I 14 giorni di Irene

ابدأ من البداية
                                    

Ripenso a mio padre che avrebbe voluto lasciarmi dietro la porta qualcosa altro da mangiare; per strada però, ha intravisto la volante dei Carabinieri e per evitare di giustificarsi, ha preferito tornare a casa. In serata mi ha chiesto scusa attraverso un messaggio in cui si diceva in colpa. L'ho rasserenato con una risata. Ecco, i brutti inganni di questo tempo: quando mai a casa mia qualcuno ha verbalizzato un sentimento? Quando mai ci siamo raccontati per davvero come stiamo? Questo spiazza più di ogni possibile infezione. Se il pericolo si presenta infatti, arrivano i soccorsi. Se sale la febbre, devo solo chiamare il 112. Ma se un cuore si spalanca e fa risuonare una melodia sconosciuta, da sempre ignorata, a chi chiediamo aiuto? Dovremmo poterla accogliere e magari scambiarla, io Angela l'avrei abbracciata pure e forse chissà, lei me...e magari avremmo dato una lezione all'analfabetismo emotivo che per troppo tempo è rimasto ingabbiato nel frastuono della società come l'abbiamo conosciuta. Poi, il virus.

Quarantena, giorno 12

Sarebbe stata una giornata quasi buona, se qualcosa non mi avesse ricordato il pericolo che ancora corro. Hanno citofonato i Carabinieri intorno alle 18, sono scesa di corsa per le scale e oltre la soglia ho visto il militare con la mascherina, una torcia puntata su dei documenti e lo sguardo serio. «Rimanga lì », mi ordina prima di poter fare un passo di troppo verso di lui. In quell'istante ho realizzato che non serviva a niente il mio sorriso rassicurante, tutt'altro, sarò sembrata una scema delle tante che minimizza la situazione.

«Irene Mantei?» -chiede - «Sì».

« Quando è nata ?» - riprende - « 24/7/93 » - rispondo - « Ha sintomi ? »-

« No, sto bene » - rispondo con convinzione.

« Febbre ? Tosse?» - incalza - «Sto bene, misuro la temperatura tutti i giorni» - All'improvviso temo di non distinguere più la verità. Sto bene - ripeto almeno tre o quattro volte al giorno - lo dico al telefono o lo grido giù dal balcone, e ancora in silenzio a me stessa quando mi bruciano gli occhi e un brivido mi assale su per la schiena. Sto bene. Ma allora, cos'è che mi fa sentire così sbagliata? Così nera d'umore e lontana da quella forza vitale che diversamente ho. Ansie e paure si mescolano e confondono la realtà. Mi spengo nella vacanteria in cui finiscono i miei pensieri. Anche la vanità è vana. Ho solo sonno o, per così dire, una certa letargia che arriva sempre e non si attenua mai. Dormo.

Quarantena, giorno 13

Basta poco perché i pensieri angoscianti finiscano per avere la meglio. Così come basta poco per rinsavire. È come lo descrivono nei fumetti o nei meme, con l'aggravante che in questo loop infinito sei solo. Qualcosa oggi mi ha agitata più del solito, il dover svolgere banalmente e controvoglia un compito e comunque non riuscire a fare nulla di veramente utile, come imparare i meccanismi della pubblicità nell'era digitale.

Oggi sono rinsavita di colpo, precisamente quando i social nelle mie mani si sono gonfiati di notizie per via dei capelli del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La sera del 27 marzo il suo staff ha inviato alla stampa il messaggio della prima carica dello Stato alla popolazione; nei materiali sono finiti per sbaglio anche i "fuori onda" della registrazione. "Eh Giovanni...neanche io vado dal barbiere" – rispondeva al suo primo collaboratore che aveva obiettato qualcosa sul ciuffo ribelle di Mattarella.

Il felice errore è rimbalzato in un instante su tutto il web, conquistando i cittadini per l'eleganza e la compostezza dell'uomo, oltre l'istituzione. Una umanità che stupisce, come se fosse impossibile un comportamento comune se sei il Presidente della Repubblica.

E invece, Sergio Mattarella è uno di noi. Siamo tutti umani invero, il virus ci ha sbattuto in faccia questa verità dimenticata. Giunti all'estrema condizione della reclusione, abbiamo fatto una grande scoperta: esiste anche l'altro, proprio vicino a noi, e non lo avevamo visto. Quanto viviamo di ruoli!

Il ciuffo scomposto – che a dirla tutta nessuno avrebbe notato – è il vero contenuto trapelato dallo spessore di un uomo politico che non meno di altri soffre e spera insieme a noi. Sarebbe sconvolgente il contrario, ma già che ci siamo precisiamo il vero insegnamento di questa storia: non avere paura di non essere perfetti. Oggi più che mai è chiaro che vivevamo le nostre esistenze schiavi dell'apparenza e spaventati dalla possibilità di esprimere le fragilità. Proprio quelle che – incredibile – ci rendono umani.

Quarantena, giorno 14

Sto bene. L'ho ripetuto spesso, ad alta voce, ovviamente al telefono. L'ho scritto nei messaggi di chi andava rassicurato, agli amici, molti, che in questi strani giorni ho ritrovato. La mia quarantena tra migliaia di quarantene, conseguenza degli odiati ritorni.

Sto bene. Del resto, siamo stati tutti consegnati al riparo che adesso dobbiamo proteggere, con l'unica differenza che al netto di indicazioni univoche, siamo riusciti – more solito – a fare parti anche stavolta. Io giusto, tu sbagliato. Io buono, tu cattivo. E su questa dicotomia necessaria abbiamo trascorso il nostro tempo. Persino io, che per giorni ho cercato una giustificazione assoluta a un gesto che è sempre stato in mio diritto compiere...

Sto bene. Se importa agli odiatori. Così virulenti e pieni di livore, da procurare tutti insieme, solo noia. Come se un prezzo da pagare non l'avessi avuto anche io. Ma ho compreso, ho accolto, ho taciuto e chi invece ha scelto di distinguere mi ha promesso un caffè. Entrambi mi hanno insegnato qualcosa: che bisogna avere la pazienza di spiegare e che bisogna rimanere onesti, anche quando la nostra storia è miseria.

A chi urla "Bestie", disteso in terrazza a prendere il sole, non ho più niente da raccontare. Sto bene. E tuttavia, non consegno nessun epilogo. Di fatto, non è finito niente, il tempo ha perso il suo significato. Non sussistono scadenze infatti, per l'anomalia che stiamo vivendo. A scandire le mie giornate è piuttosto la fiammella di una stufa a gas, che mi tiene compagnia mentre leggo o per lo più, guardo il muro. Lì, nello spazio nullo dove si posano i miei occhi, si compie la battaglia più ardua.

Non è come la guerra – abbiamo letto da più parti – abbiamo il cibo e la televisione. Per chi rifugge il silenzio e i pensieri tra canzoni, crostate e fake-fitness, può darsi. Ma avere il mostro alle spalle non significa che non stiamo combattendo già: come fai, costretto a casa, con l'agenda sbiadita e la vita rimandata, a non incontrarti e scontrarti con te stesso? Se ti sei accorto di non piacerti, o che magari non sei contento, soddisfatto, forte abbastanza? E non è questa forse una storia che merita tutta la nostra attenzione? Specie perché – stronzi e non – accomuna tutti gli onesti.

Quindi Irene torna a casa, volendo. Invero, aspetterò ancora un po': ci sono questioni aperte, con la vita e con la morte, con i miei dubbi e le convinzioni che ho perso quella notte in cui i media e la politica mi hanno tradita. Desidero riconciliarmi dopo tutto questo male, ma il bosco è ancora fitto.

Sto bene, ma non è ancora finita.

I 14 giorni di Ireneحيث تعيش القصص. اكتشف الآن