26. Come due anime si abbracciano

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L'autunno è arrivato da un pezzo sulla costa Californiana, non manca molto all'inverno ma nonostante ciò le temperature sono ancora piuttosto miti. Miti per tutto al di fuori di me. In questo momento sento solo il freddo gelo all'interno delle mie ossa, muscoli paralizzati e gola secca.

Per me l'inverno è arrivato e non ho nessun drago che i tenga caldo. Il mio miglior amico, è fermo che mi osserva con uno sguardo sorpreso, bloccato sull'uscio della porta.

Ci frequentiamo oramai da diversi mesi ma io non sono mai venuta a casa sua, motivo per cui la sua sorpresa è ben motivata. Spesso mi accompagna a casa, a volte si fermava per rubare un panino, ma nulla di più.

La sua sorpresa è motiva, si, ma non il suo sguardo sfuggente e il piede proteso verso l'uscita. Riesco quasi a percepire la sua indecisione: Lasciarsi sopraffare dalla curiosità, o salvarsi le chiappe dal grande mostro? Per esser chiari, il mostro sarei io.

Vederlo dopo quella che sembra un'eternità, e per giunta a casa sua mi ha sorpresa fin troppo. Non capisco cosa provo, lui è l'amico di Tommy e vorrei in qualche modo ringraziarlo ma ho già così tanto di cui essergli grata. La lista si allunga all'infinito ma non riesco a far nulla di concreto.

Cerco un pretesto valido da rifilargli, poi mi accorgo che la semplice verità può bastare. Non è così strano che la sua miglior amica: la pazza accollata fucsia che sta evitando da una settimana, si presenti a casa sua perché, caso vuole che sua sorella faccia coppia di laboratorio con lei.

Già che sono qui però potrei approfittarne. Se è tanto smanioso di scappare tanto vale dargli un motivo.

Mi alzo dalla comoda poltrona rossa e, a passi felpati mi avvicino a lui. I suoi occhi si spalancano pian piano, a ritmo dei miei passi. Deve aver realizzato che ormai non c'è più scampo. Siamo preda e predatore, anche se io non sono totalmente sicura d'esser il predatore.

«Tua sorella deve consegnarmi la mia parte del compito di biologia, siamo compagne di corso», mi posiziono davanti al suo petto coperto dalla maglia blu e pianto i miei occhi nei suoi, più blu persino della stoffa che indossa.

É una sensazione strana averlo così vicino dopo giorni, sono stati pochi ma è stato come se mi mancasse un braccio. Sembra persino cambiato: i piccoli cerchi neri che gli erano spuntati gli ultimi giorni sotto agli occhi si sono ingranditi, la faccia è sciupata, le labbra secche e francamente ha un aspetto pessimo.

Da lontano nulla di tutto ciò si notava. Purtroppo, come una reazione a catena, anche i suoi amici stanno evitando me e Naomi, con la loro scomparsa se n'è andata anche la mia unica possibilità di capirci qualcosa e di saper come sta.

«Perché ha lei la tua copia?», arretra di un passo intimidito dal mio sguardo, nonostante ciò non spezza il contatto visivo. Avida di questo momento gli do corda. Siamo due imbecilli fermi sull'uscio di una porta, assorti in una gara di sguardi, nell'abbraccio silenzioso delle nostre anime.

«Pensi d'avvero che mi sarei messa a fare un compito? Di biologia oltre tutto», un piccolo sorriso giocoso increspa le sue labbra mentre nega con il capo, di riflesso se ne forma uno anche sulle mie.

«No, come potrebbe mai Martin la leggenda dei corridoi, rispettare le regole scolastiche»

Come complici di un gioco bambinesco i nostri sguardi si sfidano quando non riuscendo più a trattenermi sorrido ancor di più. É bastato strappargli un sorriso per regalarne uno anche a me, è già una vittoria. Anche da prima l'incidente in ospedale non lo vedevo sorride da un po'.

Gli pizzico leggermente un fianco aspettando la sua risposta al mio sorriso, lui fingendosi scocciato resta al gioco e sorrido ancor di più. Nei suoi occhi però, c'è solo traccia della malinconia che fino a pochi attimi fa gli appariva in volto.

Come il cielo a mezzanotte Where stories live. Discover now