Cap 5. My life is going on

395 24 2
                                    

If I stay with you, if I'm choosing wrong
I don't care at all

If I'm losing now, but I'm winning late
That's all I want

Whatever happens in the future, trust in destiny
Don't try to make anything else even when you feel

I don't care at all
I am lost
I don't care at all
Lost my time, my life is going on

- Mi scusi, ha un caricatore? Mi si è scaricata la batteria –

- No, mi dispiace... -

- Se vuole, può usare il mio... -

- Grazie, lei è molto gentile! –

Si svegliò, e lui era ancora accanto a lei. Le capitava spesso di ripercorrere in sogno il loro primo incontro, ed ogni volta si svegliava con la paura che potesse non essere reale. Ma poi, se lo trovava accanto ed ogni mattina era la più bella scoperta dopo anni di frustrazioni ed abusi.

Il profumo di erbe Thailandesi la fece sorridere, sembrava il paradiso. E Sérgio addormentato, nudo al suo fianco. Appoggiò la testa sul suo petto ed ascoltò i battiti del suo cuore. Lo accarezzò dolcemente ed osservò il suo petto sollevarsi ed abbassarsi al ritmo dei suoi respiri. Non c'era altro posto in cui avrebbe voluto essere. Doveva essere mattino presto a giudicare dalla luce, ma sembrava che il sonno l'avesse abbandonata. Scoccò un bacio alle labbra di quello che inaspettatamente era diventato il suo uomo e si mise a sedere sul letto, ma sentì una mano accarezzarle la schiena nuda.

- Dove pensi di andare... - disse una voce assonnata alle sue spalle.

Si voltò e lo guardò, sorridente. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma sorrideva anche lui.

- Pensavo di andare a fare una corsetta... ho bisogno di fare esercizio- rispose lei.

- Esercizio? – aprì gli occhi guardandola con aria maliziosa. Le cinse il braccio e la tirò a sé, baciandola con passione. Non sarebbe mai riuscito a vivere senza quel sapore, senza quella dolcezza. La loro storia era nata per sbaglio, ma era la cosa più giusta che gli fosse mai capitata nella sua intera vita da lazzarone - Posso aiutarti io a fare esercizio ... - aggiunse.

Lei ricambiò il suo bacio e si sedette a cavalcioni sopra di lui. Si guardarono, si sorrisero.

Era il momento più felice della sua vita.

E sperò che potesse non finire mai.

Si baciarono di nuovo, ma piano piano quel bacio iniziò ad avere un sapore diverso. Incominciò ad essere, quasi... soffocante. Sempre di più, sentiva di non poter respirare, cosa stava succedendo?

Cosa... ?

- Finalmente! Mi stavo preoccupando, Raquél, per un momento ho temuto che non ti saresti più svegliata! –
Questa volta, il sogno era davvero un sogno. Un ricordo, di un momento ormai lontano. Che probabilmente non avrebbe vissuto mai più.
Tossì, le avevano rovesciato un secchio intero di acqua ghiacciata in faccia, ecco perché si sentiva soffocare. Aveva la vista annebbiata, non sapeva quanto tempo era passato dall'ultima volta in cui... Sierra le aveva fatto visita. Per la prima volta realizzò davvero quanto quella situazione fosse estrema, drammatica. Faticava a ricordare perché si trovasse lì, ma poco importava. L'unica cosa che contava era che non aveva tradito la banda, non aveva tradito Sérgio. Aveva scelto da che parte stare anni fa, e ora, non le importava più della sua vita. Aveva votato la sua esistenza ad una causa, ad un amore, e non si sarebbe tirata indietro. Se morire in quel sudicio buco per mano di una psicopatica era il suo destino, che così fosse. Non si sarebbe opposta.
Lei amava Sérgio, e lui amava lei, questa era l'unica cosa che importava.
Stava perdendo la vita perché lui potesse vivere, questo importava.
Che Sierra non vincesse, anche questo importava.
Tutto il resto, era irrilevante.
Scoppiò a ridere tirando le fila di quei pensieri, cosa che fece indispettire non poco la sua aguzzina. Ma Alicia non si decompose, come suo solito.
- Ci sono novità, sai? I tuoi compagni sono usciti dalla banca, ed indovina? Non ne abbiamo preso neanche uno! – gesticolò come a voler dire "com'è possibile?!" in un modo incredibilmente caricaturale. Lisbona rimase stupita da quella notizia. Se erano usciti dovevano essere passati giorni da quando l'avevano presa.
Ma nemmeno questo importava, ciò che contava era che ce l'avevano fatta, anche senza di lei. Ed erano andati avanti, fino alla fine, anche senza di lei.
Sorrise.
- Puoi sorridere, tesoro, ma ancora per poco. Perché ora che i tuoi compagni sono scappati, immagino che tu non sappia davvero dove andranno. Perciò, sorpresa! Non ci servi più! –
Quella sentenza non fu una novità per Lisbona, ma sentirlo dire da qualcuno che non fosse la sua testa le fece raggelare il sangue. Era il momento, dunque.
- Hai qualche ultimo desiderio? Non so, vuoi una delle mie caramelle gommose? Mi sento misericordiosa, apprezza questo gesto d'amore – scoppiò a ridere sadicamente – Pistola, per favore – disse ad uno dei due uomini accanto a lei. Impugnò la pistola e gliela puntò alla testa.
Lisbona chiuse gli occhi, cercando di tornare al sogno che stava facendo prima che quei figli di puttana la svegliassero. Ma non ci riuscì, perché gli spari arrivarono prima del previsto. Ma non erano così vicini come dovevano essere. Riaprì gli occhi e vide che Sierra aveva abbassato la pistola e stava guardando preoccupata la porta.
Gli spari continuarono.
I due uomini uscirono subito, armi alla mano, mentre fuori iniziarono a sentirsi anche delle urla.
L'avevano trovata allora. Non l'avevano abbandonata. Scoppiò a piangere e ridere insieme, mentre guardava Sierra sbiancare sempre di più. Ma non ci mise molto a ricomporsi e puntarle di nuovo contro la pistola.
Ma certo, l'avrebbe presa in ostaggio. Quanto poteva essere scontata se presa alla sprovvista. Allora, era umana anche lei in fondo!
Finalmente, dopo minuti interminabili di spari, degli uomini vestiti di nero fecero irruzione sfondando la porta. Le guardie erano stese a terra.
- Fermi, figli di puttana, o le pianto una pallottola in testa! – urlò Sierra. Nonostante avesse cinque fucili d'assalto puntati contro, cercava ancora di giocare al negoziatore. Lisbona non seppe dire se le faceva onore, o se faceva solo pena.
Ci fu un momento in cui la situazione rimase immobile, congelata dalla tensione. Nessuno parlò, nessuno mosse un dito. Finché, uno degli uomini fece un passo avanti estraendo la pistola e con un movimento rapido mirò in direzione di Lisbona ed esplose il colpo ancora prima che qualcuno potesse muovere un muscolo. Poi ci fu un urlo, quello di Sierra. Marsiglia si tolse il passamontagna e andò subito a prendere la sua arma, ormai a terra insanguinata. Le aveva sparato alla mano con la quale teneva sotto tiro Lisbona. Ci voleva una mira da cecchino per centrare un colpo simile con una tale rapidità. Spinse via Alicia e gli altri subito la presero sotto tiro, poi andò a liberare Lisbona dalle catene. La prese in braccio.
- Sei al sicuro, adesso ti porto da Professore – le disse sorridendo, con quel suo accento così buffo.
- Forza, andiamo. Lasciamo qui questa stronza – era la voce di Denver. Sentì dei passi dietro di loro mentre Marsiglia la portava fuori da quell'inferno.
- Attenti, potrebbe essercene ancora qualcuno cosciente –
Stoccolma.
Un rumore improvviso interruppe quello dei loro passi.
- Attenzione! Davanti a te Marsiglia! – urlò Tokyo.
Marsiglia scartò di lato riparandosi dietro una colonna di ferro mentre una catena di colpi esplodeva a pochi centimetri da loro. Gli altri si erano riparati nello stesso modo, poco più indietro.
- Cosa facciamo?! È corazzato, i nostri proiettili non gli faranno niente! – disse nuovamente Stoccolma.
- Aspettiamo che finisca il caricatore?! – ironizzò Denver.
- Non muovetevi, voi! Ci pensa Marsiglia! – urlò Marsiglia, sovrastando il rumore dei colpi.
Senza preoccuparsi di mettere giù Lisbona, si espose al fuoco e sparò un colpo con la sua pistola, che in confronto all'F-16 del nemico sembrava una formica al cospetto di un gigante. Eppure, il colpo apparentemente andò a segno, perché i gli spari cessarono all'improvviso. Marsiglia aveva mirato alla parte scoperta tra il giubbotto antiproiettile ed il casco, ed aveva fatto centro.
- Marsiglia, sei un grande! – la risata fragorosa di Denver risuonò in tutto il magazzino, ormai completamente silenzioso.
- Andiamo – rispose lui, imperativo.
Uscirono, e Lisbona fu accecata dalla luce del sole. Ma durò poco, perché la scarica di adrenalina degli ultimi attimi l'aveva sfinita. Chiuse gli occhi e si sentì svenire. Sentiva solo le voci lontane dei suoi compagni.

"Tieni duro, Lisbona, ci siamo quasi!"
"Ancora pochi metri!"
"Dai cazzo, ce la facciamo!"
"Forza, mettetela qui!"
"Piano, piano..."

Sentì delle mani stringerla e si sentì poggiare su qualcosa di morbido. Poi il rumore di un motore, ed una sensazione di movimento. E delle esclamazioni, tante esclamazioni, e risate. Con uno sforzo immane aprì gli occhi e capì di trovarsi nel retro di un furgone. Tutto intorno, persone vestite di nero la osservavano.
- Professore – disse una voce familiare. Sembrava quella di Tokyo.
Sentì una mano accarezzarle la testa, cercò di alzare la testa per guardare chi fosse... e, nonostante la nebbia negli occhi, riconobbe il suo volto. Il suo inconfondibile sguardo, con quella barba che ancora non si era fatto da quando avevano iniziato la rapina, come suo solito.
Trovò la forza di sorridere.
- Sei al sicuro adesso, Raquél – le sussurrò.
Lei sorrise di nuovo e con un filo di voce disse:
- Ti amo, Sérgio... -
Ora era al sicuro. Lo era davvero, ed era finita. Chiuse gli occhi e lasciò che l'oscurità la inglobasse, ma con la consapevolezza che quando si sarebbe svegliata, lui sarebbe stato di nuovo al suo fianco. 

My life is going onWhere stories live. Discover now