Capitolo 1

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La sveglia suonò alle 8:15. Poiché gli esami erano ancora lontani potevo concedermi qualche ora in più di sonno. Aprendo gli occhi, mi stiracchiai nel letto e con una mano accarezzai Princess, il mio Labrador, l'amore della mia vita, che ogni notte dormiva accanto a me. Nel corso degli anni era nato un legame indescrivibile, che nessuno riusciva a capire. Quando la guardavo ogni pensiero spariva e mi perdevo in quegli occhi color caramello, che sapevano trasmettere più di tante parole inutili.

C'erano giorni che alzarsi da quel letto era davvero difficile, poiché quel gesto avrebbe dato inizio ad una giornata identica a quella precedente, ma pur controvoglia lo feci.

"Ciao papà." Stefan era seduto nel solito angolino del divano a guardare le ultime novità al notiziario.

"Ciao." E con gli occhi iniziò a seguire i miei spostamenti, pensando ad un modo per passare il tempo. "Ti va di uscire stamattina?"

"Devo andare all'università."

"Come mai? Non mi dire che inizi a frequentare le lezioni." Il tono di voce di Stefan sembrava scherzosamente impaurito.

"Devo semplicemente andare in biblioteca a consegnare dei libri."

"Vuoi che ti accompagni?"

"Ehm...Se ti fa piacere mi faresti un favore." Risposi felice di quella proposta. "Tra mezz'ora usciamo da casa. Prima sistemo la mia stanza e mi preparo." Scappai dal salone non dando così a mio padre l'opportunità di tirarsi indietro, e infatti sentii Stefan ridacchiare notando la mia veloce fuga.

In cucina mi avvicinai ad un foglio attaccato al frigo, per ricordarmi cosa dovessi mangiare quel giorno. Da anni cercavo di perdere quei maledetti dieci chili che non mi facevano stare bene con me stessa, ma la mia gola vinceva ogni battaglia contro improbabili insalate e petti di pollo che urlavano pietà. Questa volta però mi ero affidata alle mani di un nutrizionista, stanca di essere considerata da tutti la grassottella bruttina. La volontà c'era, ma non era accompagnata da un aiuto reale in casa. Charlene il più delle volte cucinava non seguendo le porzioni assegnate o cambiando le portate a seconda di ciò che vi era nel frigorifero, ponendomi davanti piatti pieni di cibo poco adatti. Seguire la dieta sembrava una vera e propria missione. Inoltre l'attività di famiglia di certo non aiutava; tutti i dolci che non erano stati venduti venivano regalati ad amici, parenti o persone più bisognose, ma alcuni erano portati a casa e rappresentavano una continua tentazione.

Tutti, dacché ho memoria, almeno una volta nella vita mi avevano fatta sentire inadeguata nel mio corpo. Andare a scuola per me aveva rappresentato un incubo, luogo in cui rappresentavo la perfetta vittima di scherno e derisione. Questo aveva accresciuto l'insicurezza e l'inadeguatezza nei confronti del mondo che mi circondava. È per questo motivo che casa aveva sempre rappresentato un porto sicuro in cui ormeggiare quando fuori infuriava la tempesta.

Una doccia veloce sembrò migliorare la giornata, scacciando via tutti i pensieri. Di corsa andai in camera e infilai i primi jeans che trovai nell'armadio con una felpa rossa presa a Praga qualche anno prima. Insomma penso sia chiaro che non mi piace tanto curare il mio look. O meglio mi sarebbe piaciuto se mi fossi sentita apposto con me stessa, ma non essendo così preferivo passare inosservata all'interno di panni che non davano nell'occhio. Un po' di bbcream e un filo di mascara era tutto quello che la makeup artist che c'era in me sapeva fare. E ne andavo anche fiera!

In macchina accesi la radio, sintonizzandola su una stazione sportiva. Il calcio era uno di quegli argomenti di discussione che riusciva a coinvolgere un po' tutta la famiglia, unita nel tifo per la London High.

Arrivata all'università, scesi dalla macchina e mi diressi a passo veloce e con gli occhi puntati a terra verso la biblioteca, che ormai conoscevo perfettamente. Un luogo silenzioso in cui l'abilità nel conversare non era un requisito richiesto. E di questo la mia timidezza non poteva che ringraziare.

Cenerentola col PalloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora