Capitolo Ventottesimo

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Wentian sospirò affranto, non capiva dove aveva sbagliato

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Wentian sospirò affranto, non capiva dove aveva sbagliato. Meizhen gli era parsa talmente fredda da non ascoltarlo neppure quando l'aveva richiamata, lasciandolo solo con Ai Lun.

Era davvero l'ultima cosa che sarebbe dovuta accadere.

La Ce'fujin affondò una mano in una ciotola di ceci, prima di sedere dinnanzi il tavolo quadrato e accavallare le gambe. Quando gli parlò, lo fece con strafottenza. «Non puoi tenerla fuori dai tuoi giochetti, Wentian. È tua moglie, finirà per sentirsi schiacciata della mia presenza se continuerai a tacere riguardo le ambizioni che nutri.»

Wentian le lanciò uno sguardo freddo. Non spettava ad Ai Lun decidere di cosa dovesse parlare con Meizhen. «Voglio solo tenerla fuori da questioni più grandi di lei, e se fallissimo? Cosa le direi? Come riuscirei a guardarla in faccia, dopo aver perso quest'occasione?»

«Tu non fallirai» lo rimbrottò Ai Lun, prendendo un altro seme dalla ciotola di porcellana. «Ricordo che Diaochan si lamentava spesso con me, riguardo ai tuoi silenzi. Diceva che le mostravi solo una parte di te stesso, quella migliore, e lei ne soffriva. Se hai un po' di rispetto per la madre di tuo figlio, dovresti dirle tutto. Anche ciò che si nasconde nell'angolo più oscuro della tua mente.»

«Stai zitta, Ai Lun» la rimbrottò Wentian, incamminandosi verso le ante della veranda, spalancate sul giardino. «E ti chiederei anche di evitare di nominare Diaochan durante queste futili discussioni. Non è prendendo tua sorella in causa che mi convincerai a fare ciò che non voglio.»

La concubina non si offese e posò il mento sul palmo di una mano. Il suo polso era cinto da un bracciale di giada rossa, l'unico regalo che Wentian le avesse mai fatto, in nome delle apparenze. «D'accordo, non mi mischierò più nei vostri affari. Il mio era solo un consiglio, da quanto ti sei sposato la tua indole è cambiata, temo che la solitudine possa renderti distante e freddo come un tempo. Non vorrei che...»

«Ti ho detto di stare zitta!» stavolta, Wentian le alzò la voce. Quando la vide impallidire, strinse i pugni e irrigidì le spalle. Quella donna era come una vespa, pronta a pungere dove faceva più male, con parole rancorose che riuscivano ad offenderlo. «Ritirati, Ai Lun.»

Lei contrasse il viso in una smorfia di sdegno e si alzò, indietreggiando di un passo. «Sai cosa sto facendo per te, Wentian? Sto tradendo il sangue del mio sangue per un bene maggiore. Credo di meritare un po' di rispetto da parte tua.»

«Un rispetto che dovrebbe essere reciproco» la raggiunse Wentian, abbassandosi alla sua altezza. Lei non si ritrasse, mentre lui le parlava. «Ricordatelo sempre.»

Ai Lun annuì prima di inchinarsi e raggiungere le proprie stanze in fondo al corridoio. Rimasto solo, Wentian si diresse verso quella camera da letto che, ormai, condivideva con Meizhen. Sapeva che l'avrebbe trovata lì, a osservare fuori dalla finestra con lo sguardo perso nel cielo e gli occhi pieni di tristezza.

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