20. Quello che i bambini non dovrebbero provare

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«Ti prego non dirlo alla maestra», sorprendentemente non è stato il bambino tremante dietro a Tommy a parlare, o il gigante altrettanto spaventato, ma la dolce bambina ai miei piedi.

Sta tenendo fra le dita le lunghe ciocche che penzolano dai codini. Le due metà della penna spezzata, ormai per terra. I suoi grandi occhi verdi sono lucidi ma l'espressione seria per un momento mi blocca. Non proferisco parola ma per qualche motivo lei prende un grosso respiro, determinata. «Ti prego signorina, non voglio finire nei guai»

Il viso arrossato e tremendamente pallido fa uno strano contrasto con i suoi capelli corvini, ma non è stato ciò a innescare in me la compassione, bensì l'espressione di consapevolezza fin troppo matura sul suo viso.

Nei pochi secondi che ho impiegato per valutare la situazione, i quattro moschettieri sono scappati in classe con la coda fra le gambe. Fanno tanta paura tutti i liceali o è solo la mia aura mortale a spaventarli? Confusa riporto lo sguardo sulla bambina singhiozzante e mi abbasso alla sua altezza.

«Non sono la persona adatta per spiegartelo, non ne ho le competenze ma se vai da qualche maestra o-»

«Che ci fai qui?»

«Dai tuoi genitori, sono sicura che ti sapranno aiutare. Devi parlarne con qualcuno o tutto questo non finirà mai», ignoro volontariamente Tommy e mi concentro sull'ormai calmata bambina. «Come ti chiami?»

«Kathryn», Tommy si è fatto più vicino.

Aspetto una risposta dalla bambina ma questa abbassa lo sguardo e si allontana da me. A piccoli passi e con un balzo finale, si aggrappa al braccio del suo compagno, non che bullo personale. Perché non ci sto capendo più nulla? Dovrei esser io quella grande ed intelligente.

Tommy afferra la mano della bambina e le accarezza la testa con l'altra. Perché sembra sempre così grande? Non capisco, prima la stava chiaramente ferendo, e ora...

Confusa guardo lo scambio di carezze fra i due finche' il bambino indica una porta e la compagna segue le sue indicazioni attraversandola.

«Mi vuoi spiegare?» stringo i denti e con sguardo affilato aspetto una risposta. Mi rifiuto di credere che un bambino come Thomas possa praticare bullismo come passatempo. Per nulla affettato dal mio umore, il bambino mi da le spalle ed esce dalla scuola.

Mi affretto dietro di lui sempre più confusa. Ma dove sono finita, in qualche cartone animato con quei inquietanti bambini tutto fare? Tipo Phineas e Ferr.. cosa si sono bevuti i produttori? Sono davvero l'unica ad aver giocato con le bambole fino a dodici anni.

Tommy si ferma davanti al piccolo parcheggio e si gira verso di me. Alza un sopracciglio e uno strano senso di inadeguatezza m'investe. Si, ha decisamente qualche potere strano.

Non dico nulla, interdetta mi fermo con lo sguardo sul suo polso pallido. Ha tolto il braccialetto che gli ho regalato, un rimasuglio dell'orfanotrofio. Porta una mano su quel esatto punto e lo nasconde.

«Perché sei qui?»

«Volevo vedere come stavi, pensavo avessi problemi con gli altri bambini. Invece sei tu il problema qui», dico scuotendo la testa. É un bugiardo perfetto.

«Non è come sembra»

«Illuminami allora!» alzo di poco la voce. Tommy non si scompone ma stringe evidentemente i pugni e scuote il capo muovendo anche le ciocche brune, ancora troppo lunghe.

«Non è questo il momento per parlarne, devo tornare a lezione.»

«Non sembrava ti importasse poco fa»

Abbasso lo sguardo e, come prima, un velo cala sui suoi occhi scuri. «Ho i miei motivi», mi da le spalle e s'incammina verso la scuola. Provo ad afferragli il braccio ma affretta il passo e si scansa. Non posso che star ferma, impietrita dal suo comportamento. «Non dimenticarti chi sono. Io non cambio, sono ancora Tommy dell'orfanotrofio».

Come il cielo a mezzanotte حيث تعيش القصص. اكتشف الآن