I. L'inquietudine

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Tutto ebbe inizio quando lei partì. Non so bene quale fosse la ragione di tanta tristezza, non era nemmeno passato un giorno; l'ultimo bacio era ancora caldo sulle mie labbra, per non parlare di quel suo profumo-non-profumo che sentivo addosso, incollato alla pelle del collo, che ora dopo ora pulsava più lento e lasciava spazio al ritmo della monotonia giornaliera.

Sveglia alle sette. Che insolite vacanze estive. Sveglia alle sette! Era un'abitudine che avevo preso da qualche settimana, dovuta a motivi pratici e personali. Lei aveva lavorato tutto il mese di luglio coi ragazzini e la sera era l'unico momento per noi. Poi invece, arrivato agosto, la situazione si era capovolta radicalmente e per noi la mattina regalava un momento di intimità, unica e irripetibile.

Il tempo stringeva: non ci restava che una settimana prima della sua partenza; sembrava un tempo così lungo, che già ora mi ritrovo a parlare di quell'assenza. Mi ero esaurito. Letteralmente svuotato nell'anima negli ultimi due giorni; il portafoglio nemmeno a parlarne, anche se non è certo colpa sua il rapporto che sussiste fra me e il denaro. Insomma, la domenica era trascorsa rapida, indolore, forse addirittura fastidiosa, perché era una di quelle giornate capitate lì per destino, in mezzo a periodi differenti, che non fanno altro che rallentare il tuo conto alla rovescia e i tuoi progetti fantasiosi. Mi vengono alla mente le parole di Seneca, quando ricordava come gli uomini vogliano affrettare il loro tempo in vista di un evento per loro importante, salvo poi lamentarsi della brevità della vita.

Mio malgrado, anche gli antichi erano contrari.


Meno dieci. Ecco lunedì; ecco come la clessidra mentale aveva iniziato a far cadere i granelli del tempo, inesorabile. Quando al tempo comoda, sia chiaro. Perché lunedì non passava più. È curioso come vorresti diventare padrone del tempo proprio quando il tuo interesse a comandarlo è meno solido del tuo condizionamento psicologico, cosicché ti ritrovi a vederlo scorrere lento quando dovrebbe scorrere rapido, e viceversa.

Se non fossi stato così giovane e squattrinato avrei preso il primo treno per la Francia. Certamente la stupidità non mancava e, figuriamoci, l'amore la sosteneva a spada tratta. Come se avere un biglietto per Parigi ti garantisse di trovare una persona tra più di due milioni di abitanti. Turisti esclusi.

Sì, per un istante avevo odiato a morte pure i turisti di agosto, perché in un certo qual modo rendevano più faticoso il mio viaggio mentale, che non necessitava di soldi, ma aveva la clausola di negare le emozioni dirette. Che viaggio inutile! Dall'odio ai turisti ero passato alla consapevolezza che i sentimenti si pagano... e a caro prezzo.

"È il rovescio della medaglia" mi consigliava la coscienza. Io, invece, pretendevo di riavere indietro i miei buoni sentimenti e di non pagarli affatto. Con l'inganno si ottiene tutto, o quasi. Che cosa voleva dire? Che sarei stato così azzardato a prendere il primo treno diretto in Francia – e la Francia è grande – alla ventura, nella speranza di arrivare a Parigi per vederla... e poi? Certo non potevo dichiararmi lì per puro caso; non potevo nascondermi dietro a qualche scusa banale, non potevo confutare la verità più ovvia e al contempo impossibile del motivo della mia presenza: ovvero lei. Non avrei potuto neppure rimanere in quella città – sempre se per ipotesi l'avessi trovata – solamente per guardarla, osservarla felice e lontana, si fa per dire, da me.


Per un attimo, la mia riflessione si allontanò dal nucleo centrale e in me prese corpo la sensazione di inutilità e piccolezza. Quanto era grande la paura di perderla! Non mi preoccupavano i francesi, troppo perfettini nello stereotipo che mi imponevo fosse vero, ma rimanevo dubbioso sul fatto che mi avrebbe dimenticato. Per dieci giorni a Parigi, tra le indiscutibili bellezze artistiche parigine, che cosa avrei potuto io? In confronto alla mirabile arte gotica, alla caratteristica torre di cui non serve banalizzare con il nome, alle strade antiche e nuove, agli immensi mercati, al lusso di una vacanza che per un istante lungo dieci giorni ti faceva sentire un magnate russo, con la tua piscina, la tua bella vita, le luci soffuse di una Parigi che non dorme mai, che è immersa nel suo perpetuo sogno fatto di romanticismo eclettico lussurioso e in cui l'edonismo trova la sua più alta espressione? Potevo io giungere inconsciamente in quel sogno e vederla? O meglio ancora arrivare a lei e con la mia presenza, risvegliarla senza alcun diritto dal suo bellissimo sogno? Mi convinsi che non ci fosse alternativa.


La fase riflessiva era terminata; pensare mi aveva stancato, e ora il mio solito spirito pionieristico mi avrebbe accompagnato nell'organizzazione di quel fantasioso progetto.

Tra tutte le cose stupide che avevo fatto nei miei diciotto anni questa le batteva tutte, "chissà" – mi dicevo egocentrico come pochi – "che magari non finisca al telegiornale o in qualche rinomata rivista di viaggi". L'ottimismo mi faceva da guida.

Un treno per la capitaleWhere stories live. Discover now