"Un certo Louis di cui non conosco il cognome."

"E' un tuo amico?"

Ed rise, lasciando perdere il suo lavoro e avvicinandosi al ragazzo. Bloccò le sue mani, anche perché oltre a fare un rumore assurdo, non riusciva a sentirlo bene.

"E' vissuto in Russia circa un secolo fa."

Luke lo guardò stranito, prima di liberarsi dalla sua presa. "Oh." esclamò, cercando di ricordare quella lezione di storia sulla Russia, forse una delle poche a cui era stato attento.

"Ma non c'era la rivoluzione in quel periodo?" chiese titubante, cercando di ricordarsi le date precise che la sua prof gli aveva detto tante volte di studiare.

"Esatto. Vedi che la scuola ti fa bene Hemmings?" rise ancora Ed, che era persino più basso di lui ma aveva un cuore grande quanto tutta l'Inghilterra.

Il piccolo Luke però non rideva, era troppo impegnato a far funzionare le rotelline del suo cervello e a sistemare in ordine cronologico tutti gli eventi della prima guerra mondiale. "Come hai fatto ad avere lo spartito allora?"

"Quella musica è una storia d'amore troppo bella per non essere tramandata." rispose il rosso, facendosi leggermente pensieroso. Si grattò la testa e incerto guardò il giovane che era ormai diventato come un fratello per lui. "Beh, visto che ormai la scuola l'hai saltata, ti va di ascoltare questa storia?"

Luke non se lo fece ripetere due volte e annuì con forza mentre il più anziano si sedeva accanto a lui.

"Vedi Luke, questa storia parte da molto lontano. Però devi sapere una cosa. La melodia che hai sentito non è stata scritta a caso, né per scopi economici. Louis scrisse quello spartito per una e una sola persona a questo mondo: il suo amato Harry."

Giugno 1916, San Pietroburgo.

Anastasija Nikolaevna Romanova aveva sempre avuto il vizio di arrampicarsi sugli alberi dell'enorme giardino del Palazzo d'Inverno, anche con gli abiti troppo ingombranti che le ostacolavano e non poco la salita. Le piaceva starsene seduta sul ramo più alto, quello che le permetteva di avvicinarsi sempre più al cielo che sovrastava San Pietroburgo e la proteggeva dal mondo esterno. Ma ad Anastasija non piaceva quel compromesso tra cielo e Russia, voleva strappare via quel velo azzurro e fuggire, volare verso le terre occidentali che sembravano così lontane. Suo padre le raccontava di posti meravigliosi e le diceva anche che quei luoghi un giorno sarebbero entrati a far parte dell'impero russo e che avrebbe potuto visitarli quando voleva. Così la piccola quattordicenne si alzava in piedi sul ramo e urlava il suo nome per ricordare a tutta la popolazione del continente che lei era là e che sarebbe diventata la zarina di tutto il mondo, nessun paese escluso.

Anastasija era brava a sognare, ma non era brava ad obbedire a suo padre. E dire che suo padre era Nikolaj Aleksandrovic Romanov II, zar di tutte le Russie, tutti gli obbedivano, tranne la piccola dai capelli lunghi e ramati e gli occhi azzurrissimi.

Perché se la granduchessa avesse davvero ascoltato suo padre e non si fosse arrampicata, non avrebbe di certo passato due giorni interi a letto con le ginocchia piene di graffi e tagli e il piede fasciato.

"Anya, perché fai così? Ti avevo detto di non arrampicarti." aveva sussurrato piano lo zar stringendo la mano di sua figlia tra le sue. Era una delle rare volte in cui il cuore di ghiaccio di Nikolaj si scioglieva e da imperatore si trasformava in un semplice padre che amava la sua adorabile e numerosa prole in maniera spropositata.

Anastasija voleva un bene immenso a quell'uomo che la teneva abbracciata come se fosse la cosa più fragile del mondo, ma di certo non gli avrebbe mai e poi mai detto che tutto ciò che faceva, tutte le monellerie che combinavano erano per attirare l'attenzione di sua madre troppo occupata nel prendersi cura del figlio minore, lo zarevic Aleksej. Così in tutta tranquillità rispondeva: "Mi annoiavo.", scrollava le spalle e poi mascherava il suo volto con un sorriso, quello più bello, per accattivarsi le grazie del padre.

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