Prologo.

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Aeroporto di Londra, 10:39.

Non ne sono ancora sicura, ma credo che tra pochi minuti mi ritroverò davanti mia zia Jenna. Mi sembra quasi strano chiamarla così, dopotutto non ho mai avuto alcun rapporto con lei, tanto meno con la sua famiglia. Non so precisamente il perché, so solo che non mi importava parlare o passare del tempo con loro. Ma le cose cambiano, visto che adesso vivrò con lei.

Due figlie, fortunatamente piccole, ed un ragazzo della mia età. Non potrebbe andare meglio di così.

Dovrò subire mille domande, frasi compassionevoli e condoglianze a non finire, quando vorrei solo stare nella mia stanza, nel mio letto, con le cuffie alle orecchie e la musica a palla.

Fuori dal mondo, così da dimenticarmi quant'è dura la vita quando si è soli.

Ritrovarmi estranei che vanno girovagando per casa, una casa che non è mia. Quella che avevo, sarà ormai invasa dai mobili, giocattoli e robe varie della nuova famiglia.

Nulla sarà come prima. Sono consapevole di questo da quando mi sono risvegliata in ospedale, quel famoso venti agosto, solo cinque giorni prima del mio compleanno. Avrò pure diciassette anni, ma non sono di certo stupida. Non piangerò, anche perché ho finito tutte le lacrime che avevo, anche quelle di riserva.

Vorrei solo stare sola. Io voglio stare sola.

Una donna alta, con un sorriso smagliante e dei lunghi capelli scuri, si posiziona davanti a me. Prende la mia mano e la stringe, tirandomi a sé in un abbraccio imbarazzante, almeno per me.

"April!" esulta, entusiasta. "Come sei fatta grande, tesoro" sorride, per poi squadrarmi da capo a piedi.

Felpa larga, jeans leggeri e scarpe da tennis. Alcune ragazze, sull'aereo, si erano voltate verso di me, iniziando a prendermi in giro per il mio abbigliamento, secondo loro, da barbona.

Io, con indifferenza, avevo risposto con un "Mi piacciono i barboni, sono più simpatici delle prostitute", lanciando uno sguardo di ghiaccio, impassibile, sui loro vestiti succinti.

C'è da dire che non mi hanno più rivolto la parola.

"Vieni, entriamo in macchina, avrai freddo" sussurra, in evidente disagio.

Io annuisco, seguendola. Non ho accennato neanche ad un saluto, come una maleducata. Mi passo una mano sui capelli, lunghi fino al fondo schiena, per poi entrare in macchina.

Piccola, calda, confortevole.

Affondo nel sedile, poggiando la testa sul finestrino. Sta piovendo. Tipico di Londra, soprattutto in questo periodo. Ora che ci penso, siamo quasi a Novembre.

Ho già saltato due mesi di scuola, non ci posso credere.

"Allora, April" prende parola la donna, accendendo l'auto. "Cosa hai fatto in questi mesi? Dove sei stata? Come stai?"

Ed ecco che iniziano le domande. Abbasso la testa, nascondendola nel cappuccio, sospirando. Ce la posso fare.

"Oh, cara, se non vuoi parlare va bene lo stesso, tranqu-"

"Sono stata da un'amica di mio padre. Erano molto legati, quindi... si, sono stata a casa sua." Mi volto, trovando il suo sguardo concentrato sulla strada, ed un sorriso sulle labbra.

"Bene, capisco" dice, continuando a guidare. Silenziosamente la ringrazio per non aver fatto altre domande.

Scende un silenzio rilassante, non imbarazzante, come alcuni avrebbero potuto pensare, interrotto solo dal leggero ticchettio della pioggia.

The Fallen Heart.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora