Incubi e risvegli

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La luce dorata del tramonto illuminava il corridoio del reparto, infondendo calore all'ambiente solitamente asettico e impersonale.

Con una cartellina tra le mani, Sakura lo percorreva per la seconda volta, con l'intenzione di controllare di nuovo alcuni pazienti: prima di terminare il turno, voleva assicurarsi che non le fosse sfuggito nulla.

Sembrava tutto calmo; solo il leggero chiacchierio, proveniente da alcune stanze, spezzava la quiete apparente di quel piano dell'ospedale, che a tratti tornava a essere ricoperto dal silenzio.

Dopo essersi fermata a visitare un chounin ricoverato qualche ora prima, la kunoichi si trattenne incerta davanti a una porta socchiusa. Era entrata già diverse volte nella camera, sfruttando in alcuni casi una scusa, però farlo anche in quel frangente le parve fuori luogo.

In teoria il quadro clinico si stava stabilizzando, ancora un paio di giorni e il jounin sarebbe stato dimesso, eppure a preoccuparla era il suo sguardo talvolta perso nel vuoto; l'aveva scorto sul suo volto nei momenti in cui, senza sapere di essere osservato, aveva abbassato la maschera di cordiale tranquillità, indossata fin dall'istante in cui era stato portato in ospedale.

Di soppiatto, un pensiero si intrufolò rapido nella sua testa: da quando esattamente aveva cominciato a leggere al di là delle espressioni e degli atteggiamenti del suo maestro?

Era tuttavia una domanda troppo scomoda e la lasciò scivolare via immediatamente, abbastanza in fretta da consentire a se stessa di aprire la porta senza altri ripensamenti.

Dopotutto era un suo paziente e aveva il diritto di preoccuparsi.

Si affacciò nella stanza e rivolse lo sguardo verso il letto: Kakashi dormiva, con la testa reclinata di lato sul cuscino, il corpo nascosto a metà dalle lenzuola e le fasciature visibili sotto la canotta nera.

A prima vista, il suo appariva un sonno tranquillo, ma avvicinandosi Sakura notò gli occhi serrati in un'espressione sofferente, le mani chiuse a pugno e la tensione percepibile nelle braccia irrigidite.

Gli era ormai vicina quando l'uomo si girò di scatto su un fianco, sospirando in modo agitato e trascinando con sé, nel movimento, il lenzuolo bianco stretto tra le dita in un gesto nervoso.

Sotto l'immancabile maschera, le sue labbra si dischiusero per pronunciare poche incerte parole.

"No, Obito... dovevi... lasciarmi lì," sussurrò il jounin, con la voce rotta dall'angoscia.

Con un vuoto improvviso allo stomaco, la giovane dottoressa si sedette accanto a lui senza rifletterci molto, gli posò una mano sulla spalla e allungò l'altra per toccargli la fronte, provando un moto istintivo di sollievo quando appurò che la temperatura corporea era normale.

La reazione subitanea di Kakashi la fece però sussultare di sorpresa.

Risvegliato dal suo tocco inaspettato e ancora confuso dall'incubo interrotto, l'uomo le afferrò con una presa decisa i polsi e allontanò le sue mani da lui, poi si alzò bruscamente mettendosi a sedere.

"Kakashi-sensei," mormorò la kunoichi, ma i suoi occhi scuri la fissavano senza vederla, annebbiati forse dallo stesso dolore silenzioso che lo tormentava da quando era tornato dalla missione.

Sakura sapeva solo che uno dei ninja della spedizione era morto sul campo di battaglia e non era stato possibile recuperarne il corpo; delle altre informazioni frammentarie, ascoltate mentre interveniva d'urgenza sugli altri feriti, nessuna le era rimasta impressa.

Il ricordo del battito debole di Kakashi e della sua divisa coperta di sangue le causò un momentaneo giramento di testa e, se non avesse avuto ancora le braccia bloccate dalle sue mani, probabilmente gliel'avrebbe gettate al collo, aggrappandosi al suo corpo per sentirlo ancora lì, presente, anche se turbato da una sofferenza per lei sconosciuta.

A un passo da teWhere stories live. Discover now