Juno

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‘Sta tranquilla Quin. Sta sera, nella mia testa, ti farò morire in venti modi diversi.
 
Era questo ciò che mi ripetevo mentre le sue amiche mi ficcava con la testa nel water. Tra me e quella ragazza era odio già dal primo giorno, ed io avevo avuto la capacità di peggiorare tutto con quella stupida dichiarazione che avevo rilasciato a Noah De Souza. Maledetto. Avrei dovuto capire fin da quando ero andata a sbatterci contro che razza di persona fosse, e, se non vi fosse chiaro, mi riferivo a questa categoria: stupido maschio pompato appartenente ad un branco di idioti. 
Alzai il braccio, afferrai la mano della ragazza mi teneva dai capelli e sperai di farle capire che dovevo decisamente respirare. Grazie a Dio non erano così stupide e mi tirarono la faccia fuori; ne approfittai per ispirare profondamente e fare il pieno di ossigeno.
-Ancora un altro giro, Gens?- ridacchiò perfidamente Quin, accucciata accanto a me che sbatteva le ciglia.
-Tanti giri per quanti ragazzi ti sei fatta.- Lo sapevo che non facevo altro che alimentare tutta la sua rabbia, ma in quei giorni ero talmente nervosa che, se infastidita, avrei potuto picchiare un professore. Persino a casa ero un fascio di nervi: non facevo altro che saltare la cena, rispondere freddamente a Dustan e fingere di dormire per non dover parlare con nessuno. Persino con Abey mi sentivo a disagio, e quella mattina avevo preferito prendere l’autobus anziché andare a scuola in macchina con il mio fratellastro perfetto. Sapevo benissimo qual’era la causa di tutto quel mio malumore, inutile negarlo: Il litigo con Noah, sommato ai battibecchi che inevitabilmente affrontavamo ogni giorno, avevano ufficialmente ammazzato la mia già precaria autostima. Adesso gli obiettivi più importanti che mi ero prefissata nella vita erano:
1- Evitare come la peste esseri umani del sesso opposto.
2- Finire il liceo senza rivolgere la parola a nessuno.
3- Scappare il più lontano possibile dal West Virginia.  
E tutto questo grazie a Noah De Souza e il suo Voglio solo farti capire che tra me e te c’è il filo sottile che divide un bel ragazzo da una con gli occhiali rotondi. Volevo la mamma, non mi importava quanto quel pensiero potesse sembrare da poppante; non avevo mai sentito il bisogno di lei come in quel periodo. Che fosse tutta colpa dell’adolescenza? Volevo tornare a casa, entrare in cucina e correre ad abbracciarla, per poi sentirmi dire ‘Cosa c’è, ma reine? Non ci pensare, sai che facciamo? Oggi vieni con la mamma al lavoro’. Lo sapevo che potevo parlare dei miei problemi con Mary, la compagna di papà, ma non sarebbe mai stata la stessa cosa. Ero arrabbiata, ma troppo fifona per poter fare qualcosa. Così ora me ne stavo seduta per terra nei bagni delle ragazze, zuppa dalla testa ai piedi,  morta di freddo e guardavo Quin di spalle che tornava in aula. Immaginai di alzarmi, togliermi una scarpa e romperle la testa, ma il mio corpo rimase immobile contro al freddo muro piastrellato del bagno,  scosso da leggeri tremiti. Una volta non ero così, non lasciavo che mi venissero messi i piedi in testa. La mamma me lo ripeteva sempre: Tu sei superiore a loro, Juno, e sai qual è la cosa belle dell’essere superiori? Puoi schiacciarli meglio.  
Me lo chiesi: cosa avrebbe detto se mi avesse vista in quello stato?
Scusa mamma, scusami tanto: ancora un po’ di tempo e torno come prima, promesso. Mi alzai da terra e trascinai i piedi fino al lavandino, dove aprii l’acqua e vi infilai sotto la testa. Ti prego, mi ritrovai a sperare, fa’ che mi venga la febbre, così posso restare a casa. Mi rendevo conto da sola di quanto fosse patetico pensare una cosa del genere, ma per ritrovare la pace interiore avevo bisogno di recludermi in camera con un buon libro, e di restarci per almeno una settimana. Si, si, lo sapevo: ero problematica. Convivevo con questa realtà da quando ero stata adottata. Tirai la testa fuori dall’acqua e mi massaggiai la nuca, talmente fredda da non sentirla nemmeno. Guardai il mio volto riflesso allo specchio e questo mi lanciò un’occhiata torva. Grazie me stessa, eh. Quant’erano stati belli i tempi di Jesse McCartney e la sua ‘Because you liveeee!’? Stavo a casa a studiare e lui mi teneva sempre compagnia. Era pure carino. Sbuffai, chiusi il rubinetto e uscii dal bagno; era appena iniziata la terza ora, questo significava che Abey, Dustan e Noah mi stavano aspettando nel cortile sul retro. Avevamo appuntamento là, e avremmo deciso se io e Noah eravamo pazzi oppure tutti e quattro.

I have a nightmare (IN PAUSA)Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz