Capitolo tredici ❄️

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Sento una voce che piange lontano.
Anche tu sei stato forse abbandonato?
Orsù, finisca presto questo calice di vino e inizio a prepararmi.

Adesso fa' silenzio.

Con una spada vorrei tagliare quelle gole che cantavano amore.
Vorrei serrare nel gelo le mani che scrivono quei versi d'ardente passione.

Questa storia che senso non ha, svanirà questa notte assieme alle stelle.

• • • •

Arrivai a casa dopo circa sette ore e mezza di volo, riuscendo a tornare proprio durante l'orario della cena.
Colsi infatti di sorpresa i miei genitori, raccolti attorno alla tavola per consumare una cena per niente male.
<<Tesoro, non ti aspettavamo così presto.
Come mai sei tornata senza avvisare? Pensavamo saresti tornata in Russia con Victor dopo il Grand Prix. Che è successo?>> mi chiese di getto mia madre, talmente sorpresa da non abbracciarmi nemmeno sul momento.
<<Inizialmente il piano era quello... ma poi c'è stato un cambio di programma>> risposi spiccia, mostrandomi poco incline a sputare il rospo con loro.
<<E Victor è d'accordo con questo? Per quanto ti fermerai?>>
<<Pensavo per sempre>> sputai di getto <<o almeno... me ne andrò prima o poi... credo.>>
Quella risposta li lasciò notevolmente spiazzati,  iniziando a far sentire a disagio anche me.
<<Sempre se non vi do fastidio. Altrimenti posso cercarmi un'altra sistemaz->>
Mia madre bloccò la mia frase, abbracciandomi forte. <<Non dire sciocchezze. È ovvio che non dai fastidio, semplicemente non ce l'aspettavamo. Va tutto bene con il tuo allenatore?>>
Mi staccai dopo qualche secondo a fatica, biascicando un: <<Non ho molta voglia di parlarne al momento, ho solo voglia di andare nella mia stanza>>.
<<Non vuoi mangiare qualcosa prima?>> chiese mio padre, parlando per la prima volta da che avevo messo piede in casa.
<<No, ho mangiato qualcosa in aeroporto>> mentii, per niente decisa a mettere qualcosa nello stomaco, non in quel momento... era troppo scombussolato, nonché chiuso come in una morsa.
Loro annuirono comprensivi, anche se non particolarmente convinti, tornando silenziosamente a sedersi.
Quello mi lasciò campo libero per avviarmi in direzione della mia vecchia stanza, dove non mettevo piede da circa un anno.
Chiaramente la trovai come l'avevo lasciata e per qualche secondo mi lasciai investire dalla sensazione piacevole di rimettere piede in un posto così familiare e di tornare a posare lo sguardo su tanti piccoli oggetti familiari che riempivano quel mio piccolo angolo personale di mondo.
Era tutto come lo ricordavo, compresi i numerosi poster di Victor Nikiforov appesi alle pareti, quasi come presenze onnipresenti.
Una forza più grande di me mi attirò in direzione dell'immagine raffigurante Victor ai tempi delle sue gare nella categoria junior, durante la famosa esibizione con la corona di rose blu sulla testa. Identica a quella che a fatica ero riuscita a sistemare nella mia valigia, riuscendo a posizionarla in modo da non farla rovinare.
Fu infatti l'unico oggetto che tirai fuori da lì, iniziando a rigirarmela attentamente tra le dita alla ricerca di danni che fortunatamente non trovai.
Era infatti costituita da rose stabilizzate, ossia trattate con un prodotto capace di mantenerle molto a lungo, e l'avevo riposta davvero con cura, lasciandole lo spazio necessario per non farla schiacciare dal coperchio della valigia.
La sistemai infine sul comodino accanto a me, prima di buttarmi di faccia sul letto, quasi affondando nella sua morbidezza.

. . . .

Il cuscino della mia stanza era diventato nel giro di poche ore il mio migliore amico, siccome dal mio ritorno ero diventata un tutt'uno con lui.
Avevo lasciato Victor da poco più che ventiquattro ore, eppure sentivo dentro di me un vuoto incolmabile.
Non un messaggio o una chiamata. Non avevo ricevuto nulla da parte sua e non sapevo se accostarlo alla delusione o al menefreghismo.
Forse non gli importava molto di me ed ero stata io a farmi semplicemente tante favole mentali nel corso dei mesi, credendo in un legame fortissimo che in realtà non c'era mai stato; affezionandomi di conseguenza a lui in maniera unilaterale, per poi innamorarmi.
La mia stanza poi non mi aiutava a pensare ad altro, perché ovunque mi girassi trovavo un poster raffigurante il suo volto.
Ero stata tentata di toglierli tutti di getto, ma non ne avevo ancora avuto il coraggio e forse avevo prima bisogno di metabolizzare il tutto, prima di iniziare a sbarazzarmi delle tante cose che mi ricordavano di lui.
Non ero riuscita a cambiare nemmeno il mio blocco schermo, decidendo di mantenere ancora momentaneamente la mia foto con lui e il suo barboncino Makkachin.
Inoltre non avevo smesso di continuare ad aprire mille volte il suo profilo Instagram: n-nikiforov. Così da contemplare nuovamente la sua ultima foto postata, esattamente trentasei ore prima: un selfie che mostrava me e lui esibire fieramente le nostre medaglie d'oro.
Sotto aveva semplicemente scritto: "Insieme anche nella vittoria".
Era innegabile: Victor mi mancava terribilmente nonostante il poco tempo trascorso e probabilmente avrei rimpianto la sua assenza per tutto il resto dei miei giorni.
Forse avevo sbagliato a sgattaiolare via come una ladra alle prime luci dell'alba, ma avevo avuto semplicemente troppa paura.
Nello specifico quella di parlare con lui e scorgere nei suoi occhi l'indifferenza, uscendone di conseguenza distrutta.
Quel timore mi aveva spinta a prendere il colpo di testa che mi aveva riportata a casa, nel piccolo paese dove ero nata e cresciuta.
I miei genitori quella mattina avevano fatto un nuovo tentativo per provare a parlare con me e capire la situazione, ma io mi ero defilata rapidamente, rifiutando anche di fare colazione.
Alla fine mio padre era uscito per andare a lavoro e mia madre aveva iniziato a fare le pulizie per casa, in attesa dell'orario per uscire anch'essa per i suoi impegni lavorativi nel pomeriggio.
L'orologio da parete segnava le nove del mattino in punto e non ero riuscita a dormire molto quella notte, tuttavia non avevo particolarmente sonno, almeno all'apparenza.
I miei progetti per quella giornata comprendevano una singola attività: fare la fossa sul mio materasso, sperando di soffocare nel cuscino tutte le mie preoccupazioni.
Infilai quindi gli auricolari nelle orecchie, lasciando partire in sequenza un repertorio di canzoni capaci di far salire la depressione anche ad una comune sedia da tavola. Tuttavia molto più efficaci su di me, siccome immersa già di mio in uno stato d'animo che lasciava parecchio a desiderare.
Chiusi gli occhi, cercando di rilassarmi, cadendo dopo un po' in uno stato di dormiveglia. Una sorta di limbo dove speravo di immergermi per ore, così da fuggire da una realtà che rifiutavo fortemente di accettare.

ᏒᎾᏚᎬ ᏴᏞᏌ || Victor Nikiforov x ReaderTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang