39. La lettera

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Non la vedevo da un po'. E, adesso, la ritrovo seduta, caviglie giunte e sguardo basso, davanti ad Aslan. Dalla mia postazione posso intravedere solo lei, un fazzoletto stretto nel pugno e il caschetto nero da Valentina dei fumetti rintanato tra le spalle. 

Annabella ha perso il piglio autoritario con il quale si rapporta ai suoi sottoposti, quella schiena rigida che è solita mostrare a chi la segue si è d'improvviso curvata sotto il peso dell'affronto. Sta spiegando ad Aslan le sue motivazioni, il perché non possa accettare di venire cacciata da Damiano, lei che di fatto assicura attendibilità al mille per cento.

"Credi che Aslan la aiuterà?". Daniela guarda nella mia stessa direzione, visibilmente preoccupata. In un certo senso, è colpa sua se Annabella è finita nei pasticci. Quella cartellina doveva restare dove l'ha trovata. O, mi dico, forse no.

Questa volta sono io a farle coraggio: "Lui la aiuterà, ne sono sicura", le sussurro.

"Che ore sono?". Cambia argomento, ora un filo nervosa, Danny. Le gambe penzoloni sulla mia scrivania, sta aspettando il suo debutto televisivo nello spot del Paese delle Stoviglie. Per la verità tutto, qui in Agenzia, si sta fermando, minuto dopo minuto, in vista della messa in onda di mezzogiorno.

"C'è tanto di quel vino da poterci fare il bagno!", trilla eccitata Odette.

"Ma se sei astemia, addetta all'armadio! Ti rimangerai mica il fioretto?", la provoca, con una punta di soddisfazione, Corrado.

Io afferro la mano della mia coinquilina, la mia amica tutta la mia famiglia, e la stringo forte: "Manca un quarto d'ora. Stai per diventare famosa, Daniela Acquadro. Pensi sempre di dover restare in laboratorio, all'Università?".

"Certo che sì, vuoi scherzare?", mi si getta addosso per torturarmi con una buona dose di solletico. "Il cinema mi rimpiangerà!".

"Ferme state ferme, ragazze tutte matte!", sbraita Coco, un cavatappi issato all'aria. "Conto alla rovescia, dichiaro aperta la festa!".

Il sughero dal collo della bottiglia che salta e Teo e Lu compaiono nel mezzo di un trenino umano, ancheggianti. "Musica", si avvita Odette ai fianchi, con la sua sinuosità da odalisca.

Mi volto verso l'ufficio di Aslan: Annabella è in piedi sulla soglia, gli sorride soddisfatta e saltella via. Sapevo l'avresti trattenuta, Ömer, tu e la tua invincibile onestà. Ma, una volta fuori, l'ex responsabile del personale sembra indossare di nuovo la sua maschera austera e, tutta d'un pezzo, ritta come un manico di scopa attraversa l'open space, per poi scomparire in camerino. Il caschetto in ordine, nero come la pece, non s'è scomposto, neppure al suo passaggio davanti all'ufficio di Damiano Re, che ha provato a cacciarla.

Mi sfilo dal gruppo per raggiungere Aslan, ma è bastato il diversivo degli improvvisati ballerini per farlo allontanare. La sua poltrona, trovo, è vuota. Qualcun altro la occupa.

Mi vede e, con un gesto appena accennato da lontano, mi trattiene: ti raggiungo, resta dove sei. 

"Non mi sono ancora presentato, signorina Mossetti, ma ci tenevo a farlo". Acqua di colonia, annuso: è Ercole Re. Mi trovo al cospetto del patron, il fisico imponente infilato in un completo elegante e sobrio, tagliato su misura. Niente a che vedere con gli arabeschi e i colori sgargianti del figlio. Niente a che vedere - lo cerco, preda dal sentimento, nell'open space - con le magliette abbondanti e i jeans consumati di Aslan.

"Signor Re, è un piacere fare la sua conoscenza!", gli sorrido, imbarazzata, nel mezzo del corridoio. "Ho sentito tanto parlare di lei".

"E io di lei, Rossella", sorride Ercole, accogliente. "Ho saputo che l'idea del Paese delle Stoviglie, che stiamo per lanciare in tivù, è sua. I miei complimenti".

Crisantemi fritti a colazioneWhere stories live. Discover now