22|Dichiarazione di guerra

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«Secondo voi, Mr. Slave ce lo lascerà torturare?» chiese Olivia aggiungendosi alla discussione.

«Sì. E lo farei con grande piacere» riconobbi la voce di Thomas. Era inespressiva e aveva una punta di crudeltà. Non era il ragazzo che conoscevo, era la sua versione più oscura, la stessa che aveva picchiato a morte i due poliziotti. Quei due uomini potevano benissimo avere una famiglia e Thomas non si era accorto di averla distrutta. Uccidere era un atto imperdonabile, tanto quanto ferire spontaneamente qualcuno. 

Tutto quello mi sembrava una follia. Io, intrappolata in un armadio, mentre cercavo di salvare un londinese che conoscevo appena. Ma non volevo vederlo morire, non se lo meritava, anzi, nessuno se lo meritava. Nemmeno Slave. La vita è un dono, perché sprecarlo? Perché distruggere quella altrui? Non capivo cosa ci provassero le persone a fare una cosa simile. Si sentivano meglio dopo? Si sentivano potenti?
Anzi, sapete cosa? non mi interessava, non avevo intenzione di scoprirlo.

Aspettai che il corridoio fosse libero e uscii dal mio nascondiglio. Non c'erano guardie a sorvegliare il corridoio né telecamere che potessero testimoniare cosa stesse accadendo per non compromettere la figura pubblica di Mr. Slave. 

Il portone d'ingresso delle celle era chiuso a chiave e la serratura era magnetica. 

"Dannazione!" Sbattei un pugno contro la serratura e questa si incurvò all'interno, aprendo il portone. Il pezzetto di metallo cadde a terra. "Oh... ops".

Spinsi quell'ammasso di metallo spesso trenta centimetri ed entrai in un corridoio totalmente vuoto e spoglio. Da lì non avrei avuto più alcun nascondiglio. 
Avanzai in punta di piedi, tenendo la schiena incollata al muro.

Il corridoio finiva poco dopo dividendosi in altre due strettoie. Mi avvicinai e sbirciai dentro entrambe, sentendo dei lamenti provenire da quella dietro di me. 
Tornai dietro l'angolo, appiattendomi contro il muro. 
Il cuore mi stava esplodendo nel petto. 

"Hai Ametron" ricordai a me stessa. "Non sei del tutto indifesa".

La voce dura di Mr. Slave spezzò il silenzio. «Non ha ancora detto nulla. Spero che voi riusciate a cavargli fuori qualcosa, qualsiasi cosa»

«Possiamo usare tutti i metodi che vogliamo?» Era la voce di Thomas. 

"No... no, non è vero, lui non è così"

«Basta che lo facciate parlare» 

Sentii i passi di Slave avvicinarsi. No. NO. NO NO NO NO NO! Mi avrebbe scoperta!
Il mio respiro diventò sempre più rumoroso man mano che il mio battito accelerava. Mi tappai la bocca.

«Non so nulla» rantolò Paul. 

Slave si fermò e tornò sui suoi passi. Pericolo scampato, per ora. 

«Continui a mentire. Ho passato anni a perfezionare la mia osservazione, so riconoscere quando qualcuno mente»

«Forse non lo sai fare abbastanza. Sto dicendo la verità»

«Ecco che menti ancora. Paul, pensavo tu avessi imparato che non puoi nascondermi nulla. Tu puoi vedere oltre al Velo, tu sei venuto a contatto col Mondo Nascosto e hai scoperto qualcosa di importante, qualcosa che voglio sapere»

Paul sogghignò nonostante il dolore. «Perché non te lo fai dire da Lidia, invece? Conosce il Mondo Nascosto meglio di me. O vuoi dire che non hai il pieno controllo sulla tua sottoposta?»

Slave rimase in silenzio.

«Come pensavo, lei non appartiene a te. Lei è qui per controllarti, non sei tu a controllare lei. Tu sei solo un burattino nelle mani di un burattinaio più potente di te. E io lo conosco, so di cosa è capace, so che lo temi»

«Non sai di cosa parli»

«Invece lo so bene. Anzi, so tutto, avevi ragione. Io ho mentito sin dall'inizio, perché se Lidia avesse voluto, ti avrebbe dato lei stessa le informazioni che cerchi sul Mondo Nascosto, su una possibile nuova specie. Ma non l'ha fatto. Tu mi hai catturato solo per potermi strappare questa confessione e Lidia ti ha assecondato, contando però sul fatto che io non ti avrei detto nulla» Scoppiò a ridere nervosamente. «È così ironico! Tu brami il sapere più di ogni altra cosa, non curandoti di te stesso o di chi hai intorno. Se Lidia non vuole che tu sappia queste cose, come pensi che reagirebbe il suo padrone? O meglio, è anche il tuo»

«Lui non verrà mai a saperlo»

«No? Sei seriamente così cieco? Tra le tue guardie ci sono innumerevoli spie. Forse qualcuno legato strettamente al tuo padrone ci sta ascoltando in questo momento e presto farà rapporto. Verrai punito, perderai ogni cosa. Vuoi ancora tenermi prigioniero? Vuoi ancora rischiare?»

Slave rimase in silenzio, riflettendo su cosa fare. Poi lo immaginai fare un cenno con la mano, come faceva sempre, e chiamare: «Oliver» 

Si sentì uno sparo. 

"NO"

Le urla di Paul riempirono il corridoio. «NON PARLERÒ!» Un altro sparo. 

"Basta..." Estrassi Ametron. "Basta".

«Parla e verrai curato» 

Paul scosse la testa. «So bene come funzionano le tue "cure". Sono un ottimo modo per fare il lavaggio del cervello ai tuoi studenti, proprio come a quel povero ragazzo. Ho sentito parlare di lui mentre conducevo delle ricerche su di te, per distruggerti. Credevi di poterlo rendere un soldato perfetto e invece hai fallito. Fallirai anche con me»

«Non credo, sai? Ho la prova che le mie ricerche sono servite a qualcosa»

«E dov'è?»

Slave mise fieramente le mani sulle spalle di Oliver. «Proprio qui»

Paul rise. Dalla sua bocca usciva un rivolo di sangue e saliva. «Tu sei pazzo»

«No, io sono geniale. Sono invincibile. I capi militari pagherebbero miliardi per mettere le mani sul mio siero. Ma dovrò dare loro una dimostrazione e se non vorrai essermi utile dandomi delle informazioni, allora lo sarai dopo che avrai il siero in circolo»

"Che faccio?" Strinsi l'impugnatura. "Come sconfiggo Slave e tutti gli Élite?" 

Appoggiai la testa al muro e alzai lo sguardo. Fissai la luce. Poi una lampadina si accese poco sopra la mia testa: idea. 

«Cosa possiamo fare noi?» Era ancora la voce di Thomas. 

«Vai a chiamare i dottori, devono curare Paul» 

Sentivo i suoi passi frettolosi. In pochi secondi arrivò alla fine del corridoio. 

E mi vide. 

Lo tirai per il braccio prima che potesse fare alcun tipo di verso, poi gli tirai l'impugnatura della spada sulla tempia e lui si accasciò sopra di me. 
Lo trascinai vicino all'entrata e lo lasciai lì. 

"Mi dispiace" Fargli del male era come fare del male a me stessa. "Mi dispiace tanto".

E subito dopo aver messo a dormire lo spadaccino migliore, mi gettai nel pericolo senza pensarci. Fu una mossa stupida, kamikaze, da impulsiva, ma fu efficace. 
Lanciai la spada contro la luce. Il metallo fece contatto con le scintille che esplosero e mandarono tutto in cortocircuito. 

Ora ero immersa nel buio. 

«Proteggete il direttore!» Era la voce di Bryn. 

Non so come, ma riuscivo a vedere nonostante il buio. Un miracolo, una benedizione al momento giusto. 

Schivai i ragazzi silenziosamente, come un fantasma. 
Entrai nella cella aperta di Paul e gli comunicai la mia presenza mettendogli una mano sulla spalla sporca di sangue. Era a torso nudo e a piedi scalzi. La schiena era solcata da innumerevoli tagli e tutto il suo corpo era costellato di lividi. 

"Ti porto al sicuro"

Proprio come avevo distrutto la serratura elettronica, spezzai le catene che lo tenevano imprigionato come se fossero bastoncini di legno. 
Il rumore allarmò gli Élite. 

«Il prigioniero!» La voce di Olivia era troppo vicina. 

Raccolsi Paul e me lo caricai in spalla, approfittando di quel momento di forza improvvisa. 
Mi ringraziò dandomi una lieve pacca sulla schiena, poi lo portai via facendo lo slalom tra i prescelti che muovevano le loro armi alla cieca. 

Oliver invece sembrava solo aspettare il momento giusto. Lui ci sentiva. Uno sparo partì dalla sua pistola, ma girai l'angolo e la pallottola colpì il muro, rimbalzando sulla caviglia di Mr. Slave.

Sfondai la porta con un calcio, allarmando le guardie. Era buio, totalmente buio. Le guardie si muovevano come api impazzite alla ricerca della loro regina. 
Poi si sentì uno scatto, e partirono le luci di emergenza.

"Dannazione!"

Riuscivo a distinguere i passi furiosi degli Élite dietro di me. Aumentai il passo, salendo le scale e percorrendo velocemente il corridoio principale. 

«Tu» Scorpione. Davanti a me. L'uomo che mi aveva rapita. 

Ero pronta a mettere giù Paul e affrontarlo, costi quel che costi, ma non sembrava intenzionato a farmi del male. 

«Seguimi» 

Gli Élite e le guardie si stavano avvicinando. Accettai l'aiuto di Scorpione, che mi liberò dal peso di Paul e ci nascose dentro la mensa, ancora buia. 
Chiuse il portone con una chiave che sembrava minuscola nelle sue mani grandi e piene di calli. 

«Perché ci stai aiutando?» chiesi a bassa voce. 

Scorpione sorrise. «Tu ricorda me... non importa. Tuo amico è ferito»

Ignorai il suo accento insolito e mi concentrai su Paul. Con due proiettili nelle gambe non avrebbe potuto correre. Dovevamo arrivare al lago prima che venisse dichiarato lo stato di allarme e scattassero le misure di contenimento, proprio come accadeva nei film. 
Mi sembrava di essere finita in un film distopico.

Scorpione estrasse un impacco di foglie dalla sua tasca e le analizzò una ad una, facendosi luce con una piccola torcia. 
Lo osservai incuriosita mentre sceglieva una foglia e la applicava sul buco nella gamba di Paul. 
Vidi le piccole vene verdi della foglia espandersi e scendere lungo la ferita, recuperando il proiettile. Una volta chiuso nella loro morsa, Scorpione strappò la foglia e tappò la bocca al ragazzo prima che potesse urlare. La ferita si rimarginò in un attimo. 

Ripeté il procedimento per l'altra, poi disse: «In mio villaggio, le foglie sono sacre. Curano veloce»

Paul lo ringraziò dandogli una potente stretta di mano. «Dobbiamo andarcene, sta per partire il protocollo di sicurezza» 

«Seguitemi» disse Scorpione. 

Lo raggiungemmo dietro la cucina e ci mostrò una porta che dava sul locale spazzatura. «Da qui in poi... correte»

«Va bene. Grazie, Scorpione»

Una volta aperta, schizzammo fuori e corremmo come se la nostra vita dipendesse da questo. Il che era esattamente la verità. 

Alcune guardie ci videro e provarono a spararci, ma vennero abbattuti da Scorpione. Non so perché ci avesse aiutati, ma gliene ero grata. 
Paul alzò la rete per me e ci sgusciai sotto. Poi venne il mio turno di tenerla su e lui mi raggiunse. 

«Andiamo» disse, prendendomi per il braccio.

Corremmo in mezzo all'oscurità del bosco. Spesso ci imbattevamo contro ragnatele o rami affilati. Paul sembrava non curarsi del dolore. Era un ragazzo con l'animo di ferro, anzi, d'acciaio. Nulla riusciva a scalfirlo. 

Ed eccolo, finalmente: il lago. 

Sentivamo dei passi dietro di noi. Si facevano più vicini, seguivano le nostre tracce. 

Afferrai la mano che mi stava porgendo Paul e con un balzò saltammo nel lago. 

Eravamo salvi. 

L'AccademiaWhere stories live. Discover now