questo te l'ho regalato io."

"Te lo ricordi?"

Forse è un po' troppo stupita la sua reazione, o magari solo è stato ingenuo a credere di essere l'unico ad aver custodito preziosamente nella memoria ogni minuscolo dettaglio di quell'amicizia troppo forte per cadere. Levi è così debole davanti alle iridi ambrate dell'altra che la vista torna a farglisi umida per quella semplice constatazione.

"È stato l'ultimo regalo che ti ho fatto... L'ultimo Natale che abbiamo trascorso insieme."

E quanto tiene a quel misero pezzo di stoffa che per tanti non avrebbe alcun valore, il corvino non sa esprimerlo a parole. È molto più di un semplice maglioncino, la trama sottile del cashmere finemente lavorato di cui è intessuto nasconde troppo; dovrebbe parlare davvero, confidare a Petra quanto abbia fatto tesoro della loro amicizia che ha continuato a coltivare con cura nei suoi sogni migliori, quelli in cui il mondo è a colori e non ci sono le mani di Erwin ad oscurargli la visuale. Dovrebbe parlare e chiederle scusa, perché è colpa sua se hanno dovuto congelare con un punto e virgola durato troppo a lungo alla loro relazione, ma il silenzio gli fischia nelle orecchie nello stesso modo scomodo e assordante dell'ansia ed è assurdo. Copre tutto, ovatta ogni cosa e lo fa sentire disorientato come se gli fosse appena esplosa una granata davanti e ne avesse le schegge aguzze conficcate addosso.

"S-Scusa, i-io... Io non- I-io"

È semplicemente patetico per lui ricominciare a balbettare come ai tempi del liceo durante le interrogazioni di storia di cui aveva sempre fatto fatica a ricordare le date, ma lei sorride ed è tutto quello che conta; la piega delle sue labbra sottili lucide di lipgloss gli ripete di prendersi il suo tempo, di non farsi prendere dal panico ed è proprio come allora. È come se fossero fra i banchi di scuola con lei a dargli coraggio e a farlo sentire meno socialmente inetto, a caricarlo prima di un compito in classe in cui era sicuro di fallire. Petra è la stessa di una volta e Levi crede di essere davvero nel passato; è la stessa perché è calda, perché gli fa cenno col capo di stare tranquillo e gli dà il tempo di riorganizzare i pensieri chiamando la cameriera ed ordinando un caramel macchiato ed un americano senza zucchero. L'unica cosa fredda di lei è l'oro bianco della fede che il corvino sente sul dorso della mancina quando la rossa gliela stringe da sopra al tavolo e lo sprona a guardarla; e se solo Levi avesse parole per scusarsi, probabilmente lo farebbe a dovere. Non c'è nulla che gli venga alla mente che possa esprimere come si sente, come si è sentito e come si sentirà in futuro per essersi perso il tempo di Petra, per aver rinunciato ai pomeriggi di studio insieme, alle serate al cinema e alla tazza di qualche bevanda calda. Gli rimangono solo tre semplici parole che gli paiono sterili e fredde come acciaio chirurgico; non potrebbe dirle nulla di più impersonale e distaccato, eppure quelle tredici e irrite lettere racchiudono tutto quello che pensa.

"Scusa. Per tutto."

Scusa perché ti ho cercata solo adesso, ma non ce la facevo più a starti lontano perché casa mia è diventata un inferno, scusa se sono egoista, perché ti ho cercata per parlarti proprio di quanto sono alte le fiamme che mi avvolgono fra quelle quattro mura che non sopporto più, scusami se ho la pretesa infame che tu mi capisca, scusami se ti carico per l'ennesima volta dei miei problemi perché sono un incapace che non si sa gestire. Scusami se ho dato retta ad Erwin e ti ho urlato contro che non dovevi permetterti di dire certe cose su di lui e di venire a sindacare che fossimo fidanzati da troppo poco per fare un passo del genere, scusami se ti ho urlato della bugiarda ogni volta che storcevi il naso perché dicevi che lui fosse troppo geloso di me e a te non stava bene vedermi stare male. Scusami perché, forse, avevi ragione. Scusami perché tu non sei più quella di una volta, come anche io non sono più quello di una volta. Scusami perché non sono venuto al tuo matrimonio; hai figli? Hai sempre avuto l'aria di una che sarebbe stata un'ottima madre. E ti sei laureata? Sei diventata una giornalista come sognavi? Questo tailleur ti sta divinamente, il grigio è sempre stato un colore che tu sei capace di accendere e far risaltare come se fosse la più brillante tonalità della scala cromatica; ti dona, ti dona davvero. Tuo marito come si chiama? Avrei voluto conoscerlo; vorrei conoscerlo, guardarlo negli occhi e ricordargli quanto sei preziosa. Spero che non ti porti i fiori tanto spesso come fa Erwin, che prima o poi finirà per appoggiarmi un mazzo di crisantemi sulla tomba. Che pensiero macabro è questo, eh? Che diresti se potessi sentirmi, Petra, se ti dicessi che è diventata la mia più grande paura? Che diresti se ti dicessi che avevi ragione, che legarsi in quel modo a qualcuno non è amore indissolubile e totalizzante, ma una gabbia? Che diresti se ti confessassi qui ed ora quanto piango?

"Ehi, Lee... Non è successo niente. Respira, ok?"

Neanche si è accorto di quanto abbia il respiro corto finche la rossa non glielo fa notare e gli rivolge una smorfia di sincera preoccupazione; che perfetto fantoccio di Paura è diventato.

"Ti ho fatto tanto male... Ciho fatto tanto male..."

"Non ha senso pensare al passato. Siamo qui adesso."

Cerca di rincuorarlo, ma Levi la vede la sofferenza celata dietro il velo umido che le rende lucidissime le iridi ambrate, l'amarezza slavata dal tempo del "non ci sei stato per me" che quegli occhi vorrebbero comunicargli, giudici crudeli della sua anima e dei suoi peccati; eppure, quella crudeltà non la fanno mai uscire. Rimane silenziosa, nascosta, traviata dalla felicità di rivedersi dopo tanto tempo.

"Sono passati anni, Petra. Anni. Non avrei dovuto permetterlo."

Anche se lei è troppo buona e non lo giudica, non può dimenticarsi di una cosa tanto importante; non può ignorare tutte le volte che è stato sul punto di contattarla e che ha rinunciato per paura e codardia, che ha preferito la compagnia delle lacrime ad un suo abbraccio caldo. Si sente così stupido ad aver gettato via la loro amicizia e ad averla sostituita coi rimpianti ora che la rossa è davanti a lui e scuote piano il capo, rivolgendogli la dolcezza che non si merita.

"Ma sono sicura che c'è un motivo se siamo insieme adesso. Lo so che sono passati anni, ma non caricarti di tutta la colpa che non hai. L'amicizia è una cosa che si fa in due, neanche io mi sono fatta avanti..."

Petra continua a parlare ma Levi è fermo alla prima frase, completamente bloccato. Un motivo c'è se è con l'amica, se ha ceduto e si è ritrovato coi suoi occhi d'oro puntati addosso: è egoista. È egoista e pretende che lei lo ascolti, che possa comprenderlo, che possa aiutarlo. Cerca l'aiuto che Mikasa e Kuchel non possono darle, cerca nei suoi occhi la stessa sfumatura eterea di Libertà che contamina quelli di Eren e vi si aggrappa con tutte le forze.

Vuole parlare del terrore, ce la può fare; lo sente caustico che gli risale l'esofago pronto per essere rigettato, è sicuro in quel momento che la sua indigestione duri da troppo tempo. Vuole lasciar andare tutto, confessare e chiedere a Petra fra le lacrime che cosa può fare, come può smettere di sentire tanto freddo ogni volta che Erwin gli si fa vicino e che le sue carezze gli si poggiano sulla pelle; vuole addirittura farle vedere i lividi, studiare la sua espressione mutare mentre tasta la carne appena gonfia e scura che macchiano. Non sente altro che non sia la voglia disperatissima di lasciarsi andare, di affidare quel poco che gli resta di sé stesso a qualcuno e pregarlo affinché lo protegga con tutte le armi che può mettergli a disposizione; è stanco di combattere, di fingere, di mentire; gli pare che possa cadere a pezzi da un momento all'altro, teme per la sua vita appesa ad un filo troppo sottile e prega che sia più resistente di quanto sembri ai suoi occhi, traslucido e quasi invisibile come ragnatela. Il passato è da lui e lo protegge sotto le sue ali, ha le sembianze di Petra e il buon profumo dell'americano che la cameriera gli poggia davanti con un sorriso, il sapore nostalgico e pungente della prima abbondante sorsata; e il Levi di una volta avrebbe il coraggio di sussurrarle il suo dolore, di confidarlo all'amica senza far rumore come fosse un segreto letale.

"...Sono stata arrabbiata, Levi, non avrebbe senso nascondertelo. Ho cancellato il tuo numero di telefono il giorno dopo, per un periodo non ho nemmeno voluto che mia madre nominasse il tuo nome perché mi faceva troppo male il fatto che te ne fossi andato. Poi col tempo ho realizzato che mi sarebbe solo bastato rivederti, che forse ho esagerato a persuaderti per provare a farti allontanare da Erwin quando ti ha fatto la proposta perché pensavo che non fosse giusto per te e mi sembrava che ti reprimessi sempre in sua compagnia. Ho cercato il tuo nome su tutti i social-network e non l'ho mai trovato, sono stata pessima perché non ho mai avuto il coraggio di venire a casa tua a parlartene faccia a faccia o lasciare che tua madre facesse da tramite fra me e te e ti dicesse che avrei voluto parlarti. È anche colpa mia."

Sospira di sollievo; preferisce sapere che Petra avesse provato a cancellarlo dopo poche ore da quando le aveva urlato addosso di stare fuori dalla sua relazione e di non intromettersi mai più nella sua vita di coppia, piuttosto che sapere quante volte avesse provato vanamente a chiamarlo senza mai ricevere una risposta; Erwin aveva bloccato il suo numero, nonostante Levi lo avesse implorato per ore fra le lacrime di non farlo, di non togliergli Petra. Sarebbe pure sceso a patti col biondo accettando qualunque cosa pur di continuare ad uscire con l'amica e poterle chiedere scusa, ma era stato irremovibile; aveva letteralmente dato di matto mesi dopo, quando aveva scoperto che il corvino aveva fatto stampare una partecipazione per il loro matrimonio col nome di Petra stampato sul cartoncino in una calligrafia elegante, minacciandolo di bruciarla nel piccolo caminetto di casa sua. Era stata una fortuna il riuscire a conservarla, a lasciare che l'inchiostro sbiadisse per il tempo e per le lacrime che Levi vi aveva irrimediabilmente versato sopra. È proprio per quello che Petra può capirlo, perché a lei Erwin non è mai piaciuto e probabilmente non rimarrebbe stupita se Levi le confessasse quanto aveva avuto ragione fin dall'inizio, che anche se lui non se n'era mai accorto, accecato dall'amore com'era, il biondo lo aveva sempre fatto tremare di brividi freddi e scomodi; non aveva mai avuto l'odore di Libertà.

"Non ti devi scusare di niente, ho reagito male io e avrei dovuto farmi avanti prima, invece di tagliarti fuori. Ho sbagliato terribilmente."

Sospira di nuovo, prende un'altra sorsata per togliersi il bruciore cocente degli occhi dell'amica di dosso e l'amarezza dall'anima; se solo avessi potuto. Se solo Erwin mi avesse permesso di aprire dei profili social dove poter condividere quel poco della mia vita mondana e i miei lavori come arredatore d'interni per farmi un po' di pubblicità.

"Non te ne faccio una colpa. Eri innamoratissimo e io il terzo incomodo."

Ridacchia nostalgica mentre nasconde gli zigomi tinti d'imbarazzo nella grossa tazza di caramel macchiato; qualcosa in Levi si scioglie quando lei gli allunga la bevanda, l'aroma fragrante del caffè che misto a quello dolce del caramello che gli investono le narici. È esattamente come ai vecchi tempi quando lui poggia le labbra sulla porcellana, ne beve una piccola sorsata e le labbra sottili gli si storcono in una smorfia di mezzo disgusto; Petra ride coprendosi la bocca col dorso della mano ed è il suono più bello di sempre, più paradisiaco persino della risata di Eren.

"Rimane sempre disgustosamente dolce."

È il suo commento, intriso di una malinconia tale che gli occhi della rossa si fanno ancora più dolci, diventano miele chiarissimo e perfettamente zuccherino; si domanda se anche per Petra essere lì in quel momento significhi aver sfidato le leggi del tempo, se anche lei trovi il passato stranamente confortante e meno tiranno del presente che invece gli trascina le membra fatto di pesanti catene, cocenti di filo spinato arroventato e ortiche.

"Immagino che alla fine tu ed Erwin vi siate sposati."

Forse si irrigidisce a quella semplice constatazione, ma Petra non se ne accorge. Continua a guardarlo negli occhi come se avesse un miraggio davanti, con una fame d'informazioni impressa nelle iridi che pare gridare "dimmi di te, dimmi di più, recuperiamo tutto quello che ci siamo persi in questi anni."E forse, Levi vorrebbe davvero gridare; sono l'occasione perfetta le parole dell'amica, l'ancora di salvezza alla quale può aggrapparsi con le unghie e con i denti per difendere sé stesso e Libertà, per far in modo che quest'ultima abbia la meglio su Paura e la soffochi senza rimorsi e ripensamenti.

"Sì, ci siamo sposati, ma le cose ultimamente non vanno bene come vorrei"; è tutto quello che dovrebbe dire per iniziare il discorso per il quale ha sacrificato tanto e sta rischiando tanto, per onorare quelle poche ore di libertà che si è preso e per rimpicciolire l'enorme senso di colpa che prova nei confronti della sorella. E lo farebbe, parlerebbe, urlerebbese si sentisse pronto. Eppure è troppo presto, lui è stato colto alla sprovvista e non può farlo adesso, non quando non ha avuto il tempo di prepararsi psicologicamente per quello che deve dirle e il cuore gli è balzato incurante in gola; l'ansia gli fa sentire eccessivamente caldo e formicolare le punte delle dita.

Strozza un solo, misero e maledettissimo in risposta e non riesce a trovare abbastanza insulti da rivolgersi per l'occasione che ha sprecato, per quanto è diventato fragile e maledettamente incapace anche solo di aprire la bocca ed esprimere un pensiero senza che ci sia qualcosa a strozzarglielo prima del tempo, quelle iridi troppo cristalline a giudicarlo, seviziarlo, braccarlo.

"E Kuchel e Robert? Come stanno?"

Stringe i denti, poi però guarda il grosso orologio da parete in legno scuro che l'amara ironia della sorte gli ha piazzato davanti a ticchettare i secondi crudelmente sarcastico e imperturbabile; lo rilassa il sapere che ha ancora un'ora a disposizione per parlare con l'amica, sessanta minuti di passato in cui immergersi e in cui cercare sollievo per completare la sua missione, per dare senso al display rotto del cellulare che continua a perdere pezzi nel taschino del giubbotto. Ha bisogno di sciogliersi un poco prima di presentare all'amica le sue emozioni crude, decide che gli va bene parlare del passato per placare la sete di informazioni che lei ha impressa negli occhi e che glieli fa brillare, nonostante abbia toccato un tasto dolente. Petra non può sapere però tutto quello che è successo e non conosce il rumore assurdo dei sogni a lungo contemplati e poi conquistati con immane fatica che vanno in frantumi.

Va bene parlare di Robert e di come li abbia abbandonati, va bene per darsi coraggio e potersi spingere a parlare della sua relazione fra qualche minuto; va bene anche parlare a Petra di Isabel e vederla illuminarsi di gioia, per poi subito dopo rabbuiarsi dispiaciuta alla notizia della sua malattia. Levi non sa come la situazione gli sfugga di mano e piano piano ritornino al presente.

Parlano di Petra, del giornale per cui lavora e dell'appartamento in cui vive con Oluo, del barboncino che lui le ha regalato per San Valentino facendola commuovere per la gioia, di quanto sia soddisfatta della sua vita, di come sono andate le cose dopo che Levi l'ha tagliata fuori dalla sua quotidianità. Forse era stato presuntuoso da parte del corvino pensare di essere l'unico ad aver sofferto in quegli anni, perché lo vede ancora marchiato a fuoco negli occhi di Petra e nel modo in cui rabbrividisce e diventa scura in volto che la morte del padre le abbia fatto troppo male; quanto, quanto si pente di non esserci stato in quel momento a farle da spalla su cui piangere o di non essere stato raggiungibile quando quell'ultimo esame all'università sembrava impossibile da passare e la faceva tremare d'ansia e nervosismo, la etichettava beffardo come incapace che non sarebbe andata da nessuna parte nella vita. Levi si pente di tutto, si pente soprattutto di aver permesso al tempo di ingannarlo, di scorrere così veloce fino a far rimanere pochissimi granelli nella sua clessidra personale e di avergli concesso di farlo tornare al presente con quelle chiacchiere con l'amica; le loro tazze sono già vuote da troppi minuti.

Lei è così diversa ora, troppo diversa; è con la mente lucida Levi realizza che il passato non è un giaciglio fatto di morbida ovatta in cui crogiolarsi e cercare conforto, ma il peggiore schiavista che abbia mai incontrato; è proprio lui a dargli false speranze, a fargli credere che i colori siano più nitidi e che nulla è perduto per sempre, a fargli ritrovare sé stesso seppur per pochi minuti trascorsi in compagnia dell'amica. È pieno di filtri ingannevoli che ne camuffano il nero marcescente, è ricoperto di zucchero per nascondere il sapore di fiele che lo infesta, pare fatto della stessa plastica morbida ma capace di annerire delle bambole di Isabel. E forse il presente è meglio perché per quanto il corvino lo odi corpo e anima, almeno non ha la faccia tosta di mentire o di fingersi benevolo e clemente; è brutalmente onesto, ed è solo un problema di Levi se l'onestà gli fa male ora che ha imparato a mentire come un professionista.

E che dovrebbe dire del passato? Che dovrebbe rivelare a Petra del presente invece, con quei pochi minuti che gli sono rimasti e che lo fanno fremere, con la tachicardia che non l'ha abbandonato nemmeno per un singolo istante e ha continuato a tartassargli il petto? Quanto sarebbe egoista rovinare l'atmosfera degli ultimi minuti che riusciranno a passare assieme soltanto per dare fiato a come si senta invisibile, insignificante e impotente sotto lo sguardo del marito? Forse Levi vuole solo godersi Petra, perché non sa quando riuscirà di nuovo a contattarla.

"Dovremmo andare al parco un giorno di questi... Così Isabel può giocare con i gemelli."

Dovrebbero, dovrebbero assolutamente, anche se il cuore gli si ferma in gola non appena Petra raggiunge una piccola foto nel suo portafoglio e gliela mostra, il sorriso che le si forma sulle labbra lucide di gloss più eloquente di mille parole. E chissà se quei due bambini hanno preso gli occhi blu dal padre o quelle pozze di cielo siano un semplice risultato inaspettato della genetica; i capelli rossicci di entrambi sono dello stesso esatto colore della chioma dell'amica quando era adolescente, ramati di sfumature meravigliose e cariche. Sono adorabili le treccine laterali in cui sono acconciati i capelli della femminuccia, mentre il maschietto porta sulla testa una zazzera disordinata ed è impegnato a rivolgere una linguaccia a chiunque abbia scattato la fotografia che ha immortalato quel momento vivido ed eterno su pellicola. Sono meravigliosi e gli provocano l'ennesima ondata di lacrime della giornata, il povero cuore che prende a battergli ancora più furiosamente sulle costole.

"Petra..."

"Hanno tre anni. Bianca e Sebastiaan."

E Levi semplicemente piange di nuovo lacrime troppo amare, lascia cadere sul legno del tavolino le emozioni che l'amica non riesce ad asciugarle coi polpastrelli tremanti; è anche questo ciò che si è perso in quegli anni: la gioia di una gravidanza, il pancione rigonfio di vita sull'amica, le parole dolci che deve avergli sussurrato alla notte quando magari non riusciva a prendere sonno e cercava compagnia in quei boccioli. Il corvino non avrebbe mai pensato di sentire dita prepotenti strizzargli il cuore al pensiero delle ninna-nanna che le circostanze non gli avevano mai fatto cantare, delle storie della buonanotte che sapeva inventare rimaste silenziose come i boschi d'inverno; eppure, è un tormento sapere di non esserle stato vicino nel condividere la gioia - o forse l'iniziale tristezza e abbattimento, chissà - del test di gravidanza positivo. Come aveva reagito Petra? Aveva avuto paura o aveva da subito creduto nelle sue capacità di poter essere un'ottima madre? Aveva pianto di gioia, di paura, di sconforto? Aveva riso e abbracciato il compagno? E lui, invece, come aveva reagito? Levi aveva provato una sola volta a dire ad Erwin che gli sarebbe piaciuto adottare un bambino, ma l'occhiataccia letale che aveva ricevuto e la smorfia sconvolta gli avevano ricacciato indietro ogni voglia di affrontare seriamente il discorso col marito. In fondo, il biondo i bambini non li aveva mai davvero tollerati; una volta, mentre parlavano di Isabel, aveva detto a Levi che gli ricordavano della sua infanzia, che per nulla al mondo avrebbe messo di nuovo piede in un orfanotrofio in vita sua anche solo per firmare dei documenti d'adozione. Il suo sguardo era talmente tanto perso e lucido di lacrime umide che il corvino lo aveva stretto forte, mormorandogli fra i capelli che non importava, che gli bastava lui e non avevano per forza bisogno di aggiungere un'altra bocca da sfamare in casa e una nuova cameretta per sentirsi una famiglia. Erwin lo aveva abbracciato di rimando e gli era sembrato stranamente fragile come era capace di mostrarsi solo in pochi e rari momenti.

"Avrei voluto esserci."

Avreidovutoesserci.L'orologio da parete gli ricorda che ha a disposizione ancora poco più di cinque minuti e si domanda se sia strano immaginarsi le lancette crescere denti aguzzi apposta per fargli smorfie e ghignargli di sottecchi, ricordandogli quanto sta sprecando e quanto il passato sia il miglior illusionista capace di ingannare le folle mai esistito. Vuole parlare, vuole seriamente mettersi ad urlare ed implorare Petra di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma che può dire quando lei lo guarda con quell'espressione dolceamara e lui rischia ancora di annegare nelle sue stesse lacrime. Può davvero romperla di nuovo senza pentirsene per il resto dei suoi giorni ora che si sono ritrovati dopo troppi anni vissuti da perfetti estranei? Può davvero ammettere con così tanta leggerezza che quell'incontro altro non è che il perverso risultato di un egoismo malatissimo di cui non riesce ad estirpare le radici penetrate troppo a fondo della sua anima e che si nutrono della sua stessa linfa vitale?

"Lo so. Anche io avrei voluto che tu ci fossi e non te lo nascondo, ma non si può cambiare quello che è successo."

"Sei stata felice di essere rimasta incinta? E sei felice con lui e con i bambini?"

Almeno quello lo vuole sapere, vuole guardarla negli occhi mentre le chiede del marito, attento ad ogni minuscolo e più impercettibile cambio d'espressione sul suo viso; il miele colato degli occhi di Petra si fa immensamente dolce e chiaro, quasi traslucido di emozioni. Raggiunge di nuovo la mano di Levi e gliela stringe piano prendendola a coppa fra le sue.

"La gravidanza è stata un po' una sorpresa... Insomma, io e Oluo non l'avevamo programmato, né tantomeno ce lo aspettavamo a dire la verità. All'inizio la cosa ci ha un po' spaventati, ma tempo un mese e avevamo già sgomberato la camera degli ospiti per ridipingerla e renderla a misura di bambino. Poi beh... La prima ecografia è stata l'altra grande sorpresa e non potevamo essere più felici. Lui aveva paura di non essere all'altezza di due marmocchi, invece è un ottimo padre e il compagno migliore che potessi mai desiderare. Dovresti conoscere pure lui, magari potremmo fare un'uscita a quattro e coi bambini. Non mi dispiacerebbe parlare anche con Erwin, a dire la verità. Mi ricordo che fosse piuttosto arrabbiato con me per come ho interferito nella vostra relazione e vorrei chiarire questa cosa con lui. Non è mai stata mia intenzione ferirvi Lee, davvero."

Fa fisicamente male passarle il piccolo quadratino di pellicola fotografica e sorridere, mettere un freno alla lingua per impedire alle parole di scivolargli dalla bocca veloci e senza consenso; è di nuovo la sua occasione, la piccola luce in fondo al tunnel che gli alimenta la speranza, eppure è così lontana, così fioca e lui è semplicemente troppo stanco per raggiungerla, troppo impaurito del buio pesto che dovrà affrontare nel tragitto. E poi c'è sempre lei, l'inadeguatezza che gli cuce le labbra e che lo arpiona al passato con legacci troppo stretti e uncini affilatissimi, che gli sussurra che sarebbe inutile ed egoista parlare; c'è anche il tempo che scorre troppo veloce e che mangia i secondi divorandoli istericamente e facendolo fremere. Non c'è nulla che può fare per impedire al piede di tamburellare nervosamente a terra e ai denti di tirare le pellicine sul labbro inferiore perennemente screpolato.

"Si può ricominciare, Levi. Siamo adulti ora e io ti voglio lo stesso bene che ti volevo una volta. Non ho mai messo in discussione l'affetto che provo per te, nemmeno dopo la litigata e voglio che tu lo sappia. Non ha senso portare avanti rancore quando è chiaro che tutto ciò che vogliamo è riprendere i contatti; è successo, lasciamo il passato nel passato e viviamo il presente."

Sono una coltellata letale nei polmoni quelle parole, ma Levi non lo dà a vedere; sospira e gli pare di inalare troppo poco fiato mentre guarda con le iridi sgranate l'orologio che gli rivolge un disgustoso ghigno trionfante. Anche Petra si gira a guardare l'orario e Levi deglutisce a vuoto; spera solo di trovare una scusa plausibile per riuscire a scappare dall'amica senza risultare forzata. La realtà è che non vorrebbe mai andarsene, vorrebbe rimanere da Petra e sentire ancora l'odore di zucchero filato dei suoi capelli pungergli le narici.

"Oh, sarà meglio che vada ora! Come ti ho detto per messaggio oggi non ho molto tempo, i gemelli sono ancora al nido e devo passare a prenderli io, che Oluo ha il turno pomeridiano in ospedale e stacca stasera tardi. Ma se vuoi puoi venire con me, così li conosci. A me fa solo piacere passare del tempo insieme, lo sai."

Quella coincidenza gli sembra fin troppo fortuita, un inganno che il karma gli farà ripagare sicuramente a peso doppio, perché non c'è verso che possa passarla liscia per le trasgressioni della giornata; si chiede se Erwin abbia già provato a videochiamarlo e quante volte gli abbia risposto la voce metallica della segreteria telefonica, come stia metabolizzando il nervosismo. Scuote il capo in direzione di Petra prima di alzarsi, e gli pare quasi che il rumore della sedia che struscia sul pavimento possa attirare l'attenzione di chiunque nel locale; si sente dita puntate a sentenza addosso e grida che lo chiamano traditore, fischi d'approvazione per i lividi che porta addosso come stoffe preziose. Si sente osservato e colpevole quando nessuno lo guarda, ed è forse una delle sensazioni più viscide che abbia provato nella sua vita.

"Mi piacerebbe tanto, ma ho una commissione da fare per mamma e devo essere a casa al massimo fra un'oretta. Ci vediamo un altro giorno però, te lo prometto."

È una promessa che fa anche a sé stesso, perché diamine se ha voglia di rivederla e vuole specchiarsi di nuovo nei suoi occhi, raccontarle tutto quello che può e farsi raccontare della sua vita; gli costa fatica rifiutare quell'invito, tenta di nasconderla indossando il cappotto. Anche Petra ha indossato di nuovo il soprabito elegante che slancia la sua figura quando si avviano verso le casse per pagare e Levi non le permette di protestare per averle offerto la bevanda. È meno del minimo di quello che Levi dovrebbe fare per sdebitarsi completamente con l'amica.

Abbandonare quel locale è strano, rende la realtà ancora più vivida e concretizza il flusso del tempo che scorre in uno spesso cappio che minaccia il collo del corvino e che si stringe di poco ogni secondo, incurante di quanto faccia tremare la sua vittima. L'aria è fredda, colpisce il viso di Levi come lame gelide e taglienti e gli strappa a forza dalla pelle il tepore con cui l'ora meravigliosa passata con Petra e il caffè americano lo avevano ricoperto; il Sole non lo scalda come vorrebbe.

"Vuoi un passaggio da qualche parte? Posso accompagnarti, ho parcheggiato qui vicino."

"Stai tranquilla, non c'è bisogno."

L'abbracciano che si scambiano è semplicemente inestimabile, un insieme unico di sospiri pesanti, battiti veloci ed emozioni. Sono insolitamente calde le mani di lei che gli carezzano la nuca rasata mentre lo stringe forte e gli sussurra promesse.

"Scrivimi quando hai voglia di un caffè o di una semplice chiacchierata, ok? Io ci sono sempre, Lee, e non immagini quanto mi ha fatto piacere rivederti."

"È lo stesso per me. Voglio che ci teniamo in contatto."

"Certo."

È difficile come poche cose al mondo sciogliere quel contatto e lasciarla andare, trattenere le lacrime che minacciano di rigargli nuovamente gli zigomi quando lei si allontana continuando a tenere il capo rivolto nella sua direzione fino a che non svolta l'angolo; quasi si urlano di nuovo la promessa di rincontrarsi per rinnovarla. L'ultima immagine che ha del suo sorriso è meravigliosa da togliergli il fiato e lui invece è semplicemente un incapace, il Re degli Inetti.

Sono troppo amare le gocce di sale che gli affogano le labbra; forse, il coraggio di parlare non lo ha mai avuto e non ha fatto altro che prendersi in giro da solo.

____________________

SPAZIO AUTRICE

Ed ecco la prima parte di queste poche ore che Levi si è ricavato a forza lontano dalle videochiamate di Erwin. Spero che vedere Petra vi abbia fatto piacere, anche se Levi alla fine si è sentito troppo bloccato per parlare. Io sono stata davvero felice di scrivere di lei dopo averla nominata per tanti capitoli senza averla mai fatta apparire; credo anche che il nostro Levi si meritasse di stare un po' con lei e di chiarire... Di certo gli ha fatto bene scoprire che da parte dell'amica non c'è rancore, ma solo voglia di riprendere in mano il loro rapporto.

Cosa pensate che accadrà nei prossimi capitoli? Sono curiosa di sapere cosa pensate, visto che mancano esattamente quattro capitoli alla fine della storia (logorrea permettendo)😏👀

Alla prossima!❤️✨

Continue Reading

You'll Also Like

7.4K 589 40
Ilaria è una ragazza di 20 anni che non aveva mai pensato di poter trasformare la sua passione per la musica in un lavoro finché non è entrata ad Ami...
129K 3.5K 76
perché ho gli occhi molto più cechi del cuore e non sono mai riuscita a vederci amore... rebecca chiesa, sorella di federico chiesa, affronta la sua...
7.2K 546 14
Ma se vuoi, ora ti porto a casa Un bacio sa di marijuana Addosso solo una collana Fuori è buio come l'ossidiana
121K 6.7K 109
quando incontri la persona giusta poi è così difficile lasciarla andare, diventa il tuo punto di riferimento, la tua casa, il tuo tutto.